tripudio
La voce ha due sole occorrenze, entrambe nel Paradiso, data la sua connotazione gioiosa e festante. In XII 22 Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande, / sì del cantare e sì del fiammeggiarsi... / insieme a punto e a voler quetarsi, t. conserva il valore, posseduto in latino, di " ballo ", " danza esuberante ", come chiosa il Buti: " Tripudio ène vocabulo grammaticale che significa ballo che giri in tondo ".
Il Vellutello, dal suo canto, ricorda, per una più piena comprensione del lessema, Livio (I XX 4 " Salios... ire canentes carmina cum tripudiis sollemnique saltatu iussit "), dove la voce, come nel passo di D., è connessa a un'azione quasi liturgica.
In XXVIII 124 Poscia ne' due penultimi tripudi / Principati e Arcangeli si girano, t. significa " cori tripudianti, esultanti ", e si avvicina all'accezione moderna, secondo uno slittamento semantico così spiegato dal Borghini (Discorsi, Firenze 1584, 173): " Da percuotere... liberamente il pie' in terra, cioè da saltare e ballare... fu poi la voce tripudio e tripudiare trasportata da' Romani a festa ed allegrezza ".