TRASFORMAZIONE
. Matematica. - 1. Quando, in un qualsiasi problema implicante una variabile x, s'introduce una nuova variabile x′, la quale sia funzione della x,
si dice che quest'equazione (1) definisce una trasformazione della variabile x nella x′. Così, se due variabili x, y sono legate ad altre due variabili x′, y′ da un sistema di due equazioni della forma
si dice che questo sistema definisce una trasformazione delle variabili x, y nelle x′, y′; e la definizione si estende al caso di quante si vogliano variabili.
Ogni trasformazione è suscettibile di due interpretazioni geometriche diverse. Se, considerando, per fissare le idee, una trasformazione (2) in due variabili, le x, y e le x′, y′ s'interpretano come coordinate di due punti appartenenti, rispettivamente, a due piani distinti π e π′ - eventualmente anche sovrapposti - la trasformazione (2) definisce una corrispondenza (v.) fra i punti di π e quelli di π′. Se, invece, le x, y e le x′, y′ s'interpretano, in un medesimo piano, come coordinate di uno stesso punto, rispetto a due riferimenti diversi, la (2) definisce il cambiamento del primo riferimento nel secondo. Per es., le
ove ϑ sia un dato angolo e le x, y e x′, y′ s'interpretino, in un piano, come coordinate cartesiane di due punti, rispetto a una medesima coppia di assi, dànno le equazioni della rotazione, di ampiezza ϑ, del piano su sé stesso intorno all'origine. Ma le stesse equazioni (2) si possono anche interpretare, nel piano, come le relazioni che legano le coordinate cartesiane x, y di un generico punto, rispetto a una data coppia di assi ortogonali, alle coordinate cartesiane x′, y′ di quel medesimo punto, rispetto alla coppia di assi, che dalla primitiva si ottiene, facendola rotare, intorno all'origine, dell'angolo −ϑ (v. coordinate, n. 12).
2. Per semplicità si consideri una trasformazione (2), in due variabili, tenendo conto che tutto quanto si dirà si estende senz'altro al caso di quante si vogliano variabili. Se le (2) sono risolubili rispetto ad x, y, la trasformazione delle x′, y′ nelle x, y, definita dalle equazioni così ottenute
si dice inversa della (2).
Sotto l'ipotesi che le funzioni f e g in una regione R del piano x′, siano univalenti e continue con le loro derivate parziali del 1° ordine, la condizione necessaria e sufficiente affinché in tale regione la (2) sia invertibile univocamente si è che in R non sia identicamente nullo il determinante funzionale o jacobiano delle x′, y′ rispetto alle x, y
Considerata, oltre la (2), una trasformazione delle x′, y′ in due nuove variabili x″, y″
la trasformazione delle x, y nelle x″, y″, definita dalle equazioni
si dice prodotto (operatorio) delle due trasformazioni (2) e (4). Generalmente questo prodotto non è commutativo, cioè la (5) non coincide con la trasformazione
Quando le (5) e (6) siano identiche, le trasformazioni (2), (4) si dicono permutabili. Tali sono in ogni caso una qualsiasi trasformazione (2) e la sua inversa (2′); e il prodotto di queste due trasformazioni, in ciascuno dei due ordini possibili, dà la trasformazione x″ = x, y″ = y, che si dice trasformazione identica o identità.
Combinando iteratamente per prodotto una trasformazione con sé stessa, si ottengono le sue successive potenze (operatorie), fra loro tutte permutabili.
Il concetto di prodotto delle trasformazioni sta alla base della definizione di gruppo di trasformazioni (v. gruppo).
3. Le trasformazioni si classificano secondo la natura analitica delle funzioni, che esprimono le variabili trasformate per mezzo di quelle di partenza. Così una trasformazione si dice lineare (omogenea o no) o razionale o algebrica, ecc., secondo che tali sono le funzioni or ora indicate.
Le trasformazioni lineari omogenee in un qualsiasi numero n di variabili, ove queste s'interpretino come coordinate cartesiane (o, più in generale, proiettive) omogenee in uno spazio (lineare) ad n - 1 dimensioni (v. coordinate, n. 20; iperspazio, n. 5), vi definiscono le corrispondenze proiettive.
Fra le trasformazioni razionali sono particolarmente notevoli quelle di cui risultano razionali anche le inverse. Esse si dicono trasformazioni birazionali o cremoniane dal nome di L. Cremona. Può anche darsi che una trasformazione razionale - p. es., del piano x, y nel piano x′, y′ - pur non essendo invertibile razionalmente finché le x, y si lasciano libere di variare nel rispettivo piano, stabilisca una corrispondenza biunivoca fra i punti di una data curva algebrica ϕ (x, y) = 0 e i punti della trasformata Ψ (x′, y′) = 0; e queste trasformazioni .birazionali fra enti algebrici (a un qualsiasi numero di dimensioni) caratterizzano, nei suoi sviluppi più elevati, la geometria algebrica (v. geometria, n. 34).
Per il concetto di trasformazione infinitesimale, v. gruppo, n. 18.
Trasformazioni di contatto.
4. Una trasformazione su due variabili
s'interpreti (n. 1) come una corrispondenza fra due piani π e π′, su cui le x, y e, rispettivamente, le x′, y′ siano coordinate cartesiane ortogonali. La (2) fa corrispondere non soltanto ad ogni punto di π un punto di π′ - e quindi a ogni curva di π una ben determinata curva di π′ -, bensì anche ad ogni coppia di curve di π, che si tocchino in un punto P, due curve di π′, fra loro tangenti nel punto P′, corrispondente a P. Poiché le due prime curve hanno comune, oltre il punto P, la rispettiva tangente di rapporto direttivo p = dy/dx, la trasformazione (2) si può considerare come operante sugli elementi lineari dei due piani, designando con questo nome le figure costituite ciascuna da un punto (centro dell'elemento) e da una direzione, rappresentabile mediante un segmento rettilineo (che giova pensare infinitesimo) passante per codesto punto.
Se si indica con p′ il rapporto direttivo dell'elemento lineare, che su π′ corrisponde al generico elemento lineare x, y, p di π, si è condotti ad associare alla (2) l'equazione
e si ottiene così una trasformazione delle tre variabili x, y, p nelle x′, y′, p′, alla quale si dà il nome di trasformazione (2) estesa agli elementi lineari (ted. erweiterte Punkttransformation).
Ora al concetto di trasformazione di contatto (ted. Berührungstransformation) si perviene generalizzando queste trasformazioni puntuali estese. A tale fine si cominci con l'osservare che una qualsiasi curva piana y = y (x) si può considerare come un insieme o varietà di ∞1 elementi lineari, aventi ciascuno come centro un punto della curva e come direzione quella della rispettiva tangente, sicché una tale varietà di elementi lineari x,y, p risulta definita dalle due equazioni
dove y′ (x) denota la derivata di y (x). Om se x, y, p è uno qualsiasi di quest: elementi ed è x + dx, y + dy, p + dp l'elemento che gli è infinitamente vicino sulla curva, si riconosce che, avendosi dy = y′ dx, sussiste l'equazione pfaffiana
la quale esprime che i due elementi sono fra loro raccordati (ted. vereinigt liegen), nel senso che la retta del primo passa per il centro del secondo. Viceversa si dimostra che ogni varietà di ∞1 elementi lineari, la quale goda della proprietà che ogni suo elemento sia raccordato a quello infinitamente vicino, talché renda soddisfatto il vincolo di raccordo (7) (ted. Elementverein) è necessariamente costituita dagli ∞1 elementi lineari di una curva σ, in particolare, dagli ∞1 elementi che hanno uno stesso centro. Si può dunque dire che ogni trasformazione fra punti, estesa agli elementi lineari, trasforma ogni varietà di ∞1 elementi lineari raccordati in una varietà della stessa specie.
Più in generale, S. Lie ha chiamato trasformazione di contatto (1872) ogni trasformazione sugli elementi lineari del piano - cioè delle variabili x, y, p nelle x′, y′, p′ -
la quale trasformi ogni varietà di ∞1 elementi lineari raccordati in una varietà del medesimo tipo, per il che occorre e basta che trasformi in sé il vincolo di raccordo (7). Una tale trasformazione fa bensì corrispondere ad ogni generica curva una curva, ma, a differenza di quanto accade per le trasformazioni puntuali estese, trasforma un qualsiasi punto, come insieme dei suoi elementi lineari, in una curva; e, viceversa, fa corrispondere a certe ∞2 curve (che da sole bastano a definire la trasformazione) gli ∞2 punti del piano.
Per avere un esempio elementare di trasformazione di contatto basta pensare la polarità rispetto a una conica (v. coniche, nn. 15, 20) o, più in generale, una qualsiasi reciprocità fra piani. Nel caso del cerchio x2 + y2 − 1 = 0, le equazioni della corrispondente polarità, come trasformazione di contatto, sono date da
5. Nello spazio, in luogo degli elementi lineari, vanno considerati gli elementi superficiali o faccette, costituite ciascuna da un centro x, y, z e da un'areola piana (infinitesima) passante per esso, la cui giacitura si determina per mezzo di due parametri p, q (tali, ad es., che i coseni direttori della rispettiva normale siano proporzionali a p, q, − 1); e il vincolo di raccordo di due faccette infinitamente vicine è espresso dall'equazione pfaffiana
Si dice di contatto ogni trasformazione delle variabili x, y, z, p, q nelle x′, y′., z′, p′, q′, la quale trasformi in sé il vincolo di raccordo (8). Una tale trasformazione fa corrispondere una superficie non soltanto a ogni generica superficie, bensì anche a ogni generica curva e a ogni punto, considerati l'una e l'altro come insieme delle rispettive ∞2 faccette; ma esiste sempre una particolare famiglia di ∞3 superficie o di ∞3 curve, cui corrispondono gli ∞3 punti.
Fra le trasformazioni di contatto dello spazio è celebre quella, scoperta dal Lie nel 1870, che fa corrispondere a ogni retta, considerata come insieme delle sue ∞2 faccette, una sfera e, conseguentemente, alle asintotiche di una generica superficie le linee di curvatura della superficie corrispondente (v. sfera, n. 13).
6. Al Lie, oltre al concetto geometrico di trasformazione di contatto in uno spazio a quante si vogliono dimensioni, si deve, nelle sue linee essenziali, la teoria del gruppo totale di tali trasformazioni, dei suoi sottogruppi continui, finiti e infiniti (v. gruppo), dei rispettivi invarianti, la quale costituisce lo strumento più potente per la classificazione e la riduzione a forma canonica delle equazioni e dei sistemi differenziali (v. equazioni, nn. 28-33). In particolare il Lie, interpretando gl'integrali dei sistemi differenziali non più come luoghi di punti, ma come varietà raccordate di elementi, riducibili con trasformazioni di contatto a varietà congeneri, aventi un supporto puntuale di diversa dimensione, fu condotto a estendere il concetto stesso d'integrale di un'equazione o di un sistema differenziale e a considerarne, ad es., nel piano, accanto alle soluzioni rappresentate da curve, quelle ridotte a un punto; nello spazio, accanto alle soluzioni rappresentate da superficie, quelle che si riducono a curve o anche a punti, ecc. D'altro canto nella teoria generale delle trasformazioni di contatto trovarono il loro assetto concettuale e algoritmico definitivo quelle trasformazioni che, già prima W. R. Hamilton e C. G. J. Jacobi avevano introdotto e studiato, sotto il nome di trasformazioni canoniche, per le equazioni della dinamica.
7. L'intima natura geometrica e la portata del concetto di trasformazione di contatto risultano indirettamente lumeggiate da due importanti risultati, stabiliti da A. V. Bäcklund e da F. Engel. Nel piano, oltre gli elementi lineari del 1° ordine, di cui si è parlato dianzi, si possono considerare gli elementi lineari di un qualsiasi ordine m > 1, quali risultano comuni a due curve piane, aventi un contatto di ordine m (v. contatto). Gli ∞1 elementi lineari di un qualsiasi ordine m, che costituiscono una curva piana, risultano raccordati ciascuno a quello infinitamente vicino e i vincoli di raccordo si traducono in certe m equazioni pfaffiane fra cui compare la (7). Similmente nello spazio si possono considerare elementi superficiali di ogni possibile ordine m e, in ogni caso, i corrispondenti vincoli di raccordo risultano definiti da equazioni pfaffiane. Orbene, il Bäcklund ha dimostrato (1876) che in uno spazio a un qualsiasi numero n di dimensioni, ogni trasformazione sugli elementi di dimensione n − 1 e di qualsiasi ordine m > 1, la quale rispetti i corrispondenti vincoli di raccordo, si riduce sempre a una trasformazione di contatto del Lie estesa agli elementi considerati.
D'altra parte, nello spazio si possono considerare, anziché elementi superficiali, gli elementi lineari di un qualsiasi ordine m; e così in uno spazio a un qualsiasi numero n di dimensioni, oltre agli elementi di dimensione (massima) n −1, si hanno, per qualsivoglia ordine m, elementi di dimensione n − 2, n − 3..., 2, 1. Per ciascuno di questi tipi di elementi i vincoli di raccordo sono espressi da particolari sistemi pfaffiani e l'Engel ha dimostrato (1890) che, in uno spazio a quante si vogliano dimensioni, ogni trasformazione, che operi sugli elementi di data dimensione inferiore alla massima e di ordine qualsiasi e rispetti i corrispondenti vincoli di raccordo, si riduce necessariamente a una trasformazione puntuale, estesa agli elementi considerati.
Va tuttavia notato che i teoremi del Bäcklund e dell'Engel non escludono la possibilità di trasformazioni distinte da quelle di contatto del Lie, le quali conservino il raccordo degli elementi di data dimensione e di dato ordine quali si vogliano, quando operino non già nell'intero spazio ambiente, ma soltanto su particolari varietà di elementi, quali possono essere definite da equazioni o sistemi differenziali. Se ne ha un esempio ormai classico nella trasformazione del Bäcklund per le superficie a curvatura costante.
Bibl.: Per le trasformazioni in generale, oltre ai trattati di calcolo differenziale: S. Lie e G. Scheffers, Vorlesungen über kontinuierliche Gruppen, Lipsia 1893; per le trasformazioni di contatto: id., Geometrie der Berührungstransformationen, I, Lipsia 1896; per le trasformazioni canoniche: T. Levi-Civita e U. Amaldi, Lezioni di meccanica razion., II, ii, Bologna 1928, cap. 10.