TRASMISSIONE. Trasmissioni meccaniche
Le trasmissioni meccaniche servono a realizzare la trasmissione della potenza tra due macchine o organi di macchine, e poiché abitualmente la potenza viene fornita e utilizzata come prodotto di un momento per una velocità angolare, il problema della trasmissione della potenza si riduce a quello della trasmissione di un momento (cioè della forza periferica corrispondente) e di una velocità angolare.
Cinematicamente considereremo perciò la trasmissione del moto di rotazione da un albero (albero motore) a un altro (albero mosso) con un rapporto delle velocità angolari ε = ωa/ωb.
Si possono distinguere due casi: trasmissione diretta e trasmissione indiretta a seconda che i due alberi (o le due ruote su esse calettate) si trasmettano il moto direttamente o con l'interposizione di un organo meccanico intermedio.
I. Trasmissione diretta. - 1. Alberi di trasmissione. - Il caso più semplice è che il rapporto delle velocità angolari ε = ωa/ωb sia eguale a 1; esso si risolve, tutte le volte che è possibile, collegando direttamente l'albero motore e l'albero mosso con un albero di trasmissione.
Per quanto si riferisce agli alberi, v. macchine.
2. Ruote di trasmissione. - Qualora gli alberi tra i quali il movimento deve essere trasmesso non siano in immediato prolungamento uno dell'altro o non sia identica la velocità angolare, la trasmissione del moto si può effettuare mediante ruote di trasmissione, che possono essere ruote di frizione, ovvero ruote dentate.
Le superficie di contatto delle ruote nel primo caso e quelle sulle quali sono praticati i denti nel secondo caso dipendono dalla disposizione dei due assi a e b tra i quali si deve trasmettere il moto e dalla legge di trasmissione, cioè dal rapporto ε = ωa/ωb delle velocità angolari dei due assi a e b, rapporto che supporremo costante.
Il caso più generale è che la trasmissione del moto si debba effettuare tra due assi sghembi: allora le due superficie risultano iperboloidiche rigate di rivoluzione definite dalla posizione della retta generatrice c comune ai due iperboloidi. Indicando con AB la minima distanza dei due assi a e b, con C il punto d'intersezione di c con AB e con α e β gli angoli tra c e le parallele per C agli assi a e b, la posizione di c risulta (fig.1) dalle relazioni:
cioè la direzione di c coincide con quella della diagonale del parallelogramma delle velocità angolari ωa e −ωb avente vertice in C. Le ruote corrispondenti a tali superficie iperboloidiche sono ruote iperboloidiche e sono costituite da due fette dei due iperboloidi (fig. 2); per difficoltà costruttive esse sono però raramente usate, salvo in qualche caso speciale.
Il moto relativo di tali ruote si riduce a un moto elementare elicoidale intorno all'asse c, composto di una rotazione intorno a c con velocità angolare Ω risultante di ωa e −ωb, cioè:
e di uno scorrimento lungo c con velocità lineare:
Dal caso generale della trasmissione tra assi sghembi si possono dedurre i due casi particolari di gran lunga più importanti in pratica: trasmissione tra assi paralleli e trasmissione tra assi concorrenti.
Nel primo caso essendo a + β = 0 e α = 0, β = 0 i due iperboloidi si riducono a due superficie cilindriche circolari di raggio ra = AC, rb = BC definite per la (1) dalla relazione ra/rb = ε; le ruote sono ruote cilindriche (fig. 3) e il loro moto relativo si riduce a una rotazione intorno a c (parallela ad a e a b) con velocità angolare Ω somma di ωa e di −ωb risultando la velocità s di scorrimento della (2′) eguale a zero.
Nel secondo caso, essendo AB − 0, AC = 0, BC = 0, i due iperboloidi si riducono a due superficie coniche circolari definite per la (1′) dalla relazione sen β/sen α = ε, le ruote sono ruote coniche (fig. 4) e, risultando la velocità s di scorrimento della (2′) eguale a zero, il loro moto relativo si riduce a una semplice rotazione intorno a c (la cui direzione è determinata dai valori di α e di β) con velocità angolare Ω risultante di ωa e ωb.
a) Ruote di frizione. - Le ruote ottenute come sopra detto possono idealmente essere ruote di frizione, ruote cioè che si conducono tra loro per semplice aderenza.
In realtà però nel caso di ruote iperboloidiche la necessità di dover tollerare uno strisciamento con la velocità s definita dalla (2′) rende in pratica non conveniente una tale realizzazione. Nel caso poi di ruote cilindriche o coniche, la necessità di dover esercitare una compressione tra le ruote (per dare origine a una resistenza di attrito tra le superficie di contatto sufficiente a evitarne lo slittamento tangenziale) limita a valori molto bassi la potenza che può essere trasmessa.
Infatti indicando (fig. 5) con f il coefficiente di attrito tra le superficie a contatto delle ruote, con Q la compressione tra le ruote in kg., con N la potenza da trasmettere in HP, con v la velocità periferica in m. sec.-1, con m un coefficiente di sicurezza (m ≥ 1,5) si può scrivere: Q = 75 mN/fv. D'altra parte Q = kb ove b è la lunghezza assiale delle ruote in mm. e k un coefficiente che non deve superare certi limiti onde non si generino deformazioni permanenti della corona delle ruote per eccesso di pressione (p. es. k = 10 kg./mm. per ghisa o acciaio). Ne risulta che per non aumentare eccessivamente b, conviene aumentare f realizzando le superficie a contatto delle ruote con adatti materiali (f = 0, 10 ÷ 0, 15 per la ghisa, o, 15 ÷ 0,20 per la carta compressa, o,20 ÷ 0,30 per il cuoio, 0,30 ÷ 0,50 per il legno) o munendo le corone delle ruote di scanalature a sezione trapezia (ruote Minotto, dal nome dell'inventore Giovanni Minotto, 1854; come indicato nella fig. 6). Con tale disposizione il coefficiente di attrito risulta virtualmente aumentato, assumendo il valore f1 = f/ (sen β + f cos β) che, per es., per = 15° e f = 0,1, risulta f1 = 0,28. Nonostante tali accorgimenti, le ruote di frizione non riescono a trasmettere, con dimensioni accettabili, se non potenze molto limitate, di appena qualche decina di HP.
Le ruote di frizione hanno un rendimento molto elevato (per es., o,98) le perdite di potenze riducendosi principalmente agli attriti nei cuscinetti per effetto delle reazioni alla forza Q di compressione tra le ruote. In qualche caso i cuscinetti possono essere sottratti a tali reazioni e in conseguenza il rendimento risulta ancora migliorato, p. es., nel riduttore a frizione Garrard (fig. 7), nel quale le due ruote a e b sono accoppiate con una terza ruota a frizione c e con un anello pure a frizione d, ruota e anello folli e non vincolati da alcun cuscinetto: per effetto della rotazione di a le varie parti si muovono come è indicato nella figura e in conseguenza l'anello d si mette automaticamente in forza, deteminando tra le ruote a e b la compressione necessaria alla trasmissione della potenza.
Nonostante le loro preziose caratteristiche di elevato rendimento, silenziosità e semplicità, le ruote di frizione non sono molto diffuse per la impossibilità già detta di trasmettere elevate potenze: tuttavia una particolare applicazione di esse è universalmente usata: tale applicazione è quella delle ruote dei veicoli.
Le ruote dei veicoli ordinarî e dei veicoli ferroviarî (fig. 8) rappresentano infatti un caso particolare di ruote di frizione cilindriche accoppiate con un'altra ruota di frizione - la strada o la rotaia - avente raggio infinito. Come nel caso generale delle ruote di frizione anche qui occorre, perché il moto relativo sia cinematico, cioè unico e determinato, che non si abbia slittamento, cioè che sia applicata una sufficiente forza di compressione (rappresentata dal carico sulla ruota) che si chiama peso aderente.
Per realizzare il moto di rotolamento (cioè di non slittamento) della ruota sul terreno (o sulla rotaia) occorre soddisfare a differenti condizioni, (fig. 9 a, b, c) a seconda dei casi: a) nel caso di ruota automotrice P = N, M = Nδ: in nessun caso si può avere slittamento (lo slittamento che si può verificare in un veicolo automotore, p. es., il tram, in speciali condizioni, p. es., avviamento, salita, ecc., non rientra nel caso presente, ma in quello c, perché la resistenza d'inerzia o la componente del peso parallela al piano inclinato rappresentano l'equivalente della resistenza al rimorchio), b) nel caso di ruota rimorchiata dovrà essere P = N, T 〈 fN, Tr = Pδ: si ha quindi f > δ/r ossia per non avere slittamento il coefficiente f di attrito radente deve essere maggiore del coefficiente δ/r di attrito volvente; c) nel caso di ruota rimorchiatrice dovrà essere: P = N, T 〈 fN, M = Nδ + fNr. Si ha quindi f > T/N ossia per non avere slittamento il coefficiente f di attrito radente deve essere maggiore del rapporto tra la resistenza T del rimorchio e il peso N aderente: per soddisfare tale condizione occorre in certi casi (locomotive) aumentare il peso N aderente.
b) Ruote dentate. - Trasformate in superficie dentate le superficie esterne combacianti delle ruote di frizione, queste si trasformano in ruote dentate (v. ingranaggi), e divengono per ciò adatte a trasmettere potenze di gran lunga maggiori (i riduttori dei moderni apparati motori marini trasmettono correntemente decine di migliaia di cavalli), perché la forza periferica corrispondente alla potenza viene trasmessa da una ruota all'altra, non più per aderenza (come nelle ruote a frizione), ma per mezzo della forza con la quale un dente di una ruota spinge il dente compagno dell'altra ruota.
Nel caso di ruote dentate, il rendimento risulta alquanto minore che nel caso delle ruote di frizione (variabile, p. es., da 0,8 a 0,98) in conseguenza dell'inevitabile strisciamento dei denti. Tale strisciamento (v. ingranaggi) ammette due componenti l'una normale e l'altra parallela all'asse del dente: la prima si verifica in tutti gli ingranaggi e la seconda invece soltanto negl'ingranaggi tra assi sghembi: la prima è dovuta alla differente lunghezza dei tratti corrispondenti di profili dei denti delle due ruote (p. es., la lunghezza del fianco OM′, di un profilo è maggiore della lunghezza della costa OM del profilo coniugato; fig. 10) e varia durante l'ingranamento (essendo zero quando il punto di contatto dei due profili si trova sulla primitiva e tanto maggiore quanto più il punto di contatto se ne allontana); la seconda è dovuta allo strisciamento con velocità s - formula (2′) già vista - nella direzione dell'asse istantaneo del moto elicoidale ed è costante durante l'ingranamento e sempre molto maggiore della precedente.
Il profilo dei denti può essere cicloidale o ad evolvente (v. ingranaggi), in casi speciali si possono usare altri profili. Il profilo più usato è quello ad evolvente, sia per maggiore facilità di costruzione sia per la proprietà che ne deriva alle ruote di potere tollerare (entro certi limiti) un allontanamento degli assi (in conseguenza, p. es., di difetto di montaggio, usura dei cuscinetti, ecc.) senza che per ciò i profili cessino di essere coniugati.
L'asse dei denti delle ruote può essere rettilineo e avere la direzione delle rette generatrici delle superficie rigate costituenti le ruote e cioè delle successive posizioni dell'asse istantaneo del moto: si hanno così le ruote a denti diritti. Può essere invece elicoidale e avere nel punto di contatto la direzione di una tangente comune alle superficie rigate costituenti le ruote: si hanno così le mote a denti elicoidali.
Nelle ruote a denti elicoidali si ha il vantaggio che, per il virtuale aumento dell'arco di azione derivante dalla forma elicoidale del dente si può ridurre l'altezza del dente (eguale a o,6 anziché 0,7 volte il passo) e quindi ridurre l'effetto dannoso dello strisciamento dei profili coniugati (normalmente all'asse del dente) aumentando in conseguenza il rendimento. Si ha però l'inconveniente che la reazione normale di un dente sul dente compagno (la cui componente periferica serve a trasmettere la potenza) ammette una componente che tenderebbe a spostare assialmente la ruota se un adatto reggispinta o una dentatura simmetrica (ruote dentate a freccia; v. ingranaggi) non lo impedisse.
Le ruote dentate possono servire per la trasmissione tra alberi paralleli o concorrenti e si hanno così le ruote cilindriche o coniche abitualmente usate: in esse il contatto tra i denti si estende teoricamente a una linea, retta nel caso di denti diritti e curva ad andamento elicoidale nel caso di denti elicoidali; praticamente però, per la deformabilità del materiale costituente i denti, il contatto si estende a una striscia superficiale, che mantenendo la pressione specifica entro limiti tollerabili, consente la trasmissione di forze periferiche corrispondenti a potenze anche elevate.
Nel caso invece in cui la trasmissione sia tra assi sghembi, le ruote dentate possono essere iperboloidiche (costituite, per es., da due fette di iperboloidi in corrispondenza della minima distanza e perciò praticamente cilindriche), ma in esse il contatto tra i denti si riduce a un elemento superficiale, insufficiente a trasmettere una forza periferica importante con valori tollerabili della pressione specifica. Per questa ragione ruote siffatte sono raramente usate e in ogni caso soltanto per trasmettere piccole potenze.
L'inconveniente risulterebbe eliminato se fosse possibile dare ai denti delle ruote una forma tale da estendere il contatto a una maggiore zona superficiale. Come già detto, il moto elementare relativo tra i due assi si riduce a un moto elicoidale intorno all'asse c (fig.1), sarebbe quindi necessario costituire i denti delle due ruote con elementi di una vite e di una madrevite aventi l'asse in c. Ciò non è possibile in generale ma lo diventa in un caso particolare, quando cioè si possa considerare l'asse c concidente con l'asse b: in tal caso il dente della ruota b diventa il filetto della vite e il dente compagno della ruota a diventa un elemento della madrevite corrispondente, si ha così l'accoppiamento della vite perpetua e ruota compagna.
Tale accoppiamento si può realizzare quando si tratti di trasmettere il moto tra due assi sghembi a 90° con un rapporto di trasmissione molto grande (o molto piccolo) perché in tal caso è soddisfatta la condizione che l'asse c si discosti molto poco dall'asse b. Infatti posto, p. es., ε = rb/ra = 1/20 ed α + β = 90°, dalla (1′) risulta β = 3° e dalla (1) BC = AC/400.
I meccanismi costituiti dall'accoppiamento di più di due ruote dentate (o di frizione) si chiamano rotismi e si distinguono a seconda delle disposizioni delle ruote in rotismi ordinarî e rotismi epicicloidali: i primi sono quelli nei quali gli assi degli alberi delle ruote sono fissi, i secondi quelli nei quali alcuni degli assi sono portati da un braccio girevole (detto portatreno) e perciò le ruote corrispondenti (dette satelliti) possiedono oltre al loro moto di rotazione anche un moto di rivoluzione (v. ruotismo).
I rotismi ordinarî servono per trasmettere il moto tra due alberi che hanno una distanza o un rapporto di trasmissione tale da non poter essere realizzato con una sola coppia di ruote. Chiamando (fig. 11) a, b, ..., n gli assi aventi velocità angolari ωa, ωb, ..., ωn e ra, rb, ..., rn e za, zb, ... zn i raggi e il numero dei denti delle ruote motrici e Ra, Rb, ... Rn e Za, Zb, ... Zn delle ruote mosse, il rapporto di trasmissione dalla prima all'ultima ruota risulta:
I rotismi epicicloidali servono come rotismi riduttori (o moltiplicatori) oppure come rotismi compensatori. Indichiamo con A, B (fig. 12) le due ruote estreme aventi assi paralleli, C, D due ruote intermedie (satelliti) calettate su un asse montato folle sul braccio PT (costituente il portatreno) dotato di velocità angolare Ω, ε il rapporto di trasmissione ehe si avrebbe tra la ruota A e la ruota B se il rotismo non fosse epicicloidale cioè ε = Zc Zb/za zd (1). Possiamo ridurre non epicicloidale il rotismo dando a tutto il sistema una velocità angolare −Ω (infatti in tale ipotesi il portatreno risulta fermo e il rotismo diventa rotismo ordinario): la velocità angolare delle due ruote A e B diventa cosi ωa − Ω e ωb − Ω e quindi:
da tale formula (formula del Willis) deriva
Per realizzare un rotismo riduttore (o moltiplicatore) cioè un piccolissimo (o grandissimo) rapporto di trasmissione, basta fare, p. es., ωa = 0 (ruota A ferma) ed ε = ~ 1: in tal caso infatti il rapporto ωb/Ω risulta piccolissimo e si ha un riduttore il cui asse veloce sarà l'asse del portatreno (rotante con velocità Ω) e l'asse lento sarà l'asse della ruota B (rotante con velocità ωb). Per es., facendo za = 101, Zb = 100, Zb = 100: zd = 99 risulta per la (1) ε = 10.000/9999 ed essendo ωa = 0 per la (3) si ha ωb/Ω = (ε − 1)/ε =1/10.000. Tale rotismo è usato nei riduttori coassiali dei motori elettrici, nei contagiri, ecc.
Per realizzare un rotismo compensatore, cioè per compensare le variazioni della velocità angolare ωa di un asse a con variazioni di segno opposto della velocità angolare ωb di un altro asse b, basta fare ε = − 1: in tal caso infatti dalla (3) risulta Ω = ωa + ωb)/2 e quindi, se Ω è costante, a un aumento di ωa corrisponde una diminuzione di ωb e viceversa.
Tale meccanismo è usato, p. es., per costituire il differenziale delle automobili nelle quali Ω dipende dalla velocità angolare dell'alhero che viene dal motore ed ωa e ωb sono le velocità angolari delle ruote motrici di destra e di sinistra; ne risulta alle ruote dell'automobile la proprietà di potersi iscrivere nelle curve perché, quando la ruota che si trova nel lato interno della curva è costretta a rallentare, quella che si trova nel lato esterno è, per la presenza del differenziale, costretta ad accelerare e ambedue le ruote percorrono così due archi di curve di differente raggio e di eguale ampiezza.
II. Trasmissione indiretta. - La trasmissione del moto tra due alberi anziché direttamente, cioè mediante organi meccanici (ruote) direttamente calettate sugli alberi stessi, si può effettuare indirettamente cioè mediante organi meccanici intermedî interposti tra i due alberi: si ha così la trasmissione con organi flessibili (cinghie di cuoio, di tessuto; nastri di acciaio, di gomma; cavi vegetali, metallici), con organi articolati (catene) o con organi fluidi (liquidi o aeriformi). Nel caso di organi flessibili per la trasmissione del moto viene utilizzata l'aderenza (come nelle ruote di frizione della trasmissione diretta), nel caso di organi articolati viene utilizzata la resistenza dei denti (come nelle ruote dentate della trasmissione diretta), nel caso di organi fluidi (trasmissioni pneumatiche o idrauliche) viene utilizzata l'azione del fluido che agisce sull'organo ricevitore calettato sull'albero mosso.
1. Trasmissione con organi flessibili. - Le trasmissioni con organi flessibili sono usate, in generale, per trasmettere il moto fra assi paralleli (fig. 13), ma esse possono anche essere adoperate per la trasmissione fra assi sghembi. Tale ultima possibilità di funzionamento è basata sul fatto sperimentale che, mentre anche una piccola deviazione dal piano mediano della puleggia del tratto che va alla puleggia stessa provocherebbe lo scarrucolamento per le forze di attrito in giuoco, ciò non si verifica se si devia (fino anche di una trentina di gradi) il tratto che viene dalla puleggia. Perché, quindi, la trasmissione fra due assi a e b sghembi avvenga in modo corretto, è necessario che le due pulegge siano disposte come (per il caso particolare di due assi a 90°) è rappresentato nella fig. 14.
Per quanto la trasmissione del moto avvenga, come sopra detto, per effetto dell'aderenza, non sussiste per la trasmissione con organi flessihili l'impossibilità, già discussa trattando delle ruote di frizione, di trasmettere potenze importanti, sempre che l'organo flessibile sia avvolto per un arco di ampiezza sufficiente sulle due pulegge. Ciò deriva dal fatto che l'aderenza dell'organo flessibile sulla corona della puleggia (cioè la resistenza di attrito che si oppone allo slittamento di esso) cresce con legge esponenziale al crescere dell'arco α di avvolgimento e si può perciò in ogni caso aumentando α ottenere un'aderenza sufficiente.
Sia da trasmettere una potenza N da un asse che fa n1 giri al minuto a un altro che ne deve fare n2 cioè con rapporto di trasmissione ε = n1/n2: siano calettate sui due assi due pulegge aventi eguale velocità periferica v cioè di diametro rispettivamente D1 e D2 tali che D1/D2 = n2/n1: avvolgendo su esse un singolo flessibile o articolato continuo si realizza la trasmissione del moto tra i due alberi.
Tale trasmissione avviene per effetto della differenza delle due tensioni nei due tratti del cingolo: T1 nel tratto che va alla puleggia motrice e T2 nel tratto che va alla puleggia mossa (fig. 13). Essendo:
se indichiamo con P la forza periferica in kg. corrispondente alla potenza N in HP da trasmettere sarà:
La (1) vale quando sia assicurata la condizione di aderenza del cingolo sulle pulegge in modo da evitare ogni scorrimento: indicando con m la massa di un metro di nastro di cingolo in kg. sec.=/m.2 (m = p/g se p è il peso per metro di cingolo in kg./m. e g l'accelerazione della gravità in m./sec.2), con α l'angolo di abbracciamento del cingolo sulla puleggia in rad., con e la base dei log. neperiani, e con s un coefficiente di sicurezza maggiore dell'unità (abitualmente s = 1,25), la condizione di aderenza (cioè di non slittamento del cingolo sulla puleggia) è espressa da:
Tale condizione si semplifica nel caso di piccola velocità periferica potendosi ritenere trascurabile la forza centrifuga che si esercita sul cingolo durante l'avvolgimento sulle pulegge e diventa:
Combinando le relazioni (1) (i bis) e (2) e ponendo
si ottiene la espressione di Ti (tensione massima in kg. alla quale deve essere proporzionata la sezione del cingolo) in funzione della potenza N da trasmettere:
Si vede che la tensione Ti (e quindi la sezione del cingolo) dipende da α, da f e da v come mostrano le curve della fig. 15: conviene analizzare separatamente l'influenza delle tre variabili:
a) L'angolo di avvolgimento a. Esso dipende dal rapporto ε di trasmissione ed è circa eguale a π per ε = 1 e sempre più differente da π quando più ε aumenta, risultando per le due pulegge rispettivamente circa eguale a o,5 e 1,5 per ε molto grande. Corrispondentemente al variare di α varia efα e quindi il rapporto k
Appare evidente la convenienza di aumentare α: ciò si può ottenere disponendo nelle trasmissioni orizzontali il tratto di cingolo meno teso superiormente anziché inferiormente, applicando rulli tenditori (Lenix) (fig. 16) e, in casi speciali (p. es., nelle pulegge motrici delle funicolari), avvolgendo ripetutamente mediante una puleggia folle di rinvio il cingolo alla puleggia motrice, come è indicato schematicamente nella fig. 17; si ha però in tal caso l'inconveniente che, per l'inevitabile differenza di diametro delle gole, il sistema delle due pulegge può funzionare da taglia e generare nella fune tensioni anormali che ne compromettono la durata.
b) Coefficiente di attrito f. Dalla citata tabella appare la convenienza di aumentare il coefficiente di attrito f tra cingolo e puleggia. Tale coefficiente varia entro limiti molto grandi a seconda del materiale costituente il cingolo (mediamente si può assumere f = 0,1 per nastri o cavi metallici, f = 0,2 per cavi vegetali, f = 0,28 per cinghie di cuoio e f = 0,45 per nastri di gomma), ma anche la forma del cingolo e della gola della puleggia e le varie condizioni di funzionamento della trasmissione influiscono in notevole misura sul valore da assumere caso per caso.
A parità di altre condizioni si ha un aumento del coefficiente f con cinghie larghe e sottili: perché esse meglio si adattano sulla corona della puleggia, con cinghie aventi l'estremità giuntate con palelle incollate anziché con giunzioni metalliche, perché sono evitate discontinuità al passaggio sulle pulegge, con cinghie munite di rullo tenditore, perché sono impediti i battimenti dovuti alla elevata velocità.
Riguardo alla forma della corona della puleggia, essa per alcuni tipi di cinghie (fig. 18 a: cinghie di gomma tipo texrope) e per i cavi vegetali (fig. 18 b) è costituita di gole a sezione trapezia come le ruote Minotto: indicando con 2 β l'angolo della scanalatura, il coefficiente d'attrito risulta virtualmente aumentato dal valore f. corrispondente alla natura del materiale impiegato al valore f1 = f/(sen β + f cos β) cioè per 2 β = 45° il coefficiente di attrito risulta virtualmente raddoppiato.
Al crescere della velocità periferica corrisponde un aumento del coefficiente f in conseguenza di due distinti fenomeni; la pressione atmosferica (che tanto più comprime la cinghia sulla corona della puleggia quanto più al crescere di v la forza centrifuga tende a impedire che un velo di aria rimanga, durante la rotazione, interposto tra la cinghia e la puleggia), e l'elasticità del materiale costituente il cingolo (per la quale l'aderenza della puleggia motrice, che generalmente essendo la più piccola ha un valore di α minore e perciò minore aderenza, può risultare sensibilmente aumentata).
c) Velocità periferica v. La sollecitazione del materiale costituente il cingolo σ = T/Ω (sezione del cingolo in mmq.) si può per la (3) considerare composta di due parti: una σ1 = N 75 k/vΩ che serve a trasmettere la potenza N e l'altra σ2 = mv2/Ω che serve a resistere alla forza centrifuga e che, indicando con γ il peso specifico del cingolo (in kg./m.3) e g l'accelerazione della gravità (in m./sec.2) si può scrivere σ2 = γv2/g. Per farsi un'idea dell'importanza di σ2 (che agli effetti della trasmissione della potenza è spesa in pura perdita) basta considerare il rapporto σ2/σ per i varî tipi di cingoli e per v = 15÷25 m. sec.-1.
Risulta che l'effetto della forza centrifuga è specialmente sensibile nei cingoli meno resistenti, cavi vegetali (nonostante il loro minore peso specifico), nei quali esaurisce una percentuale di σ tanto maggiore (fino al 45%) quanto maggiore è la velocità.
Al crescere della velocità periferica della trasmissione, crescendo la forza centrifuga, aumenta dunque σ2 (con v2) ma poiché contemporaneamente diminuisce σ1, l'effetto della velocità sulla sollecitazione totale σ del cingolo (a pari sezione) e quindi sulla sezione del cingolo (a pari sollecitazione) è quello risultante dei due effetti contrastanti di v su σ1 e σ2. Risulta che, al crescere di v, per le piccole velocità ha la prevalenza la diminuzione di σ1, e quindi σ diminuisce, mentre per le grandi velocità ha la prevalenza l'aumento di σ2 e quindi σ cresce. Il valore minimo di σ (e quindi della sezione del cingolo a pari potenza trasmessa) caratterizza la velocità periferica che si può definire "ottima" e risulta
sostituendo ai simboli i valori numerici per i varî casi, risulta v = 22 m. sec. per i cavi vegetali, 28 m./sec. per le cinghie di cuoio, 45 m./sec. per i cavi metallici. Generalmente le velocità periferiche delle trasmissioni sono minori della velocità ottima per evitare eccessive sollecitazioni sul materiale delle pulegge (per effetto della forza centrifuga) e del cingolo (per effetto delle flessioni ripetute).
Rendimento. - Le perdite di potenza nelle trasmissioni con organi flessibili traggono origine dalle seguenti cause: slittamento elastico del cingolo sulle pulegge, rigidezza del cingolo, attrito nei cuscinetti, resistenza dell'aria: globalmente tali perdite si possono ragguagliare al 3 ÷ 8% della potenza trasmessa per modo che il rendimento netto della trasmissione si aggira intorno al 95%. Esaminiamone separatamente i varî fattori:
a) Slittamento elastico del cingolo sulle pulegge. Tale slittamento, nonostante sia soddisfatta la condizione di aderenza, si verifica normalmente nelle trasmissioni in conseguenza della elasticità del materiale, cioè della variazione di allungamento dovuta alla differente tensione nei due tratti del cingolo: come è esageratamente indicato in fig. 19, un elemento di cingolo, avvolto per es., sulla puleggia motrice, deve variare la propria lunghezza nel passare da A a B: poiché nell'unità di tempo per condizione di continuità attraverso qualunque sezione deve passare lo stesso peso di cingolo, cioè, trascurando la compressibilità del materiale, lo stesso volume di cingolo, ne segue che la velocità v1 dell'elemento di cingolo in A sarà maggiore della velocità v2 in B e lungo l'arco AB la velocità andrà variando con continuità da v1 a v2. Poiché però la velocità v periferica della puleggia è eguale in tutti i punti della mrona, l'elemento di cingolo slitterà sulla corona in conseguenza della differenza tra la sua velocità e quella della corona e dissiperà perciò in lavoro di attrito una quota parte della potenza trasmessa. Tale perdita di potenza percentuale è misurata da (σ1 − σ2)/E se indichiamo con σ1 e σ2 la sollecitazione del materiale nei due tratti del cingolo e con E il modulo di elasticità del materiale in kg.m-2. Il modulo di elasticità dipende principalmente dalla natura del materiale, dal sistema di costruzione del cingolo e dalla velocità della trasmissione: mediamente per i cavi vegetali E = 80 ÷ 125 kg./mm.2, per le cinghie di cuoio E = 20 ÷ 40 kg./mm.2, per i cavi di acciaio E = 14.000 ÷ 16.000 kg./mm.2. L'influenza del sistema di costruzione sul modulo di elasticità dei cavi metallici deriva dall'essere i cavi composti di trefoli avvolti insieme a spirale (v. funi metalliche) con inclinazione α, essendo ciascuno trefolo a sua volta composto di fili elementari avvolti insieme a spirale con inclinazione β. Ne risulta che Ecavo = Efilo cos3 α cos3 β; p. es., variando α tra 12° ÷ 18° risulta Ecavo = 0.84 ÷ 0,64 Efilo. L'influenza della velocità sul modulo di elasticità deriva dal fatto che, come già detto, un elemento di cingolo deve variare la propria lunghezza nel passare da A a B (fig. 19) e, poiché tale deformazione richiede un certo tempo, quanto più grande è la velocità periferica tanto più la deformazione dell'elemento è in ritardo rispetto al valore della tensione che competerebbe alla posizione occupata dall'elemento. Ciò equimle a dire che è come se il modulo di elasticità (inteso come il rapporto tra la sollecitazione e l'allungamento unitario) fosse aumentato per l'avvolgimento sulla puleggia motrice e diminuito per l'avvolgimento sulla puleggia mossa.
b) Rigidezza del cingolo. A seconda della sua rigidezza, ogni cingolo per avvolgersi su una puleggia richiede un certo lavoro corrispondente alla resistenza che esso offre alla flessione; in conseguenza della sua imperfetta elasticità tale lavoro non è completamente restituito quando il cingolo (nastri di acciaio, funi di acciaio) si svolge dalla puleggia e anzi, in alcuni casi (cavi vegetali, cinghie di cuoio, e ancor più nel caso delle catene), occorre compiere altro lavoro per raddrizzare il cingolo. Ne segue che la configurazione assunta dal cavo nei due casi è quella esageratamente indicata nella fig. 20 risultando variato di + x1 = μ1d2 e di ± x2 = ± μ2d2 il braccio delle due tensioni (essendo μ1 e μ2 due coefficienti di proporzionalità e d la dimensione trasversale spessore o diametro del cingolo). Possiamo sostituire a tali variazioni di braccio due equivalenti virtuali variazioni delle tensioni X1 = T1x1/R, e ± X2 = ± T2 x2/R; risulta così che la perdita percentuale di potenza per la rigidità del cingolo in tma trasmissione è (μ1 ± μ2) d2 (T1 + T2)/RP.
c) Attrito nei cuscinetti. I cuscinetti che sostengono gli alberi delle pulegge debbono resistere alla risultante delle tensioni T1 e T2: è facile calcolare la perdita di potenza corrispondente con il metodo già indicato (v. supporto).
d) Resistenza dell'aria. Nelle trasmissioni veloci si deve tenere conto anche della resistenza dell'aria al moto del cingolo e delle pulegge: R′ = αμSv2 per il cingolo e R″ = βμg D2v2 per le pulegge se indichiamo con μ la massa specifica dell'aria, S la superficie del cingolo a contatto con l'aria, v la velocità periferica in m. sec.-1, D il diametro della puleggia in m., α e β due coefficienti di proporzionalità (mediantemente α = 0,0024, β = 4 • 10-6).
2. Trasmissione con organi articolati. - La trasmissione avviene per effetto della resistenza dei denti delle ruote alle quali l'organo articolato (catena) si avvolge e non occorre perciò, come nel caso precedente, alcuna tensione nel tratto condotto né alcun particolare valore dell'arco di abbracciamento, essendo soltanto necessario che la resistenza dei denti sia sufficiente per trasmettere la forza periferica. Come nella trasmissione con organi flessibili, per realizzare la trasmissione del moto tra due alberi con rapporto ε = ω1/ω2 di velocità occorre che le due ruote calettate sui due alberi abbiano eguale velocità periferica v ossia abbiano due diametri D1 e D2 tali che D1/D2 = n2/n1, se indichiamo con n1 e n2 il numero di giri dei due alberi.
Occorre pure che la catena abbia dimensioni tali da resistere alla forza periferica P (in kg.) corrispondente alla potenza N (in HP) da trasmettere P = N 75/v.
Si distinguono tre tipi di catene: a) catene tipo Galle (fig. 21), per es. le catene di biciclette. Ogni maglia è costituita da due perni collegati lateralmente da piastrine; sui perni per diminuire l'attrito possono essere infilate boccole aventi la funzione di rullo, i denti delle ruote afferrano i perni (o le boccole) e sono contenuti tra le piastrine laterali: sono adatte per v ≤ 3 m.sec.; b) catene tipo Renold (fig. 22): le piastrine di collegamento dei perni delle catene a pioli sono munite di due prolungamenti a guisa di denti i cui fianchi esterni (inclinati di ~ 60°) si appoggiano sui fianehi di due denti contigui della ruota. Da tale disposizione derivano due importanti caratteristiche di funzionamento della catena: il contatto tra catena e denti della ruota avviene su una superficie più estesa del caso precedente, e sono evitati gli urti dovuti ai laschi tra le articolazioni. Infatti quando, per effetto dell'usura tra le articolazioni, aumenta il passo della catena, le maglie spostandosi verso l'esterno della ruota si dispongono in corrispondenza di valori del raggio cui compete un eguale valore del passo dei denti delle ruote: la catena si dice perciò silenziosa e risulta adatta per elevate velocità periferiche (v ≤ 8 m./sec.); c) catene tipo marina (fig. 23): le maglie sono composte di tondini fucinati con o senza traversino; esse possono avvolgersi soltanto su ruote dentate speciali dette "a impronta" perché invece dei denti portano circonferenzialmente delle cavità corrispondenti all'impronta delle maglie della catena che su essa deve avvolgersi: sono adatte per v ≤ 1 m./sec.
Rendimento. - Il rendimento delle trasmissioni a catena si aggira intorno al 90 ÷ 95% ed è principalmente influenzato dagli attriti nelle varie articolazioni, attriti che si possono calcolare caso per caso in base alle particolari condizioni dell'impianto (materiale, lubrificazione, ecc.).
3. Trasmissioni con organi fluidi. - Nella trasmissione con organi fluidi, un adatto meccanismo (pompa o compressore) calettato sull'albero motore serve a trasformare il lavoro fornito dall'albero motore (corrispondente alla potenza da trasmettere) in energia posseduta dal fluido (energia potenziale o cinetica corrispondente all'aumento di pressione o di velocità del fluido) e un altro meccanismo (motore idraulico o pneumatico), calettato sull'albero mosso, serve a trasformare tale energia del fluido in lavoro assorbito dall'albero mosso. Il fluido può essere liquido o aeriforme a seconda delle particolari esigenze dell'impianto: si hanno così la trasmissione idraulica e la trasmissione pneumatica.
a) Trasmtssione pneumatica. - Impiegata abitualmente per azionare speciali macchine utensili (martelli e scalpelli pneumatici) nelle lavorazioni di carpenteria di ferro, nella costruzione delle gallerie, ecc.: consta di un impianto di compressori d'aria a stantuffo (pressione di mandata 4 ÷ 5 kg./cmq.) che alimenta una tubulatura nella quale la pressione è mantenuta quasi costante a mezzo di polmoni di adatta capacità e di altrettante piccole motrici ad aria compressa contenute nell'impugnatura delle macchine utensili.
Particolarmente interessante è una recente applicazione della trasmissione pneumatica per trasmettere potenze importanti: essa è realizzata col sistema Zarlatti, applicato alla trazione ferroviaria. L'aria fornita da apposito compressore sistemato sulla locomotiva va a espandere nei cilindri che nelle locomotive ordinarie funzionano da motrici a vapore; per aumentare il rendimento, all'aria compressa è aggiunto vapore e calore utilizzando il calore di scarico del motore Diesel che aziona il compressore.
In fig. 24 è rappresentata l'applicazione recentemente fatta su una locomotiva belga: un motore Diesel di 600 cav. aziona un compressore a 2 fasi, l'aria uscente dalla 1a fase (a 5 kg. cm-2) va a un saturatore dove si mescola al 5% di vapore, l'aria uscente dalla seconda fase (a 15 kg. cm-2) va ad un secondo saturatore dove si mescola a un altro 8% di vapore e poi a un surriscaldatore alimentato dai gas combusti dove raggiunge i 230° e finalmente ai cilindri motori dove espande raffreddandosi fino a 45°. Il sistema presenta un rendimento notevolmente più elevato delle locomotive ordinarie.
b) Trasmissioni idrauliche. - Una trasmissione idraulica è in generale costituita da un complesso meccanico comprendente, come elemento essenziale, un liquido (generalmente acqua o olio) il quale, spostandosi dentro appositi condotti, e in contatto con determinate pareti fisse e mobili, stabilisce una connessione cinematica fra due (o più) macchine o parti di macchine.
Nelle applicazioni, le trasmissioni idrauliche consentono, come quelle ad organi rigidi (rotismi, manovellismi, ecc.) o ad organi flessibili (cinghie, corde, catene), di realizzare la trasmissione di un determinato lavoro meccanico da un organo conduttore (apparecchio motore) a un organo condotto (apparecchio operatore) con opportuna trasformazione degli elementi caratteristici del movimento. In confronto con altri sistemi si osserva poi che le trasmissioni idrauliche presentano, in molti casi, una più facile adattabilità a condizioni particolari d'impiego, o a complesse esigenze di funzionamento, senza dare luogo a eccessive complicazioni costruttive.
Il più semplice schema di trasmissione idraulica è rappresentato dalla fig. 25. All'organo conduttore (albero A) e a quello condotto (albero B) corrispondono rispettivamente una pompa P e un motore idraulico M. Una tubazione di mandata (da P ad M) e una di ritorno (da M a P) collegano i due apparecchi, in modo da costituire un circuito chiuso. Sulla tubazione di mandata è poi applicata una valvola di sicurezza Vs, che scarica nel tubo di ritorno oppure nel serbatoio S.
Il liquido che riempie tutto il sistema e che circola in esso riceve energia dalla pompa P e la cede al motore idraulico M.
Se Q (in mc./sec.) è la portata fluida circolante e p1 − p2 (in kg./mq.) è la differenza fra le pressioni che si stabiliscono nelle due tubazioni, la potenza trasmessa (a prescindere dai rendimenti dei due apparecchi P e M, e dalle perdite di carico nelle tùbazioni) è espressa dal prodotto Q (p1 − p2) (in kgm./sec.). Spesso la pompa e il motore idraulico sono apparecchi di tipo volumetrico (a stantuffi, oppure a capsulismi; fig. 26) cosicché i volumi di fluido q1 e q2 erogati da P e da M durante ciascun giro dei rispettivi alberi dipendono soltanto dalle dimensioni costruttive degli apparecchi stessi. D'altra parte i numeri dei giri 1 e n2 compiuti dai due alberi nell'unità di tempo debbono soddisfare la relazione:
Ne segue che il sistema considerato può essere impiegato come riduttore (o moltiplicatore) di velocità, e che il rapporto di trasmissione n1/n2 = q2/q1 risulta praticamente costante, se il motore e la pompa sono, come d'ordinario, apparecchi a portata specifica (q1, q2) invariabile. Usando però opportuni artifici costruttivi (stantuffi comandati da manovelle di raggio variabile, capsulismi con camere eccentriche a eccentricità variabile, ecc.) si può, per esempio, rendere regolabile la portata specifica q2 del motore idraulico, agendo su determinati organi del motore stesso.
La trasmissione costituisce allora un particolare tipo di cambio di velocità, nel quale il rapporto di trasmissione può essere variato con continuità entro un certo intervallo, talvolta anche assai vasto. In certi casi la trasmissione è reversibile, potendo la pompa funzionare da motore, e íl motore da pompa.
Una caratteristica notevole di queste trasmissioni risiede nel fatto che esse non vincolano in alcun modo la posizione relativa dell'organo condotto rispetto a quella dell'organo conduttore, poiché la connessione meccanica fra essi è costituita unicamente dalle tubazioni di comunicazione, le quali possono assumere uno sviluppo notevole e, all'occorrenza, essere anche articolate o flessibili. Le trasmissioni idrauliche si prestano perciò alla realizzazione di comandi a distanza, specialmente quando si tratta di sistemi meccanici che debbano sviluppare sforzi considerevoli con velocità moderate. Si hanno così esempî di trasmissioni idrauliche applicate al comando di saracinesche, paratoie, ponti girevoli, dighe mobili, e altri organi attinenti a costruzioni idrauliche. Altre applicazioni riguardano la connessione meccanica fra meccanismi singoli, facenti parte di una stessa macchina operatrice. Così, per esempio, in particolari tipi di operatrici per lavorazioni meccaniche (alesatrici, trapani, rettificatrici, ecc.) sono talvolta impiegate trasmissioni idrauliche per realizzare i varî mavimenti di alimentazione, in sostituzione degli ordinarî riduttori e cambî di velocità a ingranaggi, ottenendo con ciò movimenti più dolci e regolari, e assenza di vibrazioni.
D'altra parte, importa notare che le trasmissioni idrauliche costituite con pompe e motori a stantuffi o a capsulismi non si adattano alle elevate velocità angolari e dànno luogo quasi sempre a rendimenti meccanici nettamente inferiori a quelli ottenibili con trasmissioni ad organi rigidi. Perciò le applicazioni tentate su veicoli automotori (particolarmente locomotive e automotrici ferroviarie con motori a combustione interna) non hanno finora avuto notevole diffusione.
Invece un tipo caratteristico di riduttore idraulico che si è dimostrato adatto alle elevate velocità e alle grandi potenze, ed ha avuto, in passato, notevoli applicazioni nella propulsione navale, è il cosiddetto trasformatore idrodinamico Föttinger. In questo apparecchio (fig. 27) la pompa P e il motore idraulico M sono assimilabili ad un'ordinaria pompa centrifuga e ad una turbina idraulica centripeta. Le due giranti sono racchiuse in un unico involucro e montate alle estremità dei due alberi, disposti coassiali, uno di seguito all'altro.
L'involucro porta una corona di pale fisse D, che compie la funzione di diffusore nei riguardi della pompa, e di distributore nei riguardi della turbina. Nel complesso, questi organi formano una cavità, entro cui l'acqua circola continuamente, attraversando le successive corone di pale. Assegnando forma opportuna alle singole palettature si può realizzare un determinato rapporto di trasmissione n1/n2 e ottenere che i due alberi ruotino nello stesso senso oppure in senso contrario. Il rapporto di trasmissione non risulta però rigorosamente costante, ma dipendente dal valore della potenza istantanea trasmessa. È importante notare che il trasformatore Föttinger compie anche la funzione d'innesto, poiché basta riempire o vuotare l'apparecchio per attivare o sciogliere la connessione meccanica fra i due alberi.
Generalmente, nella propulsione navale (con opportuna disposizione costruttiva) i due alberi vengono accoppiati mediante due riduttori distinti, i quali servono, l'uno per la marcia avanti, l'altro per la marcia indietro.
Dal trasformatore Föttinger deriva il giunto idraulico Vulcan. In questo apparecchio è abolita la corona di pale fisse D, e le pale delle corone mobili assumono andamento puramente radiale (fig. 28). La trasmissione si effettua allora in modo che l'albero condotto ruota con un numero di giri n2 sempre inferiore a quello n1 dell'albero conduttore; la differenza n1 − n2 risulta tanto più grande quanto più elevato è il momento M0, trasmesso dall'albero conduttore e totalmente ricevuto dall'albero condotto. Il rendimento della trasmissione è evidentemente espresso dal rapporto n2/n1, perciò praticamente l'apparecchio dovrà essere dimensionato in modo che lo scorrimento n1 − n2 risulti abbastanza piccolo (p. es., il 5% di n1). Il giunto Vulcan viene impiegato frequentemente in combinazione con riduttori a ingranaggi, assegnando ad esso la funzione d'innesto e di smorzatore degl'impulsi torsionali periodici provenienti dalla macchina motrice (v. nave).
Dal concetto di una trasmissione idraulica semplice, secondo lo schema della fig. 25, si passa immediatamente a quello di una trasmissione multipla (fig. 29) pensando di collegare, mediante opportune canalizzazioni, un'unica pompa P (montata sull'albero motore A con più motori idraulici M′, M″, ... applicati ad organi condotti distinti B′, B″, ...). Al fine di rendere possibile l'avviamento e l'arresto dei singoli apparecchi utilizzatori, senza influire sulla pompa P, si inseriscono poi nelle tubazioni opportuni organi d'intercettazione (valvole, cassetti, rubinetti, ecc.) manovrabili a mano, o anche, in determinati casi, dipendenti da altri meccanismi o apparecchi di regolazione più o meno automatici. Un serbatoio di alimentazione e di raccolta (S) posto in comunicazione con la conduttura di ritorno (o direttamente con le singole tubazioni di aspirazione della pompa e di scarico dei motori idraulici) assicura costantemente il completo riempimento del sistema. Nella conduttura principale di mandata (all'uscita della pompa) si inserisce invece quasi sempre un accumulatore idraulico (A. I.), a mezzo del quale si compensano le momentanee differenze fra la portata della pompa e quelle dei motori idraulici. L'accumulatore idraulico mette a disposizione una certa riserva di energia e conferisce così alla trasmissione idraulica una nuova caratteristica importante, che non trova rispondenza nei sistemi di trasmissione ad organi rigidi o flessibili. Ne risulta la possibilità di comandare apparecchi utilizzatori a funzionamento intermittente o saltuario, pur mantenendo la pompa e l'apparecchio motore a un regime pressoché uniforme, e di disporre per brevi intervalli di tempo di una potenza anche notevolmente superiore a quella media normale fornita dall'apparecchio motore stesso (v. accumulatore: Accumulatori idraulici).
Fra le più importanti applicazioni di trasmissioni idrauliche multiple, corrispondenti agli schemi considerati, ricordiamo gl'impianti (assai frequenti nelle officine meccaniche di una certa importanza) per il comando di operatrici speciali a funzionamento idraulico, quali sono le presse, le chiodatrici, le punzonatrici idrauliche.
Altri analoghi impianti vengono realizzati per azionare perforatrici, martelli perforatori e altre macchine idrauliche, usate comunemente per lavori di scavo di miniera o di galleria. (Per le caratteristiche particolari di queste applicazioni si vedano le voci relative alle singole macchine).
È importante notare che nelle applicazioni di trasmissioni idrauliche al comando di macchine speciali, i singoli motori idraulici assumono caratteristiche notevolmente diverse, a seconda della natura del moto che si deve realizzare, poiché nella maggior parte dei casi non si tratta di moto rotatorio continuo, ma di moti rettilinei alterni intermittenti, oscillanti, ecc.
Si osserva inoltre che il motore idraulico viene generalmente conglobato nella stessa macchina utilizzatrice, in modo da formare con questa, dal punto di vista costruttivo, un unico complesso meccanico.
Un esempio d'impiego sistematico di trasmissioni idrauliche per la manovra a distanza di numerosi congegni e apparecchi è costituito dagli impianti idrodinamici (sistema Bianchi-Servettaz, largamente impiegato nelle ferrovie italiane) per il comando centralizzato degli scambî e dei segnali ferroviarî, in modo da realizzare le necessarie condizioni di sicurezza alla circolazione dei treni (blocco automatico).
Notiamo infine che tutti i congegni e dispositivi meccanici comprendenti, come organo essenziale, un servomotore idraulico (regolazione indiretta delle macchine motrici, comando idraulico del timone delle navi, frenatura dei veicoli mediante servofreno idraulico, ecc.) si possono pensare come forme particolari di trasmissioni idrauliche (v. regolatore; servomotore). In queste applicazioni l'impiego della trasmissione idraulica è giustificato soprattutto dalla necessità di riunire nello stesso congegno qualità meccaniche diverse, che con altri sistemi di trasmissione riuscirebbero fra loro contrastanti, e cioè: intensità notevole delle forze agenti, prontezza e dolcezza nei movimenti, sensibilità e precisione nel rispondere all'azione degli organi di regolazione o di comando.
Trasmissione elettrica del lavoro meccanico. - Questo tipo di trasmissione trova applicazione in alcuni sistemi di propulsione navale e di trazione terrestre.
I. Propulsione navale. - La trasmissione suddetta viene talora impiegata in sostituzione sia della trasmissione indiretta dalle turbine alle eliche, attraverso ingranaggi con semplice riduzione ed eccezionalmente con doppia riduzione, sia della trasmissione diretta dai motori Diesel alle eliche. Il primo caso tipico di propulsione elettrica navale è costituito dalla piccola nave cisterna Vandah costruita nel 1904 in Nižnij Novgorod (Russia) per conto della Nobel Bros. Petroleum Production Company, con dislocamento di circa 1000 tonn., con portata di 700 tonn. e destinata al trasporto di petrolio tra il Volga e Pietroburgo. Essa era munita di tre motori Diesel accoppiati direttamente a tre dinamo, che fornivano corrente, e tre motori di propulsione, situati su tre assi distinti. Questa fu anche la prima motonave del mondo in servizio commerciale.
Una seconda nave, gemella della precedente, denominata Soarmut venne messa in servizio nell'anno successivo (1905). Nel 1908 ebbe luogo il primo impianto di propulsione navale turbo-elettrica su due navi gemelle acquistate dalla città di Chicago. L'apparato motore vi era costituito da due turbo-generatori a corrente continua accoppiati a due motori di propulsione situati su due linee d'asse.
Ma il passo decisivo nello sviluppo della propulsione elettrica navale è stato compiuto nel 1913 con la costruzione, da parte della marina da guerra degli Stati Uniti, della nave carboniera Jupiter di 20.000 tonn. con 5400 HP di potenza propulsiva. Il successo tecnico di questa nave è stato tale da indurre la marina americana alla determinazione - di enorme portata storico-tecnica - di adottare sistematicamente la propulsione elettrica su tutte le nuove grandi navi da guerra delle classi "dreadnought" e "superdreadnought" Tale determinazione è stata tradotta in atto nei primi anni del dopoguerra.
Contemporaneamente, nel 1922, la propulsione Diesel-elettrica veniva ripresa in America con la trasformazione della nave Fordonian originariamente munita di motori Carels a propulsione diretta, poi munita di motori Diesel-Fiat; e da tale trasformazione ha avuto inizio il grandioso sviluppo, nel campo di alcune categorie di navi, della propulsione Diesel-elettrica.
Le ragioni che hanno addotto all'introduzione ed allo sviluppo nella propulsione navale della trasmissione elettrica, in sostituzione di quella a ingranaggi o dell'accoppiamento diretto dei motori primi alle eliche, sono:
1. forte diminuzione delle probabilità di menomazione della efficienza della nave: perché: a) se i motori primi sono turbine, queste girano sempre in una sola direzione; se i motori primi sono Diesel, questi assumono la forma più semplice derivante dall'esclusione della reversibilità; b) l'avaria di una parte del macchinario motore non turba il funzionamento degli assi delle eliche; c) il frazionamento della potenza motrice in diversi gruppi elettrogeni consente la revisione di questi anche in navigazione; d) la separazione tra motori primi ed assi dalle eliche fa sì che questi siano più corti e quindi meno soggetti alle conseguenze delle vibrazioni;
2. possibilità di realizzazione di rapporti di riduzione della velocità variabile a volontà entro limiti notevolmente estesi e quindi anche molto piccoli, quali cioè sarebbero realizzabili, nel caso della trasmissione a ingranaggi, solo con la doppia riduzione; ne segue la possibilità di adozione per i motori primi e per le eliche - senza vincoli d'interconnessione - delle velocità angolari per ciascuno più convenienti;
3. stabilizzazione pressoché completa delle eliche rispetto al fenomeno della "precipitazione" che ha luogo quando, con mare grosso, esse escono fuori d'acqua;
4. la "flessibilità" del sistema, ossia la possibilità di allogazione dei motori primi in qualsiasi punto della nave, con completa indipendenza rispetto agli assi delle eliche; e quindi possibilità di realizzare uno stato di cose sotto ogni punto di vista migliore;
5. estrema facilità e semplicità di realizzazione della marcia indietro e possibilità d'impiego per essa della stessa potenza che per la marcia avanti, laddove, nel caso della propulsione a turbina, la prima raramente supera il 60% della seconda; ne deriva una maggiore manovrabilità della nave;
6. grande economia di vapore, rispetto alla propulsione a turbina, nel rovesciamento delle eliche;
7. vasta possibilità di regolazione, e cioè possibilità di regolare facilmente e a volontà i due elementi costitutivi della potenza: la coppia e la velocità;
8. facile controllo e misura della potenza sviluppata;
9. semplicità e rapidità di comando e di manovra;
10. possibilità di portare i comandi principali dalla nave dove si vuole e quindi anche nella camera di pilotaggio;
11. assenza dei rumori dovuti - nella propulsione a turbina - agli ingranaggi;
12. minore consumo di combustibile alle basse andature;
13. facoltà di riparazione del macchinario elettrico completamente intercambiabile nelle sue parti;
14. minori spese di manutenzione.
A questi pregi si contrappongono alcuni inconvenienti, e cioè:
1. maggiore ingombro, peso e costo dell'apparato motore;
2. maggiore consumo di combustibile nelle forti andature;
3. necessità di impiego di personale specializzato;
4. vulnerabilità degli avvolgimenti - durante i periodi d'inattività o "disponibilità" - da parte dell'umidità del mare;
5. impossibilità di ripristinare rapidamente, dopo un allagamento, l'efficienza del macchinario elettrico.
L'inconveniente del maggiore ingombro, maggiore peso e maggiore costo si attenua quando i gruppi elettrogeni principali vengano adibiti anche ai servizi ausiliarî e, a seconda dei casi, può ridursi di molto fino quasi ad annullarsi.
Delle quattro combinazioni possibili tra motori primi e generatori, le fondamentali sono: turbina a vapore-alternatore; motore Diesel-dinamo. Non mancano peraltro rari esempî d'impiego delle altre due combinazioni diagonali.
Gl'impianti a correnti alternate sono bifasi, solo raramente trifasi; i generatori sono sempre in parallelo; i motori sono raramente asincroni, quasi sempre sincroni o autosincroni.
Negl'impianti a corrente continua i generatori sono in serie tra loro e con i motori; questi sono sempre a eccitazione indipendente e molto spesso - per la loro elevata potenza - a doppio indotto. La manovra ha luogo generalmente secondo il sistema Ward-Leonard, cioè a tensione variabile.
I principali esempî di trasmissione elettrica nella propulsione navale sono:
a) marine da guerra: sei navi da battaglia della marina americana con tonnellaggio compreso tra 32.300 e 32.600 tonn. e di cui due (Tennessee e Colorado) equipaggiate dalla Westinghouse Co., e quattro (New Mexico, California, Maryland, West Virginia) equipaggiate dalla General Electric Co.; due navi portaerei della marina americana (Lexington e Saratoga) da 33.500 tonn.; l'incrociatore inglese Adventure da 7000 tonn. con la combinazione motori Diesel-alternatori trifasi e i motori di propulsione asincroni, accoppiati alle eliche attraverso una riduzione a ingranaggi; la nave-scuola italiana C. Colombo, da 3515 tonn., con propulsione a vela e Diesel-elettrica;
b) marine mercantili: l'esempio più cospicuo è quello del transatlantico francese Normandie a quattro eliche. I gruppi turboalternatori sono quattro, della potenza di 40.000 HP ciascuno. I motori sono sincroni, ma funzionano all'avviamento come asincroni.
II. Trazione ferrouaria. - Nel campo della trazione ferroviaria la trasmissione elettrica rende possibile l'impiego del motore Diesel senza limiti di potenza e in condizioni tecnicamente ed economicamente vantaggiose: cioè in condizioni tali per cui le macchine che ne sono fornite hanno - malgrado la naturale rigidezza del motore Diesel - elasticità sufficiente alle esigenze del servizio ferroviario e un rendimento complessivo conveniente. E invero la trasmissione suddetta si comporta come un cambio di velocità con infiniti rapporti di trasmissione, capace di trasmettere e trasformare potenze anche grandissime.
Le prime applicazioni di essa risalgono al 1913-14, quando furono costruite in Svezia alcune automotrici della potenza tra 60 e 220 HP e locomotive di 150 e 300 HP per ferrovie secondarie. Nel 1918 furono costruite in America le prime locomotive per il servizio di smistamento e manovra nelle stazioni; e nel 1924 il Lomonosov mise in servizio in Russia una locomotiva di 1200 HP molto interessante per la sua elevata potenza e per il servizio che ha compiuto. Successivamente le applicazioni ferroviarie dal sistema Diesel-elettrico sono rapidamente cresciute in numero e in importanza ed ora sono diffusissime tanto nel campo delle automotrici quanto in quello delle locomotive di ogni genere. Inoltre la trazione ferroviaria leggiera ad alta velocità trova nel sistema stesso un elemento pressoché indispensabile e un fattore decisivo di successo. Esso utilizza esclusivamente la corrente continua ed è costituito da una dinamo direttamente accoppiata al motore Diesel e da due o più motori da trazione, accoppiati alle ruote direttamente o mediante ingranaggi.
La dinamo è ad eccitazione indipendente o ad eccitazione complessa; i motori sono quasi sempre ad eccitazione in serie; una seconda dinamo provvede ad una parte della eccitazione della prima ed ai servizî ausiliarî. Ovviamente l'inversione di marcia viene ottenuta operando sui motori di trazione.
La regolazione del sistema può essere ottenuta in due modi profondamente diversi:
a) con il gruppo moto-generatore funzionante a velocità costante;
b) con il gruppo moto-generatore funzionante a velocità variabile.
Appartengono al primo tipo gli schemi Brown-Boveri, Alsthom, ASEA, AEG, Brissonneau e Lotz, ecc.; appartengono al secondo gli schemi H. Lemp (G.E.C.), Westinghouse, Oerlikon, Gebus (Siemens), H. Lemp-A.E.G., Jeumont, ecc. Tutti gli schemi hanno dispositivi tendenti ad evitare l'imballamento e il sovraccarico dei motori, cioè limitatori di velocità e limitatori d'iniezione.
Gli esempî più importanti di applicazione della trasmissione elettrica alla trazione ferroviaria sono costituiti dai treni leggieri ad alta velocità recentemente entrati in servzio in Germania, America, Francia, Olanda, ecc.
III. Impianti speciali di trazione terrestre. - In tale categoria rientrano alcuni particolari impianti di funicolari aeree (funivie) o terrestri, ove si voglia realizzare la frenatura elettrica attiva o passiva (reostatica); tale è, ad esempio, l'impianto funziario del Gran Sasso d'Italia, nel quale la frenatura è ottenuta operando su resistenze.
In tali impianti l'equipaggiamento elettrico è costituito quasi sempre secondo lo schema Ward-Leonard o secondo schemi da questo derivati.
Bibl.: Per la propulsione navale: Rendiconti della XXXIII Riunione annuale della A. E. I., Genova 1928, pp. 477-571.
Per la trazione ferroviaria: ibid., ivi 1928, pp. 507-522; L'allégement dans les transports, anno V, 1936, nn. 1-2.