Vedi TRENTO dell'anno: 1966 - 1997
TRENTO (v. vol. VII, p. 972)
Strabone (IV, 6,8 206) e Plinio (Nat. hist., III, 130) la dissero città dei Reti, Pompeo Trogo (in lust., XX, 5-9) e Tolemeo (Geog., III, 1, 31) ne assegnarono la fondazione ai Galli.
Le evidenze archeologiche dimostrano invece che T. - intesa come fenomeno urbano rispondente a precisi criteri di organizzazione architettonico-spaziale - è romana, sorta in un'area di fondovalle libera da precedenti intense concentrazioni antropiche che fino ad allora si erano attestate, sotto forma di piccoli aggregati, sulle adiacenti zone collinari o pedemontane. Da sottoporre a verifica è il suo inserimento in un ipotizzato organico intervento di centuriazione del territorio; non suffragata da prove è pure la tradizionale affermazione, basata su un discusso passo di Plutarco (Mar., 23), che vuole il sito dove sorgerà T., teatro della sconfitta dell'esercito romano condotto da Q. Lutezio Catulo per opera dei Cimbri nel 101 a.C.
A partire dal III-II sec. a.C. i Tridentini vennero a integrarsi progressivamente nella compagine statale romana in modo pacifico. Mediatori furono i Veneti e, soprattutto, i Galli Cenomani della Lombardia orientale.
L'inevitabile inserimento delle vicende della città nel quadro degli avvenimenti storici della Transpadana nel corso del I sec. a.C. e i recenti dati archeologici inducono a collocarne la nascita nella seconda metà di esso, in età cesariana o triumvirale.
La città, per analogia di situazione topografica, di impianto urbano, di alcune strutture architettoniche, sembra quasi una «filiazione» della vicina e più grande Verona. Venne fondata sulla sinistra dell'Adige un'ampia ansa del quale costituì, dalla nascita fino alla rettifica del 1857, il naturale limite e baluardo difensivo settentrionale. Il tessuto cittadino attuale non conserva monumenti archeologici fuori terra o tracce planimetriche che rivelino immediatamente la sua antica matrice, ma è ormai un dato acquisito che la città fu dotata dai Romani di un impianto urbanistico regolare. Questo ne prevedeva una chiara definizione areale mediante un perimetro esterno di tre mura (lunghe tra i 300 e i 360 m) che, a ridosso del fiume, venivano a delimitare un'area pressoché quadrata, dell'ampiezza di c.a 10 ha e un reticolato stradale interno ortogonale.
Come molti altri centri transpadani lo spazio urbano non presenta lo schema simmetricamente quadripartito; il decumano massimo in particolare è situato in area totalmente eccentrica, a ridosso dei quartieri adiacenti all'Adige. Ciò probabilmente perché asservito alle loro funzioni commerciali, primarie per l'economia cittadina, legate alla navigazione fluviale. I tratti di basolato e le crepidines, individuati in numerosi punti del sottosuolo, disegnano una maglia stradale regolare, con vie di notevole larghezza (dai 4,50 ai 9 m), la quale definisce isolati uniformi pressoché quadrati di m 60 X 60. Erano fatte salve forse una fascia di completamento a ridosso della cinta orientale, di più ridotte proporzioni e un'area irregolare in aderenza al fiume che doveva essere caratterizzata nel suo tratto più a monte dalla presenza del porto commerciale di cui non rimane alcuna testimonianza ma che ebbe continuità di vita fino agli inizî del secolo scorso. In corrispondenza della «Porta Veronensis», l'unica porta urbica riconosciuta, inserita nella cortina muraria meridionale, si dipartiva il cardine massimo, sicuramente documentato, che però all'estremità opposta non doveva dar luogo a un'uscita sul fiume, con relativo ponte, sconsigliata per motivi di difesa e di carattere idro-topografico. Il traffico, verosimilmente, era fatto defluire sul decumano massimo e di qui, attraverso una supposta, ma non individuata, porta nel muro di cinta orientale, lungo le attuali vie del Suffragio, di San Martino, Muralta (percorso di uscita e di accesso settentrionale della città utilizzato fino al secolo scorso), ricollegato alla Via Claudia Augusta, che percorreva la valle. Premesso che della prima fase della città nessuna struttura fino a oggi è a noi pervenuta se non qualche modesta traccia di manufatti pertinenti al primigenio impianto idrico (pozzi e canalette), poche sono le testimonianze dell'edilizia pubblica anche per le epoche posteriori.
La stessa ubicazione del foro rimane incerta: o all'incrocio del cardo e del decumanus, in corrispondenza dei palazzi Thun e Maffei o in Piazza San Maria Maggiore (in verità piuttosto decentrata), aree da entrambe le quali provengono elementi architettonici monumentali; scoperte e indagini effettuate negli anni '90 indurrebbero a propendere per la seconda ipotesi. Un impianto termale era collocato forse nell'angolo SE della città. Sicura invece è la collocazione extramurale orientale dell'anfiteatro, già individuato nel XVIII sec. presso la chiesa di S. Pietro, databile al I-II sec. d.C., del quale conosciamo alcuni elementi pertinenti all'arena, delle dimensioni di m 66 X 36. L'edilizia privata oltreché da isolati rinvenimenti è testimoniata, a seguito di scavi effettuati tra gli anni '80 e '90 e solo parzialmente pubblicati, in pieno centro storico sotto il Palazzo Tabarelli e il Teatro Sociale. Ampî sono i resti di edifici signorili, illuminati da cortili lastricati e articolati variamente con locali padronali, taluni decorati da pavimenti musivi policromi, in parte conservati e di servizio - cucine, tabernae, latrine - dotati di impianti di riscaldamento ad aria e di infrastrutture pertinenti all'impianto idraulico collegato alla rete idrica pubblica.
Le aree cimiteriali si addensano sostanzialmente in due zone: nell'agro sul lato orientale delle mura, in prossimità dell'area ove sorgerà l'anfiteatro; oltre il muro meridionale, ove, all'inizio del V sec., troverà posto anche la basilica paleocristiana dedicata al vescovo S. Vigilio, patrono di Trento.
Forse il periodo di maggior splendore della T. romana - la cui economia era legata ai commerci lungo la Via Claudia Augusta e il fiume, allo sfruttamento delle risorse silvo-agricole e al suo ruolo di centro amministrativo - è da collocarsi tra la seconda metà del I e tutto il II sec. d.C., come testimonia anche l'espansione edilizia al di fuori delle mura in quest'epoca.
Il ruolo svolto in età romana dal vicino Doss Trento, con la sottostante area di Piedicastello, in relazione alla città - da cui allora, come oggi, era separato dal corso dell'Adige – è ancora da definire. Sede di presenze umane a partire dal Mesolitico, ha rivelato abbondante messe di reperti (bronzetti, epigrafi, monete, elementi architettonici sparsi) pertinenti all'epoca.
Suggestiva potrebbe essere l'ipotesi che il piano urbanistico avesse affidato a esso, necessariamente collegato alla città con un ponte di cui a tutt'oggi non s'è trovata traccia, la funzione di quinta naturale monumentalizzata. Ciò in obbedienza a modelli architettonici e scenografici ellenistici presenti in Italia fin dal II sec. a.C. e che nel I sec. a.C. ritroviamo in area transpadana, diffusi soprattutto nella Regio X, con esempî assai significativi proprio nelle finitime Verona, Brescia e, pur se in scala minore, Feltre. Seguirà nel corso del Basso Impero una sua trasformazione in castrum fortificato, utilizzato anche in età altomedievale; si tratterebbe secondo un'opinione assai diffusa, ma non condivisa da tutti gli studiosi, del Verrunca (castrum Ferrunge) citato da Cassiodoro (Var., III, 48) e da Paolo Diacono (Hist. Lang., III, 30).
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