TRIONFO
. Nell'antica Roma il trionfo (triumphus, ϑρίαμβος) era la più alta ricompensa, un onore solenne tributato a un supremo condottiero dell'esercito romano che avesse riportato una grande vittoria sul nemico. Le condizioni per ottenere il trionfo erano molto rigorose; la concessione era riservata a una deliberazione del Senato, su richiesta dell'interessato. Per ottenere un sì alto onore il richiedente doveva essere stato investito dell'imperium maius ed essere stato comandante effettivo in capo. Se i comandanti dell'esercito fossero stati due, rivestiti di pari grado, l'onore era devoluto soltanto a quello che nel giorno della battaglia decisiva avesse esercitato l'autorità suprema, con l'auspicium e l'imperium. Inoltre la vittoria doveva essere stata riportata in una guerra contro un popolo straniero, non in una guerra civile. Dovevano essere stati uccisi in una sola battaglia non meno di 5000 nemici e il successo doveva essere stato completo e decisivo. Le ingenti spese che la solenne cerimonia del trionfo comportava, venivano assunte dallo stato in seguito a votazione del Senato.
Se il duce vittorioso fosse per caso già entrato nel recinto urbano di Roma, prima di chiedere e ottenere il trionfo, decadeva da ogni diritto in proposito. Per ottenerlo era indispensabile che egli attendesse, col suo esercito reduce dalla fortunata campagna di guerra, fuori del pomerium della città; doveva cioè conservare l'imperium che si deponeva appena chi ne fosse investito avesse varcato la soglia di una delle porte della cinta serviana. Nella sosta, talvolta lunga, il candidato al trionfo e il suo esercito si accampavano nel Campo Marzio.
Se il Senato aveva accordato il trionfo, nel giorno stabilito si celebrava l'imponente cerimonia di carattere sacro e militare. Il corteo si formava nel Campo Marzio ed entrava in città dalla Porta Triumphalis, traversava il Velabrum e il Circus Maximus, percorreva la via Sacra e il Forum, ascendeva il clivus Capitolinus e si fermava dinnanzi al tempio di Giove Capitolino. In testa al corteo incedeva l'intero Senato; seguiva il corpo dei suonatori di corni e di trombe che precedeva una lunga serie di carri onusti delle spoglie del nemico e del bottino di guerra. Gli oggetti più notevoli per valore e pregio artistico erano portati, isolati o in gruppo, su apposite portantine. Subito dopo erano condotti gli animali sacri destinati ad essere sacrificati in onore della divinità suprema sul Campidoglio.
Dietro le vittime designate incedeva il gruppo dei sacerdoti pubblici del popolo romano, assistiti dai loro ministri. Seguivano i vessilli, gli emblemi e i trofei delle armi prese al nemico, i principi e le notabilità dei vinti con le loro famiglie; venivano poi gli altri prigionieri di minore rango con le mani avvinte dai ferri. I littori, con la fronte e i fasci ornati da ghirlande di alloro precedevano immediatamente il trionfatore ritto sul carro trionfale. Questo era di forma rotonda, chiuso tutto intorno a foggia di tino, o anche rettangolare, ed era tirato da quattro cavalli affiancati. Il trionfatore vestiva la ricca toga picta, ed aveva la fronte redimita di verde alloro, mentre con la destra recava un ramo di alloro. Dietro di lui un servo pubblico teneva sospesa sul suo capo una corona d'oro, ornata da gemme, imitante le foglie di lauro. I suoi figli minori avevano posto con lui sul carro; quelli che avevano raggiunto l'età virile procedevano a cavallo subito dopo. Dietro al trionfatore venivano gli ufficiali superiori tutti a cavallo. Il corteo trionfale era chiuso dall'interminabile sfilata dell'intero corpo delle legioni. I legionarî recando in mano un ramoscello d'alloro, con sul capo ghirlande della stessa pianta, gridavano: Io triumpe!, o cantavano le canzoni composte in onore del loro duce e di quando in quando lanciavano frizzi, anche salaci, al suo indirizzo (v. trionfali, carmi). Quanto agli archi trionfali e alla controversia intorno alla loro relazione con la pompa trionfale, v. arco, IV, p. 109 segg.
Era uso che il trionfatore portasse al collo una bulla con amuleti per scongiuro. Inoltre il servo ritto dietro di lui nel carro trionfale doveva ripetergli dopo le acclamazioni più vive della folla, il monito: ricordati che non sei che un uomo. Giunto al Campidoglio il trionfatore offriva a Giove Ottimo Massimo il lauro che teneva in mano e quelli che avevano decorato i fasci dei littori, quindi compiva il sacrificio. A chiusura dei festeggiamenti un banchetto riuniva i magistrati e i senatori, mentre venivano distribuite cibarie ai soldati e al popolo. Da Romolo a Vespasiano, secondo l'asserzione di Orosio (VII, 9, 8), furono riportati 320 trionfi; circa una trentina furono celebrati in età posteriore. Possediamo parte dell'elenco ufficiale dei trionfi, che con i Fasti consolari erano registrati all'esterno della Regia nel Foro, da Romolo a L. Cornelio Balbo (anno 735 di Roma) e quelli dall'anno 711 al 728 registrati nella tabula triumphorum Barberiniana. Fuori di Roma due frammenti ci sono conservati d'una redazione dei Fasti trionfali incisa su pietra a Urbisaglia. In età imperiale, quando l'imperatore era il capo supremo dell'esercito e i generali, semplici legati, combattevano sotto i suoi auspici, era soltanto a lui che apparteneva, in caso di vittoria, il titolo di imperator e il trionfo. Agli autori reali della vittoria si usò concedere l'uso della toga ricamata, della corona d'alloro e dello scettro (ornamenta triumphalia); Agrippa per il primo rifiutò il trionfo, ma accettò gli ornamenti del trionfatore. Questo uso degenerò in abuso togliendosi ogni valore alla distinzione. Con Traiano tutti i consoli ebbero il diritto di assumere nelle cerimonie ufficiali gli ornamenti trionfali.
Il trionfo fu accordato anche per vittorie navali. Il primo esempio fu quello di C. Duilio, in ricompensa della disfatta da lui inflitta alla flotta cartaginese nell'anno 260 a. C. Altri sono registrati nei Fasti trionfali o ricordati dagli autori.
Se il Senato avesse rifiutato a un generale l'onore del trionfo pubblico, questi poteva, senza altra autorizzazione, celebrare un trionfo salendo al tempio di Giove Laziale, sul monte Albano. Il primo che usò di questa facoltà fu C. Papirio Masone nell'anno 231 a. C.
V., inoltre, ovazione.
Bibl.: H. A. Göll, De triumphi romani origine, permissu, apparatu, via, Schleiz 1854; A. Linsmayer, Der Triumphzug des Germanicus, Berlino 1875; G. Schön, Das capitolinische Verzeichniss der römischen Triumphe, Vienna 1893; A. v. Domaszewski, in Arch. G. Rel. Wiss., XII (1909), p. 72 segg.; E. Pais, Fasti triumphales populi Romani, Roma 1923; L. Deubner, Die Tracht des römischen Triumphators, in Hermes, LXIX (1934), p. 316 segg.
L'iconografia dei trionfi nel Medioevo e nell'età moderna. - Glorificazioni di personaggi celebri, di santi, di figure allegoriche e di personificazioni si trovano già frequenti nella pittura del Trecento: vaste figurazioni collegate da un elaborato simbolismo, e per lo più sature di significato scolastico e mistico. Ricordiamo, ad esempio, il trionfo di S. Tommaso d'Aquino e dei domenicani nel cappellone degli Spagnoli a Firenze; nella volta sopra l'altare della chiesa inferiore di Assisi, il trionfo di S. Francesco nella gloria del Paradiso e, vicino, le glorificazioni della Povertà, della Castità e dell'Obbedienza.
Nel Quattrocento la rappresentazione prende l'aspetto caratteristico di ricordo del trionfo romano, che pure aveva ispirato il Petrarca. Anzi, i Trionfi del Petrarca, soggetto frequente d'illustrazione nei manoscritti, poi nelle stampe, favorirono la diffusione nella pittura dello schema di composizione, nel quale il carro del trionfatore è seguito e circondato da uno stuolo di figure. Anche l'eroe e l'eroina del Quattrocento celebrano simili trionfi: Alfonso d'Aragona nell'Arco di Castel Nuovo a Napoli, e, nel rovescio dei loro ritratti agli Uffizî, Federico da Montefeltro e Battista Sforza. Negli scenarî di Mantova, che attualmente si trovano a Hampton Court, il Mantegna rievocò un trionfo classico, quello di Giulio Cesare.
Bibl.: A. Didron, Les Triomphes, in Ann. arch., XXIII (1863), pag. 283; XXIV (1864), pp. 38-145; E. Müntz, Pétrarque, Parigi 1902; A. Venturi, Les Triomphes de Pétrarque dans l'art représentatif, in Revue de l'art ancien et moderne, XX (1906), pagine 81-93, 209-221; E. Mâle, L'art religieux de la fin du moyen âge en France, Parigi 1908; E. Kraus, Geschichte der christlichen Kunst, Friburgo in Brisgovia, 1908; W. Weisbach, Trionfi, Berlino 1920; L. Bréhier, L'art chrétien, Parigi 1928; K. Künstle, Ikonographie der christlichen Kunst, Friburgo in Brisgovia 1928.