TREBBIA (lat. Trebia; A. T., 24-25-26)
Fiume appenninico, affluente di destra del Po, nel quale si versa presso Piacenza, dopo un percorso di circa 115 km. Ha origine a 1406 m. s. m. dal monte Prelà e scorre, mantenendo all'incirca una direzione da SO. a NE., in una valle stretta e tortuosa fin presso Rivergaro, dove sbocca in piano aprendosi il corso tra vasti ghiaieti. Scarsi di acque e a regime torrentizio, come la Trebbia stessa, sono i suoi affluenti, dei quali il più notevole è il torrente Aveto. La valle della Trebbia è seguita dalla grande via di comunicazione che per il Colle della Scoffera unisce Genova a Piacenza.
La battaglia della Trebbia.
Fu una delle maggiori battaglie della seconda guerra punica. Sconfitto sulla fine del settembre 218 a. C. in un combattimento di cavalleria presso il Ticino (v. ticino: La battaglia del Ticino), il console P. Cornelio Scipione, che con due legioni difendeva la valle padana, ripiegò sulla sinistra del Ticino e poi sulla destra del Po. Sua base era la colonia fortificata di Piacenza. Egli tentò di portare prima la difesa della Cispadana sulla sinistra della Trebbia presso Stradella, ma poi, ritenendo la posizione troppo esposta, ripassò la Trebbia e si accampò sulla destra del fiume alquanto a sud di Piacenza, probabilmente sulle alture di Ancarano. Annibale, dopo la battaglia del Ticino, aveva risalito il Po per trovare un guado meno difficile e più sicuro da sorprese nemiche, e poi, passato anch'egli sulla destra del fiume, s'era accampato nella regione a sinistra della Trebbia, circa 5 miglia dall'accampamento del console, forse presso Sarturano. Frattanto il senato aveva dato ordine al console Tiberio Sempronio Longo, che era con due legioni in Sicilia, di raggiungere il collega. I due eserciti si congiunsero sulla destra della Trebbia. Le forze romane vengono computate a 38.000 fanti e 4000 cavalli. In fatto saranno stati nella battaglia che seguì, compresi gli ausiliari gallici, circa 40.000 uomini; le forze cartaginesi, compresi i numerosi ausiliari gallici, computate dalle fonti a 40.000 uomini di cui 10-11.o00 cavalieri, saranno state di fatto numericamente inferiori, ma non di molto, alle romane. Il console Sempronio, che aveva il comando (Scipione ferito rimase nell'accampamento), incoraggiato dal felice successo di un'avvisaglia contro la cavalleria cartaginese, stabilì di dare battaglia. Si era intorno al solstizio d'inverno, cioè alla fine del dicembre 218. Annibale il giorno seguente a quella avvisaglia, posto in agguato il fratello Magone con 2000 uomini nel letto di uno dei torrenti che solcavano la pianura tra il suo campo e la Trebbia, mandò nuovamente i cavalieri numidi oltre la Trebbia per molestare i Romani e incitarli alla battaglia. Sempronio inviò contro i Numidi cavalleria e fanteria leggiera e, quando essi ripiegarono, tragittò egli stesso con le legioni il fiume le cui acque gelide giungevano alle ascelle dei soldati. Annibale, inviate truppe leggiere a molestare l'avanzata del console, si schierò a un miglio dal suo campo, probabilmente a sud-ovest di Campremoldo di Sopra con la fanteria gallica al centro, alle ali la fanteria spagnola e libica protetta di fronte dagli elefanti, sui fianchi dalla cavalleria gallica e numidica. Il console schierò le legioni al centro, sulle ali ritirò la cavalleria, premise la fanteria leggiera che si azzuffò con la fanteria leggiera cartaginese. Questo primo scontro terminò con la peggio dei Romani. Ma ritirati i fanti leggieri negli intervalli tra i reparti della fanteria pesante seguì la battaglia risolutiva tra le due fanterie pesanti e le due cavallerie. La cavalleria romana, già stanca dal precedente combattimento, fu facilmente messa in fuga dalla cartaginese superiore di numero. Inoltre sulle ali le truppe scelte di Annibale, fresche, vinsero e fugarono i Romani stanchi dalla marcia e dal guado. Ma al centro i legionarî comandati dallo stesso console riuscirono a sfondare e travolgere le linee galliche. Sulle ali la disfatta romana fu completata dalle truppe di Magone uscite dal loro agguato e dai cavalieri che tornavano dopo aver inseguito oltre la Trebbia i cavalieri romani. Sempronio con le truppe vittoriose del centro, abbandonando alle loro sorti le ali che era impossibile salvare e ripiegando per altra via in direzione di nord-est, guadò il fiume verso Piacenza e si salvò nella città con 10.000 uomini. Il resto dei cavalieri e dei fanti superstiti alla rotta si rifugiò nel campo ov'era il console Scipione che nella notte successiva, abbandonato il campo, ripiegò con tutte le forze che gli rimanevano su Piacenza. Delle perdite romane non abbiamo notizie sicure, ma non si sbaglia valutandole tra morti, prigionieri e dispersi ad oltre 15.000 uomini, cioè a non molto meno della metà delle forze combattenti. Era rotta grave ma non totale, dovuta anche più che alla perizia di Annibale e al valore delle sue truppe, alle condizioni d'inferiorità in cui Sempronio portò i suoi alla battaglia. L'effetto fu che i Galli si ribellarono quasi interamente e che Annibale poté con suo pieno agio raccoglierli sotto le sue insegne, riposare e vettovagliare le sue truppe e preparare la campagna dell'anno sucessivo.
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