TRASPORTO.
- Flussi, tipologie e integrazione dei trasporti. Le fasi storiche dei trasporti. Trasporti come sistema. L’integrazione tra i modi di trasporto. L’integrazione modale nella politica dei trasporti nazionale ed europea. Bibliografia. Pianificazione e infrastrutture. Tipologie di costo e benefici dei trasporti. La pianificazione delle infrastrutture. Prospettive della pianificazione dei trasporti. Bibliografia
Flussi, tipologie e integrazione dei trasporti di Pierluigi Coppola. – Le fasi storiche dei trasporti. – Lo sviluppo dei t. ha sempre accompagnato in un rapporto spesso di causa-effetto la storia dell’uomo. La nascita, la crescita e il declino delle civiltà sono spesso state legate all’evoluzione della tecnica del t., dapprima quale strumento per esplorare e urbanizzare nuovi territori, in seguito come elemento chiave per le strategie espansionistiche e di difesa militare degli imperi e degli Stati. William L. Garrison e David M. Levinson (2014) hanno elaborato una lettura originale della storia dei t. in epoca contemporanea attraverso il paradigma del ciclo di vita (life-cycle), individuando le fasi successive di nascita, crescita, maturità e, in alcuni casi, di morte delle modalità di t.: dalle imbarcazioni a vapore, ai veicoli con motore a scoppio, alle metropolitane, e così fino ai treni ad alta velocità e ai jet supersonici. Queste fasi ricorrono nella storia contemporanea dei t., attraverso cicli di ampiezza temporale variabile a seconda dei casi, che si rinnovano ogniqualvolta subentra un’innovazione, ovvero laddove qualcosa di nuovo (un’invenzione) è resa accessibile ai più.
La nascita di un nuovo modo di viaggiare può scaturire da innovazioni di carattere tecnologico (per es., l’introduzione della macchina a vapore nel t. marittimo e ferroviario), ma anche da innovazioni di processo, ovvero innovazioni nell’organizzazione della produzione di un mezzo o di un servizio di trasporto. La rivoluzione fordista nei processi produttivi industriali portò, per es., alla diffusione su larga scala dell’autovettura, e cambiò il modo di spostarsi delle persone.
La fase della crescita è quella in cui le innovazioni si diffondono grazie a economie di scala e all’introduzione di standard realizzativi. Si pensi all’introduzione dei container che ha rivoluzionato il t. delle merci e che, per molti studiosi, è alla base della globalizzazione dei mercati, rendendo il mondo più piccolo, ma l’economia mondiale più grande (Levinson 2006).
Il ciclo di vita di una tecnologia o di una modalità di t. è fortemente legato a quello delle altre; queste, in alcuni casi,possono determinarne la definitiva scomparsa. È il caso, per es., del t. passeggeri marittimo sulle rotte transoceaniche che, nella seconda metà dell’Ottocento, vide dapprima la progressiva affermazione dei transatlantici a vapore, rispetto ai pur veloci velieri clippers, a opera delle Ocean liners, a loro volta scomparse con il definitivo affermarsi del t. aereo sulle lunghe distanze, nella seconda metà del 20° sec., grazie allo sviluppo dei moderni motori a reazione, ma anche all’introduzione di tariffe molto competitive (nel 1945 la PanAm introdusse la classe turistica con tariffe di 250 dollari per un volo New York-Londra).
Dalla metafora del viaggio esistenziale tra nascita e morte, emerge il ruolo svolto dai t. nell’antropizzazione di territori, nello sviluppo economico e nella crescita culturale dei popoli. Senza voler considerare, poi, il valore formativo che viene attribuito al viaggio in sé: il grand tour nel 19° sec. e lo sviluppo del turismo di massa in epoca più recente.
Trasporti come sistema. – Al di là delle letture storiche e delle interpretazioni sociologiche, in ambito economico trasportistico, l’approccio che caratterizza la moderna ingegneria dei t. è quello sistemico, che si basa sulla formalizzazione logico-matematica del funzionamento dei sistemi di t. attraverso l’identificazione delle sue componenti e delle principali interazioni tra esse esistenti (Cascetta 2006). Le formalizzazioni più ricorrenti distinguono tra domanda di mobilità, ovvero i viaggiatori e le merci che si spostano in una determinata area, e offerta di trasporto, vale a dire i servizi di t. (aerei, ferroviari, marittimi, fluviali) e le infrastrutture di t.: i ‘nodi’ (i porti, gli aeroporti, i terminali ecc.) e gli ‘archi’, infrastrutture lineari quali strade e ferrovie.
I flussi di mobilità: la domanda. Fatta eccezione per alcuni casi limitati, uno spostamento non produce utilità o soddisfazione in sé, ma è piuttosto un’attività complementare allo svolgimento di altre attività in luoghi diversi da quello in cui si risiede. I viaggiatori si spostano per recarsi al lavoro, ai luoghi di studio, per fare acquisti. La merce si sposta dai luoghi di produzione ai luoghi di trasformazione intermedia e ai mercati. La domanda di t. è quindi una domanda derivata. Essa viene tipicamente riferita sempre a un’unità temporale: numero di spostamenti all’ora, o al giorno o all’anno; si parla, infatti, di flusso di domanda.
Oltre alla dimensione temporale (l’ora, il giorno, l’anno), è intuitivo comprendere come i fattori maggiormente caratterizzanti i flussi di mobilità siano l’origine e la destinazione degli spostamenti. Le matrici origine-destinazione (matrici OD) sono infatti lo strumento di rappresentazione della domanda più utilizzato nella pratica. Hanno un numero di righe e di colonne pari al numero di zone, o luoghi, fra i quali possono avvenire gli spostamenti. L’elemento generico della matrice, D(o,d), fornisce il numero di spostamenti nell’unità di tempo (flusso OD) dalla zona o (origine) alla zona d (destinazione).
Nel caso della mobilità merci, la matrice OD può essere caratterizzata dalla tipologia merceologica (si veda la dettagliata classificazione delle attività economiche, Ateco, dell’ISTAT, Istituto nazionale di Statistica), o per filiere merceologiche (per es., prodotti alimentari freschi, prodotti alimentari secchi, prodotti alimentari surgelati ecc.), oppure anche in base ai veicoli o alle unità di trasporto della merce: i flussi di veicoli commerciali (furgoni, carri ferroviari, o autocarri) oppure il TEU (Twenty Equivalent Unit) che indica il container di dimensioni standard 20×12×8 piedi.
Al pari della domanda di mobilità di cui è uno strumento di rappresentazione, la matrice OD può essere caratterizzata da altri fattori, tra cui spiccano il motivo dello spostamento, il modo di trasporto. Tipicamente nelle applicazioni pratiche si considerano le matrici OD segmentate per motivo (per es., casa-lavoro e casa-acquisti) e per modo di trasporto.
Modi di trasporto: l’offerta. L’espressione modo di t. (stradale, ferroviario, aereo, marittimo, fluviale) si riferisce a un sistema tecnologicamente coerente che include il veicolo e la sede viaria su cui questo transita (Introduzione alla tecnica dei trasporti, 2001). Comunemente nella pratica, i modi si distinguono, rispetto al servizio offerto, in modi di t. pubblico, caratterizzati da servizi programmati nel tempo e nello spazio, quali, per es., i servizi ferroviari, che sono disponibili solo in alcuni orari e solo alle stazioni, e modi di t. privato, che possono essere utilizzati con continuità nel tempo e nello spazio, per es. l’autovettura.
Benché molto diffusi, i termini pubblico e privato dovrebbero essere sostituiti rispettivamente con i più appropriati termini collettivo e individuale, poiché sembrano riferiti alla forma di proprietà piuttosto che non alla tipologia del servizio offerto. Infatti, oggigiorno, nell’era della sharing economy (economia della condivisione), accanto ai tradizionali modi di t. pubblico e privato, vanno diffondendo si modalità di t. che offrono prestazioni proprie dei modi individuali (continuità nello spazio e nel tempo) pur non richiedendo la proprietà del mezzo; si pensi, per es., al car sharing.
I modi di t. possono essere, inoltre, classificati per ambito di utilizzo (urbano ed extraurbano), rispetto alla domanda di mobilità a cui si rivolgono (passeggeri e merci), alle caratteristiche tecnologiche dei veicoli e del sistema veicolo-sede. Nel seguito si farà riferimento in particolare all’ambito extraurbano; il trasporto nelle aree urbane e metropolitane (v. mobilità in aree urbane) utilizza tecnologie solo in parte simili a quelle dei sistemi di t. extraurbano (si pensi, per es., ai sistemi con motore di trazione a terra, quali le funicolari, o ad altri sistemi cosiddetti ettometrici, diffusi esclusivamente in ambito urbano).
Nella tecnologia rientrano le caratteristiche meccaniche di veicoli e del sistema veicolo-sede, in particolare: il sistema propulsivo, distinto per tipo di energia di trazione utilizzata dai veicoli, per es. a carburante combusto, a elettricità, a induzione magnetica, e per la tecnica di trasmissione della trazione (cavo, aderenza, magnete); il supporto (gomma, acciaio, acqua, sospensione magnetica) e le eventuali guide, per es. la presenza di rotaie che vincolano la traiettoria dei veicoli (si distinguono sistemi a guida vincolata o a guida libera); il controllo del distanziamento tra i veicoli che può essere ‘a vista’, assicurato cioè dal conducente, ‘semiautomatico’, imposto ai conducenti mediante segnali esterni, ‘automatico’ in completa assenza di conducente, e gestito da una centrale di controllo fuori sede.
La tecnologia unitamente alle caratteristiche del tracciato planoaltimetrico determina le principali prestazioni di un sistema di t.; in particolare la capacità di t. (ovvero il numero massimo di passeggeri/ora trasportabili per verso di marcia), la velocità, la sicurezza, l’affidabilità. Le prestazioni di un sistema possono essere valutate in misura e in maniera diversa dagli utenti, dagli operatori/gestori del t, dalla collettività nel suo complesso: l’ottica dell’utente sarà orientata soprattutto ai tempi di viaggio, alla regolarità, alla qualità e all’affidabilità del trasporto. Offrire un servizio veloce, sicuro, e di qualità ha un costo per gli operatori, ma anche per la collettività. Ecco perché dal punto di vita tecnico-funzionale, il sistema di offerta deve essere ben proporzionato rispetto ai flussi di domanda previsti, in modo da evitare extracosti per sovradimensionamento dell’offerta, e fenomeni di congestione per difetto di capacità.
L’integrazione tra i modi di trasporto. – Per ridurre i costi del t., a parità di prestazioni offerte, spesso si punta sull’integrazione tra le diverse modalità, vale a dire sulla implementazione di un sistema (multimodale integrato) costituito da più modi di t. complementari e interconnessi tra loro, per garantire lo spostamento dei viaggiatori e delle merci, dalle origini alle destinazioni in tempo breve al minor costo e impatto energetico-ambientale possibile. Diverse analisi tecnico-economiche hanno messo in evidenza, infatti, che solo per spostamenti su relazioni origine-destinazioni molto particolari conviene utilizzare un unico modo di t.; in generale, è la combinazione di più modi (multimodalità) che risulta la scelta economicamente più conveniente ed energeticamente più sostenibile. Il t. marittimo, per es., consente di spostare grandi quantità a basso costo unitario (oggi spedire un container da Shanghai a Rotterdam costa poco più di 1000 euro), ma non è in grado di raggiungere industrie e mercati che si trovano al di fuori delle aree di influenza dei porti; d’altra parte il t. su strada, pur flessibile e ad ampia diffusione territoriale, presenta elevati costi unitari e alto impatto sull’inquinamento ambientale.
L’intermodalità nasce quindi dall’utilizzo di più modi di base per compiere un viaggio su una predefinita relazione origine-destinazione, cercando di sfruttare le migliori prestazioni di ogni modo di base nelle diverse tratte del viaggio, limitandone al contempo anche gli impatti negativi: per es., utilizzando il t. stradale nelle tratte di accesso ai terminali (stazioni o porti) e le modalità (ferroviaria e marittima o fluviale) a minore costo e minore impatto ambientale per le tratte più lunghe del viaggio.
Nel t. dei passeggeri, l’intermodalità è un obiettivo strategico delle amministrazioni pubbliche per ridurre l’uso dell’autovettura e favorire l’utilizzo di modi a ridotto impatto ambientale come quello ferroviario. Si è sviluppata soprattutto in ambito urbano e metropolitano, attraverso la creazione di parcheggi di interscambio modale localizzati presso le stazioni delle metropolitane e delle ferrovie regionali (park & ride). Il t. intermodale, tuttavia, si è sviluppato soprattutto per le merci (Russo, in Introduzione alla tecnica dei trasporti, 2001), a seguito dell’introduzione del contenitore unificato (di dimensioni standard) e con il connesso concetto di carico unitizzato, che ha consentito di riorganizzare la stessa struttura del t. merci e ridurre il costo generalizzato dello spostamento. Sono possibili diverse combinazioni di modi. La Conferenza europea dei ministri di trasporto (ECTM) distingue tra trasporto intermodale, ovvero il trasferimento di una merce che utilizza più modi di t., con una stessa unità di carico (cioè senza rottura di carico, ovvero handling della merce in essa contenuto), e trasporto combinato, ovvero quel particolare tipo di t. intermodale in cui le percorrenze principali si effettuano per ferrovia o per mare, e i percorsi iniziali (di accesso ai terminali) e finali (di egresso dai terminali), più brevi possibili, sono realizzati su strada. Nell’ambito del t. combinato occorre distinguere rispetto alle modalità di invio delle merci: trasporto combinato accompagnato, quando l’unità di t. stradale (l’autocarro) viaggia a bordo di altri mezzi di t., per es. una nave, insieme al personale di guida; trasporto combinato non accompagnato, quando l’unità di t. stradale viene caricato a bordo di navi e/o treni e viaggia senza personale di guida.
Il t. delle merci tipicamente include lo spostamento della merce dalle fabbriche ai centri di distribuzione, ai grossisti o direttamente ai dettaglianti. Tali spostamenti possono essere semplici, per es., quando un dettagliante acquista un bene, che non necessita di trasformazioni intermedie, direttamente dal produttore; ma possono essere anche assai complessi, per es., quando il ciclo di produzione del bene prevede fasi di lavorazioni successive e quindi spostamenti intermedi di merci: dall’industria alla fabbrica di trasformazione dei materiali grezzi, al centro di consolidamento del prodotto finito, al centro di distribuzione e, infine, al dettagliante.
Può capitare che chi produce un prodotto si occupi anche di trasportare la merce a destinazione: è il caso del t. in conto proprio (private carriage); ma sempre più spesso il t. della merce prodotta viene affidato ad apposite società (for-hire carriage). Con lo sviluppo del t. intermodale è andata affermandosi, inoltre, la figura di un terzo attore, l’operatore logistico (third-party logistics, 3PL) che ha il compito di organizzare le spedizioni e di contrattare i prezzi con i diversi trasportatori, gestendo, in taluni casi, anche le fasi di stoccaggio della merce tra una fase e l’altra dello spostamento. Il t. intermodale si combina, quindi, anche alle scelte logistiche del produttore, per es. la frequenza e la dimensione delle spedizioni, la localizzazione dei magazzini per le scorte e dei centri di distribuzione ai dettaglianti. La scelta dell’intermodalità implica dunque la combinazione ottimale di tutti i costi legati alla produzione e alla distribuzione dei prodotti.
L’integrazione modale nella politica dei trasporti nazionale ed europea. – Integrazione è la parola che ricorre spesso nei documenti della pianificazione nazionale dei t. (per es., nelle Linee guida del piano generale della mobilità del 2007). Essa è intesa non solo come integrazione modale da attuarsi attraverso l’individuazione di infrastrutture per spostarsi con facilità da una modalità all’altra (nodi di interscambio), in modo da massimizzare il grado di connessione tra i diversi modi di t. lungo le direttrici terrestri (stradali e ferroviarie) e le vie del mare. L’integrazione si considera anche come strumento di coesione territoriale, per ‘agganciare’ i territori locali alle grandi direttrici di spostamento, per connettere reti ‘lunghe’ e reti ‘corte’, per aumentare l’accessibilità su tutto il territorio nazionale.
L’idea dell’integrazione modale per la coesione tra territori si ritrova anche nell’evoluzione che più recentemente ha avuto la politica europea dei trasporti. All’indomani del trattato di Maastricht, la Commissione europea pubblicò nel 1992 il Libro bianco, Lo sviluppo futuro della politica comune dei trasporti, introducendo l’idea di rete transeuropea dei t. (TEN-T, Trans European Network - Transport). Furono definiti i progetti prioritari e individuati i corridoi europei, ovvero gli assi strategici (stradali e ferroviari) per i collegamenti tra gli Stati dell’Unione, successivamente integrati dai corridoi paneuropei per connettere i nuovi Stati membri dei Balcani e dell’Europa dell’Est. Oggi la rete TEN-T, pur mantenendo in una certa misura lo schema originario basato sui corridoi multimodali di collegamento transnazionale (rete core), individua anche le infrastrutture e le cerniere di connessione tra questi assi portanti e i territori locali (rete comprehensive). Individua inoltre i porti, gli aeroporti e i terminali intermodali per favorire l’integrazione modale non solo a scala europea, ma anche per i traffici intercontinentali, in particolar modo verso i Paesi del bacino del Mediterraneo.
A tale scopo, l’Euro-mediterranean transport forum ha definito la TMN-T (Trans-Mediterranean Transport Network), intesa non semplicemente come l’unione delle reti nazionali dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma come una rete integrata di infrastrutture di t. a forte inter-connessione e interoperabilità con le reti europee, per lo sviluppo degli scambi commerciali e culturali nell’area euromediterranea.
Bibliografia: Introduzione alla tecnica dei trasporti e del traffico con elementi di economia dei trasporti, a cura di G.E. Cantarella, Torino 2001 (in partic. F. Russo, Trasporto intermodale delle merci, pp. 407-64); Sistemi di trasporto collettivo avanzati in aree urbane e metropolitane. Classificazioni e applicazioni, a cura di A. Nuzzolo, Reggio Calabria 2005; E. Cascetta, Modelli per i sistemi di trasporto. Teoria e applicazioni, Torino 2006; M. Levinson, The box: how the shipping container made the world smaller and the world economy bigger, Princeton (N.J.) 2006; W.L. Garrison, D.M. Levinson, The transportation experience. Second edition, Oxford-New York 2014.
Pianificazione e infrastrutture di Agostino Nuzzolo e Pierluigi Coppola. – Tipologie di costo e benefici dei trasporti. – Ogni attività di t. di persone e merci consuma risorse, energia, e tempo. In generale, i costi di t. connessi alle infrastrutture sono classificabili in costi di realizzazione e costi di uso; questi ultimi, a loro volta, sono distinti in: costi degli utenti (persone o merci); costi dei gestori e costi per la collettività. Per le persone, i costi del t. sono quelli che l’utente sopporta materialmente o percepisce nelle fasi dello spostamento; tipicamente sono riconducibili ai tempi e ai costi di viaggio, ma a volte sono collegati anche a fattori immateriali, quali, per es., il comfort a bordo del veicolo. Il costo di t. delle merci è legato alla necessità di spostare beni prodotti e materie prime dai luoghi di produzione ed estrazione ai luoghi di consumo o di trasformazione (i mercati o gli stabilimenti industriali, i magazzini, in generale i luoghi intermedi della filiera produttiva), e alle attività connesse allo smistamento della merce (logistica). Le aziende che producono i servizi di trasporto (i gestori del trasporto) sopportano i costi di manutenzione delle infrastrutture, dell’acquisizione di sistemi tecnologici e del materiale rotabile, e i costi di esercizio per il personale, il carburante e così via. Infine, i costi per la collettività sono connessi alla realizzazione delle infrastrutture (costi d’investimento), e ai costi esterni del t. (esternalità) costituiti dagli impatti negativi che possono derivare dallo spostamento di persone e merci (si pensi, per es., all’incidentalità stradale), e dagli effetti negativi che l’uso di un’infrastruttura ha sull’ambiente e sull’equilibrio ecologico, specialmente in aree caratterizzate da ecosistemi fragili. Vi è, inoltre, da tener presente l’intrusione visiva che deriva dalla presenza dell’infrastruttura (e dei veicoli che la utilizzano) e dal contrasto di questa con il paesaggio circostante.
Gli interventi sul sistema dei trasporto, e in particolare la realizzazione di infrastrutture, hanno l’obiettivo di ridurre complessivamente i costi legati alla mobilità di persone e merci, e, al contempo, di generare effetti positivi (creare benefici) sul territorio, sull’economia e sulla società. La riduzione del costo del t. migliora, infatti, l’accessibilità di alcune zone, modificando in tal modo le convenienze localizzative delle residenze e delle attività imprenditoriali. I residenti e i posti di lavoro tenderanno a spostarsi nelle zone a maggiore accessibilità, facendo aumentare la domanda d’uso del suolo e delle superfici per abitazioni e servizi di queste zone (effetti territoriali).
Inoltre, minori costi del t. per l’approvvigionamento e la distribuzione della merce comportano costi di produzione più bassi, e possono determinare un aumento dei livelli di produzione e di profitto delle imprese nonché un aumento dei posti di lavoro. Una maggiore accessibilità, infatti, allarga il bacino dell’offerta di lavoro, consentendo alle imprese di scegliere tra una platea più vasta e maggiormente qualificata di lavoratori, e, allo stesso tempo, consente a un maggior numero di persone in cerca di occupazione di accedere a luoghi di lavoro prima non accessibili perché troppo distanti o non ben collegati con le proprie zone di residenza.
Un miglioramento dell’accessibilità, tuttavia, non comporta soltanto un allargamento del mercato del lavoro (dal lato della domanda e dell’offerta), ma può avere anche impatti sociali rilevanti, in quanto consente una maggiore partecipazione a quelle pratiche sociali (cure mediche, istruzione, cultura) che contribuiscono alla coesione e alla stabilità di una comunità e che secondo alcuni sociologi ed economisti rappresentano l’elemento fondante della qualità della vita.
Dunque, a fronte di costi legati non solo agli esborsi monetari per la realizzazione e la manutenzione, ma anche alle possibili ripercussioni negative sull’ambiente, le infrastrutture e i servizi di t. possono contribuire al benessere economico e alla qualità della vita: occorre valutare i costi degli interventi e confrontarli con i benefici che ne potrebbero scaturire; quindi scegliere come agire e cosa realizzare. È questo il campo d’intervento della pianificazione.
La pianificazione delle infrastrutture. – La pianificazione delle infrastrutture si configura come un processo decisionale, cui fa seguito un insieme di azioni finalizzate alla realizzazione di interventi (infrastrutturali ma anche di carattere organizzativo) che permettono di raggiungere, nel modo più efficace ed efficiente possibile quegli obiettivi ritenuti ottimali dalla collettività. Questi ultimi derivano da una visione condivisa del futuro, definita secondo valori (per es., la solidarietà e la coesione sociale, il rispetto per l’ambiente) che la comunità approva, e vengono perseguiti attraverso l’attuazione di specifiche strategie. La scelta delle strategie è una decisione politica, e in quanto tale può dipendere da fattori variabili nel tempo (per es., la congiuntura economica) e da vincoli esterni (per es., gli accordi internazionali). Poiché non esiste una strategia universalmente trasferibile e perennemente valida, occorre che il processo di pianificazione sia adattabile ai vincoli esterni, duttile alle spinte di cambiamento che provengono dalla società e capace di prevederne le evoluzioni.
L’approccio decisionale nel processo di pianificazione si articola tipicamente in fasi successive, separate sul piano temporale, in cui: si fissano gli obiettivi; si individuano le strategie; si definiscono le possibili alternative di intervento e se ne valutano gli effetti; si scelgono le alternative che presentano i valori massimi in termini di efficienza ed efficacia rispetto agli obiettivi inizialmente assunti e si stabiliscono le priorità temporali di realizzazione.
Obiettivi e strategie. Gli obiettivi della pianificazione delle infrastrutture di t. derivano da quelli più generali ai quali tende la collettività (per es., la crescita economica, la qualità della vita, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, la sicurezza ecc.). In particolare, la sfida dello sviluppo sostenibile del nuovo millennio non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali, si traduce nel settore della pianificazione dei t. nell’obiettivo strategico della mobilità sostenibile. Come enunciato dalla Commissione europea, le politiche di mobilità sostenibile si prefiggono di «garantire che i nostri sistemi di trasporto corrispondano ai bisogni di mobilità per lo sviluppo economico e sociale, minimizzandone contemporaneamente le ripercussioni negative sull’ambiente» (Consiglio europeo 6/2006 - rif. 10917/06). A tal fine, la realizzazione di infrastrutture mira tipicamente a: ridurre l’uso dell’autovettura e del trasporto merci su strada, realizzando sistemi di trasporto multimodali integrati, in cui per uno stesso spostamento si possano utilizzare modalità di trasporto diverse, per es. l’auto e la metropolitana (park & ride) o, per le merci, il trasporto con autocarri e con la nave (roll-on roll-off), ciascuna ottimale sulla singola tratta del percorso, e in cui sia facilitato il passaggio da una modalità all’altra nei punti di interscambio modale (per es., realizzando parcheggi nelle stazioni di metropolitana); favorire lo sviluppo di modi di trasporto con minore impatto ambientale e consumo di energia (per es., i modi di trasporto collettivo), e l’utilizzo di tipologie di trasporto che riducano i costi di produzione dei servizi (per es., sistemi a guida automatica); favorire l’uso di veicoli che utilizzino fonti energetiche rinnovabili o carburanti (metano, idrogeno ecc.) poco inquinanti.
Inoltre, per le strette interdipendenze tra mobilità e territorio, la pianificazione delle infrastrutture di t. assume oggi sempre più la connotazione di una pianificazione integrata con il territorio per il raggiungimento degli obiettivi strategici di coesione economica e sociale, di conservazione del patrimonio naturale e culturale e per una più bilanciata competitività delle diverse parti di una regione (per es., aree costiere e aree interne) oppure di uno Stato
(v. territorio, gestione del).
Le alternative di intervento (le possibili azioni). Le infrastrutture sono solo una delle possibili alternative di intervento sul funzionamento dei sistemi di t.; sono, infatti, possibili anche azioni di tipo normativo, gestionale e tecnologico, che devono sempre accompagnare gli interventi infrastrutturali, permettendo spesso di ottimizzarne il funzionamento, ridurne i costi di realizzazione e di gestione.
I singoli interventi vanno definiti all’interno di un progetto complessivo del sistema della mobilità, attraverso studi di fattibilità tecnico-funzionale, economico-finanziaria e ambientale, per verificare se, sulla base degli effetti previsti, essi rispondono efficacemente e in modo efficiente al raggiungimento degli obiettivi e delle strategie prefissate, se esiste un’adeguata copertura finanziaria, se sono rispettati i vincoli ambientali e se esiste un percorso amministrativo adeguato.
La definizione e il confronto di possibili interventi alternativi richiedono la valutazione ex ante degli effetti rilevanti e la previsione, attraverso metodi quantitativi, delle configurazioni future di sviluppo del sistema t.-territorio-economia- società.
I primi metodi di valutazione quantitativa, introdotti negli anni Sessanta del 20° sec. per gli investimenti in opere autostradali e successivamente estesi ai piani di t. in senso lato, consideravano prevalentemente gli effetti (benefici e costi) monetari o monetizzabili per gli utenti della sola infrastruttura esaminata e per il gestore della stessa. Con l’evolversi della comprensione del funzionamento dei sistemi di t. e degli strumenti di analisi e simulazione, si è andata progressivamente estendendo la gamma degli effetti considerati, includendo dapprima gli effetti relativi all’intera rete di t. e più recentemente gli effetti indiretti sull’ambiente, sull’economia e sulla società.
I metodi di confronto tra i diversi interventi infrastrutturali sono riconducibili essenzialmente a due classi: il metodo tradizionale dell’analisi benefici-costi (ABC) e i metodi di analisi multi-criterio (AMC). Il primo considera gli effetti monetari o monetizzabili come variazioni rispetto all’alternativa di non intervenire sul sistema (scenario ‘do nothing’) o rispetto a scenari di sviluppo tendenziale del sistema (business as usual), sommando algebricamente, con il segno positivo i benefici monetizzati, e con il segno negativo costi monetari e impatti negativi (per es., sull’ambiente) anch’essi monetizzati. L’analisi multi-criterio, d’altra parte, evita di monetizzare e sommare benefici e costi in un unico valore aggregato, il valore attuale netto (VAN), fornendo invece un quadro sinottico (matrice di decisione) in cui per ogni intervento esaminato si riporta un indicatore che ne esprime l’impatto per ciascuno dei criteri di valutazione non soltanto economici, ma anche ambientali e sociali (obiettivi strategici). In tal modo si rinuncia a individuare la soluzione ottima dal punto di vista del benessere sociale aggregato, ma ci si muove alla ricerca di una soluzione di compromesso tra i diversi obiettivi perseguibili.
Individuazione delle priorità (le scelte). L’individuazione delle priorità tra gli interventi fattibili si impone spesso a causa di un budget finanziario limitato. È una fase molto delicata del processo di pianificazione, in quanto si scontra con interessi di parte e con posizioni campanilistiche. Sono rari, infatti, i casi in cui gli effetti degli interventi individuati come prioritari siano ugualmente e uniformemente distribuiti tra le persone, i gestori e la collettività nel suo complesso. Tipicamente ci saranno gruppi di individui che avranno grandi benefici dalla realizzazione dell’infrastruttura (si pensi ai residenti in una città dove si realizza un nuovo aeroporto), altri che non ne avranno per nulla (gli individui residenti nelle città distanti) e altri che invece subiranno un peggioramento per effetto della nuova realizzazione (per es., le persone che vivono nelle immediate vicinanze del nuovo aeroporto, che subiranno l’inquinamento acustico dovuto al passaggio degli aerei). La decisione richiede un compromesso tra le diverse istanze (economiche, ambientali e sociali) che provengono dalla collettività e dovrebbe coinvolgere vari soggetti istituzionali e sociali. Il modello partecipativo della concertazione può in generale garantire l’efficacia del processo decisionale nella misura in cui: a ciascun soggetto (istituzionale e non) coinvolto viene restituita pari dignità (nessuno subisce le scelte assunte da altri); si riduce il rischio di conflitti di competenze tra i diversi livelli della pubblica amministrazione; attraverso il coinvolgimento delle collettività locali nei processi sottesi alla formazione delle scelte, si riduce il rischio di opposizione nella fase di realizzazione e di azioni non condivise perché non comprese.
Prospettive della pianificazione dei trasporti. – Il processo di pianificazione descritto in precedenza segue un’impostazione fortemente razionale, in quanto individua gli interventi da realizzare attraverso un bilancio oggettivo degli impatti positivi e negativi connessi alla loro realizzazione, valutati rispetto a obiettivi strategici prefissati e condivisi. Alla base del suo largo impiego tra gli addetti ai lavori si trovano alcune ragioni forti. La prima risiede nella promessa di creare uno spazio sottratto alla politica, lasciando a quest’ultima il compito di definire gli obiettivi, ma rimettendo alle scienze ingegneristiche ed economiche i giudizi di valore tecnico e gli sviluppi successivi. Tali metodi di decisione razionale, inoltre, appaiono adatti a contrastare un certo approccio burocratico alle decisioni volto più alla correttezza formale degli atti che non al conseguimento dei risultati. Infine, lo sviluppo di modelli avanzati d’analisi e di simulazione dei sistemi, nonché la maggiore disponibilità e reperibilità di dati, rendono più facile l’applicazione di metodi che fino a qualche tempo fa potevano apparire troppo complessi per il numero di variabili coinvolte e la massa di dati da esplorare.
L’approccio razionale alle decisioni, tuttavia, presuppone: l’esistenza di un unico centro decisionale; una netta separazione tra l’individuazione degli obiettivi e la valutazione delle alternative d’intervento, vale a dire che prima si fissano gli obiettivi e poi si individuano gli interventi da realizzare per il loro perseguimento (e non, come capita in alcuni casi, prima gli interventi e poi gli obiettivi); l’analisi delle alternative disponibili e la valutazione ex ante degli effetti delle decisioni; le risorse e il tempo per effettuare tali analisi, per analizzare in maniera esaustiva il problema e per maturare le scelte evitando le situazioni di emergenza. Tale approccio razionale alla pianificazione si basa su assunti che difficilmente si realizzano nella prassi degli attuali processi politico-amministrativi, caratterizzati da diversi decisori e portatori di interessi (stakeholders), e da un contesto istituzionale sempre più decentralizzato; condizionati da una burocrazia macchinosa e lenta, da un’opinione pubblica influente, e da condizioni di emergenza sempre più frequenti. Pertanto è difficile immaginare che le decisioni politiche possano portare al raggiungimento di un insieme di interventi ottimali in senso assoluto, ma è più realistico cercare delle soluzioni subottimali, che almeno soddisfino le esigenze della collettività senza sprechi di risorse e nel rispetto di certi standard minimi. Pertanto, è possibile concepire il processo decisionale come una successione di fasi durante le quali, gli stakeholders interagiscono per scambiarsi risorse (riconducibili a quattro tipi fondamentali: giuridiche, tecniche, finanziarie, politiche o di consenso) e che da tali scambi emergano le soluzioni ai problemi posti.
In altri termini, l’approccio razionale alle decisioni può essere visto come un modello ideale verso cui tendere, anche se è opportuno tenere presente che i processi di pianificazione possono seguire iter più semplici in cui: le decisioni prendono corpo dall’accordo tra più attori di parte (le cui scelte dipendono e s’influenzano reciprocamente) attraverso successivi aggiustamenti (modello incrementale); di fronte a una scelta complessa si valutano le alternative sequenzialmente, fino a trovarne una che soddisfa le proprie esigenze (modello cognitivo).
È per tali ragioni che si assiste, ormai da qualche anno, a un cambiamento nell’approccio ai processi decisionali. C’è da chiedersi se, a fronte delle intrinseche difficoltà attuative dell’approccio razionale alla pianificazione, esso non si debba evolvere verso modelli più aderenti alla complessità della società, che tengano conto delle istanze di partecipazione alle scelte strategiche di una pluralità di soggetti decisori. Le diverse forme di public engagement, già sperimentate nel mondo anglosassone e in Francia (con il debat public) sembrano suggerire l’adozione di nuovi strumenti di pianificazione più flessibili, in cui le decisioni scaturiscono da un confronto di idee e dalla cooperazione tra gli stakeholders, integrando competenze diverse e accrescendo il consenso intorno alle scelte.
Inoltre, il perdurare della crisi economica e la conseguente scarsità di risorse finanziarie da destinare agli investimenti di lungo periodo, la maggiore sensibilità verso l’ambiente, la sicurezza e la coesione sociale, da una parte, e la diffusione di nuove tecnologie telematiche e dell’informazione applicate ai trasporti, ai servizi e al commercio, dall’altra, stanno cambiando il contesto socioeconomico e culturale in cui maturano le scelte strategiche. Anche l’assetto demografico della popolazione va modificandosi: cresce in percentuale il numero degli anziani e si affermano nuovi stili di vita tra le nuove generazioni, ormai abituate a comunicare in tempo reale attraverso i social media, e a condividere non solo idee e informazioni, ma anche beni e servizi, secondo il modello della cosiddetta sharing economy.
Nel settore della mobilità, si assiste a un ridimensionamento del ruolo dell’auto individuale, e si diffondono forme di mobilità ‘dolce’ (pedonale e bicicletta) e ‘condivise’, come bike sharing, car sharing, improntate a un uso estensivo delle tecnologie telematiche a supporto del viaggiatore (per es., per prenotazioni, pagamento di biglietti e scelta del percorso). Se da una parte si procede, sempre più, verso un modello fortemente integrato di sistema dei t. multimodale, dall’altra, si registra una diffusione crescente della cosiddetta sindrome NIMBY (Not In My BackYard), ovvero dell’opposizione alla realizzazione di nuove infrastrutture da parte delle comunità locali presenti sui territori in cui tali infrastrutture devono essere realizzate.
Tutto ciò sta profondamente modificando il ruolo e lo stesso concetto di pianificazione delle infrastrutture, offrendo alcuni spunti di riflessione sulle sfide e sulle opportunità che attendono i pianificatori del 21° secolo. Si deve anche considerare che l’aumento dei costi di costruzione e le maggiori difficoltà realizzative, nonché la diffusione delle tecnologie telematiche a costi sempre più contenuti, orienteranno la pianificazione verso infrastrutture più snelle (lean design) e interventi di ottimizzazione e potenziamento delle opere esistenti. I sistemi di t. intelligenti, cosiddetti ITS (Intelligent Transport Systems), consentiranno, infatti, di migliorare le prestazioni delle infrastrutture tradizionali attraverso il monitoraggio in tempo reale dei veicoli (telecontrollo) o attraverso strategie d’informazione all’utenza e di controllo del movimento dei veicoli. Ciò permetterà di progettare infrastrutture e servizi dalle prestazioni più efficienti, ma anche nuovi servizi in grado di fornire prestazioni specifiche e personalizzate per segmento di mercato (per es., l’assistenza individuale durante lo spostamento o i servizi di t. collettivo a chiamata).
L’affermarsi dei nuovi obiettivi strategici della sostenibilità orienterà, infine, la pianificazione verso modi di t. a basso impatto ambientale, in particolare quelli ferroviari e a ridotto costo unitario di esercizio, e quindi modi di t. collettivo a elevata capacità e possibilmente a guida automatizzata. Il potenziamento delle reti autostradali avverrà principalmente attraverso l’applicazione di tecnologie innovative di controllo della velocità dei veicoli, dotando le infrastrutture
esistenti di sistemi di prevenzione e/o di riduzione del rischio di incidenti, attraverso sistemi di interazione veicoli-strada e veicolo-veicolo. Infine, in ambito urbano si assisterà alla realizzazione di infrastrutture a supporto delle nuove forme di mobilità (smart mobility), e quindi piste ciclabili, punti di prelievo e consegna veicoli (bici, auto, moto) a uso condiviso (v. mobilità in aree urbane).
Bibliografia: M. De Luca, Manuale di pianificazione dei trasporti, Milano 2000; M.D. Meyer, E.J. Miller, Urban transportation planning: a decision-oriented approach, Boston (Mass.)New York 20012; L. Bobbio, La democrazia non abita a Gordio. Studio sui processi decisionali politico-amministrativi, Milano 20046; D. Banister, The sustainable mobility paradigm, «Transport policy», 2008, 15, 2, pp. 73-80; P. Coppola, Fattibilità e priorità delle infrastrutture, in Infrastrutture e competitività 2012: 10 opere perla ripresa, a cura di D. Aprea, Roma 2012, pp. 189-206; T. Litman, The new transportation paradigm, «ITE (Institute of Trans portation Engineers) journal», 2013, 6; E. Cascetta, A. Cartenì, F. Pagliara et al., A new look at planning and designing transportation systems. A decision-making model based on cognitive rationality, stakeholder engagement and quantitative methods, «Trans port policy», 2015, 38, pp. 27-39.