TRINCI, Mariano detto Maniscalco
– Nacque a Siena nel 1481 da Tommaso (Tommè) e da Camilla Bisenzi.
Esercitò il mestiere di maniscalco, ma fu anche autore e interprete di testi drammatici. La data di nascita si ricava dal manoscritto contenente l’elenco dei Maschi nobili senesi battezzati dal 1379 al 1499, fatto redigere dal patrizio senese Francesco de’ Bichi nel XVII secolo (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, P.III.14).
In base a tale fonte la presenza della famiglia Trinci a Siena si può far risalire agli ultimi decenni del Quattrocento. Due sarebbero i rami facenti capo a Donato Trinci, da cui nacquero Mariano (zio del Maniscalco e a sua volta padre di Pavolo e di Niccolò, battezzati rispettivamente nel 1473 e nel 1474) e Tommè, che oltre a Mariano ebbe Giovanni Battista (battezzato nel 1488) e Stefano (battezzato nel 1491). Entrambi i figli di Donato sono registrati come «maniscalchi» e lo stesso drammaturgo, che si firmò come «Mariano Trinci Sanese» soltanto nella princeps (1514) della sua prima opera teatrale, la Commedia di Amore contro Avaritia et Pudicitia, definì la sua seconda fatica (la commedia Motti di Fortuna) «composta per me, Mariano di maestro Thomme maniscalco da Siena» (Comedia [...] intitolata Motti di Fortuna, Venezia 1527, c. 1v, n.n.), presentandosi da quel momento in poi con la sua qualifica di artigiano.
Pur non essendo possibile riscontrare una puntuale corrispondenza di nomi e date, non si esclude una identificazione dei Trinci di Siena con la discendenza dei Trinci di Foligno, famiglia stabilitasi nella città toscana nei decenni successivi al 1439, anno in cui ebbe termine la loro signoria sulla città umbra. Secondo Durante Dorio (Istoria della famiglia Trinci, 1638), che ricostruì la genealogia della nobile famiglia folignate, alla strage del 1439, che determinò la caduta del potere dei Trinci, sarebbe sopravvissuto miracolosamente il figlio di Francesco VIII (e nipote dell’ultimo signore di Foligno, Corrado XII), Iaffet (1439-1465 circa), che sposò una nobildonna orvietana, Agnese Montanari; dalla loro unione nacquero Tommaso e Anna; da Tommaso, che sposò la nobile orvietana Camilla Bisenzi, nacque Mariano, che, andato ad abitare a Siena, sposò la nobildonna Romana Gabrieli (Gabrielli o Gabbrielli, forse discendente dalla nobile famiglia di Gubbio). Dalla loro unione nacquero Tommaso II, Giovanni Battista, Properzio e sette figlie, alle quali diede «il nome delle sette Muse» (p. 275). Fu poi Properzio, «famigliare» dei duchi Pier Luigi e Ottavio Farnese, che, sposatosi con la gentildonna Camilla Albertini, intorno al 1540 si trasferì a Orbetello, dove proseguì la stirpe proveniente dal ramo diretto dei Trinci di Foligno (ibid.).
Questa ricostruzione genealogica presenta alcune incongruenze sulle date e sull’arrivo dei Trinci a Siena, ma alcuni dati rendono possibile l’ipotesi che Mariano Trinci, figlio di Tommaso di Iaffet, sia il Maniscalco senese. La circostanza è resa plausibile anche dal fatto che i legami dei signori di Foligno con Siena sono attestati fin dai tempi di Corrado VIII di Nallo e che la nobile famiglia è rappresentata in Toscana anche dall’abate Vincenzo Trinci. La discendenza dai signori di Foligno avvalorerebbe anche la motivazione dell’inserimento dei Trinci di Siena nel registro dei battezzati nobili, nonostante l’indicazione del mestiere artigiano dei fratelli Mariano e Tommè, entrambi maniscalchi. Questa precisazione non deve comunque stupire perché va valutata alla luce del contesto sociopolitico in cui si colloca: la condizione ‘artigiana’ nella Siena del primo Cinquecento configura spesso il profilo di un personaggio colto, mediamente elevato e talvolta vicino alle sfere del potere.
Fornito di una certa cultura e di erudizione classica, Mariano poté vantare un ruolo almeno clientelare nei confronti di Eustachio Petrucci, figlio di Raffaele, signore di Siena dal 1515 al 1522, come si evince dalla Commedia del vitio muliebre, pubblicata nel 1518 «ad instantia di Misser Eustachio de’ Petrucci, Magnifico Capitanio della Guardia di Siena». Probabilmente Mariano assolse presso i Petrucci un secondario compito di ‘intrattenitore’ e un principale ruolo di maniscalco, certamente rilevante se si considera che l’arte della mascalcia a corte veniva spesso praticata da illustri uomini d’armi e che in questo specifico caso poteva essere particolarmente importante perché posta a servizio di un capitano delle Guardie. Potrebbe apparire qualcosa di più di una semplice coincidenza il fatto che lo stemma dei Trinci contenga la figura del cavallo (in genere due cavalli addossati, come si vede ancora nello stemma del ramo romano facente capo a Marc’Antonio Trinci: Roma, Biblioteca Casanatense, Stemmi gentilizi delle più illustri famiglie romane, 4006, c. 19, n. 722).
Il legame con la famiglia più potente in quegli anni a Siena deve aver posto il Maniscalco in una precisa posizione politica, gravitante nello schieramento del ricco Monte dei Nove cui i Petrucci appartenevano. Ciò giustificherebbe l’esiguo spazio di tempo nel quale l’autore produsse (e sicuramente rappresentò) le proprie opere e il probabile suo allontanamento da Siena dopo la caduta dei Petrucci. Specchio di tale esilio forzato potrebbe essere considerata l’Epistola d’amore che accompagna l’edizione della commedia del Muratore, pubblicata nell’agosto del 1546, un parziale e tardo rifacimento della Commedia della pietà d’Amore composta nel 1518. L’Epistola non porta la sua firma, ma, dietro una metaforica lettera d’amore, denuncia un chiaro riferimento a una condizione di esilio dalla amata città (sorte cui giunsero anche altri eminenti personaggi della cultura coeva, come Antonio Vignali di Bonagiunta, detto l’Arsiccio Intronato, che dedicò a Mariano un epigramma pubblicato in tutte le edizioni del citato Vitio muliebre).
Trinci fu autore e in parte anche interprete di sei testi drammatici, oltre alla citata commedia del Muratore, che videro la luce a Siena tra il 1514 e il 1520: Commedia di Amore contro Avaritia et Pudicitia, successivamente sottotitolata Il bicchiere (1514), Motti di fortuna (1518), Commedia della pietà d’Amore (1518), Commedia del matrimonio (1518), Commedia del vitio muliebre (1518) e Commedia della monaca (1520). Questi testi, come quelli di molti autori comici senesi di quegli anni, incontrarono una notevole fortuna editoriale anche nei decenni successivi, non solo a Siena ma anche a Venezia e a Firenze.
La figura di Trinci va collocata accanto a quelle di altri autori comici attivi a Siena agli inizi del XVI secolo (fra cui Niccolò Campani, detto Lo Strascino, Leonardo di ser Ambrogio Maestrelli, detto Mescolino, Pierantonio Legacci dello Stricca), impegnati in un’operazione editoriale e spettacolare che si pone al di fuori delle varie aggregazioni accademiche che fiorirono in quel tempo a Siena (nonostante i singoli rapporti intrattenuti dallo stesso Trinci con alcuni dei loro affiliati), tra cui spiccano la Congrega dei Rozzi e l’Accademia degli Intronati. L’indubbio orizzonte rappresentativo (ideato per una cerchia forse ristretta, ma comunque concepita come ‘pubblico’) contenuto nelle opere del Maniscalco non deve, però, far distogliere da quella che appare una peculiarità del suo lavoro di scrittore, in parte differente da quella di altri comici coevi: Trinci realizza testi di evidente ambizione letteraria. Le trame delle sue opere teatrali (spesso articolate e intrise di toni moraleggianti, ma difficilmente inquadrabili in uno specifico genere rappresentativo) sono frutto dell’esigenza di coniugare sapere classico e praticità moderna, fatta di quotidianità, gesti semplici e tematiche attuali. Il risultato è un prodotto tragicomico di stampo popolareggiante che, con l’impiego di specifiche strategie spettacolari e musicali, oscilla continuamente tra il serio e il faceto.
Probabilmente caduto in disgrazia dopo la pubblicazione nel 1520 della sua ultima opera teatrale (La commedia della monaca), nel 1546 Trinci doveva essere comunque ancora in vita. Non si hanno notizie certe sulla data della morte, ma i sonetti finali in lode del Maniscalco composti da Francesco di Simione Bindi e probabilmente da Marcantonio Cinuzzi, posti a chiusura di una nuova edizione della Commedia del vitio muliebre realizzata da Bindi nell’ottobre del 1547, fanno riferimento alla scomparsa di Trinci. Dunque, si può ritenere che nell’agosto del 1546 il Maniscalco fosse ancora in vita, lontano da Siena; la sua morte dovrebbe essere avvenuta prima del 27 ottobre 1547.
Fonti e Bibl.: Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Maschi nobili senesi battezzati dal 1379 al 1499, P.III.14, cc. 173, 176, 194, 209, 219; Roma, Biblioteca Casanatense, Stemmi gentilizi delle più illustri famiglie romane, 4006, c. 19, n. 722; D. Dorio, Istoria della famiglia Trinci, Foligno 1638; P. Litta, Famiglie celebri d’Italia, VI, Trinci di Foligno, Milano 1822.
C. Mazzi, La Congrega dei Rozzi di Siena nel secolo XVI, I, Firenze 1882, pp. 143-150, 160, 166, 179, 193, 224-230, 307, II, pp. 41-51, 185, 245, 284-286, 297; R. Alonge, Il teatro dei Rozzi di Siena, Firenze 1967, pp. XVI, 1-11, 14, 50, 54, 196 s.; A. Mauriello, Cultura e società nella Siena del Cinquecento, in Filologia e letteratura, XVII (1971), pp. 26-48; N. Borsellino, Drammaturgia e società a Siena, in Id., Rozzi e Intronati. Esperienze e forme di teatro dal Decameron al Candelaio, Roma 1976, pp. 89-119; C. Valenti, Le egloghe rusticali dello Strascino e la multiformità attorica, in Quaderni di teatro, V (1982), 17, pp. 56-68; R. Braghieri, Il teatro a Siena nei primi anni del Cinquecento. L’esperienza teatrale dei pre-Rozzi, in Bullettino senese di storia patria, XCIII (1986), pp. 43-159; G. Ulysse, La violenza nella farsa italiana del primo Cinquecento. Dimensione teatrale e forme ideologiche, in Teatro comico fra Medio Evo e Rinascimento: la farsa. Atti del Convegno..., Roma... 1986, a cura di M. Chiabò - F. Doglio, Viterbo 1987, pp. 181-210; C. Valenti, Comici artigiani. Mestieri e forme dello spettacolo a Siena nella prima metà del Cinquecento, Modena 1992, ad ind.; M. Luisi, «Mille Amphioni novelli et mille Orphei». Le commedie di M. T. Maniscalco (in Siena, 1514-1520). Edizione critica, studio introduttivo e appendice musicale, Roma 2004; F. Luisi, Ancora su Ben venga Maggio: per un supponibile «teatro di poesia in musica» a Siena nel primo Cinquecento, in Analecta musicologica, XXVI (2005), pp. 79-104; M. Luisi, La difesa dell’identità nell’uso del plurilinguismo teatrale nella Siena del primo Cinquecento, in Identità e diversità nella lingua e nella letteratura italiana. Atti del Congresso..., Lovanio... 2003, a cura di S. Vanvolsem et al., I, Firenze 2007, pp. 107-118; F. Luisi, Il Caritesio ovvero il convito delle Grazie. Studi sulla musica per il teatro e sull’iconografia musicale nel XVI secolo, a cura di I. Cavallini - P. Dalla Vecchia - P. Russo, Padova 2008, pp. 113-136; M. Pieri, Narrare, cantare, recitare. Appunti sullo spettatore cinquecentesco, in Por tal variedad tiene belleza. Omaggio a Maria Grazia Profeti, a cura di A. Gallo - K. Vaiopoulos, Firenze 2012, pp. 115-126.