trasfusione
Provvedimento terapeutico atto a introdurre nel sistema circolatorio di un individuo, una quantità di sangue intero o di suoi derivati, prelevati da un altro individuo (donatore) con gruppo sanguigno compatibile. La t. permette di correggere un deficit di un componente del sangue, uno squilibrio volemico o sostituire completamente un componente, come plasma (plasmaferesi), cellule anomale (citoaferesi) o sangue (exanguinotrasfusione).
Il corretto uso del sangue prevede una serie di procedure che riguardano: la richiesta opportuna di sangue e di emocomponenti a scopo trasfusionale; le corrette modalità per il prelievo dei campioni di sangue necessari ai test pretrasfusionali; le varie modalità di assegnazione degli emocomponenti; le modalità di registrazione e tracciabilità; le indicazioni trasfusionali degli emocomponenti omologhi e autologhi; i procedimenti effettuati dal Servizio trasfusionale sugli emocomponenti e le loro indicazioni. La richiesta di emocomponente deve essere eseguita in base all’urgenza clinica: urgentissima se il paziente è in imminente pericolo di vita; urgente se c’è pericolo in caso di t. ritardata; dilazionabile e ordinaria. Per motivi di sicurezza trasfusionale, la determinazione del gruppo sanguigno ABO e Rh deve essere effettuata su due campioni prelevati in momenti diversi.
I progressi tecnologici hanno consentito di separare il sangue nei suoi componenti cellulari (eritrociti, piastrine, globuli bianchi) e nelle sue frazioni plasmatiche (albumina, fattori della coagulazione, ecc.) consentendone un uso più mirato, ossia la t. mirata del componente di cui il ricevente è carente, limitando la t. di sangue intero. Si conoscono diversi tipi di t.: • di sangue intero, che si usa in rare condizioni per correggere uno squilibrio volemico, come nel caso di shock emorragico, quando la perdita sia superiore al 20÷25%; • di eritrociti concentrati, per correggere l’anemia e aumentare l’apporto di ossigeno ai tessuti; come parametro trasfusionale si utilizza il valore dell’emoglobina, quando questo sia al di sotto di 8 g/dl; nel caso di una terapia trasfusionale cronica è necessario instaurare una terapia ferrochelante, per evitare l’accumulo di ferro negli organi; • di eritrociti deplasmati (o lavati), in particolari condizioni come pazienti con gravi reazioni trasfusionali a frazioni plasmatiche o in particolari patologie, per es. l’emoglobinuria parossistica notturna, dove vi può essere l’attivazione del complemento che può determinare gravi crisi emolitiche; • di eritrociti leucodepleti (o filtrati), quando mediante filtrazione di laboratorio o al letto del paziente vengono rimossi i globuli bianchi e le piastrine; questo tipo di t. è indicata in pazienti con patologie croniche e in pazienti che devono essere sottoposti a trapianto; • di piastrine, in condizioni di piastrinopenia o piastrinopatia, e quando vi è alto rischio di emorragie; • di globuli bianchi, in caso di gravi sepsi non rispondenti alle comuni terapie antibiotiche, o in condizioni di aplasia midollare grave conseguente a patologie midollari o a chemioterapie; • di plasma, in caso di pazienti affetti da difetto congenito o acquisito dei fattori della coagulazione, da coagulazione intravascolare disseminata o con porpora trombotica trombocitopenica (o sindrome di Moschowitz); in questo caso il plasma viene prelevato da un unico donatore e congelato rapidamente a −80 °C. La terapia specifica con albumina trova indicazione nei casi di grave ipoalbuminemia dovuta a cirrosi epatica, gravi emorragie o stato di anasarca: la somministrazione deve essere limitata e va evitata in quei casi di documentata inefficacia e inutilità (per es., a scopo nutritivo o per valori di albumina superiore ai 2,6 gr/dl).
L’autotrasfusione dei propri eritrociti (o emodiluizione isovolemica) può essere differita nel tempo, mediante t. di sangue autologo ottenuto dopo uno più prelievi di unità di sangue effettuati nei giorni precedenti a un intervento chirurgico (predeposito), o di emazie autologhe congelate, che possono essere congelate per cinque anni. L’autotrasfusione può anche essere intraoperatoria, ossia attraverso il recupero del sangue perso dal paziente durante l’intervento chirurgico.
Le trasfusioni mirate riducono i rischi trasfusionali, che possono essere immediati e tardivi: tra i primi vi sono le reazioni immunologiche, con emolisi grave e possibili sintomi come febbre, brivido, reazioni orticarioidi, e le non immunologiche, determinate da contaminazione batterica della sacca e conseguente sepsi nel ricevente o all’infusione troppo rapida con conseguente sindrome da sovraccarico circolatorio. Tra gli effetti ritardati immunologici vi sono l’emolisi o l’immunizzazione verso componenti del sangue del donatore, e tra gli effetti ritardati non immunologici la possibilità di infezioni virali, come epatite, citomegalovirus o la trasmissione del virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV).