Abstract
La disciplina giuridica dei trasporti pubblici ha subito notevoli mutamenti negli ultimi decenni. Il processo di liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità introdotto nell’ordinamento italiano su impulso del diritto europeo ha comportato l’esigenza di riformare il modello di gestione tradizionale dei trasporti pubblici al fine di superare gli assetti monopolistici che caratterizzavano i trasporti di linea, storicamente gestiti dallo Stato o affidati ad un unico esercente mediante concessione.
Nonostante la peculiarità delle singole modalità di trasporto, le norme che hanno inciso sul settore presentano dei tratti comuni. Le norme europee di liberalizzazione hanno introdotto i principi di separazione dei segmenti di mercato che costituiscono monopolio naturale da quelli che possono essere gestiti in regime concorrenziale, attraverso la previsione di meccanismi autorizzatori non discrezionali per consentire l’accesso equo e non discriminatorio al mercato agli operatori. Sono inoltre stati posti limiti alle compensazioni per gli oneri di servizio pubblico, le quali devono essere determinate antecedentemente alla stipula del contratto di servizio in modo trasparente e sulla base dei criteri stabiliti dalla legge. Alla luce di tali linee essenziali si analizzano le riforme dei singoli settori, focalizzando l’attenzione sul settore ferroviario, quello aereo, marittimo ed il trasporto pubblico locale.
Nell’ordinamento italiano l’elaborazione dottrinaria della nozione di servizio pubblico ha portato a concepire i trasporti pubblici di linea come prestazioni amministrative, volte a garantire diritti tutelati a livello costituzionale, spesso gestiti in regime di riserva originaria di attività ai sensi dell’art. 43 della Costituzione. Nell’analisi della disciplina giuridica dei trasporti generalmente si distinguono i trasporti di linea, caratterizzati da offerta al pubblico, predeterminazione di partenza, arrivo e percorrenza intermedia, orari e tariffe, i quali sono stati gestiti per lungo tempo in regime di concessione, dai trasporti non di linea (autotrasporto, servizio taxi), sottoposti a regimi di autorizzazione. Il concetto di “linea” ha giustificato per molto tempo la gestione riservata ai pubblici poteri. La dottrina tradizionale ha qualificato la linea di trasporto come «un’entità giuridica, che è costituita da una potestà conformativa esercitata dall’autorità amministrativa» (Giannini, M.S., Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1989, 195) e che per sua stessa natura ammette un solo esercente, tanto che l’esclusività del diritto a favore del concessionario è stata considerata una conseguenza necessaria della concessione della linea di trasporto.
A partire dai primi anni Novanta è emersa la necessità di riformare i trasporti pubblici per dare attuazione al programma europeo di liberalizzazione dei servizi di interesse economico generale. In tale contesto i servizi di pubblica utilità hanno iniziato ad essere concepiti come attività economiche, svolte nell’ambito di mercati concorrenziali, nei quali l’intervento pubblico si giustifica solo in presenza di fallimenti di mercato valutati sulla base di criteri economici (sull’evoluzione dottrinaria, normativa e giurisprudenziale in materia di servizi pubblici cfr. Rangone, N., I servizi pubblici, Bologna, 1999). Il diritto europeo impone il rispetto della disciplina sulla concorrenza in tutte le attività economiche per consentire che le imprese che prestano i servizi operino in condizioni di parità sul mercato unico; allo stesso tempo riconosce il diritto di accesso ai servizi di interesse economico generale come diritto fondamentale legato alla cittadinanza europea (art. 36, Carta di Nizza) e consente deroghe alle regole di mercato per lo svolgimento della missione di interesse generale (artt. 14 e 106, TFUE).
Il settore dei trasporti ricopre un ruolo centrale nella realizzazione del mercato unico europeo. In primo luogo i trasporti costituiscono uno strumento indispensabile per realizzare la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. In secondo luogo per consentire un’effettiva concorrenza tra operatori di diversi Stati membri è necessario un sistema di trasporti efficiente ed integrato. La materia presenta peraltro caratteristiche che rendono l’armonizzazione delle discipline nazionali sui trasporti particolarmente complessa. Le difficoltà di uniformazione normativa derivano dal legame della disciplina dei trasporti con la conformazione territoriale dei singoli Stati e più in generale dal ruolo strategico dei trasporti nell’assetto economico e sociale di ciascun Paese.
A causa delle peculiarità del settore, i trasporti sono stati esclusi dalla disciplina sulla libera circolazione dei servizi ed assoggettati a una specifica disciplina contenuta nel Titolo VI del Trattato (art 58, TFUE). A tale deroga è stata data un’interpretazione restrittiva, essendo l’applicazione di regole speciali alla materia dei trasporti limitata ai casi in cui non sia applicabile la disciplina generale (Conetti, G., Politiche comunitarie, Politica dei trasporti, in Enc. giur. Treccani,Roma, 1998).
Con il Trattato di Lisbona il settore dei trasporti è stato attribuito alla competenza concorrente tra l’Unione e gli Stati membri (art. 4, TFUE). Per l’attuazione degli obiettivi dell’Unione il Trattato individua «una politica comune nel settore dei trasporti» (art. 90, TFUE). Sono vietate le discriminazioni di prezzi e condizioni di trasporto nel traffico di merci interno dell’Unione fondate sul paese di origine o di destinazione dei prodotti trasportati (art. 95, TFUE). L’ambito di applicazione del Titolo VI comprende i trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili, tuttavia il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire, previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, le opportune disposizioni per la navigazione marittima e aerea (art. 100, TFUE).
Una delle norme più rilevanti del Titolo dedicato ai trasporti riguarda la deroga al regime comune di divieto di aiuti di Stato. L’art. 93 TFUE prevede l’ammissibilità degli «aiuti richiesti dalle necessità del coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune servitù inerenti alla nozione di pubblico servizio». La suddetta norma costituisce lex specialis rispetto alla più generale disposizione di cui all’art. 106 TFUE che consente limitazioni all’applicazione delle regole di concorrenza per le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale finalizzate all’adempimento della specifica missione loro affidata.
Diversamente dall’art. 107 TFUE, norma che tutela la concorrenza negli scambi tra Stati membri, l’art. 93 TFUE tende ad evitare gli effetti negativi di una libera concorrenza tra modalità di trasporto, profondamente diverse per flessibilità operativa e per costi di avviamento e produzione, consentendo sussidi per garantire lo scopo più generale di parità tra vettori e garantire una migliore ripartizione del traffico tra le varie tipologie di trasporto (Galetta, D.U.-Giavazzi, M., Trasporti terrestri, in Greco, G.-Chiti, M.P., a cura di, Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte Speciale, Tomo IV, Milano, 2007, 2181).
Uno dei primi atti del Consiglio in materia di politica comune dei trasporti è stato il reg. CEE, 26.6.1969, n. 1191 in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile. Tale atto è stato adottato allo scopo di delimitare la nozione di servizio pubblico per ridurre il rischio di un abuso della deroga al divieto di aiuti di Stato prevista dall’art. 93 TFUE. Il regolamento ha definito gli obblighi di servizio pubblico come «obblighi che l’impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse condizioni» (art. 2, reg. CEE, n. 1191/1969) e ne ha disposto in linea generale la soppressione, salvo che per quelli necessari a garantire servizi di trasporto sufficienti in base all’interesse generale, alle possibilità di ricorso ad altre tecniche di trasporto ed alla loro idoneità a soddisfare le esigenze di trasporto degli utenti (art. 3, reg. CEE, n. 1191/1969). Per il mantenimento di tali obblighi gli Stati membri possono concedere una compensazione finanziaria a favore delle imprese di trasporto determinata secondo i criteri fissati dal regolamento stesso.
È seguita l’adozione del reg. CEE, 4.6.1970, n. 1107, relativo agli aiuti accordati nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile che ha stabilito le condizioni per la concessione di aiuti ex art. 93 TFUE nelle ipotesi escluse dal campo di applicazione del reg. CEE, n. 1191/69. La concessione di aiuti in materia di trasporti per la necessità di coordinamento o per l’imposizione di servitù inerenti alla nozione di servizio pubblico è stata dunque assoggettata a un regime speciale, delimitato dalle ipotesi tassativamente previste dai regolamenti citati, come è stato confermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nota sentenza Altmark (C. giust. CE, 24.7.2003, n. 280, Altmark Trans GmbH c. Nahverkehrsgesellschaft Altmarrk GmbH). Con il reg. CEE, 20.6.1991, n. 1893 è stata estesa al trasporto locale la disciplina del reg. n. 1191/1969 ed è stata sostituita l’imposizione unilaterale di oneri di servizio pubblico con l’obbligo di concludere contratti di servizio pubblico. Questi sono stati definiti come i contratti che le autorità competenti di uno Stato membro possono stipulare con un’impresa di trasporto allo scopo di fornire alla collettività servizi di trasporto sufficienti, tenendo conto segnatamente dei fattori sociali, ambientali e di assetto del territorio o per offrire particolari condizioni tariffarie a favore di determinate categorie di passeggeri (art. 1.4, reg. CEE, n. 1191/1969, come modificato dal reg. CEE, n. 1893/1991). Il summenzionato regolamento non ha tuttavia disciplinato le modalità di affidamento di detti contratti, lasciando ampia discrezionalità agli Stati membri su tale aspetto.
Da ultimo il reg. CE, 23.10.2007, n. 1370 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia ha abrogato i regolamenti n. 1191/1969 e n. 1107/1970, escludendo dal campo di applicazione del regolamento i servizi di trasporto pubblico di passeggeri per via navigabile, nonché i servizi di trasporto di merci. Il regolamento ha definito il servizio di trasporto di passeggeri come servizio di interesse economico generale che deve essere offerto al pubblico senza discriminazione e in maniera continuativa, consentendo in tale ambito la possibilità di concedere alle imprese finanziamenti pubblici e diritti esclusivi attraverso l’affidamento di contratti di servizio pubblico per compensare gli oneri di servizio pubblico. La normativa europea fa salva la necessità di regolare ex-ante in modo obiettivo e trasparente le risorse statali da attribuire alle imprese di trasporto e scoraggia la copertura ex-post delle perdite di gestione.
Per quanto concerne invece il divieto per gli Stati di falsare la concorrenza tra Stati membri, il Trattato disciplina il caso specifico relativo ai trasporti all’interno della Comunità, disponendo un divieto generale agli Stati di imporre prezzi e condizioni che importino qualsiasi elemento di sostegno o di protezione nell’interesse di una o più imprese o industrie particolari, salvi i casi in cui tale applicazione sia autorizzata dalla Commissione, la quale assume le proprie decisioni dopo aver consultato tutti gli Stati membri interessati, avendo particolare riguardo «da una parte, alle esigenze di una politica economica regionale adeguata, alle necessità delle regioni sottosviluppate e ai problemi delle regioni che abbiano gravemente risentito di circostanze politiche e d’altra parte all’incidenza di tali prezzi e condizioni sulla concorrenza tra i modi di trasporto» (art. 96, TFUE).
Il settore ferroviario rappresenta un classico esempio della tradizione giuridica italiana di intervento statale nelle industrie di pubblica utilità e delle difficoltà connesse all’adattamento delle istituzioni nazionali alle pressioni europee di liberalizzazione. Le ferrovie sono state storicamente concepite come servizio pubblico essenziale e gestite dallo Stato attraverso il meccanismo della riserva originaria di attività prevista all’art. 43 Cost., in un primo momento in via diretta attraverso un’Azienda autonoma (l. 22.4.1905, n. 137 e R.d. 15.6.1905, n. 259, poi in via indiretta per mezzo di un Ente pubblico economico (l. 17.5.1985 n. 210), fino alla concessione del servizio a una Società per azioni interamente partecipata dallo Stato (delibera CIPE 12.8.1992, n. 60).
La liberalizzazione del trasporto ferroviario è stata imposta a livello comunitario a partire dalla dir. 29.7.1991, n. 91/440/CEE che ha introdotto i principi di separazione delle imprese ferroviarie dai gestori dell’infrastruttura sul piano contabile e/o organizzativo, di indipendenza gestionale delle imprese ferroviarie, con l’obbligo di gestione di tali imprese secondo i principi validi per le società commerciali e di compatibilità delle misure finanziarie degli Stati membri con le norme comunitarie relative agli aiuti di Stato. Sono quindi state previste misure volte al superamento della gestione monopolistica dell’intera filiera produttiva ed è stata limitata la possibilità di riserva di attività all’elemento di monopolio naturale costituito dalla rete fisica dell’infrastruttura per consentire lo sviluppo delle potenzialità competitive nel segmento di attività dei servizi di trasporto e l’ingresso di nuovi entranti che operino in concorrenza con l’incumbent nazionale. Tale diffuso fenomeno ha portato la dottrina a parlare di «segmentazione dei servizi pubblici oggettivi» (D’Alberti, M., Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2013, 173).
A tal fine la normativa comunitaria ha introdotto un sistema di licenze attraverso il quale l’intervento dei pubblici poteri degli Stati membri è stato confinato alla verifica non discrezionale dei requisiti prestabiliti dalla legge in capo alle imprese ferroviarie (dir. 19.6.1995, n. 95/18/CE) ed ha imposto ai gestori delle infrastrutture l’obbligo di garantire loro l’accesso alla rete in modo equo e non discriminatorio (dir. 19.6.1995, n. 95/19/CE) (sul più ampio fenomeno della riduzione della discrezionalità nell’intervento dei pubblici poteri nell’economia cfr. D’Alberti, M., Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Bologna 2008, 100 ss.).
Il diritto europeo ha liberalizzato in modo graduale il mercato dei servizi di trasporto ferroviario. Il diritto di accesso alle infrastrutture ferroviarie alle imprese di trasporto è stato attribuito inizialmente solo per quanto concerneva il trasporto internazionale merci, per poi essere esteso attraverso tre pacchetti di direttive (del 2001, 2004 e 2007) fino al trasporto internazionale di passeggeri a partire dal 2010. Nel 2012 è stata adottata una direttiva di rifusione e riunione in un unico atto delle direttive di liberalizzazione del settore contenente misure finalizzate a promuovere un’effettiva apertura alla concorrenza anche dei servizi di trasporto passeggeri, a rafforzare l’indipendenza degli organismi di regolamentazione nonché la trasparenza e l’accesso non discriminatorio all’infrastruttura ferroviaria (dir. 21.11.2012, n. 2012/34/UE). Il 30 gennaio 2013 la Commissione europea ha proposto l’adozione di un quarto pacchetto di direttive e regolamenti finalizzato alla realizzazione di un approccio integrato per rivitalizzare il trasporto ferroviario e favorire la creazione di uno spazio ferroviario unico europeo (COM, 2013, 25). La Commissione non ha imposto la separazione proprietaria, prevedendo esclusivamente il rispetto di «condizioni rigorose a tutela dell’indipendenza del gestore dell’infrastruttura» (COM, 2013, 25, 6) quali, ad esempio, organi decisionali diversi e distinti, flussi finanziari separati, archivi commerciali riservati, soggette ad una procedura di verifica per gli Stati membri che scelgono di mantenere le strutture di holding verticalmente integrate esistenti, al fine di garantire una reale situazione di parità per tutte le imprese ferroviarie.
La normativa europea ha lasciato un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri per quanto riguarda il regime giuridico da applicare ai soggetti operanti nell’industria ferroviaria a livello nazionale, restando impregiudicato il regime proprietario delle imprese, purché sia garantito l’uso equo, trasparente e non discriminatorio della rete.
L’Italia ha formalmente adempiuto agli obblighi imposti in sede comunitaria, realizzando una riforma per alcuni aspetti anche più radicale rispetto a quanto previsto dalle direttive europee. Nei primi anni Novanta, nonostante l’indifferenza del diritto europeo sulla situazione proprietaria delle imprese, le ferrovie italiane sono state oggetto di una privatizzazione formale (delibera CIPE n. 60/1992). Alla privatizzazione è seguita la separazione strutturale tra la società di gestione dell’infrastruttura e l’impresa che svolge il servizio di trasporto, in anticipo rispetto alle previsioni comunitarie. In Italia infatti la separazione societaria tra il gestore dell’infrastruttura e l’impresa ferroviaria è stata introdotta nel 2000, quando il diritto europeo imponeva esclusivamente la separazione contabile.
La concessione sessantennale rilasciata il 31.10.2000 a Ferrovie dello Stato S.p.A. (F.S.) (d.m. 31.10.2000, n. 138T/2000), che ha sostituito la precedente del 1993, ha introdotto l’autonomia contabile e divisionale tra le attività svolte in base alla concessione e quelle svolte in qualità di impresa ferroviaria di servizi ed ha stabilito che il concessionario provvedesse alla costituzione di apposita società per la gestione dell’infrastruttura ferroviaria nazionale. In attuazione di tale norma è stata costituita nel luglio del 2001 la società Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (R.F.I.), controllata interamente dal gruppo F.S.
Anche per quanto attiene alla liberalizzazione, le riforme italiane hanno anticipato le disposizioni europee. Oltre ad aver abolito i diritti di esclusiva delle imprese ferroviarie per i servizi di trasporto dei quali era imposta la liberalizzazione dalla normativa comunitaria (d.P.R. 8.7.1998, n. 277), la disciplina italiana ha esteso l’ambito di applicazione delle norme ai servizi di trasporto merci e passeggeri non ancora liberalizzati dal diritto europeo (art. 131, co. 1, l. 23.12.2000, n. 388). A tal fine il regime concessorio è stato sostituito da quello autorizzatorio per tutte le attività di trasporto ferroviario, incluse quelle non liberalizzate dalle direttive comunitarie. Il 23 maggio del 2000 è stata rilasciata dall’allora Ministero dei trasporti e della navigazione la prima licenza per lo svolgimento dell’attività di trasporto passeggeri alla società Trasporti Ferroviari, ora Trenitalia S.p.A., società parte del gruppo Ferrovie dello Stato S.p.a. insieme al gestore della rete R.F.I. S.p.A.
La privatizzazione, la separazione societaria, l’abrogazione di diritti esclusivi alle imprese ferroviarie e l’introduzione di strumenti autorizzatori per i servizi di trasporto non ancora liberalizzati dalle direttive comunitarie sono tutte misure, introdotte con anticipo ed indipendentemente da quanto previsto in sede europea, finalizzate a creare le condizioni per una concorrenza nel mercato dei servizi di trasporto sia di merci che di passeggeri, salva la possibilità di interventi nei settori non remunerativi tramite contratti di servizio pubblico.
Ciononostante, il modello di implementazione delle norme comunitarie adottato in Italia non si è rivelato sufficiente per realizzare gli obiettivi europei di liberalizzazione né a sedare le preoccupazioni della Commissione sotto tale aspetto. Il trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza è stato per lungo tempo monopolizzato dall’incumbent nazionale. L’ingresso di nuovi operatori è stato in più occasioni ostacolato da comportamenti escludenti da parte del gestore della rete sanzionati dall’autorità antitrust italiana ed europea come abusi di posizione dominante (si veda ad esempio il recente provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, A443 – NTV/FS/ostacoli all'’accesso nel mercato dei servizi di trasporto ferroviario passeggeri ad alta velocità, Provv. 23.10.2013 n. 24550). Lo Stato italiano oltretutto è stato di recente condannato dalla Corte di Giustizia europea per non aver correttamente implementato le direttive europee di liberalizzazione sotto il profilo dell’indipendenza nella gestione dell’infrastruttura nella determinazione delle tariffe di accesso (C. giust. UE, 3.10.2013 C-369/11, Commissione europea c. Repubblica italiana).
La disciplina del trasporto aereo distingue tra trasporti di linea e non di linea, oltre che tra trasporti di dimensione nazionale o comunitaria - soggetti alle norme europee di liberalizzazione - e quelli internazionali - disciplinati da accordi bilaterali tra Stati- (Rangone, N., Tasporto, IX) Regolazione dei trasporti - dir. amm., in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006).
Originariamente le norme del Codice della navigazione (R.D. 30.3.1942, n. 327) relative al trasporto aereo prevedevano che i servizi di trasporto aereo di linea non potessero essere istituiti né esercitati se non per concessione governativa (art. 776 cod. nav.). Analogamente a quanto avvenuto nel settore ferroviario, la normativa europea di liberalizzazione ha limitato la possibilità gestione del servizio in via esclusiva mediante concessione.
La dir. 25.7.1983 n. 83/416/CEE, recepita nel nostro ordinamento con il d.P.R. n. 869/1985, ha imposto l’affidamento attraverso un meccanismo autorizzatorio dei servizi aerei regolari interregionali di linea tra i Paesi membri della Comunità europea per il trasporto di passeggeri o di passeggeri insieme con posta e/o merci per viaggi che abbiano origine e termine nel territorio europeo degli Stati membri.
Come nel settore ferroviario, la liberalizzazione del trasporto aereo è avvenuta gradualmente, attraverso l’adozione di tre “pacchetti” di norme comunitarie (del 1987, del 1990 e del 1992, sui quali cfr. Girardi, P. Politiche comunitarie, Politica dei trasporti aerei, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1998). Nel 1992 è stato adottato il cosiddetto terzo pacchetto di regolamenti che ha disciplinato il rilascio delle licenze ai vettori aerei e l’accesso dei vettori aerei della Comunità alle rotte intracomunitarie liberalizzando i servizi di trasporto aereo di linea e non di linea offerti da vettori dotati di licenza, nonché il cabotaggio, ossia il traffico tra due aeroporti nel medesimo Stato, e le tariffe aeree per il trasporto di passeggeri e di merci (reg. CEE, 23.7.1992, nn. 2407, 2408, 2409). Nel 2004 sono stati adottati regolamenti finalizzati alla creazione di un “cielo unico europeo” attraverso l’imposizione di requisiti comuni per la sicurezza e l’efficienza della fornitura dei servizi di navigazione aerea e misure volte a realizzare l’interoperabilità della rete europea di gestione del traffico aereo (reg. CE, 10.3.2004,nn. 550 e 552). È interessante notare come, a differenza del settore ferroviario, le norme relative al trasporto aereo siano state adottate nella forma del regolamento, lasciando un minore spazio di discrezionalità agli Stati nella loro attuazione.
Uno degli interventi più rilevanti nella legislazione italiana in materia è stato il d.lgs. 9.5.2005, n. 96 che ha apportato notevoli modifiche al codice della navigazione. Il decreto ha in primo luogo stabilito, conformemente al dettato comunitario, che i servizi di trasporto aereo di passeggeri, posta o merci, di linea e non di linea, su rotte intracomunitarie possono essere effettuati da tutti i vettori che ottengano una licenza di esercizio ed una certificazione quale operatore aereo secondo la normativa vigente (art. 776, c. nav.). I servizi di trasporto aereo di linea extracomunitari disciplinati da accordi internazionali sono affidati dall’autorità nazionale, l’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC), sulla base di criteri preventivamente stabiliti e resi pubblici e mediante procedure trasparenti e non discriminatorie (art. 785, c. nav.) I servizi extracomunitari non di linea sono consentiti, a condizione di reciprocità, ai vettori aerei titolari di licenza comunitaria e ai vettori dello Stato con il quale si svolge il traffico (art. 787, c. nav.)
Per quanto attiene agli accordi internazionali, con la nota sentenza “Open Skies” del 2002 la Corte di Giustizia europea ha attribuito alla competenza esclusiva dell’Unione la conclusione di accordi bilaterali nel settore dell’aviazione (C. giust. CE, 5.11.2002, C-476/98, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania). A tale sentenza è seguita l’adozione del reg. CE, 29.4.2004, n. 847 che ha assoggettato al controllo della Commissione europea e degli altri Stati membri la negoziazione e l’applicazione di accordi in materia di servizi aerei stipulati dagli Stati membri con i paesi terzi.
Il terzo pacchetto di norme di liberalizzazione è stato da ultimo interamente abrogato e sostituito dal reg. CE, 24.9.2008, n. 1008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità. Il regolamento ha ridefinito i requisiti per il rilascio e il mantenimento delle licenze di esercizio per il trasporto aereo ai vettori aerei comunitari, il diritto dei vettori aerei comunitari di prestare servizi aerei intracomunitari e la determinazione del prezzo dei servizi aerei intracomunitari.
Nell’attuale disciplina giuridica del trasporto marittimo si distingue tra linee di interesse internazionale, nazionale e locale. Le prime sono disciplinate dalle c.d. “conferenze marittime” soggette a partire dal 1974 al codice di condotta dell’United Nations Conference on Trade and Development (sull’evoluzione delle conferenze marittime cfr. Cantarini, S., Trasporti marittimi, in Zunarelli, S., a cura di, Il diritto del mercato del trasporto, Padova, 2008, 41 ss.). Le conferenze sono state definite dal diritto europeo come «un gruppo di due o più trasportatori armatori che assicura servizi internazionali di linea per il trasporto di merci su una o più linee entro limiti geografici determinati e in base ad accordi o intese di qualunque natura, nell’ambito dei quali essi gestiscono in comune applicando tassi di nolo uniformi o comuni e ogni altra condizione concordata nei riguardi della fornitura di detti servizi di linea» (art. 1, co. 3, lett. b, Reg. CEE, 22.12.1986, n. 4056). Tali accordi si configurano come veri e propri cartelli tra imprese e sono stati in un primo momento esentati dal divieto di intese restrittive della concorrenza ai sensi del Reg. CEE, n. 4056/1986, in seguito abrogato dal reg. CE, 25.9.2006, n. 1419 che ha assoggettato le conferenze marittime all’applicazione del diritto della concorrenza compreso il divieto di intese.
La Corte di Giustizia europea con una nota sentenza del 1974 ha precisato che il settore del trasporto marittimo e aereo deve rispettare i principi generali dell’ordinamento comunitario, primo fra i quali il principio di concorrenza (C. giust. CEE, 4.4.1974, C-167/73 Commissione delle Comunità europee c. Repubblica francese).
Le norme europee fondamentali di liberalizzazione del settore sono rappresentate reg. CEE, 22.12.1986, n. 4055 sull’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e Paesi terzi ed il successivo reg. CEE, 7.12.1992, n. 3577 che disciplina la libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi all’interno degli Stati membri (cabotaggio marittimo).
Il trasporto pubblico locale, nell’ambito dei servizi pubblici locali, è stato oggetto della nota legge sulle municipalizzazioni dei primi del Novecento che consentiva ai comuni l’assunzione diretta del servizio (l. 29.3.109, n. 103, poi confluita nel R.d. 15.10.1925, n. 2578). Tradizionalmente i servizi di trasporto locale erano svolti in base a concessioni attribuite in assenza di procedure concorsuali a soggetti privati ai quali erano riconosciuti diritti di esclusiva (si veda ad esempio la l. 28.9.1939, n. 1822 per quanto attiene alle autolinee). Con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica, sono state affidate alla potestà legislativa delle regioni esclusivamente le tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale, nonché la navigazione e porti lacuali (art. 117, Cost., nella versione precedente alla l. cost. 18.10.2001, n. 3 di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione). In tali materie le funzioni amministrative spettavano alle Regioni, le quali avrebbero dovuto conferirle alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali, salva la necessità di un esercizio unitario a livello regionale (art. 118, Cost., versione antecedente alla riforma del 2001). Le altre materie concernenti i trasporti pubblici erano di competenza statale, tuttavia lo Stato poteva conferire alle Regioni l’esercizio delle funzioni amministrative a queste relative.
Il decentramento delle funzioni in materia di trasporti pubblici è stato attuato nella fase antecedente alla l. cost. 18.10.2001, n. 3 di modifica del titolo V della Costituzione attraverso la l. 15.3.1997, n. 59 ed il d.gs. 19.11.1997, n. 422. La cd. “legge Bassanini” ha previsto il conferimento alle Regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale (art. 4, co. 4, l. n. 59/1997). In attuazione della legge delega è stato adottato il d.lgs. n. 422/1997, successivamente modificato dal d.lgs. 20.9.1999, n. 400, che ha conferito alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati», esclusi i trasporti pubblici di interesse nazionale. Il decreto ha altresì fissato i criteri di organizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale (artt. 1 e 3, d.lgs. 422/1997). La disciplina del trasporto pubblico costituisce lex specialis rispetto a quella dettata dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica (art. 113, co.1-bis, d.lgs. 18.8.2000, n. 267).
Il d.lgs. n. 422/1997 ha definito i servizi pubblici di trasporto regionale e locale come i servizi di trasporto di persone e merci, esclusi quelli tassativamente individuati di interesse nazionale, comprensivi di tutti i sistemi di mobilità «terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso generalizzato, nell’ambito di un territorio di dimensione normalmente regionale o infraregionale» (art. 1, co. 2, d.lgs. n. 422/1997). Restano di competenza statale i servizi di trasporto aereo e marittimo ultraregionale, i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, i servizi di trasporto ferroviario internazionali e quelli nazionali di percorrenza medio-lunga, i collegamenti via mare fra terminali ferroviari ed i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti (art. 3, d.lgs. n. 422/1997) oltre ad alcune funzioni trasversali come quelle in materia di sicurezza (art. 4, d.lgs. n. 422/1997).
Tra le prerogative statali delegate alle Regioni rientrano le funzioni di programmazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale. È attribuito alle Regioni il compito di definire gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali, tenendo conto della programmazione degli enti locali, in connessione con le previsioni di assetto territoriale e di sviluppo economico. Spetta inoltre alle Regioni la funzione di regolamentare la rete e l’organizzazione dei servizi, l’integrazione modale e tariffaria, di definire le politiche di investimenti e tariffarie, nonché le modalità di attuazione e revisione dei contratti di servizio pubblico ed il sistema di monitoraggio dei servizi ed i criteri per la riduzione della congestione e dell’inquinamento ambientale (art. 14, d.lgs. n. 422/1997).
Il diritto europeo, considerando impossibile una gestione puramente commerciale di molti servizi di trasporto terrestre di passeggeri che rappresentano una necessità sul piano dell’interesse economico generale, ha consentito in questo settore la possibilità di attribuire finanziamenti pubblici e diritti esclusivi alle imprese attraverso l’affidamento di contratti di servizio pubblico (reg. CEE, n. 1191/1969 e reg. CEE, n. 1107/1970, abrogati e sostituiti dal reg. CE, n.1370/2007). Attraverso tale strumento le autorità competenti degli Stati membri hanno la possibilità di compensare le imprese degli oneri di servizio pubblico concedendo loro un diritto di esclusiva e/o una compensazione di qualsivoglia natura all’impresa che eroga il servizio. La proposta della Commissione sull’adozione del quarto pacchetto ferroviario contiene una modifica del regolamento relativo agli obblighi di servizio pubblico nel trasporto pubblico di passeggeri su strada e per ferrovia con l’introduzione di gare d’appalto obbligatorie per i contratti di servizio pubblico a decorrere dal dicembre 2019, accompagnata tuttavia dalla previsione di una soglia minima al di sotto della quale i contratti possono essere assegnati direttamente, al fine di evitare che ai contratti sia conferito un ambito di applicazione geografico troppo esteso e che questo elemento sia utilizzato per precludere i mercati (COM(2013)25, 8).
In Italia per liberalizzare il mercato dei servizi di trasporto regionale e locale, consentendo la continuità del trasporto di persone ed evitando fenomeni di vuoti di offerta nelle aree di mercato non remunerative, si è adottato un meccanismo di concorrenza per il mercato, con il ricorso alle procedure concorsuali per la scelta del gestore del servizio sulla base degli elementi del contratto di servizio e in conformità alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizio. Per promuovere l’effettiva introduzione di criteri concorrenziali nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale è previsto che le Regioni e gli enti locali nell’affidamento dei servizi si attengano ai princìpi di neutralità ed indipendenza propri delle autorità indipendenti di regolazione dei servizi di pubblica utilità (art. 18, co. 2, d.lgs. n. 422/1997).
La definizione degli obblighi di servizio pubblico spetta alle Regioni, Province e Comuni, i quali stabiliscono nei contratti di servizio, prima dell’inizio del loro periodo di validità, le corrispondenti compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, assicurando la completa corrispondenza fra oneri per servizi e risorse disponibili, al netto dei proventi tariffari tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e di quelli derivanti anche dalla eventuale gestione di servizi complementari alla mobilità (artt. 17 e 19, d.lgs. n. 422/1997). Su tale norma è di recente intervenuto il decreto cd. spending review (d.l. 6.7.2012, n. 95) che ha statuito che le compensazioni per gli oneri di servizio pubblico sono determinate «secondo il criterio dei costi standard che dovrà essere osservato dagli enti affidanti nella quantificazione dei corrispettivi da porre a base d’asta previsti nel bando di gara o nella lettera di invito delle procedure concorsuali» (art. 17, d.lgs. n. 422/1997, come integrato dall’art. 23, co. 12-undecies, d.l. n. 95/2012).
Con la riforma del titolo V (l. cost. n. 3/ 2001) i settori dei porti e aeroporti civili, delle grandi reti di trasporto e di navigazione sono stati attribuiti alla legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni (art. 117, co. 3, Cost.). Per i restanti aspetti la competenza regionale è residuale esclusiva (art. 117, co. 4, Cost.). La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, co. 2, lett. m, Cost.) e la tutela della concorrenza sono invece materie riservate alla potestà normativa statale (art. 117, co. 2, lett. e, Cost.).
Sulla base di quest’ultima disposizione, la recente attribuzione di funzioni inerenti all’accesso al mercato dei trasporti anche nell’ambito dei servizi di trasporto locale ad un’amministrazione centrale, l’Autorità di regolazione dei trasporti istituita ai sensi dell’art. 37, d.l. 6.12.2011, n. 201, è stata considerata conforme al dettato costituzionale da parte della Consulta (C. cost., 11.3.2013, n. 41).
La breve analisi della disciplina dei trasporti pubblici evidenzia le problematiche connesse al mutato regime giuridico delle industrie a rete ed il conseguente riposizionamento del ruolo dello Stato nei settori di pubblica utilità. L’evoluzione normativa conseguente alle riforme di liberalizzazione imposte dal diritto europeo ha portato a concepire il settore dei trasporti come un campo soggetto alle regole di mercato nel quale l’interesse alla tutela della concorrenza assume un ruolo centrale. Ciononostante, la formale implementazione della disciplina comunitaria in Italia non appare ancora sufficiente a superare in concreto le resistenze dei poteri pubblici a cedere il loro controllo in tale campo ed a realizzare un’effettiva liberalizzazione del mercato auspicata in sede europea. Tale difficoltà è stata accentuata dall’assenza per lungo tempo in Italia di un’autorità di regolazione terza e neutrale rispetto agli interessi in gioco.
La nota metafora del passaggio dallo Stato interventista allo Stato regolatore (Majone, G. From the Positive to the Regulatory State: causes and consequences of changes in the mode of governance, in Journal of Public Policy, 17, 2, 1997, 139-167) denota il fenomeno di riforma degli strumenti giuridici di intervento pubblico nell’economia, legato ai processi di liberalizzazione e di privatizzazione delle grandi industrie a rete di pubblica utilità, il quale ha avuto in molti casi tra le sue conseguenze la nascita e lo sviluppo di autorità indipendenti sia dal potere politico che dalle imprese regolate (D’Alberti, M., Autorità indipendenti - dir. amm., in Enc. giur. Treccani, Roma, 1995). Una parte della dottrina ha interpretato la creazione delle autorità indipendenti come una risposta da parte dei governi alle pressioni funzionali derivanti dalle riforme delle industrie a rete, quali la necessità di affrontare questioni tecniche particolarmente complesse, quella di assumere impegni credibili e di lungo periodo con gli imprenditori privati, di adottare scelte impopolari e di dare attuazione agli obblighi imposti da attori sopranazionali (Thatcher, M., Delegation to Independent Regulatory Agencies: Pressures, Functions and Contextual Mediation, in West European Politics, 25, 1, 130).
I vantaggi derivanti dalla creazione di un’autorità indipendente alla quale delegare i poteri del Governo appaiono piuttosto significativi nel settore dei trasporti. In primo luogo, l’introduzione degli obblighi di accesso equo e non discriminatorio alla rete e l’attribuzione di licenze alle imprese intenzionate ad operarvi implicano una serie di problematiche di ordine tecnico, legate alle caratteristiche proprie dell’industria, che richiedono un’elevata competenza tecnica settoriale, oltre che un’effettiva imparzialità e neutralità rispetto agli interessi economici in gioco, entrambe caratteristiche tipiche delle autorità amministrative indipendenti.
Un altro vantaggio dalla creazione di un’autorità indipendente per i trasporti deriva dall’esigenza di coordinamento nelle politiche di investimenti e di gestione dell’infrastruttura e dalla necessità di sussidi per coprire gli elevati costi di mantenimento ed il rispetto degli oneri di servizio pubblico. La delega di poteri ad un’autorità indipendente consente infatti di isolare le scelte industriali dalle dinamiche della politica, permettendo l’attuazione di strategie economiche di lungo periodo che aumentino l’efficienza e rendano il settore attrattivo per gli investitori privati.
Infine, l’istituzione di un’autorità di regolazione, indipendente dai vari soggetti operanti nel settore, per vigilare sull’assenza di distorsioni e abusi nel contesto concorrenziale creato dalle riforme di liberalizzazione, è stata imposta al Governo italiano dal diritto europeo. L’art. 30, co.1 della dir. 2001/14/CE ha introdotto nel settore ferroviario l’obbligo di istituire un organismo di regolazione in posizione di terzietà rispetto alle imprese regolate ed in particolare al soggetto preposto all’assegnazione della capacità infrastrutturale ed alla determinazione del relativo canone. In Italia l’art. 37, d.lgs. 8.7.2003, n. 188, attuativo delle direttive europee del cd. primo pacchetto ferroviario, ha individuato l’organismo di regolazione nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o nelle sue articolazioni. Tale disposizione è stata inizialmente attuata attraverso l’istituzione di un Ufficio per la Regolazione dei Servizi Ferroviari (U.R.S.F.) interno al Ministero e operante alle dirette dipendenze del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (art. 16 del d.P.R. 2.7.2004, n. 184).
Nel contesto proprietario dell’industria ferroviaria italiana, nel quale il gruppo societario F.S. è interamente controllato dallo Stato, l’indipendenza del regolatore dalle imprese regolate implica necessariamente l’indipendenza anche dal Governo (azionista e concessionario dell’attività di gestione della rete). In relazione a tale aspetto lo Stato italiano è stato messo in mora dalla Commissione europea per non aver attuato correttamente le direttive comunitarie di liberalizzazione del settore ferroviario, con particolare riguardo all’indipendenza dei soggetti deputati all’assolvimento delle funzioni essenziali connesse con l’accesso all’infrastruttura ferroviaria, in particolare quelle relative all’assegnazione delle tracce e all’imposizione dei diritti di accesso alla rete, al sistema di tariffazione dell’accesso alla rete ed ai poteri ed all’autonomia dell’organismo di regolazione (Commissione europea – Procedura di infrazione n. 2008/2097). A fronte della procedura di infrazione, sono state introdotte dal Governo italiano misure per rafforzare l’autonomia funzionale e finanziaria dell’U.R.S.F. attribuendogli il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei soggetti controllati (art. 2 , co. 1, d.l. 25.9.2009, n. 135). Ciononostante, nel luglio 2011 la Commissione europea ha proposto ricorso contro l’Italia alla Corte di Lussemburgo, ribadendo la necessaria indipendenza del regolatore dalle imprese regolate.
In pendenza della decisione della Corte di Giustizia è stato adottato il d.l. 6.12. 2011, n. 201, recante “disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito, con modificazioni, nella l. 22.12.2011, n. 214, con il quale è stata l’istituita un’Autorità amministrativa indipendente per il settore dei trasporti (art. 37 D.L. 201/2011). Le difficoltà legate alle nomine ne hanno tuttavia bloccato il processo di attuazione. I componenti dell’Autorità sono stati definitivamente nominati solo nell’agosto 2013 (con il d.P.R. 9.8.2013). L’Autorità è entrata nella piena operatività solo nel gennaio 2014 con l’approvazione del Regolamento del 15.1.2014 che ha disciplinato i procedimenti decisionali dell’Autorità e per la partecipazione ad essi da parte degli interessati.
All’Autorità sono stati affidati i compiti di garantire l’efficienza produttiva delle gestioni ed il contenimento dei costi, di assicurare condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali, nonché in relazione alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti. L’Autorità svolge le funzioni di organismo di regolazione dell’accesso alle reti di trasporto; definisce i criteri per la fissazione delle tariffe, dei canoni e dei pedaggi; stabilisce le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico; è preposta alla definizione del contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi e delle infrastrutture di trasporto. Un altro compito attribuito all’Autorità è quello di definire gli schemi dei bandi delle gare per l’assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare, nonché i criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici e di verifica del rispetto dell’obbligo di garantire l’accesso con riferimento al trasporto ferroviario regionale. All’Autorità sono infine attribuiti poteri di vigilanza, sanzionatori e inibitori dei comportamenti anticoncorrenziali delle imprese.
Al fine di assicurarne la responsabilità ed il controllo, sono previsti obblighi di pubblicità in capo all’Autorità, nonché l’obbligo di riferire annualmente alle Camere evidenziando lo stato della disciplina di liberalizzazione adottata e la parte ancora da definire. L’istituzione dell’Autorità fa salve le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero dell’economia e delle finanze nonché del CIPE in materia di approvazione di contratti di programma nonché di atti convenzionali, con particolare riferimento ai profili di finanza pubblica.
Uno dei primi atti dell’Autorità di regolazione dei trasporti concerne proprio la liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario. Attese le sussistenti difficoltà di ingresso nel mercato evidenziate dalle imprese ferroviarie, l’Autorità ha avviato il procedimento per l’adozione di specifiche misure di regolazione volte a garantire condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori.
Per concludere, dall’analisi della riforma dei trasporti pubblici in Italia emerge che, sebbene a livello giuridico sia stata introdotta una disciplina volta al perseguimento di obiettivi di liberalizzazione, la transizione dal regime monopolistico ad uno effettivamente concorrenziale richiede l’introduzione di una regolazione efficace, credibile, coerente e attenta ai profili economici e sociali legati al settore di riferimento in grado di ridurre le barriere all’ingresso, garantendo allo stesso tempo l’interesse pubblico alla fruibilità generalizzata del servizio nell’ambito di un’attività gestita secondo logiche commerciali.
L’istituzione dell’autorità di regolazione indipendente sembra rappresentare un primo passo in tale direzione. La tempistica per la sua entrata in funzione, la permanenza di assetti proprietari verticalmente integrati, nonché il penetrante controllo pubblico sulla gestione della rete sembrano tuttavia dimostrare la forte difficoltà per il Governo italiano a cedere il proprio potere di influenza sul settore.
Artt. 4, 14, 58, 90, 93, 95, 100, 106,107 TFUE; art. 36, Carta di Nizza; artt. 43, 117, 118 Cost.; L. cost. 18.10.2001, n. 3; reg. (CEE) 22.12.1986 n. 4056; reg. (CE) 25.9.2006, n. 1419; reg. (CEE) 22.12.1986, n. 4055; reg. (CEE) 7.12.1992, n. 3577; L. 29.3.109, n. 103; R.D. 15.10.1925, n. 2578; L. 28.9.1939, n. 1822; L. 15.3.1997, n. 59; d.lgs. 19.11.1997, n. 422; d.lgs. 20.9.1999, n. 400; art. 113, co.1- bis, d.lgs. 18.8.2000, n. 267; D.l. 6.7.2012, n. 95; D.l. 6.12.2011, n. 201; reg. (CEE) 26.6.1969, n. 1191; reg. CEE 4.6.1970, n. 1107; reg. (CEE) 20.6.1991, n. 1893; reg. (CE) 23.10.2007 n. 1370 che ha abrogato i reg. n. 1191/1969 e n. 1107/1970; dir. 2001/12/CE; dir. 2001/13/CE; dir. 2001/14/CE; dir. 2001/16/CE; dir. 2004/49/CE; reg. (CE) n. 1/2003; dir. 2004/50/CE; dir. 2004/51/CE; dir. 2007/58/CE; dir. 2007/59/CE; reg. (CE) n. 1371/2007; l. 22.4.1905, n. 137; r.d. 15.6.1905, n. 259; l. 17.5.1985 n. 210; dir. 29.7.1991 n. 91/440/CEE; delibera CIPE 12.8.1992, n. 60; dir. 19.6.1995, n. 95/18/CE; dir.19.6.1995, n. 95/19/CE; dir. 21.11.2012, n. 2012/34/UE; COM, 2013, 25; D.M. 31.10.2000, n. 138T/2000; d.P.R. 8.7.1998, n. 277; art. 131, co. 1, l. 23.12.2000, n. 388; r.d. 30.3.1942, n. 327; art. 776, 785, 787 cod. nav.; dir. 25.7.1983 n. 83/416/CEE; d.P.R. n. 869 del 1985; reg. CEE 23.7.1992, nn. 2407, 2408, 2409; reg. CE 10.3.2004, nn. 550/2004, 552/2004; d.lgs. 9.5.2005, n. 96; reg. (CE) 29.4.2004 n. 847; reg. (CE) 24.9.2008, n. 1008.
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