TRAVISAMENTO
. Nel diritto processuale il travisamento (dei fatti) è un vizio della sentenza o dell'atto amministrativo, in quanto l'una o l'altro siano fondati sopra una situazione di fatto non rispondente alla realtà (non rileva che l'alterazione sia voluta o dipenda da errore, scusabile o no).
Riguardo alla sentenza, poiché i giudizî di fatto emessi dal magistrato di merito sono sottratti all'esame della corte di cassazione, il travisamento dei fatti (e dei negozî giuridici) non può essere dedotto come motivo di ricorso (da ultimo, Cass. 22 luglio 1935, 7 agosto 1935, 31 gennaio 1936, in Massimario Giurispr. it., 1935, col. 708 e 882; 1936, col. 74), tranne che il travisamento sia l'effetto non già di un erroneo apprezzamento delle circostanze proprie del caso concreto, ma di un falso giudizio di carattere generale (le cosiddette "massime di esperienza") applicato a quel caso (Cass. 14 aprile 1936, ivi, col. 335).
Il travisamento, come vizio dell'atto amministrativo, rientra nella più ampia nozione dell'eccesso di potere, che costituisce uno dei motivi del ricorso di legittimità al Consiglio di stato. Qui il travisamento consiste nella supposizione della esistenza o non esistenza di un fatto, che, invece, dagli atti risulta non esistente o esistente, ovvero nella inesatta considerazione delle circostanze essenziali del fatto stesso, così da farlo apparire diverso da quello che è. Resta esclusa, quindi, l'erronea valutazione del fatto, nella sua importanza (ad es., se la mancanza commessa da un impiegato sia più o meno grave), in relazione al provvedimento adottato, costituendo essa un apprezzamento di merito non sindacabile dal Consiglio di stato nella sua giurisdizione di mera legittimità.
Bibl.: G. Chiovenda, Istituz. di dir. process. civ., II, sez. 1a, Napoli 1934, p. 575; O. Ranelletti, Le guarentigie della giustizia nella pubbl. ammin., 4a ed., Milano 1934, p. 96.