TRINCI
– I primi esponenti di questa casata compaiono, nella scarsa documentazione relativa a Foligno, nel XIII secolo, e si suppone che sin da allora appartengano alla nobiltà cittadina e alla militia, anche se i primi esponenti noti – Trincia di Trincia e i figli Nallo (che fu podestà di Foligno per dieci mesi nel 1298) e Corrado – sono menzionati semplicemente come domini.
Sono in ogni caso fragilissimi i tentativi di ricollegare i Trinci ai conti di Uppello (XI secolo), come tentò di fare nel XVII secolo un esponente dell’erudizione folignate, Durante Dorio, basandosi su omonimie azzardate e sul collegamento tra pezzi d’archivio troppo rari e isolati per costituire un terreno omogeneo.
Stando alla tradizione locale, che si richiama a Dorio e a Ludovico Jacobilli, i Trinci in quanto leader della fazione aristocratica si opposero agli Anastasi, capi del popolo. Quel che è certo è che Trincia, come ricorda nel 1296 una lettera di Bonifacio VIII al quale Nallo e Corrado chiesero la legittimazione del proprio patrimonio, era stato sostenitore degli Svevi rebelles; il testo menziona esplicitamente Federico II, Corrado IV e Manfredi. Pochi anni più tardi tuttavia, nel contesto delle guerre ricorrenti fra Foligno e Perugia e della lotta intraurbana che opponeva Trinci e Anastasi, Nallo di Trincia passò ai guelfi e nel 1305, aiutato dai perugini, prese il potere e cacciò i rivali. Fu proprio a Foligno che si svolse in quell’anno un parlamentum nel quale ben trentuno città promisero ai commissari di Clemente V di mantenere la pace. La promessa fu ribadita dai folignati nel 1311 (quando per sei mesi fu podestà della città addirittura re Roberto d’Angiò), e il nuovo statuto del Comune del 1314 (che sanciva la trasformazione in Comune popolare, con la figura del capitano del popolo) riconobbe l’autorità del papa e vietò ordinamenti contrari alla libertà della Chiesa.
Come in altre città umbre, un’intensa negoziazione aveva portato nell’arco di un decennio all’accettazione da parte del papa del nuovo equilibrio politico in Foligno dell’egemonia di Nallo. L’ostentato allineamento al guelfismo restò elemento centrale della fortuna politica dei Trinci.
Della fedeltà al papato i Trinci diedero prova resistendo, insieme ai folignati, all’assedio di truppe ghibelline durante la discesa in Italia di Ludovico il Bavaro (1327-28); e la scelta di appoggiarsi al popolo, sempre più influente negli equilibri politici e sociali interni, non fu meno determinante per la conquista e la conservazione del potere da parte della famiglia.
A Nallo (morto nel 1318 circa) succedette il fratello Ugolino I (morto nel 1338); poi i figli, Corrado I (morto nel 1343) e Ugolino II, detto Novello (morto nel 1350 circa). Essi rivestirono le principali magistrature del Comune e del partito dominante (podestà, capitano del Popolo, gonfaloniere di giustizia) con regolarità, ma non in modo continuo, durante l’intera prima metà del secolo. Si inaugurò così presso i Trinci una prassi di trasmissione del potere tra fratelli; il nuovo leader si associò spesso con uno dei nipoti, prevenendo in tal modo rivalità interne che avrebbero potuto minare la dominazione familiare.
Già alla fine degli anni Venti il potere di Ugolino I e di Corrado I sembrava abbastanza consolidato perché potesse iniziare una vera politica di espansione territoriale, nella quale trovavano una convergenza gli interessi della famiglia e quelli della città: con l’ovvia, viva reazione da parte del papato (che già nel 1331 collocò Ugolino I e il nipote fra i ribelli alla Chiesa, per aver costituito una lega di terre e castra).
Gli strumenti di questa politica oscillarono fra l’ottenimento delle cariche interne (come a Limigiano, ove Corrado I era podestà nel 1340 in cambio della ‘protezione’ assicurata a quel castello) e il ricorso alla forza (come a Bevagna, occupata nel 1334). Inoltre i Trinci sfruttarono i ricorrenti momenti di debolezza del rettore del Ducato di Spoleto per allargare la loro influenza, in modo tale da potere trattare nuovi privilegi con l’autorità pontificale.
Ciò non tolse che Foligno e i Trinci restassero nel sistema di alleanza guelfa (con Firenze, Perugia, Siena, o Orvieto), ricoprendo spesso il ruolo di capitano dell’esercito guelfo, e suggellando questo permanente orientamento con un’accorta politica matrimoniale che li portò a rinsaldare le alleanze politiche.
Ugolino, fratello di Nallo, sposò una Risabella Caetani; un figlio di Nallo, Vagnozio, sposò Ottavia Orsini, e un altro figlio, Corrado I, Agnese Baglioni di Perugia. Non va dimenticato al riguardo che un Bartolomeo Caetani, probabilmente parente del papa Bonifacio VIII, era stato vescovo di Foligno fra il 1296 e il 1304.
Il crescente potere dei Trinci si manifestò con chiarezza nei confronti della Chiesa locale. Sia il vescovo sia il priore del duomo fecero quasi sempre parte dell’ambiente familiare; Corrado, fratello di Nallo, fu canonico della cattedrale prima di diventare priore della chiesa di S. Salvatore; Pietro, primogenito di Nallo, divenne vescovo di Spoleto (1307-1329); infine suo fratello Paolo, nipote di Ugolino I fu canonico e poi priore del duomo di Foligno, prima di accedere al vescovado nel 1327 (fino alla sua morte, nel 1363).
Altre indicazioni provengono da Dorio: un Teoduccio Trinci nel 1326-34 e, successivamente, Ruggero di Berardo Trinci, figlio di un cugino germano di Nallo, nel 1347-58 sarebbero stati priori del capitolo della cattedrale.
Un particolare rilievo ha la figura di Ugolino Novello, associato al potere al fianco del fratello Corrado I, e, forse, dello zio Ugolino I almeno dal 1339. Chiamato nelle fonti magnificus miles e vexillifer populi Fulginei, egli ebbe un ruolo importante nella legittimazione, da parte delle istituzioni civiche, del dominio dei Trinci sulla città. Alla fine della sua vita, intorno al 1350, fu stesa la terza parte degli statuti del Comune e gli statuti del Popolo (caratterizzati da una forte coloritura antimagnatizia). Per un verso, parecchie rubriche annullarono tutte le decisioni prese dagli Anastasi e dai consoli, così come le sentenze temporis regiminis Corradi [degli Anastasi], e contratti di vendita approvati all’epoca dell’egemonia di Corrado Anastasi, l’avversario di Nallo. Beneficiarono di queste misure le famiglie già bandite, alleate dei Trinci, e si consolidarono le basi economiche della loro fazione.
Per altro verso, i nuovi statuti rinforzarono un sistema di cogestione della città e di collaborazione tra le istituzioni collegiali del Popolo, la vera forza politica-sociale, e il gonfaloniere di giustizia, che di per sé già si qualificava come un quasi signore nelle sue vesti di praesul populi. Ma a questa nuova affermazione e questo verosimile consolidamento del ruolo del gonfaloniere si affiancò una vera e propria rottura istituzionale, giacché gli statuti del popolo prevedevano la trasmissione di diritto della carica a un membro della famiglia Trinci. La rubrica 188 dello statuto, nel testo conservato, menziona a questo riguardo Trincia di Ugolino Novello, che fu gonfaloniere di giustizia intorno al 1350, e questa norma derogatoria si tradusse anche in privilegi accordati a tutta la famiglia: tre rami trinceschi vennero autorizzati a portare in città armi sia difensive sia offensive, il che li distingue dal resto della popolazione.
L’importanza dei Trinci nella vita locale si misurò infine con il perpetuarsi del controllo quasi monopolistico delle principali cariche ecclesiastiche. Dopo la morte di Paolo Trinci (1363), Rinaldo, fratello di Trincia, ex priore del Duomo, venne a sua volta eletto vescovo (ma morì l’anno seguente).
Contestualmente a questo consolidamento interno, in ‘politica estera’ Ugolino Novello perseguì (a metà secolo) un allargamento della rete matrimoniale in direzione di dinastie aristocratiche più prestigiose (secondo Dorio): Corrado (II) sposò Anna, sorella di Antonio da Montefeltro, e Trincia si unì a Giacoma di Niccolò I d’Este, cosignore di Ferrara. Inoltre, i Trinci mantennero relazioni strette con la Firenze guelfa: Corrado I era stato eletto alla carica di podestà di Firenze nel 1330, Ugolino I (1323) e lo stesso Ugolino Novello (1343) ebbero anch’essi la nomina, poi non concretizzata. Alcuni tentativi di espansione territoriale (per esempio, verso l’ambita Bevagna) furono portati avanti da Trincia, che tuttavia dovette soprattutto gestire il rapporto con Egidio Albornoz, e fu capace di metterlo a frutto. Trincia mantenne sempre un attendismo prudente verso la politica della Chiesa, ma quando – dopo essersi occupato del patrimonio – Albornoz iniziò la pacificazione del Ducato, riconobbe l’autorità del papa e accolse il cardinale a Foligno (autunno del 1354 o inizio del 1355). Fu a fianco del cardinale durante la seconda legazione di Albornoz e lo seguì di nuovo nella lotta contro le compagnie di ventura (1365-67).
La ricompensa venne nel novembre del 1367, con la concessione del vicariato apostolico in temporalibus. Si tratta di una svolta nella storia dei Trinci: il loro potere su Foligno fu legittimato dal papato, ma, soprattutto si instaurò per loro una forma di diritto di successione. Il vicariato divenne infatti appannaggio del gruppo familiare: Urbano V previde che, in caso di morte di Trincia prima della scadenza della concessione di vicariato (dieci anni), il fratello Corrado (II) e il figlio Ugolino (III), zio e nipote, lo avrebbero esercitato communiter.
Negli anni successivi, Trincia (che nel 1373 era stato mandato, agli stipendi della Chiesa, a Bologna pro custodia civitatis) fu posto di fronte – e con lui Foligno – a obbligazioni contraddittorie. Rimase prudente in occasione delle tensioni tra Perugia e il papato intorno al 1370, approfittandone per accrescere la pressione sulle vicine terre (come Montefalco, del quale fu nel 1376 conservator et gubernator) e rimase a lungo neutrale nella prima fase (1375-78) della guerra degli Otto Santi scoppiata fra Gregorio XI e le tradizionali alleate dei Trinci (Perugia e Firenze, che, negli anni 1370-80, concessero la cittadinanza a parecchi esponenti della casata). Trincia si schierò con la Chiesa solo nel 1377, ma fu ucciso poco dopo, a settembre, durante una rivolta urbana.
Poche settimane dopo, tuttavia, suo fratello Corrado II riprese il controllo della città debellando la fazione rivale dei Brancaleone. Restò al potere sino alla morte (1386), insieme al nipote Ugolino III, come lui vicarius in temporalibus oltre che capo del Comune. Essi compirono una scelta importante sul piano simbolico e politico: una parte della famiglia si trasferì infatti nel palazzo delle canoniche, sulla piazza principale di Foligno, cuore dello spazio civico. Ma soprattutto, la complessa fase politica che si apriva, quella del grande scisma (1378-1418) offrì nuove opportunità alla famiglia, che prese sin dall’inizio il partito dell’obbedienza romana, e in particolare a Ugolino III.
In effetti il ventennio 1380-1400 fu profondamente segnato, a Foligno e in Umbria, dalle devastazioni delle compagnie mercenarie, ma proprio queste difficoltà permisero a Ugolino III di accaparrarsi con la forza parecchi castra e terre. Ottenere a posteriori l’avallo a queste conquiste da parte dei papi romani, che avevano disperato bisogno di appoggi in Italia centrale sul piano politico-militare, non fu difficile: fioccarono le concessioni vicariali a Ugolino III nelle diocesi di Spoleto, Assisi e Foligno, a condizioni via via più favorevoli (durata più lunga nelle concessioni del 1389 e 1392, e successivamente diritto di trasmettere a più generazioni di discendenti a partire dal 1398, cosa che configura un potere dinastico vero e proprio).
I Trinci costituirono dunque un aggregato territoriale (una costellazione) assai esteso, ma fragile, geograficamente discontinuo, eterogeneo dal punto di vista giurisdizionale, e pur sempre condizionato dai rinnovi delle concessioni papali. Ugolino III provò a consolidare le sue posizioni mediante la politica matrimoniale: una figlia, Agnese, fu sposata al fratello di papa Bonifacio IX (1399); altre furono piazzate presso le grandi famiglie della regione (come i da Varano, signori di Camerino). Inoltre si pose sotto la protezione e accomandigia di Firenze (1396, 1413) che inserì Foligno nella sfera delle sue alleanze antiviscontee prima (1396) e antidurazzesche poi (1413).
Sul piano interno, due aspetti sono da segnalare soprattutto: la non sorprendente, duratura egemonia sulle istituzioni ecclesiastiche, e la politica urbanistica.
Oltre al risalente e saldo controllo della cattedra episcopale (Onofrio Trinci, vescovo nel 1397-1403; Giacomo Elmi, nipote di Ugolino III, priore della cattedrale nel 1415, poi vescovo nel 1423-37) e delle grandi chiese collegiate della città, i Trinci misero le mani sull’importante abbazia di Sassovivo (che aveva numerose dipendenze). Troiano Trinci, figlio di Corrado I di Nallo, fu abate nel 1394; ma dal 1401 Ugolino III ottenne dal papa il giuspatronato e poté scegliere i due candidati all’abbaziato (1411), sì che nel 1411 fu eletto Giacomo Trinci. I Trinci avevano inoltre diritti di patronato e percepivano rendite su varie istituzioni religiose del circondario (Limigiano, Cassignano, Montefalco); e continuarono a sostenere l’osservanza francescana, in particolare Paoluccio Vagnozzi (morto nel 1391) che dei Trinci era cugino e che, ritirato nell’eremo di S. Bartolomeo di Brogliano, promosse un’applicazione ad litteram della regola di Francesco e fondò a Foligno il monastero di S. Anna per le terziarie francescane (già negli anni 1380). Un’altra fondazione osservante, S. Bartolomeo di Marano, fu fondata su un terreno donato da Ugolino III.
Quanto all’imponente dimora familiare, costruita a partire dal 1400 circa nel cuore della città tra la cattedrale e il palazzo comunale, affrescata in modo sontuoso attorno al 1410 dalla bottega di Gentile da Fabriano, essa fu uno strumento e un segno della potenza dei Trinci, oltre che uno strumento di esercizio del potere che i figli di Ugolino III seppero utilizzare. Ugolino scomparve infatti nel 1415 e i suoi tre figli Niccolò, Bartolomeo e Corrado (III), sotto la preminenza del primo (il maggiore di età che ebbe – lui solo – il titolo di gonfaloniere di giustizia) giurarono insieme fedeltà alla Chiesa e gestirono congiuntamente il potere. Parecchi vicariati furono confermati ai Trinci dal Concilio di Costanza e da Martino V; né mancò la conquista di nuovi diritti giurisdizionali in località anche lontane, come Piediluco (Niccolò ne fu dominus nel 1417). Sempre legati a Firenze (furono tra i primi collegati, nel 1419), pronti ad accordarsi con il nuovo ‘uomo forte’ di Perugia e del Perugino (cioè Braccio da Montone), i Trinci continuarono la consueta politica matrimoniale legandosi ancor più strettamente a Orsini e Montefeltro, e nelle vicinanze ai da Varano e ai Chiavelli.
La cosignoria terminò bruscamente nel 1421 quando Niccolò e Bartolomeo furono assassinati da un castellano traditore. Corrado III rimase l’unico signore di Foligno e si associò il figlio Ugone (nato nel 1416) all’incirca dalla metà degli anni Venti; il governo dei Trinci restava dunque di carattere familiare e personale insieme, e indissolubilmente legato al Comune di popolo.
Il potere dei Trinci, come quello delle altre famiglie signorili umbro-marchigiane, fu messo a repentaglio dalla fine del grande scisma e dalle sue conseguenze: il ritorno del papa a Roma e il rafforzamento del controllo territoriale nello stato pontificio, e inoltre la presenza sullo scenario dell’Italia centrale di altri protagonisti di grande spessore (lo Sforza, il Piccinino). Nel 1421, Corrado III fece redigere una tabula che elencava i luoghi da lui controllati: due città (Foligno e Nocera) e ben cinquantaquattro fra terre (Bettona, Bevagna, Montefalco, Trevi…), castra, torri e fortezze. Ma era uno status quo impossibile da mantenere: poco dopo Martino V accusò i Trinci di detenere illegalmente parecchi di quei luoghi e minacciò l’interdetto. Gli anni Venti e Trenta furono segnati da permanenti negoziati, revoche, concessioni (1421, 1432) del vicariato, in alternanza con colpi di mano. La tendenza di fondo fu quella di una riduzione dei luoghi concessi dal papa, ma Corrado III tentò ripetutamente di riprendersi qualche terra che gli era stata sottratta (come a Montefalco nel 1437). Ovviamente, egli dispiegò inoltre un’intensa attività diplomatica e sollecitò in modo incessante l’appoggio presso il papa di Firenze e di Milano. Per ridurre i pericoli, collocò inoltre alcune figlie proprio presso le potenze ostili (Faustina Trinci sposò un Colonna, 1424, Marsabilia si unì a Leone Sforza, fratello di Francesco, 1436). Sul piano pratico, a nulla valse il successo d’immagine dell’ospitalità data nel 1433 a Sigismondo di Lussemburgo che armò cavalieri due dei suoi figli (Ugone, Niccolò); e anche il controllo sulle cariche ecclesiastiche locali venne meno (Eugenio IV non confermò infatti l’elezione di Rinaldo Trinci, che il padre Corrado III aveva fatto eleggere dopo la morte di Giacomo Elmi, cugino del signore).
Nel 1439 il cardinale legato Giovanni Vitelleschi, incaricato di ripristinare l’autorità papale, assediò Foligno. Corrado III fu tradito da una parte della popolazione (ma anche il cugino Giacomo, abate di Sassovivo si schierò contro di lui); fu catturato e giustiziato, con parecchi dei suoi figli (1441). Le sorti dei superstiti di questa linea dei Trinci sono poco conosciute. La fine della dinastia lasciò profonde lacerazioni nel ceto dirigente folignate e la leggenda nera dei Trinci, crudeli tiranni, fu poi alimentata da quella medesima élite cittadina che si era a essi legata nel governo della città.
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