triegua (trieva)
Il termine compare nel significato di " sosta ", " riposo ", " temporanea interruzione ". Nel D. canonico, sempre in rima: la forma plurale in Rime C 30, If VII 88 e Pg XVII 75, forse per esigenza di rima; si noti che la rima in -egue ricorre solo in quasti luoghi. In Rime C 30 li altri [uccelli] han posto a le lor voci triegue / per non sonarle infimo al tempo verde, / se ciò non fosse per cagion di guai, designa la sospensione di un canto incessante.
Ancora riferito alla voce, ma in relazione al destinatario e non più all'emittente, in Pg XIV 136 come da lei [la voce] l'udir nostro ebbe triegua. La chiosa del Torraca (" non era stata udita senza pena: perciò l'udito ebbe triegua ") non è forse necessaria.
Più saldamente vincolato alla sfera semantica della guerra, in If VII 88 Le sue [della Fortuna] permutazion non hanno triegue. Nota il Boccaccio: " intermissione, siccome coloro che guerreggiano ne' tempi delle triegue "; più modernamente lo Scartazzini: " non possono patteggiare, non entrano in accordi con gli uomini come si fa tra due campi nemici per sospendere le ostilità ". E in Pg XVII 75 mi sentiva / la possa de le gambe posta in triegue, dove t. equivale a " quiete " (Benvenuto), il Landino indica il senso di " traslazione della guerra, nella qual gli uomini da ogni parte si posano quando si fa triegua ".
Infine nel Fiore, dove il termine ricorre in una forma più vicina all'etimo risalente al francese antico, si riferisce sempre alla temporanea sospensione delle battaglie erotiche: lo Dio d'amor sì avea rotte le trieve (CCXVIII 9); Amor allor procaccia / che tra lor una trieva sì si faccia (CCXIV 7); sanza che 'n noi trovasse trieva o patti (CXXXIX 14).