VALLA, Trebisonda
VALLA, Trebisonda (Ondina). – Nacque a Bologna il 20 maggio 1916 da Gaetano e da Andreana Pezzoli, ultimogenita e unica femmina di cinque fratelli.
Il nome le fu imposto per decisione del padre, in omaggio alla città turca di Trabzon (in italiano, Trebisonda), di cui ammirava le straordinarie bellezze. Solo da adolescente iniziò a essere conosciuta con il diminutivo di Ondina, stando ad alcune cronache del tempo scelto per lei da un’allenatrice. A gareggiare cominciò ben prima, nel 1927, prendendo parte alle competizioni di atletica leggera riservate alle alunne delle scuole elementari. La prima specialità nella quale si cimentò fu il salto in alto, ma si rivelò presto un’atleta poliedrica. Nel 1929 si iscrisse alla società Bologna sportiva dove si confrontò per la prima volta con Claudia Testoni, di cui restò inseparabile amica-rivale fino al 1940. Le sue prime affermazioni giunsero nel 1930, quando si aggiudicò il titolo di campionessa italiana nel salto in alto e nella corsa degli 80 metri a ostacoli, vittorie che le consentirono di essere convocata nella squadra italiana per i campionati mondiali femminili di Praga.
Negli anni successivi si classificò al primo posto in diverse competizioni. Nel 1933 ottenne la prima affermazione internazionale: a luglio, in una gara tra le nazionali di Italia e Francia disputata allo Stadio Mussolini di Torino, si impose nelle corse degli 80 metri piani e a ostacoli. Nel medesimo scenario torinese, due mesi dopo, si disputarono i Giochi internazionali universitari (predecessori delle attuali Universiadi) e Valla vinse quattro competizioni: salto in alto, 100 metri piani, 80 metri a ostacoli e staffetta 4×100, imponendosi all’attenzione del pubblico come una delle migliori sportive italiane. I suoi successi – e quelli di altre atlete (tra le quali Testoni e Lidia Bongiovanni) – alimentarono nel Paese un nutrito dibattito sullo sport femminile, rispetto al quale nel Ventennio fascista esistevano opinioni contraddittorie: secondo l’etica del regime il ruolo delle donne era da confinare in quello biologico di mogli e madri, e in una dimensione domestica, il che ovviamernte mal si conciliava con la partecipazione ad attività sportive, in particolare agonistiche. Il governo di Mussolini poneva tuttavia grandi aspettative sullo sport: l’educazione fisica e lo sport amatoriale servivano ai fini dell’inquadramento delle masse nelle organizzazioni e nell’ideologia del fascimo, e lo sport-spettacolo era da sfruttare per ragioni propagandistiche, presentando i successi degli atleti italiani come vittorie del regime. Anche quelle femminili, in questo senso, potevano rivelarsi utili.
Mentre negli anni Venti i gerarchi mostrarono una discreta apertura alla partecipazione delle donne, nella prima metà degli anni Trenta prevalse l’indirizzo opposto, tanto che fu loro impedito di partecipare alle Olimpiadi del 1932. Molte perplessità restarono non superate, e nessuno mise mai in discussione che lo scopo ultimo nella vita di una donna fosse la maternità, ma è indubbio che le prestazioni di Valla spinsero alcuni settori dell’opinione pubblica italiana e del giornalismo sportivo a una maggior simpatia per lo sport femminile. Dal canto suo, Ondina soddisfaceva le aspettative del regime: sotto il profilo politico non assunse mai atteggiamenti contrari alla morale tradizionale, esibì il saluto romano e nel 1935 partecipò alla «Giornata della fede» (consegna degli oggetti d’oro per finanziare la guerra in Etiopia), donando le sue medaglie; sul piano agonistico, continuò a disputare buone prestazioni, pur subendo anche alcune sconfitte. Nel 1934 partecipò alla quarta (e ultima) edizione dei Giochi mondiali femminili, disputata a Londra, senza conseguire vittorie. Nel 1935 si impose invece in diverse competizioni italiane e stabilì alcuni primati nazionali. Nello stesso anno, insieme alla società Bologna sportiva, confluì nella blasonata Società di educazione fisica Virtus.
Quei successi le valsero la convocazione nella squadra italiana per l’XI Olimpiade, prevista a Berlino nell’agosto del 1936. Organizzata da Adolf Hitler per celebrare i fasti della Germania, fu quella che fece conoscere al mondo la potenza di Jesse Owens, atleta afroamericano. Il CONI consentì alle donne di prendervi parte, e Valla fu una delle poche convocate. La campionessa bolognese fu impegnata insieme a Testoni nella corsa degli 80 metri a ostacoli (parte del programma olimpico dal 1932 al 1968, poi sostituita dai 100 metri), ed entrambe si qualificarono per la finale, disputata il 6 agosto. Il pronostico vedeva favorite Testoni e l’atleta tedesca Anni Steuer, ma Valla si classificò prima in un finale mozzafiato, completando la gara in 11,7 secondi, con un vantaggio di pochi millesimi sulle avversarie. Non solo fu la prima medaglia d’oro alle Olimpiadi per una donna italiana, ma la sua restò l’unica affermazione dell’Italia nelle gare di atletica leggera. Per questo fu celebrata con particolare enfasi dalla stampa, che come di abitudine la presentò come un trionfo del regime fascista.
Al suo rientro in Italia venne accolta con tutti gli onori. Per due volte ebbe occasione di essere premiata da Mussolini: il 5 settembre 1936 a palazzo Venezia, quando il duce ricevette gli olimpionici di Berlino, e il 5 luglio 1937 in occasione di un saggio ginnico dell’Opera nazionale dopolavoro, tenuto a Roma. Stando a quanto poi raccontò, venne ricevuta in udienza anche da Pio XI.
Con la sua vittoria lo sport femminile ottenne un indubbio riconoscimento, e cominciò a comparire con maggiore frequenza nelle cronache. Mussolini e i suoi gerarchi, bisognosi di eroi, non poterono non rendersi conto di quanto anche quei successi atletici fossero un utile strumento di propaganda. Del resto, in seguito alla guerra di Etiopia, il regime era ormai entrato nella fase dell’«accelerazione totalitaria» accrescendo la mobilitazione delle masse italiane, comprese quelle femminili, riservando quindi una maggiore attenzione anche al loro impegno sportivo. Naturalmente non tutti i dubbi furono superati. La maggior parte dei gerarchi e dei giornalisti continuò a pensare che le atlete dovessero cimentarsi solo nelle gare meno faticose, che non logorassero il fisico e non mettessero in pericolo la funzione materna delle donne: la conquista di una medaglia d’oro non bastò certo per cambiare una mentalità tanto radicata, ma conquistandola Valla dette inconsapevolmente un contributo anche alla loro emancipazione.
Negli anni successivi continuò a gareggiare, ma iniziò ad accusare dolori alla schiena. Nel 1938 i problemi fisici la costrinsero a rinunciare sia ai campionati italiani sia a quelli europei (i primi femminili). Testoni si impose come l’atleta migliore. Solo il 21 luglio 1940 Valla prese parte nuovamente ai campionati italiani, laureandosi campionessa nel salto in alto: fu il quindicesimo e ultimo titolo italiano conquistato in carriera. Una settimana dopo, in un confronto tra Italia e Germania disputato a Parma, fu convocata per l’ultima volta in nazionale. La gara fu anche l’ultimo scontro diretto con Testoni.
La guerra ridusse le occasioni per gareggiare, soprattutto a livello internazionale. Ciò nonostante, Valla prese parte a diverse competizioni italiane fino al luglio del 1943.
L’anno successivo convolò a nozze con il medico Gabriele De Lucchi e nel 1945 nacque il loro unico figlio, Luigi.
Nel 1948 si trasferì con la famiglia a Pescara e quattro anni dopo tornò per l’ultima volta alle gare, disputando i campionati regionali abruzzesi di atletica leggera, nei quali si cimentò nel getto del peso e nel lancio del disco.
Nel 1955 si trasferì all’Aquila. Anche dopo l’abbandono delle attività agonistiche restò un punto di riferimento per gli appassionati di atletica leggera e per i cronisti sportivi. In diverse occasioni rilasciò interviste e partecipò a convegni, esprimendo il suo punto di vista sullo sport e rievocando gli anni nei quali gareggiava. Nel 1978 subì il furto della medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi (nel 1984 la Federazione italiana di atletica leggera, volendo offrirle una sorta di compenso, le donò una riproduzione).
Morì a L’Aquila il 16 ottobre 2006.
Fonti e Bibl.: La stampa, sia sportiva, sia politica, seguì con discreta attenzione le vicende di Ondina Valla, soprattutto negli anni compresi tra il 1933 e il 1940. L’atleta stessa scrisse alcuni articoli per il Corriere della sera e Lo Sport fascista. Anche l’Istituto Luce in alcune occasioni si interessò alle sue competizioni (cinegiornali nn. B 033901 del 1933, B 092206 del 22 luglio 1936, B 093801 del 19 agosto 1936; documentari Giuochi mondiali universitari. Torino anno XI, 1933, n. D064001, e XI Olimpiade. Olimpiade di Berlino, 1936, n. D066001). Tra le interviste, si vedano quelle rilasciate dall’atleta a La Stampa, 4 agosto 1934; Gente, 7 dicembre 1973; la Repubblica, 10 febbraio 1982. Tra gli studi cfr. G. Gori, A glittering icon of fascist femininity: Trebisonda ‘Ondina’ Valla, in The international journal of the history of sport, XVIII (2001), 1, pp. 173-195; Ead., Italian fascism and the female body. Sport, submissive women and strong mother, London-New York 2004; V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, Padova 2007; G. Pallicca, L’Ondina anomala. La complicata storia di T. V., in Lancillotto e Nausica, XVI (2009), 3, pp. 32-43; G. D’Angelo - E. Fonzo, «Arrivederci a Tokyo». Ondina Valla e lo sport femminile durante il fascismo, in La camera blu. Rivista di studi di genere, XVII (2017), pp. 332-360; E. Fonzo, Ondina Valla. Eine Spitzensportlerin in den Jahren des Faschismus, in Zibaldone. Zeitschrift für italienische Kultur der Gegenwart, LXVII (2019), pp. 19-30; G. Pallica, Ondina Valla (1916-2006), in Donna e Sport, a cura di M. Cannella - S. Giuntini - I. Granata, Milano 2019, pp. 242-254. Si veda infine il sito web http://www.ondinavalla.it, che riporta l’elenco dettagliato delle competizioni alle quali l’atleta prese parte.