Tribologia
In questo articolo saranno discussi alcuni tra gli ultimi sviluppi nel campo della tribologia, la disciplina che studia l'attrito, l'usura e la lubrificazione. I materiali tribologici, progettati per essere usati in contatti mobili ‒ scorrevoli, di rotolamento, abrasivi, ecc. ‒ hanno catalizzato per secoli l'interesse di scienziati e ingegneri. La nascita della tribologia può essere fatta risalire alla costruzione delle piramidi egizie, se non addirittura, migliaia di anni prima, all'uso di trapani ad arco, cosicché i complessi ingranaggi con ruote dentate e cuscinetti a sfera progettati da Leonardo da Vinci e il cronometro del XVIII sec., dotato di una ruota dentata autolubrificante di legno, potrebbero essere già definiti come moderni. Leonardo da Vinci annotò le leggi che governano il moto di blocchi che scorrono su superfici piane, illustrando in un abbozzo l'indipendenza dell'attrito dall'area apparente di contatto tra corpi in frizione. Fu però il fisico francese Guillamne Amontons a pubblicare per la prima volta, nel 1699, la legge dell'attrito per superfici solide che scorrono l'una sull'altra:
F = μN
dove N è il carico normale e μ è il coefficiente di attrito. Anche Amontons concluse che la forza di attrito è indipendente dall'area apparente di contatto: due oggetti del medesimo materiale, ma con superfici di contatto diverse, se hanno pesi uguali subiscono la stessa forza di attrito. Insieme a quelle di Amontons, va ricordata la legge stabilita nel 1785 dal fisico francese Charles Augustin Coulomb: per velocità di scorrimento ordinarie, la forza di attrito è indipendente dalla velocità. Benché l'importanza dell'attrito non sia mai stata sottovalutata, i molti tentativi effettuati per spiegare le leggi di Amontons e di Coulomb in base a principî primi non hanno avuto successo. Si sa molto poco sull'origine dell'attrito su scala microscopica, perché esso si realizza attraverso una miriade di contatti nascosti che, oltre a essere estremamente difficili da caratterizzare, cambiano continuamente durante lo scorrimento, via via che le microscopiche irregolarità delle superfici si toccano e premono le une sulle altre.
Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, vi è stata una rinascita d'interesse in aree fondamentali della tribologia, grazie a nuove tecniche sperimentali e teoriche, che hanno consentito di studiare la forza d'attrito in geometrie ben definite persino su scala nanometrica. Attualmente, dispositivi sperimentali come la microbilancia a cristallo di quarzo, il dispositivo per la misurazione di forze di superficie e il microscopio a forza laterale permettono di misurare l'attrito in geometrie che coinvolgono una singola interfaccia di contatto e ne semplificano notevolmente lo studio rispetto al caso di contatti macroscopici. La disponibilità di elaboratori più veloci, inoltre, ha reso le simulazioni su larga scala di sistemi di materia condensata sempre più paragonabili a esperimenti veri e propri.
Un settore di ricerca importante è volto allo sviluppo di soluzioni innovative atte a contrastare in modo efficace la presenza di attrito e di usura negli apparati meccanici, che, oltre a provocare malfunzionamenti, danneggiamenti e perdite di rendimento, si traduce in un significativo aumento dei costi di esercizio, generalmente superiore a quello dovuto alle rotture dei componenti. Una maggiore attenzione per i fenomeni di attrito e di usura consentirebbe ai paesi sviluppati un risparmio economico fino all'1,6% del loro prodotto interno lordo, in considerazione del fatto che spesso, non appena alcune componenti di un sistema meccanico si consumano, l'intero sistema viene distrutto o scartato. Gli effetti dell'attrito e dell'usura sono di grande interesse anche in relazione alla qualità della vita e alla sicurezza.
Molti tra i primi studiosi del fenomeno, tra cui Guillaume Amontons e Charles Augustin Coulomb, pensavano che l'attrito potesse trarre origine dal fatto che le asperità ‒ sia quelle rigide, sia quelle in grado di deformarsi elasticamente ‒ andavano a incastrarsi meccanicamente tra di loro. Questa idea si è dimostrata tuttavia errata: in primo luogo, un simile meccanismo non genera alcuna dissipazione di energia, e pertanto alcun attrito; in secondo luogo, esso contraddice le comuni osservazioni macroscopiche, per esempio il fatto che quando due superfici metalliche molto levigate sono portate a contatto è di gran lunga più probabile che esse si saldino insieme piuttosto che si produca attrito, per quanto piccolo. Anche i progressi compiuti nel campo della scienza delle superfici hanno escluso che l'attrito possa originarsi da un incastro meccanico: pellicole di spessore molecolare adsorbite su superfici possono modificare l'attrito di vari ordini di grandezza, sebbene la ruvidità, che dovrebbe dare origine all'effetto di incastro, rimanga virtualmente inalterata. Alla luce di tale schiacciante evidenza, la comunità scientifica ha abbandonato l'ipotesi dell'incastro come possibile spiegazione dell'attrito.
Un modello alternativo, basato sull'aderenza molecolare a livello delle asperità che entrano in contatto, è stato proposto intorno alla metà degli anni Cinquanta da Frank P. Bowden e David Tabor dell'Università di Cambridge in Inghilterra. Secondo questo modello (fig. 3), quando due superfici si toccano, l'effettiva area microscopica di contatto sarebbe molto inferiore all'area macroscopica apparente, forse di un fattore 104, e le asperità in contatto effettivo produrrebbero un elevato livello di tensione, avente la stessa intensità s su ognuna di esse; quando le superfici sono fatte scorrere l'una sull'altra, si formerebbero in continuazione nuove regioni di contatto, mentre altre si separerebbero. Se si assume che l'area A di contatto reale sia in media costante, il modulo della forza di attrito è dato da F=As. Se la forza normale di modulo N è applicata collettivamente alle regioni di contatto, la pressione media in ognuna di esse è P=N/A e il contributo dell'aderenza al coefficiente di attrito è:
[2] formula.
Se la pressione di contatto è indipendente dal carico normale, il che implica necessariamente A∝N, allora la [2] si riduce alla legge di Amontons espressa nella [1], con μ=s/P. È importante notare che, anche se i carichi esterni applicati sono nulli, la forza d'attrito non è mai esattamente pari a zero, in quanto le forze di aderenza sulle asperità inducono nei materiali della superficie opposta un qualche minimo contatto.
In assenza di metodi di misurazione precisi, gli scienziati hanno dedotto l'estensione della reale area di contatto principalmente attraverso modelli di meccanica di contatto. I più conosciuti, relativi al contatto tra due sfere, sono stati proposti da Kenneth Johnson, Kevin Kendall e Alan Roberts (modello JKR), da Boris V. Derjaguin, Vladimir M. Muller e Yurij P. Toporov (modello DMT) e da Heinrich Hertz. Grazie a questi modelli, è risultato evidente che, benché solamente un esiguo numero di materiali riveli l'andamento A∝N per due sfere in contatto, molti mostrano questa dipendenza quando si considerano contatti con molte asperità.
La proprietà A∝N, sottostante al modello di aderenza molecolare di Bowden e Tabor, è pertanto ben fondata, e tuttavia non predice tutti i possibili valori della costante di proporzionalità tra il carico normale e l'effettiva area di contatto, né fornisce alcuna spiegazione per la presenza dell'attrito in sistemi che non subiscono usura. Già nel 1929, in effetti, George A. Tomlinson suggerì una teoria dell'attrito senza usura, fondata su principî primi: prendendo in considerazione meccanismi fononici ‒ ovverosia di vibrazione reticolare ‒ essa stabiliva che l'attrito originato dai fononi si manifesta quando gli atomi prossimi a una superficie sono posti in moto dall'azione di scorrimento di quelli della superficie opposta, e le vibrazioni reticolari così prodotte sono trasformate in calore. I molteplici tentativi effettuati dal gruppo di Tabor, tuttavia, non sono riusciti a rilevare la presenza di meccanismi fononici nell'attrito. Soltanto nei primi anni Novanta è stata possibile una prova definitiva della loro esistenza, attraverso una combinazione di misurazioni effettuate con la microbilancia a cristallo di quarzo dal gruppo di Jacqueline Krim e grazie alle simulazioni di dinamica molecolare del gruppo di Robbins.
La scoperta dei contributi fononici all'attrito dimostra come, alla fine degli anni Ottanta, si sia aperto un periodo di rinnovato interesse in aree fondamentali della tribologia, inaugurato grazie ai miglioramenti nelle tecniche sperimentali e teoriche, che hanno permesso di studiare la forza di attrito in geometrie di contatto ben definite. Gli studiosi di fisica delle superfici impegnati nell'ambito della tribologia hanno abbandonato l'approccio che mirava a caratterizzare le innumerevoli interfacce nascoste, preferendo invece preparare ben definite interfacce su scale nanometriche, prima di compiere misurazioni spesso riguardanti contatti a una sola asperità piuttosto che a molte. Le tecniche usate hanno sfruttato i progressi fatti nella scienza delle superfici nei decenni precedenti; tre risultati, risalenti al periodo 1950-1970, si sono rivelati particolarmente utili per la preparazione di superfici ben caratterizzate: (a) lo sviluppo e la costruzione di contenitori metallici a perfetta tenuta per il vuoto, facili da montare e smontare, nei quali potevano essere stabilite e mantenute senza eccessiva difficoltà pressioni residue tra 10−9 e 10−10 torr; (b) l'uso di questi contenitori per effettuare l'analisi chimica dei costituenti di una superficie attraverso la spettroscopia elettronica Auger; (c) lo sviluppo della diffrazione di elettroni a bassa energia (LEED, Low energy electrons diffraction) per studi strutturali di superfici a cristallo singolo. A partire dagli anni Settanta, sono stati effettuati numerosi studi LEED-Auger sulla struttura di una grande varietà di superfici a cristallo singolo e sulle fasi bidimensionali di atomi e molecole adsorbiti su esse.
Ulteriori progressi nella caratterizzazione strutturale delle superfici sono stati conseguiti grazie allo sviluppo, negli anni Ottanta, dei microscopi con sonda a scansione, rapidamente adattati come sonde per attrito su scala microscopica. A metà di quello stesso decennio, Gary McClelland e C. Matthew Mate, ispirati dal concetto di attrito da fonone, hanno misurato l'attrito su scala nanometrica adattando il microscopio a forza atomica per misurazioni di forze laterali, ottenendo così le prime valutazioni dell'attrito atomo per atomo. Tecniche sperimentali come queste, insieme alla microbilancia a cristallo di quarzo e al dispositivo per la misurazione di forze di superficie, hanno permesso di misurare l'attrito in geometrie molto più semplici di quelle del contatto tra oggetti macroscopici. Nel frattempo è stato possibile confrontare in modo sempre più diretto i risultati delle misurazioni con simulazioni numeriche su larga scala, grazie all'avvento di calcolatori elettronici sempre più veloci.
Il microscopio a forza laterale (LFM, Lateral force microscope) è una variante del microscopio a forza atomica (AFM, Atomic force microscope), composto da una punta sottilissima montata sulla parte terminale di un'asticella (cantilever) flessibile (fig. 4). Quando la punta esegue la scansione della superficie del campione, le forze che agiscono sulla punta fanno deflettere l'asticella. Varie entità ottiche ed elettriche (come capacità e interferenza) quantificano gli spostamenti orizzontali e verticali. Le forze laterali rilevate con questa tecnica sono estremamente piccole e l'estensione dell'area di contatto in alcuni casi è inferiore a venti atomi. È interessante notare che lo sforzo per deformazione di taglio, ossia la forza per unità di area necessaria per assicurare lo slittamento nella geometria degli esperimenti LFM, è generalmente enorme, dell'ordine di un miliardo di newton per metro quadro, e consentirebbe di tagliare un acciaio di alta qualità.
Riuscire a stabilire un legame tra i fenomeni microscopici e quelli macroscopici è una delle maggiori sfide con cui si confronta attualmente la tribologia. La situazione è resa più complicata dal fatto che le condizioni fisiche riscontrate negli esperimenti su scala nanometrica e su scala macroscopica non si conciliano. Per esempio, il carico normale usato in studi LFM differisce tipicamente di sette ordini di grandezza da quello impiegato in studi macroscopici e la velocità di scorrimento raramente eccede il μm/s. Tuttavia, i tentativi di ricondurre i fenomeni su nanoscala alle osservazioni macroscopiche stanno avendo sempre maggior successo, mentre la tecnologia commerciale sta rapidamente avvicinandosi alla scala nanometrica.
Un esempio al riguardo è dato dalla tecnologia dei dischi rigidi dei calcolatori: attualmente, molti dei relativi apparati sono costituiti da un singolo strato di molecole lubrificanti adsorbite su un rivestimento protettivo rigido di carbone amorfo, dello spessore inferiore al µm, in modo da controllare l'attrito statico e l'usura tra la testina per scrittura e lettura e la superficie del disco. Scott S. Perry e collaboratori, presso l'Università di Houston, usando un microscopio a forza atomica e ordinari metodi di analisi di superfici, hanno studiato le proprietà di attrito di un materiale per rivestimenti rigidi ‒ il carburo di vanadio (VC) ‒ in funzione dell'ossidazione superficiale. Nel loro studio, per il tramite della LEED e della spettroscopia elettronica di Auger, è stato caratterizzato un campione formato da un singolo cristallo di VC, ottenuto in condizioni di vuoto spinto (UHV, Ultra high vacuum) con tecniche di spruzzamento catodico (sputtering) e ricottura (annealing). Usando un microscopio AFM sotto vuoto spinto, sono state misurate le forze di attrito tra una punta di nitruro di silicio e la superficie pura di VC, in funzione del carico applicato. La superficie è stata quindi ricoperta per saturazione con ossigeno molecolare, che reagisce in maniera predominante con gli atomi di vanadio della superficie di VC, e nuovamente misurata in situ con il microscopio AFM. Il coefficiente di attrito è risultato inferiore del 38% rispetto a quello della superficie non ossidata. Il meccanismo preciso in base al quale avviene una simile riduzione deve essere ancora individuato esattamente, ed è ricercato nel contesto dei meccanismi di dissipazione fononici ed elettronici. L'attrito elettronico è collegato alla resistenza percepita dagli elettroni mobili quando sono trascinati dalle forze esercitate dalla superficie opposta.
Grazie al microscopio LFM e alle simulazioni numeriche è stato possibile studiare anche le proprietà di attrito di catene di molecole lubrificanti (qui è importante sottolineare che le proprietà di attrito di una pellicola adsorbita, che sono modeste, vanno distinte dalla sua complessiva capacità di lubrificare; in molti casi, infatti, la capacità dei lubrificanti di rimanere sulla superficie è più importante del ridotto attrito). Le forze medie di attrito delle molecole di alchilsilano, che contengono da due a diciotto atomi di carbonio, adsorbite su substrati di silicio, diminuiscono al crescere della catena fino a otto atomi di carbonio, e quindi rimangono approssimativamente costanti. Il gruppo di Miquel Salmeron ha proposto che la dipendenza dalla lunghezza di catena derivi dall'interazione tra l'energia di impacchettamento della pellicola monostrato e le deformazioni locali nella pellicola, poiché per catene di lunghezza inferiore agli otto atomi di carbonio le molecole sono relativamente disordinate. I meccanismi di dissipazione dell'energia coinvolti in questi sistemi vanno al di là di semplici meccanismi elettronici e fononici, e devono essere prese in considerazione le vibrazioni entro le singole molecole nonché la creazione di nodi e difetti di deformazione (gauche) delle catene estese. L'inclusione di questi effetti nelle simulazioni numeriche condotte attualmente da Judith Harrison, che sta studiando le catene di tutte le lunghezze analizzate sperimentalmente, sta portando a una rapida soluzione del problema.
Alti tassi di usura interfacciale sono spesso ascritti a fenomeni di tipo intermittente, nei quali si ha l'alternanza di fasi di aderenza e di scorrimento (perciò detti stick-slip), che sono stati quindi oggetto di molte analisi da parte degli studiosi di tribologia. La natura del fenomeno stick-slip, e di quello strettamente collegato dell'attrito statico, sembra che possa essere spiegata in base alle caratteristiche delle molecole confinate tra la miriade di contatti tra due superfici in scorrimento, che non soltanto sono estremamente difficili da determinare, ma evolvono in continuazione durante lo scorrimento via via che le irregolarità delle superfici si toccano e si spingono l'una con l'altra. Il continuo cambiamento della geometria interfacciale delle aree di contatto dà luogo, persino nei casi in cui questa è costante, a coefficienti di attrito e tassi di eventi stick-slip intrinsecamente variabili. La forza di attrito su una singola asperità, inoltre, non necessariamente cresce con l'aumento del carico, in quanto dipende dalla struttura dei solidi in contatto e delle molecole confinate tra essi.
È interessante il fatto che l'attrito statico e il fenomeno stick-slip siano sempre presenti anche nella geometria LFM, che è di gran lunga più semplice del contatto macroscopico. Nella grande maggioranza dei casi si osserva un evento stick-slip per ogni cella unitaria di substrato, anche quando la cella atomica contiene più di una specie. Spiegare tale fenomeno in termini di dissipazione di energia tra la punta, il substrato e il cantilever è un problema per il quale da molto tempo si cerca una soluzione. Gli alti tassi di dissipazione di energia nella geometria LFM potrebbero essere dovuti alla creazione di difetti puntuali, o a trasferimenti di atomi da e verso la punta; in ogni caso, la spiegazione di questi meccanismi e delle origini ultime dell'attrito rimangono l'obiettivo di molti studiosi di LFM, che sono riusciti nel difficile compito di effettuare misurazioni ben controllate con il microscopio a forza atomica sotto vuoto spinto.
L'unica tecnica sperimentale che ha permesso un confronto diretto tra gli esperimenti e le teorie fondate su principî primi della dissipazione di energia è, finora, la microbilancia a cristallo di quarzo (QCM, Quartz crystal microbalance). Si tratta di una tecnica che opera su una scala temporale sufficientemente breve da rilevare i fononi, la cui vita media nei casi più favorevoli è non più lunga di poche decine di nanosecondi. La QCM consente interessanti studi comparativi di fenomeni microscopici e macroscopici. La geometria aperta permette di combinarla con tecniche di scansione per il tramite di sonda, così da effettuare misurazioni a pressioni di contatto realistiche.
La QCM è stata usata per decenni nelle micropesate e per stabilire un riferimento temporale; a metà degli anni Ottanta è stata adattata per misurare l'attrito di scorrimento di strati adsorbiti su superfici metalliche. Misurando simultaneamente lo spostamento in frequenza e l'allargamento della risonanza (evidenziato da una diminuzione dell'ampiezza di vibrazione della microbilancia), si può dedurre l'attrito dovuto allo scorrimento degli strati sul substrato di metallo. L'attrito può essere misurato soltanto se è sufficientemente piccolo da permettere uno scorrimento significativo, che è accompagnato da un allargamento misurabile della risonanza. Per questa ragione, le misurazioni QCM dell'attrito di scorrimento tendono a essere eseguite su sistemi che presentano un attrito molto piccolo, come i solidi di gas rari adsorbiti su metalli nobili. Per la grande maggioranza degli altri sistemi che mostrano attrito maggiore (strati chimicamente legati, ecc.), lo scorrimento di un monostrato adsorbito sulla superficie del dispositivo QCM è troppo piccolo per produrre un allargamento misurabile della risonanza. La viscoelasticità e lo scorrimento possono, tuttavia, essere rilevati nel caso di pellicole spesse chemioadsorbite e sono stati connessi alla capacità lubrificante di una pellicola a livello macroscopico. Nel caso di particelle dell'ordine del μm, legate a quelle del QCM, è stata registrata la presenza di scorrimento interfacciale e di rottura del legame: in queste circostanze, le più grandi masse inerziali potrebbero portare a vincere le intense forze di attrito più prontamente dei monostrati adsorbiti.
Krim e collaboratori hanno misurato con la QCM l'attrito nello scorrimento di monostrati di cripton su oro. Per il tramite di simulazione diretta di dinamica molecolare, Mark Robbins e collaboratori hanno integrato con successo questi dati in un modello, assumendo che l'attrito fosse dovuto a fononi eccitati negli strati adsorbiti, ottenendo una prova dell'esistenza di meccanismi fononici di attrito. Un aspetto sorprendente dell'eccellente accordo tra i dati di simulazione numerica e quelli sperimentali è che l'attrito derivato da meccanismi elettronici è stato totalmente trascurato. È possibile che le simulazioni abbiano leggermente sovrastimato l'attrito e mascherato i contributi elettronici, poiché il margine di incertezza dei livelli di corrugamento dei substrati Au(111) potrebbe aver nascosto, anche nelle migliori stime, la presenza di un livello moderato di attrito elettronico. In effetti, misure relative allo scorrimento di azoto (sia nel suo stato normale, sia in quello superconduttivo) su piombo, mostrano contributi elettronici non trascurabili per il primo strato di atomi adsorbito su substrati metallici conduttori. I contributi elettronici all'attrito sono stati ricavati anche dalle variazioni della resistività di sottili pellicole metalliche depositate su pellicole monostrato.
Un'altra proprietà rimarchevole dell'attrito di strati adsorbiti è che l'attrito statico è di solito completamente assente. Si è osservato inoltre che le interfacce solido-liquido e solido-solido sono sottoposte alla legge di attrito viscoso, per cui la forza di attrito è direttamente proporzionale alla velocità di scorrimento. Questa legge è stata osservata, recentemente, anche in esperimenti cosiddetti blow off, in cui le pellicole, muovendosi a una velocità di svariati ordini di grandezza inferiore a quella tipica delle misure QCM, non mostrano attrito statico. Tali osservazioni sono del tutto coerenti con le teorie dell'attrito su interfacce cristalline lisce su scala atomica, ma sono una novità assoluta a livello macroscopico e pongono pertanto l'ovvia questione di come meccanismi fondamentali di dissipazione, quali gli effetti fononici ed elettronici, si manifestino in sistemi caratterizzati da differenti lunghezze e scale temporali: giocano cioè un ruolo sostanziale per l'attrito in assenza di usura su scala macroscopica, oppure si tratta semplicemente di meccanismi primari di dissipazione di energia in pellicole di spessore molecolare adsorbite su superfici aperte, dovuti alla semplicità dei sistemi in esame? Queste domande non hanno ancora ricevuto risposta, ma un crescente numero di studi, soprattutto quelli focalizzati sul ruolo degli effetti di commensurabilità nell'attrito di scorrimento, sta chiarendo tale questione. La commensurabilità relativa (due superfici sono in contatto commensurabile quando i loro costituenti sono equamente spaziati e allineati rotazionalmente) delle due superfici in contatto durante lo scorrimento è interessante perché, in linea teorica, dovrebbe avere grande influenza sui contributi fononici all'attrito. Per esempio, la transizione da condizioni di scorrimento commensurate verso condizioni incommensurate potrebbe, in teoria, ridurre i livelli dell'attrito di scorrimento di più di dieci ordini di grandezza (fig. 5).
Il dispositivo per la misurazione di forze di superficie (SFA, Surface forces apparatus) è uno strumento particolarmente indicato per studiare la dipendenza dell'attrito dalla commensurabilità (fig. 6). Inventato quasi quarant'anni fa, è stato adattato a misurazioni di attrito da Jacob N. Israelachvili nel 1973. L'apparato sfrutta il fatto che la superficie di sfaldatura della mica è liscia su scala molecolare e le dimensioni delle aree prive di 'scalini' atomici possono arrivare fino a 1 cm2, per cui quando due superfici di mica sono portate a contatto si forma un'interfaccia libera da asperità. L'apparato tradizionale consiste in due superfici di sfaldatura di mica incollate su due cilindri, anche questi di mica, disposti in croce. L'area di contatto e la distanza tra le superfici sono determinate attraverso interferometria a fascio ottico, con una risoluzione dell'ordine di 0,2 nm, o migliore. Le superfici di mica sono montate in modo da poter essere mosse orizzontalmente o verticalmente e le forze di attrito normale e laterale sono misurate direttamente da una molla che traccia il grafico della forza. Sebbene il dispositivo SFA sia stato talora utilizzato per misurazioni dirette dell'attrito tra due superfici di mica, in genere è usato comprimendo strati di lubrificante tra le superfici di contatto.
Lo SFA è stato impiegato nello studio della dipendenza dell'attrito dall'area di contatto e dall'orientamento cristallino. Anche nella geometria SFA, come nel caso delle misurazioni mediante microscopio AFM, si rilevano l'attrito statico e fenomeni stick-slip. Benché in genere l'attrito dipenda dalla commensurabilità del reticolo, la variazione osservata è normalmente minore per un solo ordine di grandezza e non per i molti previsti dalle teorie sui meccanismi di dissipazione fononica. Forse la discrepanza riflette semplicemente il grado con cui i meccanismi di dissipazione fononica contribuiscono all'attrito totale osservato.
Rimane ovviamente aperta la questione del perché si osservi ovunque l'attrito statico, anche se dal punto di vista teorico non dovrebbe essere presente tra due superfici levigate in contatto scorrevole. Può darsi che la spiegazione vada cercata negli effetti di terzo corpo, per cui inizialmente lo scorrimento sarebbe bloccato dalle molecole aggiuntive adsorbite. Robbins e collaboratori hanno recentemente suggerito che l'attrito statico potrebbe essere connesso alle forze di aderenza delle pellicole sottili adsorbite (acqua, idrocarburi, ecc.) presenti su molte superfici: le loro simulazioni al calcolatore indicano che queste pellicole, presenti ovunque, si comportano come biglie che rotolano verso le nicchie aperte di un'interfaccia incommensurata, composta, per esempio, da palline da ping-pong in contatto con palle da tennis. Le bilie trovano sempre un minimo locale di energia e, pertanto, è necessaria una certa quantità di energia per iniziare lo scivolamento.
Ne segue che uno dei più importanti obiettivi che si pongono gli studiosi di tribologia è la determinazione sperimentale della struttura delle pellicole intrappolate tra superfici solide, e non soltanto quella dei punti di contatto tra superfici. Per caratterizzare in dettaglio la struttura atomica di pellicole confinate in un'interfaccia, attualmente si usano metodi che combinano i raggi X di sincrotrone e il dispositivo SFA, oppure un dispositivo congiunto STM-QCM.
Al fascino esercitato dagli studi sulle origini della lubrificazione su scala atomica contribuisce la loro difficoltà, dovuta alla complessità chimica di molti lubrificanti usati nella pratica, all'inaccessibilità alle sonde sperimentali delle regioni tipiche d'interfaccia e alla sensibilità degli strati di bordo agli effetti di confinamento. È stata spesso avanzata l'ipotesi secondo cui i materiali che presentano proprietà di scivolamento all'interfaccia potrebbero avere interesse come lubrificanti macroscopici, ma essa è ancora ben lungi dall'essere convalidata. Lo scivolamento interfacciale, infatti, in alcuni casi è stato associato a un aumento dell'attrito su scala atomica, mentre in altri è sembrato essere dannoso alla lubrificazione, in quanto il lubrificante scivola troppo facilmente fuori dalla zona di contatto. È stato pubblicato un solo studio sulle proprietà nanodinamiche di sistemi con proprietà macrotribologiche accertate.
Se si riuscisse a determinare la natura precisa delle asperità di contatto tra oggetti macroscopici in contatto di scivolamento, compreso il ruolo delle specie non controllate adsorbite, i risultati degli studi nanotribologici potrebbero innestarsi direttamente nel filone principale delle indagini sulla tribologia. Nel frattempo, i risultati di indagini fondamentali relative alle superfici possono essere più facilmente applicati a interfacce solido-vapore o solido-liquido ‒ per le quali i complessi fattori associati con i contatti delle asperità sono meno problematici ‒ e a questioni connesse con i MEMS o i NEMS (rispettivamente: Micro- e Nano-electro mechanical systems), in cui gli apparati sono composti da parti le cui ridottissime dimensioni stanno rapidamente raggiungendo le scale di lunghezza che di norma sono sondate dalla nanotribologia.
Nonostante la diffusa convinzione che il futuro sarà rivoluzionato dagli apparati MEMS e NEMS, ciò non avverrà se non si riuscirà a controllare efficacemente l'attrito e l'usura associati a tali apparati. Dal momento che gli apparati MEMS devono reagire a segnali meccanici, molti impiegano topologie di costruzione che richiedono un moto fisico. Lamine e aste sospese, situate a distanza di pochi µm dai loro substrati di supporto, sono ormai di uso comune e queste strutture hanno tipicamente aree relativamente estese e rigidità molto piccola. La combinazione di queste caratteristiche rende i mezzi MEMS altamente suscettibili alle forze di superficie, che possono far deflettere i componenti sospesi verso il substrato oppure farli collassare o aderire permanentemente a esso. Con l'attuale tendenza a costruire componenti di apparati ben all'interno della regione nanometrica, ci si aspetta che le complicazioni connesse alla superficie attualmente incontrate con i MEMS possano divenire ancora maggiori: la comprensione delle proprietà dei materiali degli apparati a livello atomico andrà di pari passo con la loro capacità di funzionare in maniera affidabile ed è chiaro che i lubrificanti liquidi o 'grassi', sviluppati per macchinari macroscopici, non saranno di alcuna utilità per questi apparati.
Sia nel caso di applicazioni macroscopiche nell'industria automobilistica, sia in quello di applicazioni su piccola scala come i MEMS e, ultimamente, i NEMS, non v'è dubbio che il ruolo degli studiosi di scienza delle superfici sarà cruciale. Rimane irrisolto il problema dell'attrito statico, sempre presente anche quando teoricamente ci si aspetta che non debba insorgere, come nel caso di due superfici levigate che scivolano l'una sull'altra. Come abbiamo già detto, tale fenomeno potrebbe trovare una spiegazione in effetti di terzo corpo, per cui le molecole aggiuntive adsorbite determinerebbero un blocco iniziale dell'interfaccia. Altri problemi irrisolti di particolare interesse includono: la comprensione delle reazioni chimiche e tribochimiche che avvengono in un contatto di scivolamento, dovute a effetti di riscaldamento per attrito, e dei meccanismi di dissipazione di energia associati con tali contatti; la caratterizzazione delle proprietà microstrutturali e meccaniche delle regioni di contatto tra materiali in scorrimento gli uni sugli altri; l'accorpamento e il coordinamento dell'informazione acquisita su scala atomica e su scala macroscopica ‒ attualmente frammentata e spesso priva di connessione tra i singoli risultati sperimentali ‒ e il loro coordinamento; lo sviluppo di potenziali di interazione da usare nelle simulazioni al calcolatore riguardanti materiali di interesse per le applicazioni tribologiche; lo sviluppo di prove di laboratorio ben controllate e rilevanti per i macchinari in uso. I recenti progressi in queste aree e in altre collegate permettono di guardare con ottimismo ai futuri decenni, nella convinzione che sarà possibile raggiungere importanti traguardi negli aspetti fondamentali della tribologia.
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