trattamento di fine rapporto (TFR)
trattamento di fine rapporto (TFR) Somma di denaro corrisposta al lavoratore e alla lavoratrice nel momento in cui termina il servizio. Il TFR realizza quanto previsto dall’art. 2120 c.c., in base al quale, in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro, il prestatore ha diritto a ricevere un trattamento di fine rapporto.
A decorrere dal 1° giugno 1982, il TFR ha sostituito l’indennità di liquidazione (detta anche indennità di anzianità). Viene maturato da chi lavora accantonando mese per mese una quota della retribuzione percepita. Spetta a tutti i dipendenti, a prescindere dal tipo di contratto e qualunque sia il motivo della cessazione del rapporto di lavoro, anche nei casi in cui essa sia imputabile al lavoratore. ● Per il calcolo dell’importo, si somma per ogni anno di servizio una quota pari all’ammontare della retribuzione annua divisa per 13,5, equivalente al 6,91% di quest’ultima (circa una mensilità). Al termine di ogni anno, tale trattamento è rivalutato a un tasso composto pari all’1,5%, cui si somma il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertato dall’ISTAT.
Trattandosi di una forma di retribuzione differita, liquidata al termine del rapporto di lavoro, si ritiene che svolga anche una funzione di natura previdenziale. Il lavoratore (o la lavoratrice) può chiedere un’anticipazione sull’importo maturato in caso di spese sanitarie per terapie e interventi straordinari, acquisto della prima casa per sé o per i figli, spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi parentali e per la formazione. Tuttavia, per non creare problemi di liquidità alle imprese, il legislatore ha posto alcune limitazioni a tali opportunità: chi lavora ne ha diritto solo se ha maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, la somma richiesta non può superare il 70% del TFR maturato, e può essere ottenuta una sola volta. È istituito presso l’INPS (➔) un fondo di garanzia per assicurare il pagamento del trattamento in caso di eventi quali il fallimento o la liquidazione dell’impresa.
Con l’introduzione della previdenza complementare (➔ pensione complementare), è prevista la possibilità di devolvere ai fondi pensione le quote del TFR maturando. La l. 243/2004 (riforma Maroni) stabilisce infatti che l’adesione alle forme pensionistiche complementari comporta, dal 2007, il conferimento del TFR maturando al fondo pensione (➔) prescelto dal lavoratore, introducendo anche alcuni incentivi di natura fiscale. L’obbligo di scelta dei fondi pensione è regolato con il meccanismo del silenzio-assenso, per cui se entro 6 mesi dall’assunzione non si opta diversamente, l’adesione al fondo pensione avviene automaticamente e prevede la devoluzione integrale e obbligatoria del TFR maturando. Ciò implica che il lavoratore (o la lavorarice) riceverà una pensione integrativa sotto forma di rendita periodica nel momento in cui saranno maturati i requisiti pensionistici; in caso contrario, continua a maturare il TFR, che verrà liquidato sotto forma di capitale al termine del rapporto di lavoro.
Nel caso dei dipendenti pubblici, hanno diritto al pagamento del TFR coloro che sono stati assunti con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000, quelli assunti con contratto a tempo determinato in essere o successivo al 30 maggio 2000 della durata minima di 15 giorni continuativi nel mese, e quelli assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000 che aderiscano a un fondo di previdenza complementare (in questo caso il passaggio al TFR è automatico). Per coloro che non aderiscono, è invece previsto il pagamento del Trattamento di Fine Servizio (TFS), che si distingue in indennità di buonuscita per i dipendenti del comparto statale e indennità di fine servizio per i dipendenti degli enti locali.