trasformismo
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Il termine trasformismo è proprio del linguaggio politico italiano. Sta a indicare, con connotati che da inizialmente positivi sono diventati prevalentemente negativi, la trasformazione che porta un individuo o un gruppoa spostarsi da uno schieramento a un altro di cui era precedentemente avversario
Il trasformismo, fenomeno essenzialmente legato alle vicende parlamentari, presenta un primo significato che si può definire tecnico (o neutro), e altri due di carattere etico e ideologico tra loro opposti.
In senso tecnico, sta a indicare il processo in base al quale alcuni soggetti politici operano uno spostamento di campo, avendo preso atto che le ragioni delle precedenti divisioni sono venute meno in seguito all’evolversi delle situazioni e all’affacciarsi di problemi che giustificano convergenze prima impensabili.
In senso etico e ideologico, il trasformismo viene considerato positivamente da chi lo pratica o lo approva, vedendovi il segno della capacità di liberarsi di pregiudizi e adeguarsi alla concretezza delle situazioni. Per contro, viene considerato negativamente da coloro che lo reputano la prova di un cedimento per ottenere vantaggi da chi più ha da offrire, e quindi una causa di inquinamento della politica.
Il trasformismo ha avuto origine in Italia negli anni Settanta dell’Ottocento, quando in settori della classe politica liberale della Sinistra e della Destra maturò la convinzione che il compito storico dei due partiti in competizione – già protagonisti della formazione e del consolidamento dello Stato unitario – si fosse per molti aspetti esaurito.
A loro avviso, di fronte ai nuovi e difficili problemi che lo Stato si trovava ad affrontare e alle rilevanti tensioni sociali, occorreva pervenire a una strategia unitaria, adatta a rafforzare l’opera di governo, la monarchia e le istituzioni.
Di questo spirito si fece apertamente interprete il leader della Sinistra e capo del governo Agostino Depretis, il quale in un discorso a Stradella nel 1876 auspicò la «feconda trasformazione» dei due partiti liberali, dicendo di essere pronto ad accogliere «le idee buone, le vere utili esperienze» provenienti dagli antichi avversari. In un altro discorso del 1882 egli definì la teoria dell’amalgama, affermando di non voler respingere chi volesse «trasformarsi e diventare progressista».
Il trasformismo suscitò immediatamente critiche pungenti di esponenti liberali sia della Sinistra – Francesco Crispi, per esempio, lo definì dapprima un «incesto parlamentare», ma in seguito aderì pienamente a esso divenendo da repubblicano un fervente monarchico – sia della Destra.
Il fenomeno trasformistico, che è apparso ripetutamente nella storia italiana, è stato alimentato dal fatto che i sistemi politici italiani – quello monarchico liberale, quello fascista e quello repubblicano democratico – fino a tempi recenti hanno avuto il carattere di sistemi bloccati, ossia caratterizzati dall’impossibilità per le maggiori forze di opposizione di dar vita a normali alternative di governo. Da questo è derivato che, all’interno di tali sistemi, il ricambio della classe politica dirigente è potuto avvenire in maniera sostanziale proprio attraverso il distacco di parti delle opposizioni che hanno raggiunto lo schieramento governativo sia stabilendo alleanze, sia passando direttamente nelle file del governo.
Dopo Depretis ricorse largamente al trasformismo Giovanni Giolitti nel decennio precedente la Prima guerra mondiale, in cui tenne quasi ininterrottamente le redini del governo, stabilendo intese sia con i cattolici moderati sia con i socialisti riformisti. Il trasformismo giocò un ruolo significativo anche alle origini del fascismo e nel momento della crisi e dissoluzione di questo.