Trasferimenti tecnologici
Per trasferimento tecnologico si intende il processo tramite il quale una data tecnologia passa dal suo ideatore/produttore a un altro diverso soggetto utilizzatore. È importante sottolineare che il termine tecnologia in questo contesto è inteso in senso molto ampio, includendo sia conoscenze di tipo prettamente tecnico, sia metodologie organizzative/gestionali, fino a forme di 'meta-conoscenza' (quali la capacità di apprendimento). L'interesse per le varie problematiche legate alla possibilità di realizzare con successo (cioè con ritorni economici significativi) trasferimenti di tecnologia tra vari soggetti è legato al ruolo fondamentale che l'innovazione gioca nel determinare il vantaggio competitivo delle imprese e dei sistemi di imprese.
Alcuni concetti relativi a questa tematica sono stati già introdotti nelle precedenti Appendici (v. ricerca scientifica, App. IV; ricerca e sviluppo, App. V) con riferimento soprattutto al sistema scientifico pubblico. In questa Appendice l'intera problematica viene ripresa in modo sistematico e inserita nel contesto tecnico-economico di tipo aziendale che ha prodotto i risultati più significativi per la competitività delle imprese operanti in mercati sempre più globali.
Storicamente, l'influenza dell'innovazione sulla competitività è stata trattata in modo scientifico dai pionieristici lavori di M. Abramovitz e R.M. Solow che, nella seconda metà degli anni Cinquanta, dimostrarono indipendentemente l'uno dall'altro che le variazioni nell'accumulazione di capitale e nel lavoro impiegato spiegano solo una parte delle variazioni riscontrate nell'output dei vari settori economici, mentre una parte rilevante, pari a circa l'87% (secondo le stime di Solow), dev'essere attribuita a un 'residuo' che può essere considerato progresso tecnico. Successivi studi, di natura sia teorica sia empirica, hanno dimostrato l'esistenza di un forte legame tra crescita della produttività e ritmo del cambiamento tecnologico. Il potenziale scientifico e tecnologico di cui un paese dispone, insieme alla capacità innovativa delle imprese, che ne è in gran parte la conseguenza, è stato da allora ritenuto elemento determinante per la competitività internazionale e, anche, per la crescita dell'occupazione e della ricchezza del paese stesso.
Da un punto di vista teorico occorre sottolineare il fatto che l'utilizzazione della conoscenza, in generale, gode della caratteristica di 'non rivalità': in altre parole, l'utilizzazione di un qualsiasi know-how da parte di un qualunque soggetto non sottrae nulla alla quantità e qualità disponibili per l'utilizzazione da parte di altri. In modo equivalente si può dire, intuitivamente, che la conoscenza non si consuma con l'uso o, più rigorosamente in termini economici, che il costo marginale di fornire la conoscenza stessa a un utente addizionale, una volta che essa sia stata prodotta, è zero. Dal punto di vista dell'efficienza economica, ciò implica che l'utilizzazione della conoscenza non dovrebbe essere razionata. A questo argomento si contrappone però il fatto che, in tutti i casi in cui la produzione di conoscenza viene generata all'interno di un'impresa privata, dovrà necessariamente essere possibile per quest'ultima imporre un prezzo per la sua utilizzazione all'esterno: altrimenti, nessun privato si impegnerebbe più nella produzione di conoscenza, ovvero in attività di Ricerca e sviluppo (R & S).
Nasce da qui il problema dell'appropriabilità della conoscenza stessa, risolto solo parzialmente dalle leggi che disciplinano la proprietà delle invenzioni. Nessun sistema di protezione brevettuale garantisce, infatti, un'appropriabilità assoluta: l'attività di R & S non può per sua natura essere svolta al di fuori del sistema internazionale di diffusione e circolazione della conoscenza; inoltre, informazioni su nuovi prodotti e processi vengono raccolte all'interno e all'esterno dell'industria sia tramite la mobilità del lavoro, sia tramite attività opportunamente intraprese, come per es. il reverse engineering (in base al quale, partendo dal prodotto finale, vengono derivate le caratteristiche innovative che ne hanno permesso la realizzazione). La porzione non appropriabile della conoscenza prodotta dai soggetti privati viene indicata con il termine spill-over. Le particolari caratteristiche di ciascun settore industriale determinano un livello di spill-over tipico del settore stesso. Elevati livelli di spill-over comportano una scarsa propensione delle imprese del settore a investire in R & S: di tale investimento finirebbero infatti per beneficiare, in larga misura, anche coloro che non vi hanno contribuito (free riding).
L'esistenza di fenomeni di spill-over, anche se di entità diversa, in tutti i settori fa sì che l'attività complessiva di R & S svolta dai soggetti privati sia inferiore al livello socialmente ottimo. Questa è la ragione per cui in tutti i paesi sviluppati lo Stato interviene direttamente nella produzione di conoscenza, tentando di portarne l'offerta al livello ritenuto ottimale investendo risorse spesso rilevanti nel sistema scientifico pubblico.
L'efficienza economica nella produzione di conoscenza viene perseguita così tramite due tipi di azioni: da un lato si tratta di garantire alle imprese il massimo livello di protezione della conoscenza prodotta internamente, almeno finché ciò non determini posizioni monopolistiche; dall'altro si cerca di far sì che tutta la conoscenza 'accessibile' sia sfruttata in modo ottimale dal sistema produttivo. Tale sfruttamento, infatti, non è immediato come si potrebbe pensare. La 'cattura' di un know-how appartenente al sistema di libera circolazione del sapere non è infatti facile, così come non è sempre facile la sua conversione e utilizzazione a fini produttivi. Per tale scopo è necessario disporre di competenze che non sempre sono presenti, specialmente nell'ambito delle PMI (Piccole e Medie Imprese); eppure, è proprio sulla possibilità di utilizzare al meglio il patrimonio di conoscenze disponibili, sia perché sfuggite ai meccanismi di appropriazione della ricerca privata, sia perché generate dall'ormai vastissimo corpo della ricerca pubblica, che si gioca la capacità delle imprese e dei sistemi di imprese di essere competitivi con successo. In tutto il mondo si tenta di rispondere a questa esigenza con azioni vaste e coordinate di trasferimento tecnologico.
Per le suddette ragioni, negli ultimi anni, sia gli studiosi sia coloro che determinano le scelte politiche (i cosiddetti policy makers) hanno dedicato una crescente attenzione alla centralità dell'innovazione e del progresso tecnico come fondamentali fattori di crescita per i moderni sistemi economici. Ciò si deve anche al fatto che il progresso tecnologico ha recentemente assunto caratteri di pervasività intersettoriale, di radicalità e di cumulabilità tali da farlo assomigliare alla grande trasformazione avvenuta nei sistemi produttivi circa un secolo fa, con l'avvento dell'energia elettrica. Nella situazione attuale l'elemento rivoluzionario è stato rappresentato dalla cosiddetta rivoluzione microelettronica. A questo fenomeno si sono interessati sia gli economisti sia i tecnologi nel tentativo di comprenderne gli effetti sull'evoluzione futura dei sistemi produttivi. Contemporaneamente si è da un lato affermato un insieme di innovazioni organizzative nell'impresa e nelle relazioni tra imprese, con uno sviluppo dei rapporti cooperativi tra di esse e della possibilità di sfruttare economie esterne, mentre, dall'altro, le politiche pubbliche sono andate oltre la tradizionale creazione e difesa delle condizioni di contesto (infrastrutture, educazione ecc.) per favorire la diffusione dell'innovazione e l'ampliamento della base tecnologica del sistema.
Politiche di sviluppo
Il problema del t. t. e della diffusione dell'innovazione nel tessuto economico e sociale dei paesi industrializzati è in tutto il mondo oggetto di grande attenzione, in quanto a esso è attribuita un'importanza centrale nei nuovi scenari competitivi internazionali. Se nelle aree ad avanzato sviluppo economico questa attenzione si traduce nello studio delle iniziative più efficaci da intraprendere a sostegno di un ciclo innovativo già avviato, e quindi nella messa a punto di soluzioni organizzative per facilitare la diffusione dell'innovazione nell'intero sistema produttivo, nelle aree in ritardo di sviluppo - come il Mezzogiorno d'Italia, dove spesso il tessuto produttivo è arretrato e un processo innovativo autosostenuto è assente - l'obiettivo delle politiche pubbliche è innanzitutto quello di recuperare l'ampio scarto tecnologico con le regioni più avanzate. La specificità dei diversi modelli di impresa (per ogni contesto locale, regionale o nazionale) e delle interazioni impresa-contesto locale determina così l'esigenza di politiche, infrastrutture e servizi di t. t. diversi.
La dimensione locale è fortemente connessa con i processi innovativi, che vanno assumendo connotazioni sempre più complesse riguardanti sia l'aspetto scientifico e tecnologico, sia quello applicativo-industriale, sia fattori di ordine finanziario e commerciale. In sintesi, l'innovazione si fonda su uno scambio fortemente interattivo di risorse - fondamentalmente immateriali - secondo un approccio multifunzionale e multi-istituzionale. Nelle aree-sistema (v. oltre) di successo e, in generale, nei contesti economicamente evoluti è stata l'elevata sintonia, sia tra istituzioni pubbliche e private (in termini di valori, comportamenti e orientamenti), sia tra imprese e centri di ricerca pubblici e industriali, a dar luogo a un reticolo di legami tra gli attori locali che ha moltiplicato la capacità innovativa dei singoli.
A fronte di tali considerazioni, si comprendono la maggiore attenzione attribuita, nell'ambito delle politiche di sviluppo, ai contesti territoriali locali e il relativamente nuovo interesse verso una regionalizzazione dell'analisi economica. Tra i motivi, infatti, che hanno reso la dimensione locale, una volta luogo secondario di attività economica, protagonista dei progetti di sviluppo si può citare il consolidamento, in molti paesi, delle cosiddette aree-sistema, categoria generale che raccoglie le diverse esperienze dei distretti industriali, dei sistemi di impresa, delle costellazioni di imprese, della macroimpresa. Un secondo motivo è da ricondursi alla riorganizzazione, negli anni Ottanta, della grande impresa che ha decentrato le sue attività di ricerca, progettazione e produzione legandosi a reti di subfornitura di piccole imprese locali che, a loro volta, intraprendono collaborazioni con sorgenti di innovazione tecnologica e gestionale. In questa rete di rapporti, le PMI (sia esistenti, sia in progettazione) rappresentano i nodi nevralgici verso cui affluiscono le innovazioni tecnologiche destinate ad assumere forma produttiva e da cui partono idee e investimenti che contribuiranno ad alimentare il ciclo innovativo.
Nelle aree in ritardo di sviluppo la debolezza della trama produttiva, l'insufficienza dei servizi di base e di quelli sofisticati, l'incapacità relazionale rendono le imprese, soprattutto quelle di piccola e media dimensione, isolate e quindi fortemente vulnerabili in un mercato sempre più globale, in cui processi e prodotti divengono velocemente obsoleti. Il bisogno di informazioni (con particolare riferimento all'evoluzione delle traiettorie tecnologiche), alla base dei processi di trasmissione delle innovazioni, spinge a focalizzare l'attenzione intorno alla forte crescita delle interdipendenze su larga scala, come importante fattore per una struttura di impresa reticolare, cellulare, spazialmente articolata in poli, in grado di superare il modello tayloristico gerarchizzato e centralizzato, nonché di incidere in misura determinante sul grado di sviluppo a livello locale. La crescente importanza delle relazioni a rete tra le imprese è quindi strettamente connessa con il ruolo cruciale dell'informazione e della conoscenza nell'attuale fase di sviluppo economico (Teece 1989).
La possibilità di intervenire in ambito locale con azioni di t. t. è da tempo oggetto di particolare attenzione. La globalizzazione dei mercati con l'aumento delle alleanze strategiche, l'emergere di nuovi paesi concorrenti sul piano tecnologico, la sempre maggiore internazionalizzazione delle imprese e delle attività di ricerca e d'innovazione, la compenetrazione tra scienza e tecnologia, l'aumento dei costi della ricerca, l'aumento della disoccupazione e dell'importanza di fattori sociali e ambientali sono altrettanti fenomeni che hanno sconvolto le condizioni sia di produzione sia di diffusione delle innovazioni, favorendo il legame tra innovazione, produttività e crescita economica come elemento centrale nella definizione delle politiche di sviluppo.
Ciò ha prodotto due conseguenze. Da un lato, molti paesi avanzati hanno rafforzato l'investimento pubblico nella ricerca, accrescendolo gradualmente negli ultimi quarant'anni fino a livelli dell'ordine del 3% del PIL (non è questo però il caso dell'Italia, dove le risorse complessive dedicate alla R&S si sono negli anni Novanta attestate intorno all'1,5% del PIL con uno scarto, rispetto ai principali competitori, di almeno un punto percentuale). Dall'altro, si è cercato di valorizzare al massimo tale investimento, con una serie di azioni volte a rendere più efficaci i processi innovativi e, in particolare, a migliorare il trasferimento della conoscenza dai laboratori alla produzione, sfruttando al massimo tutte le possibilità di utilizzare a fini produttivi il know-how scientifico e tecnologico generato dall'università e dagli enti pubblici di ricerca.
La capacità del sistema socio-economico-produttivo nel suo complesso di trasformare i risultati della ricerca e le competenze tecnologiche in innovazioni è ritenuta ormai più importante degli incrementi di produttività, oggetto in passato di un interesse tale da monopolizzare l'attenzione delle imprese. Tali incrementi possono infatti essere vanificati se messi al servizio di una tecnologia superata o sul punto di esserlo. L'innovazione diventa così il principio direttivo di qualsiasi politica dell'impresa, sia a valle sia a monte della produzione dei beni e dei servizi, e può risultare vincente se tutte le competenze dell'impresa vengono mobilitate. Al contrario, essa fallisce quando questa coesione non viene garantita. In questo nuovo contesto, la capacità delle istituzioni e delle imprese di investire nella ricerca e nello sviluppo, nell'istruzione e nella formazione, nell'informazione, nella cooperazione e, più in generale, negli aspetti immateriali è determinante. Si ritiene necessario lavorare sul medio o lungo termine e, contemporaneamente, reagire in tempi estremamente rapidi alle necessità e alle opportunità del presente, tanto più nei paesi in cui lo sforzo globale di ricerca, pubblico e privato, è inferiore a quello dei concorrenti: uno scarto nelle attività cumulative e a lungo termine come la R & S è infatti destinato ad amplificarsi nel tempo. È soprattutto in tali casi che le imprese e i poteri pubblici devono incrementare i loro sforzi per la valorizzazione economica della conoscenza.
Un altro aspetto importante è quello della riduzione dei tempi di intervento. A causa della complessità tecnologica dei prodotti e degli elevati rischi finanziari, in molti settori la competizione tra le imprese inizia molto prima che il prodotto venga immesso sul mercato. Già nelle prime fasi di sviluppo di un nuovo prodotto le imprese cercano alleati, realizzano accordi con altre imprese e, quando possibile, anche con i clienti, in modo da assicurarsi le risorse finanziarie e tecnologiche nonché una domanda sufficiente per il lancio. Nei settori ad alta tecnologia, in particolare, la grande complessità dei prodotti richiede investimenti specifici e conoscenze tecnologiche che superano i confini della singola impresa. Per questo si è andata consolidando una tendenza che vede molte imprese focalizzate solo su alcune aree tecnologiche su cui posseggono un adeguato livello di competenze, raggiungendo così elevati livelli di specializzazione. Ciò rende necessaria un'organizzazione aperta del processo produttivo in cui imprese con tecnologia e dimensione diverse partecipano con ruoli e caratteristiche differenti alla realizzazione del prodotto finale.
Si sviluppa così un sistema gerarchico di relazioni produttive, sia orizzontali sia verticali (piramide produttiva), che, partendo dalle grandi imprese dell'oligopolio mondiale, giunge fino alle piccole e medie imprese subfornitrici. Attraverso la piramide produttiva queste ultime, grazie al contributo di tecnologie specialistiche, partecipano alla competizione internazionale che costituisce per esse un momento potenziale di apprendimento tecnologico e crescita economica. Si tratta di una prima embrionale forma di rete di relazioni produttive, in cui le singole imprese ricevono e diffondono l'innovazione tecnologica e la capacità di innovazione della singola impresa assume grande importanza. Se essa è superiore alla velocità di diffusione dell'innovazione all'interno della rete, l'impresa gioca un ruolo di anticipazione ('proattivo') poiché attraverso la propria core technology migliora continuamente la competitività del sistema. Viceversa, se la velocità di diffusione della tecnologia all'interno della rete è superiore alla capacità innovativa della singola impresa, la core technology di quest'ultima viene assorbita dalle altre imprese della rete con il pericolo dell'espulsione dalla rete stessa e quindi dal mercato.
In questo contesto, particolarmente esposte appaiono le PMI, che pure sono un serbatoio di creazione di posti di lavoro e una fonte di differenziazione del tessuto industriale. Le imprese con meno di 100 lavoratori dipendenti sono all'origine della quasi totalità della creazione di posti di lavoro negli ultimi anni. D'altro canto, la debolezza di queste imprese in termini finanziari, di risorse umane e di contatti commerciali è fonte di preoccupazione; infatti, le PMI si pongono spesso come fornitrici specializzate delle grandi aziende sistemiste. Queste ultime hanno interesse a sviluppare intensi rapporti di collaborazione con le proprie imprese subfornitrici e a instaurare con esse un elevato interscambio di informazioni, conoscenze e tecnologia. A loro volta, le imprese subfornitrici acquisiscono sia la capacità di realizzare componenti e manufatti complessi (technical skill), sia la capacità di sostenere una complessa rete di relazioni (relational skill) di cui fanno parte l'impresa committente, le altre imprese subfornitrici e, in generale, l'ambiente esterno.
Questo, insieme al peso economico degli investimenti specifici realizzati, induce le imprese subfornitrici a concentrare le loro attività su pochi committenti e a instaurare con essi rapporti non occasionali ma duraturi nel tempo. Tale tendenza incontra anche l'esigenza dei committenti che hanno bisogno di interlocutori affidabili con cui intrecciare relazioni di lungo periodo. Le relazioni tra committente e subfornitore sono, però, asimmetriche, in quanto la capacità del committente di influenzare la tecnologia e l'organizzazione produttiva del subfornitore è molto superiore alla capacità del subfornitore di influenzare la tecnologia e l'organizzazione produttiva del committente. Utilizzando questo diverso surplus di potere rispetto ai subfornitori, il committente ridistribuisce la 'quasi-rendita relazionale' in base alle proprie strategie. Ciò permette al committente di sostenere la crescita di alcune imprese subfornitrici e di imporre la sua strategia di sviluppo.
Una tale politica instaura un gioco a somma positiva tra committente e alcuni subfornitori, in quanto le parti ricevono reciproci vantaggi. Il diverso potere del committente rispetto al subfornitore rende realistica l'ipotesi che il primo possa mettere in atto comportamenti opportunistici. Ai suddetti fattori di debolezza delle PMI si aggiungono i seguenti elementi: la maggior parte delle attività pubbliche di sostegno all'innovazione sono fatte su misura per le grandi imprese; le PMI soffrono contemporaneamente di difficoltà di finanziamento e di debolezze strutturali nella loro capacità di gestione; l'accesso alle conoscenze e alle informazioni che consentono di ridurre i margini d'incertezza è notevolmente più difficile e proporzionalmente più dispendioso per le PMI che per le imprese più grandi; la maggior parte delle PMI esita a ricorrere ai servizi e ai dispositivi di aiuto, di assistenza o di consulenza esistenti.
Quanto sopra determina, in tutto il mondo sviluppato, un forte interesse verso le PMI, cui sono principalmente indirizzate le azioni di trasferimento tecnologico. L'interesse si manifesta con: a) la volontà di favorire la creazione e lo sviluppo di imprese nuove a base tecnologica; b) una serie di sforzi per potenziare le capacità di assorbimento tecnologico delle PMI: si tratta in questo caso di facilitare il processo di apprendimento e di accumulazione delle conoscenze. Sono pertanto frequenti i provvedimenti che tendono ad agevolare l'assunzione o l'occupazione temporanea di ingegneri o di tecnici nelle PMI. Questi tentativi, frequenti in Germania, Danimarca, Irlanda, Regno Unito e Francia, mirano a creare, in seno all'impresa, un nucleo di persone aperte alle evoluzioni tecniche e in grado di dialogare con i ricercatori; c) la diffusione di tecniche gestionali innovative, come la qualità, il business process re-engineering (ovvero la riprogettazione dell'intero processo sulla base delle esigenze di mercato) o l'analisi del valore. Una parte degli sforzi pubblici favorisce, inoltre, in misura crescente l'inserimento delle PMI in club, reti o cluster. In Finlandia, per es., esiste un'originale iniziativa che mira a nominare i dirigenti esperti di grandi imprese come mentori di PMI ad alta tecnologia; d) la volontà di semplificare l'accesso delle PMI alle varie misure di sostegno e alle fonti di competenze esterne. La maggior parte delle PMI, infatti, rischia di perdersi in un dedalo di procedure e di non saper operare la scelta dei servizi di sostegno. Questi ultimi si sono moltiplicati nel corso degli ultimi anni, anche se una parte ancora molto importante di PMI (si parla di percentuali tra il 60 e l'80%, a seconda dei paesi) è tuttora all'oscuro delle possibili fonti di aiuto; e) una nuova attenzione verso le microimprese (quelle con 10 dipendenti o meno), integrate in una rete produttiva, eventualmente con infrastrutture condivise.
Azioni di trasferimento tecnologico
Per poter progettare un'efficace azione di trasferimento è quindi necessario tener conto della diversa natura dei soggetti implicati sia nella promozione sia nella fruizione dell'innovazione. Sarebbe infatti semplicistico ipotizzare che tali soggetti (laboratori pubblici, università, imprese di diversa dimensione e operanti in settori industriali diversi) acquisiscano il loro patrimonio scientifico e tecnologico in base alle medesime procedure: negli ultimi anni, infatti, è stata messa in luce l'esistenza di notevoli differenze nelle fonti del cambiamento tecnologico, non soltanto tra il settore pubblico e privato, ma anche tra imprese diverse.
Una vera e propria tassonomia volta a distinguere le imprese in base alla natura e alle fonti del cambiamento tecnologico è stata proposta da K. Pavitt negli anni Ottanta. Le imprese vengono distinte in cinque categorie.
1) imprese dominate dai fornitori: sono quelle che non producono al loro interno la maggior parte delle innovazioni introdotte, ma le acquisiscono in prevalenza dalle imprese fornitrici. Poiché l'origine del cambiamento tecnologico è esogena all'impresa, esso dipende dall'esistenza di una profonda interazione fra produttori e utilizzatori delle innovazioni. Gran parte delle imprese manifatturiere tradizionali appartiene a questa categoria, compresa tutta l'industria delle costruzioni;
2) imprese fornitrici specializzate: si tratta di imprese di dimensioni piccole e medie che si sviluppano in simbiosi con le imprese alle quali forniscono macchinari, componenti e capacità tecnologica in genere. Settori tipici sono quelli della produzione di macchine utensili e della strumentazione scientifica;
3) imprese basate sui rendimenti di scala: sono quelle per cui la principale strategia consiste nel ridurre i costi di produzione sfruttando al massimo le economie di scala. I settori tipici sono quelli dei materiali e quelli delle produzioni di grande serie;
4) imprese basate sulla scienza: sono quelle che effettuano elevati investimenti in R & S e che producono al loro interno gran parte delle innovazioni che usano. Elettronica e aerospaziale sono i settori in cui sono in genere presenti imprese appartenenti a questa categoria;
5) imprese basate sull'uso intensivo dell'informazione: si tratta di imprese che hanno intensi rapporti con altre organizzazioni e che sono specializzate in quelle tecnologie, come per es. lo sviluppo software, nelle quali si intende ridurre al minimo il tempo e i costi di transazione.
Possono inoltre essere individuate quattro tipologie di innovazione, tenendo conto delle due dimensioni fondamentali dell'innovazione: quella relativa ai componenti di un prodotto o di un servizio e quella di sistema, relativa cioè alle relazioni tra i componenti stessi. Una prima tipologia è quella delle innovazioni incrementali, basate sulla naturale evoluzione delle competenze interne all'azienda e quindi su un costante miglioramento dei componenti, che lasciano però inalterate le relazioni tra essi. Una seconda classe è quella delle innovazioni architetturali, in cui viene essenzialmente ridefinito il sistema di relazioni e interdipendenze. Nella terza classe si collocano le innovazioni modulari, generate da break-through nei componenti nell'ambito di prodotti o servizi le cui caratteristiche di sistema rimangono però inalterate (come, per es., nel passaggio dalla telefonia analogica a quella digitale). L'ultima tipologia è infine quella delle innovazioni radicali: cambiano i componenti, ma anche il sistema si configura in modo completamente diverso (per es. il passaggio dalla televisione analogica terrestre alla televisione digitale satellitare).
Da tale molteplicità ed eterogeneità di agenti economici coinvolti, oltre che dalla complessità dei meccanismi innovativi e degli aspetti organizzativi e contrattuali, nascono le principali difficoltà del trasferimento tecnologico. In questo contesto la chiave del successo sta non tanto e non solo in dirigistiche azioni volte a fornire alle imprese improbabili 'iniezioni' di conoscenza, quanto in una serie di misure volte a creare le migliori condizioni a favore dell'innesco di un vasto e diffuso processo di innovazione. Parte di queste condizioni dipende dall'evoluzione del sistema socioeconomico e culturale complessivo del paese; altre, invece, possono essere influenzate da una serie di interventi opportunamente mirati.
Una forte risposta dell'intervento pubblico a tale scenario si è esplicitata attraverso la promozione di una serie di iniziative, strutture e progetti che possono essere ricondotti alla categoria generale delle infrastrutture per il trasferimento tecnologico. Rientrano in tale definizione diverse tipologie di attività e organizzazioni che a vario titolo si interessano di R & S, diffusione dell'innovazione, intermediazione tecnologica, creazione di impresa, quali, per es.: parchi scientifici e tecnologici; incubatori di impresa e business innovation centres; centri di innovazione; consorzi di ricerca; centri servizi e sportelli per le imprese; agenzie di sviluppo territoriale.
Le diverse esperienze applicative presentano differenze profonde sotto molteplici punti di vista: soggetti promotori, configurazioni giuridiche, tipologie insediative, tipologie di servizi forniti. Inoltre, il tema è stato oggetto di interesse in diversi campi: economia industriale, economia dell'innovazione, organizzazione aziendale, gestione della tecnologia, sociologia. Per capire quali possibili azioni possano essere intraprese al fine di migliorare l'efficacia e l'efficienza del processo di t. t., in termini di infrastrutture e servizi di supporto, è necessario identificare i percorsi che lo rendono possibile. Osservando il modello di riferimento riportato in figura, si nota che il processo di trasferimento della conoscenza non sempre comporta il coinvolgimento attivo di tutti gli attori; in particolare, in alcuni casi può essere assente l'interfaccia (i fenomeni di spill-over tra grandi imprese e fornitori ne rappresentano un esempio), mentre in altri casi non è necessario il coinvolgimento attivo della sorgente (condizione necessaria perché ciò si verifichi è che la conoscenza sia di tipo accessibile).
In definitiva, possono essere identificati sei percorsi tipo, così caratterizzati (Infrastrutture per il trasferimento, 1995; Maccarrone 1998):
1) trasferimento diretto di conoscenza accessibile, senza il coinvolgimento diretto dell'interfaccia (A in fig.): si tratta di imprese che hanno risorse e competenze sufficienti per identificare esattamente dove reperire il know-how, come accedervi e come curare il trasferimento;
2) trasferimento di conoscenza accessibile, con l'ausilio di infrastrutture che fungano da interfaccia nella fase operativa di trasferimento (B in fig.): si tratta di una situazione frequente in molti contesti locali, caratterizzati dalla presenza di numerose piccole e medie imprese che, pur necessitando di interventi di aggiornamento tecnologico, non dispongono delle risorse sufficienti per provvedere in modo autonomo al trasferimento. In questo ambito, per es., può essere inquadrata la grande maggioranza delle attività di consulenza aziendale;
3) trasferimento diretto da impresa a impresa (C in fig.): è il caso classico dell'impresa che trasferisce il know-how verso i suoi fornitori o subfornitori. Si può trattare di un fenomeno voluto e controllato dall'impresa, ma anche di processi spontanei (come frequentemente accade nel caso di conoscenze codificabili, non proprietarie);
4) trasferimento diretto da centro di conoscenza a impresa (D in fig.), che può avvenire in varie forme (dalla creazione di joint ventures che coinvolgano sorgente e destinatario, alla nascita di nuove imprese sulla base di innovazioni sviluppate in laboratori o centri di ricerca);
5) trasferimento tra imprese, con l'intervento di apposite infrastrutture (E in fig.): è il caso frequente di imprese che desiderano trasferire tecnologia verso i fornitori, senza essere direttamente coinvolte. L'intervento di intermediazione delle infrastrutture di supporto è comunque necessario anche in altri contesti (per es., in accordi di cooperazione o nella fase di start up di nuove joint ventures);
6) trasferimento da centro di conoscenza a impresa, con la mediazione delle interfacce (F in fig.): si tratta del più 'classico' percorso di trasferimento, che coinvolge direttamente sorgenti, interfacce e destinatari.
I diversi percorsi di trasferimento possono essere sostenuti con adeguate infrastrutture e servizi di supporto, che avranno generalmente natura differente a seconda del percorso. Inoltre, le azioni di supporto possono anche essere indirette, cioè mirate non solo e non tanto allo svolgimento di una funzione di interfaccia tra sorgente e destinatario, quanto alla creazione di condizioni favorevoli al processo di diffusione e trasferimento. Tali azioni, in generale dirette a ridurre il costo transazionale, senza però intervenire direttamente sulla transazione stessa, possono per es. riguardare: a) la fornitura alle imprese di informazioni complete e tempestive, tramite newsletter o con iniziative ad hoc, cosicché le imprese possano più facilmente trovare la soluzione ricercata, o per favorire la nascita di nuove idee imprenditoriali; b) l'attività di formazione, volta ad accrescere la 'capacità di apprendimento' delle imprese e ad aumentarne la sensibilità nei confronti delle innovazioni (ovvero la capacità di individuare le potenzialità applicative di determinati sviluppi delle tecnologie); c) la creazione di condizioni favorevoli alla mobilità delle persone, in particolare tra enti di ricerca e imprese.
Un aspetto importante delle azioni generali di trasferimento è quello dell'accesso all'informazione. Paradossalmente, l'offerta sempre maggiore di dati non si traduce in una migliore percezione delle implicazioni tecnologiche ed economiche né in una maggiore visibilità delle scelte strategiche da operare. Nessun agente economico, tanto meno le PMI, dispone di tutte le informazioni necessarie e neppure, da solo, dei mezzi per raccoglierle, elaborarle e interpretarle. Buona parte di questo tipo di informazioni è detenuta o prodotta dai poteri pubblici, dalle università, dai centri di ricerca ecc. È vero che esse sono sempre più facilmente accessibili grazie allo sviluppo delle banche di dati, delle reti di comunicazione e delle autostrade dell'informazione, ma la moltiplicazione delle fonti e degli accessi è anche una causa di dispersione. Il Giappone, grazie a una specifica politica, ha fatto della gestione dell'informazione una delle sue carte vincenti a livello strategico. Gli Stati Uniti si preoccupano di coordinare, con iniziative congiunte amministrazione-imprese, lo sfruttamento e la protezione del loro potenziale d'informazione. L'Unione Europea, da parte sua, sta facendo grandi sforzi attraverso programmi specifici.
Importante è anche la capacità di utilizzare l'informazione per la definizione di scenari e strategie, realizzando previsioni a largo raggio (secondo i metodi Delphi, Foresight ecc.) volte a discernere le tecnologie di prossima introduzione e le loro possibili applicazioni, e a favorire il dialogo sociale sulle grandi opzioni tecnologiche. A livello europeo, lo sforzo di concentrazione, di coordinamento e di scandaglio tecnologico è appena stato rilanciato. In quest'ottica si inscrivono infatti la creazione dell'Istituto di studi della prospettiva tecnologica di Siviglia (IPTS) e l'istituzione della rete ETAN (European Technology Assessment Network).
Nel caso di trasferimento diretto tra imprese i fattori di supporto che ne influenzano pesantemente l'efficacia sono rappresentati da: disponibilità di risorse complementari, soprattutto di carattere finanziario; possibilità di reperire competenze di carattere gestionale, complementari a quelle tecniche: molto spesso, infatti, le imprese sono carenti non tanto dal punto di vista delle conoscenze e skill di tipo tecnologico, quanto per la ridotta capacità di sfruttarne appieno le potenzialità, e di scegliere in modo economicamente vantaggioso le tecnologie più adatte; disponibilità di strutture di supporto, soprattutto nel caso di accordi di cooperazione o joint ventures.
Le strutture che possono essere realizzate per sostenere il t. t. devono quindi essere opportunamente calibrate in relazione all'importanza relativa, nel caso specifico, dei diversi possibili percorsi, a seconda della tipologia degli attori coinvolti (sorgenti e destinatari) e della natura dei fattori di contesto. Un elemento generale riguarda comunque la classificazione secondo le tre dimensioni fondamentali costituite dalla natura della sorgente di riferimento, dai destinatari e dalla classe particolare di servizi che si ritiene opportuno fornire. Per quanto riguarda la prima dimensione, è ipotizzabile sia l'utilizzazione di infrastrutture, servizi e azioni riconducibili a una singola sorgente, come per es. l'università (è questo il caso di molti parchi scientifici), sia prendere in considerazione la totalità delle fonti 'istituzionali' di innovazione, sia infine l'avvalersi di strutture di interfaccia anche con la generazione di conoscenza nell'ambito della ricerca industriale. Anche per i destinatari sono ipotizzabili molte diverse configurazioni, a seconda che ci si rivolga a uno specifico settore industriale, a un'area geografica, a uno specifico dominio tecnologico; sono anche ipotizzabili diversi orientamenti rispetto, per es., alla tipologia di prodotti o a determinati segmenti di mercato. Infine, dal punto di vista dei servizi forniti, è possibile un'offerta molto varia, che può includere: la fornitura di informazioni, più o meno approfondite; la formazione, di tipo generale, rivolta cioè ad aumentare le capacità di apprendimento, oppure specificamente orientata a un cluster di tecnologie/metodologie; la consulenza rivolta all'implementazione di processi innovativi, alla progettazione e ingegnerizzazione di nuovi prodotti, agli aspetti organizzativi e gestionali; l'integrazione, cioè la facilitazione della comunicazione e del coordinamento tra domanda e offerta di tecnologia.
È opportuno anche rilevare un cambiamento di tendenza. Nel recente passato si tendeva a privilegiare la creazione di strutture di trasferimento stabili e a elevata incidenza di risorse fisse. In alcuni casi si è persino assistito a un'ingiustificata proliferazione di infrastrutture di questo tipo, peraltro spesso sovradimensionate rispetto alle esigenze effettive delle imprese e affette da ridondanza nei servizi forniti. Tali sistemi infrastrutturali hanno evidenziato i loro limiti nelle attuali condizioni di elevata turbolenza ambientale, definibili principalmente in termini di: continuo accorciamento del ciclo di vita dei prodotti; crescente sistemicità delle innovazioni incorporate in un prodotto; globalizzazione dei mercati.
Questi fattori enfatizzano l'importanza della flessibilità quale requisito fondamentale per il raggiungimento e il mantenimento di un adeguato livello di prestazioni, in termini di efficacia ed efficienza del sistema. I primi due fattori comportano una continua ridefinizione dei confini tra settori e tra aree di prodotto/mercato, che si ripercuotono sul tipo di conoscenze richieste, e quindi sulle competenze richieste per supportare adeguatamente il processo di trasferimento. Di conseguenza, infrastrutture di tipo tradizionale vanno incontro a improvvisi, drastici cali nella domanda di alcuni servizi, o nel loro contenuto, senza che esse siano organizzate per ristrutturarsi in tempi rapidi.
Analogamente, la crescente globalizzazione può comportare la riprogettazione della localizzazione dei siti produttivi, l'ingresso in nuovi mercati, l'accesso a nuovi canali di approvvigionamento, con necessità di innovare contemporaneamente e continuamente sul piano dei processi, dei prodotti, dei metodi di gestione e dei rapporti, formali e informali, con altri produttori e con il mercato, con pesanti ricadute sulla domanda di servizi di supporto tradizionali e localizzati.
La nuova tendenza è quindi verso configurazioni più agili, costituite da infrastrutture a ridotta capitalizzazione, il cui funzionamento sia basato su risorse umane di elevata qualità, dotate di competenze flessibili e riconvertibili. Questo tipo di organizzazioni può infatti assicurare un'adeguata capacità di risposta, a fronte di una dinamica accelerata delle condizioni ambientali, sia alle esigenze di sfruttamento ottimale delle potenzialità esistenti, sia alla necessità di promuovere velocemente la nascita dei nuovi servizi richiesti in relazione all'evoluzione incessante della struttura della domanda e dell'offerta di tecnologia, oltre che della natura dei diversi soggetti coinvolti.
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