TRAPIANTO.
- Trapianto di fegato. Indicazioni al trapianto. Selezione dei donatori. Tecnica chirurgica. Decorso postoperatorio. Risultati. Bibliografia. Trapianto polmonare. Indicazioni al trapianto. Selezione dei donatori. Tecnica chirurgica. Decorso postoperatorio. Risultati. Bibliografia
Trapianto di Cinzia Fabrizi.- Negli ultimi dieci anni si è assistito in Italia a un progressivo miglioramento di tutti gli aspetti clinici e organizzativi riguardanti la donazione e il trapianto. Il Centro nazionale trapianti, istituito con la legge nr. 91 del 1° aprile 1999, ha prima creato e in seguito consolidato una rete trapiantologica sicura ed efficiente contribuendo, inoltre, a diffondere la cultura della donazione. Il sistema t. risulta molto articolato a livello sia istituzionale sia operativo. Al primo livello appartengono il ministero della Salute, la Conferenza Stato-Regioni, gli Assessorati e il Consiglio superiore di sanità che si avvalgono del Centro nazionale trapianti quale organo di governo della rete. A livello operativo agiscono, invece, il Centro nazionale trapianti, la Consulta, i centri di coordinamento, i centri di t., i centri di prelievo, le banche di tessuti e cellule, le aziende sanitarie locali e i centri clinico-assistenziali del territorio. Tutti i dati riguardanti i donatori e i pazienti trapiantati vengono raccolti, pubblicati e utilizzati come indicatori di efficienza per singolo centro (ministero della Salute, Centro nazionale trapianti, http://www.trapianti.salute.gov.it/).
Per quanto concerne i t. d’organo, secondo le cifre fornite dal Sistema informativo trapianti nel 2014 sono stati trapiantati 2981 pazienti totali, inclusi i combinati che han no ricevuto più di un organo. Tra questi 1838 sono stati i t. di rene (1587 da cadavere e 251 da vivente), 1057 quelli di fegato (57 split e 1000 fegato intero), 227 quelli di cuore, 126 quelli di polmone e 43 quelli di pancreas (14 solo pancreas e 29 rene e pancreas).
In sostanziale crescita negli ultimi anni risultano il t. di fegato e quello polmonare, che sono descritti in dettaglio qui di seguito.
Trapianto di fegato di Pasquale Bartolomeo Berloco. – Il t. di fegato (OLT, Orthotopic liver transplantation), ossia la sostituzione del fegato nativo, malato, con un fegato normale, intero o con una parte di esso, ottenuto da un donatore cadavere o vivente, si è trasformato da una procedura che negli anni Ottanta del 20° sec. era considerata sperimentale, in un’indicazione terapeutica eletti va per la cura di molte patologie epatiche acute o croniche altrimenti incurabili. Il primo t. di fegato nell’uomo è stato effettuato nel 1963 da Thomas E. Starzl presso l’Università del Colorado (USA). Oggi, dopo più di quarant’anni dai suoi primi pionieristici passi, questa procedura ha raggiunto risultati tali da essere considerata il trattamento di elezione in molti pazienti affetti da epatopatie acute o croniche del fegato.
Indicazioni al trapianto. – Le più comuni indicazioni all’OLT sono le cirrosi (virali, alcoliche o da causa sconosciuta), le malattie colestatiche e metaboliche, l’insufficienza epatica acuta, la patologia tumorale e altre patologie meno frequenti.
Le cause di cirrosi epatica che possono determinare lo sviluppo di una malattia epatica allo stadio terminale sono molteplici. Le più comuni sono secondarie a un’infezione cronica da virus per l’epatite C (HCV, Hepatitis C Virus) o per l’epatite B (HBV, Hepatitis B Virus), oppure a un’epatite su base autoimmunitaria. La cirrosi epatica HCV-relata è diventata l’indicazione più comune per l’OLT. Tuttavia, il persistere della viremia post-t. è un evento pressoché universale e il rischio di evoluzione verso la cirrosi è aumentato da vari fattori, come un’elevata viremia, la recidiva precoce (a meno di 1 anno dall’OLT), l’età del donatore (superiore ai 50 anni), la scarsa qualità dell’organo, il ritrapianto, ed è oggetto di discussione l’uso del t. da donatore vivente. Nel caso dei pazienti con epatite cronica HBV-relata, alcuni sviluppano cirrosi, insufficienza epatica o carcinoma epatocellulare (HCC, Hepato Cellular Carcinoma). La prognosi dei pazienti è strettamente correlata con la severità del danno istologico e con la presenza di virus in fase di replicazione. L’epatite autoimmune, la cui causa è sconosciuta, colpisce principalmente le donne e consiste in una progressiva infiammazione e fibrosi del fegato fino all’evoluzione cirrotica. La cirrosi secondaria ad abuso alcolico rappresenta oggi la seconda causa di OLT sia in Europa sia negli Stati Uniti. Si è calcolato che ogni anno muoiono negli Stati Uniti per patologia epatica da abuso alcolico circa 12.000 persone. Molti centri di t. considerano come essenziale per l’inserimento in lista del paziente un suo periodo di astinenza pari almeno a sei mesi. Allo stesso tempo la prevenzione delle ricadute deve rappresentare un approccio multidisciplinare, tramite l’aiuto di specialisti psichiatrici e psicologici. Esiste anche la cirrosi criptogenetica, che costituisce ancora oggi una quota significativa di tutte le cause di cirrosi epatica: fino all’8% dei casi risulta dovuto a cause sconosciute. Recenti studi condotti in Europa e negli USA hanno dimostrato che un’elevata percentuale di pazienti affetti da cirrosi criptogenetica è in realtà affetta da una NASH (Non-Alcoholic SteatoHepatitis). Tale patologia insorge comunemente in pazienti obesi, ipertesi, affetti da diabete mellito di tipo II e da dislipidemia. Lo stile di vita occidentale sembra rappresentare, nel suo insieme, la causa principale della NASH e un suo futuro incremento sembra oggi inevitabile.
Per quanto riguarda le malattie colestatiche, si tratta di un gruppo di patologie su base colestatica correlate all’insorgenza di insufficienza epatica cronica. Tra queste ricordiamo la cirrosi biliare primitiva (CBP), quella secondaria (CBS) e i disordini colestatici dell’età pediatrica e infantile.
Molte malattie metaboliche possono determinare negli anni l’insorgenza di una cirrosi epatica: tra queste le più comuni sono rappresentate dall’emocromatosi ereditaria (patologia a trasmissione autosomica recessiva causata dal progressivo accumulo del ferro nei tessuti), dalla malattia di Wilson (malattia autosomica recessiva legata a un alterato metabolismo del rame) e dal difetto di alfa 1-antitripsina (disordine autosomico codominante che costituisce la principale indicazione al t. di fegato per patologia ereditaria in età pediatrica).
L’insufficienza epatica acuta (ALF, Acute Liver Failure) è diagnosticata in caso di encefalopatia epatica, alterazioni gravi della coagulazione e ittero, in assenza di precedenti segni di epatopatia. Questa definizione consente di differenziare tale condizione patologica dall’insufficienza epatica acuta insorta per scompenso da malattia cronica (ACLF, Acute-on-Chronic Liver Failure). Le varie cause di questa grave patologia includono le infezioni virali da HAV (Hepatitis A Virus), HBV, HDV (Hepatitis D Virus), HEV (Hepatitis E Virus), l’intossicazione da paracetamolo o da altri farmaci (sindrome di Reye nei bambini a seguito di assunzione di acido acetilsalicilico), l’avvelenamento da ingestione di epatotossine (per es., quelle del fungo Amanita phalloides), l’insorgenza della forma acuta del morbo di Wilson, le forme acute post-traumatiche o postoperatorie (da lesione o legatura dei vasi dell’ilo epatico). Spesso la causa di insufficienza epatica acuta non viene scoperta (causa criptogenetica).
Le patologie tumorali che necessitano di t. di fegato sono varie. Il carcinoma epatocellulare (HCC) rappresenta il quinto tumore maligno in tutto il mondo e il primo per quanto riguarda il fegato. I colangiocarcinomi intraepatici e quelli delle vie biliari extraepatiche (come il tumore di Klatskin) sono un tipo di neoplasia particolarmente aggressiva che spesso al momento della diagnosi ha già determinato la comparsa di metastasi. Per quanto riguarda queste ultime, il trattamento con il t. di fegato di metastasi da neoplasia colorettale o non colorettale non resecabile ha fornito risultati scoraggianti, con alti tassi di recidive a carico dell’organo a distanza. Al 2015 l’unica indicazione al t. per metastasi è rappresentata dal raro caso di metastatizzazione epatica da neoplasia neuroendocrina. Infine, i tumori benigni, come l’adenoma epatico, l’adenomatosi, l’emangioma, l’iperplasia nodulare focale e l’iperplasia nodulare rigenerativa, possono richiedere il t. di fegato, considerato però una terapia applicabile solo nei casi in cui il tumore determini un quadro sintomatologico grave (dolore, compressione) o sia di dimensioni tali da limitare la funzione dell’organo. Poiché la patologia di base è benigna, i risultati sono solitamente eccellenti.
Il t. di fegato, in determinate situazioni, può risultare inadeguato. Le controindicazioni sono di due tipi: assolute (per es., età superiore ai 70 anni) e relative (per es., rischio cardiologico). Se le prime escludono ogni possibilità di t., le seconde lo rendono possibile solo in specifiche condizioni e dopo attenta valutazione da parte del personale medico.
Nel valutare un paziente in previsione di un eventuale t. di fegato, bisogna prioritariamente considerare il suo effettivo bisogno di essere sottoposto a tale procedura. La storia naturale delle patologie epatiche deve essere accuratamente confrontata con la sopravvivenza attesa dopo il trapianto. A tal fine esistono vari modelli predittivi, come il Mayo Clinic prognostic model for primary biliary cirrhosis, la Child-Turcotte-Pugh (CTP) classification e il Model for end-stage liver disease (MELD), che sono utilizzati a seconda delle caratteristiche del paziente.
Selezione dei donatori. – La scarsità di organi e il progressivo allungamento delle liste di attesa, con l’elevato rischio di andare incontro al decesso del paziente che attende un organo per il t., hanno spinto i centri trapiantologici ad allargare i criteri di selezione dei donatori d’organo, che comunque rispondono a precise linee guida. Alcune caratteristiche peculiari possono rendere ‘non standard’ un donatore, anche se ovviamente con un differente grado di significatività.
Tecnica chirurgica. – La tecnica chirurgica del t. di fegato è ormai da tempo standardizzata e prevede, generalmente, due varianti principali: la tecnica cosiddetta convenzionale, nella quale viene asportato il tratto infraepatico della vena cava inferiore del ricevente e impiegato un particolare bypass per la circolazione extracorporea, e la tecnica cosiddetta piggy-back, nella quale il fegato nativo viene separato dalla vena cava inferiore durante l’epatectomia, così che la vena cava possa essere conservata. Quella convenzionale ha rappresentato a lungo la tecnica standard nell’esecuzione del t. e deve essere tuttora ritenuta come metodica di riferimento, in particolare per i centri con minore esperienza. La tecnica piggy-back permette secondo alcune esperienze di abbreviare i tempi operatori, di diminuire la morbilità operatoria e di risparmiare sul costo dei materiali (circuito di circolazione extracorporea).
Decorso postoperatorio. – La terapia immunosoppressiva ha rappresentato per anni il limite principale per l’evoluzione e per l’applicazione routinaria del t. di fegato. L’introduzione della ciclosporina nel 1980 ha determinato una netta riduzione del tasso di rigetto, passato dal 15% al 2-5%. La ciclosporina e il tacrolimus (FK506), introdotto nella pratica clinica negli anni Novanta, sono inibitori della calcineurina, una serin-treonin-fosfatasi coinvolta nell’attivazione di vari fattori di trascrizione. Nei linfociti T attivati l’inibizione della calcineurina provoca l’arresto della trascrizione di varie citochine, tra le quali l’interleuchina 2 (IL-2), il cui compito è fondamentale nell’attivazione dei processi di risposta immunitaria. Il tacrolimus è 10-100 volte più potente della ciclosporina A nell’inibire la risposta immunitaria. Le dosi dei farmaci vengono stabilite in funzione delle loro concentrazioni ematiche, che vanno valutate a intervalli di tempo regolari.
Il micofenolato mofetile (MMF, Mycophenolate Mo-Fetil) agisce inibendo la proliferazione dei linfociti T attivati, tramite l’inibizione del metabolismo purinico. Il principale effetto collaterale di questo farmaco è gastrointestinale (diarrea). L’azatioprina è un derivato della mercaptopurina e funziona come un analogo strutturale e un antimetabolita. Poiché tale farmaco viene metabolizzato tramite l’azione dell’enzima xantina ossidasi, bersaglio molecolare dell’allopurinolo, utilizzato per curare la gotta, la combinazione di tali farmaci può provocare una grave tossicità da azatioprina, con l’insorgenza di una grave mielosoppressione. Le immunoglobuline rivolte contro i linfociti (ALG, Anti-Lymphocyte Globulin), contro i timociti (ATG, Anti-Thymocyte Globulin) e gli anticorpi monoclonali anti-linfociti T (OKT3, basiliximab e daclizumab) sono utilizzati in vari centri sia nell’induzione dell’immunosoppressione sia nel trattamento dei rigetti acuti post-t. resistenti all’uso di boli di cortisonici. I corticosteroidi rappresentano la prima classe di agenti ormonali di cui è stata descritta l’azione linfocitolitica. Questi farmaci interagiscono con il sistema immunologico a vari livelli: determinano una riduzione del numero e delle dimensioni delle cellule linfoidi; inibiscono la produzione di mediatori dell’infiammazione come il PAF (Platelet-Activating Factor), i leucotrieni e le prostaglandine; inibiscono la chemiotassi di monociti e neutrofili; causano linfopenia e neutropenia. Sono comunemente utilizzati nella terapia immunosoppressiva combinata, oltre che nel trattamento degli episodi di rigetto acuto.
Risultati. – In base ai dati forniti dall’ELTR (European Liver Transplant Registry), si può affermare che il t. di fegato ha ormai raggiunto una validità terapeutica ben evidente. Se i pazienti trapiantati prima del 1985 presentavano una sopravvivenza a 1 anno del 34% e a 5 anni del 21%, oggi tali valori sono superiori, rispettivamente all’85% e al 70%.
Esistono pochi studi sulle sopravvivenze a lungo termine dopo t. di fegato. Ronald W. Busuttil e collaboratori (2005) hanno presentato un’ampia serie di 3200 OLT effettuati presso l’Università della California di Los Angeles tra il 1984 e il 2001. I dati da loro forniti hanno evidenziato come, anche a lungo termine, il t. di fegato fornisca risultati ottimali, con tassi di sopravvivenza a 1, 5, 10 e 15 anni rispettivamente pari all’81%, 72%, 68% e 64%.
Bibliografia: R.W. Busuttil, D.G. Farmer, H. Yersiz et al., Analysis of long-term outcomes of 3200 liver transplantations over two decades: a single-center experience, «Annals of surgery», 2005, 241, 6, pp. 905-16; G. Persad, A. Wertheimer, E.J. Emanuel, Principles for allocation of scarce medical interventions, «The lancet», 2009, 373, 9661, pp. 423-31; D E. Schaubel, M.K. Guidinger, S.W. Biggins et al., Survival benefit-based deceased donor liver allocation, «American journal of transplantation», 2009, 9, 4, pt. 2, pp. 970-81; U. Cillo, A. Vitale, M.L. Volk et al., The survival benefit of liver transplantation in hepatocellular carcinoma patients, «Digestive and liver disease», 2010, 42, pp. 642-49; A. Vitale, R. Ramirez Morales, G. Zanus et al., Barcelona clinic liver cancer staging and transplant survival benefit for patients with hepatocellular carcinoma: a multicentre, cohort study, «The lancet. Oncology», 2011, 12, 7, pp. 654-62; L.D. Buccini, D.L. Segev, J. Fung et al., Association between liver transplant center performance evaluations and transplant volume, «American journal of transplantation», 2014, 14, 9, pp. 2097-2105; C. Toso, V. Mazzaferro, J. Bruix et al., Toward a better liver graft allocation that accounts for candidates with and without hepatocellular carcinoma, «American journal of transplantation», 2014, 14, 10, pp. 2221-27; A. Vitale, M.L. Volk, T.M. De Feo et al., A method for establishing allocation equity among patients with and without hepatocellular carcinoma on a common liver transplant waiting list, «Journal of hepatology», 2014, 60, 2, pp. 290-97.
Trapianto polmonare di Federico Venuta. – Dopo un’intensa attività sperimentale, il primo t. di polmone nell’uomo fu eseguito da James Hardy l’11 giugno 1963; era un t. singolo e il paziente morì dopo 18 giorni per un’insufficienza renale legata alla nefrotossicità della terapia immunosoppressiva. Da allora, le indicazioni, la tecnica chirurgica e la gestione del decorso postoperatorio hanno subito una continua evoluzione. Nel corso dell’ultimo ventennio il t. di polmone è entrato progressivamente nella pratica clinica con risultati sempre più incoraggianti. Il numero di interventi è tuttavia ancora limitato dalla disponibilità di organi. Per questi motivi nel 2015 sono numerose le tecniche che contribuiscono a incrementare il numero di donatori. Il prelievo di polmone viene effettuato da donatori in stato di morte cerebrale; tuttavia, in questi pazienti solo il 20-25% dei polmoni può essere trapiantato con successo per problemi legati alla qualità e alla funzionalità dell’organo. Questo provoca un notevole squilibrio tra domanda (pazienti in lista d’attesa) e offerta (organi disponibili), con una mortalità in lista d’attesa che sfiora il 20% annuo. Per questi motivi è sempre più diffuso il prelievo di organi ‘marginali’, ossia con parametri funzionali che si discostano dai valori ottimali.
Vaughn A. Starnes a Los Angeles (1990) è stato il primo a effettuare con successo il t. lobare da donatore vivente, al quale Hiroshi Date in Giappone ha dato un nuovo contributo (Date, Sato, Aoyama et al. 2015). Questo intervento prevede il prelievo di un lobo polmonare da due parenti del paziente per eseguire un t. lobare bilaterale; questa procedura offre risultati simili a quelli ottenuti con il prelievo da cadavere, ma con una più bassa incidenza di rigetto cronico. La tecnica dello split lung è stata messa a punto in Francia da Jean-Paul Couetil ed è stata successivamente diffusa dal gruppo di Vienna di Walter Klepetko. Questa tecnica prevede la suddivisione di ciascun polmone (indifferentemente il sinistro o il destro) in due sezioni lobari separate, utilizzate per eseguire un t. bilaterale. Un’altra innovazione consiste nell’impiego di donatori a cuore fermo: si tratta di una procedura già rodata per il t. di rene e di fegato, e oggi effettuata con risultati incoraggianti anche per il t. di polmone. Un’ultima novità è rappresentata dalle procedure di ricondizionamento polmonare ex vivo. Questa tecnica prevede la perfusione dell’organo in un circuito extracorporeo (per questo ex vivo) sul quale è interposto un filtro leucocitario con una soluzione a elevata osmolarità, con antibiotici e steroidi. È così possibile migliorare la funzionalità del polmone da trapiantare quando presenta parametri funzionali non soddisfacenti al momento del prelievo.
Indicazioni al trapianto. – Le principali indicazioni al t. polmonare sono raggruppate in cinque categorie: patologie polmonari con deficit funzionale ostruttivo; patologie infettive; patologie con deficit restrittivo; patologie del circolo polmonare; altre patologie rare.
Per quanto riguarda le prime, la più frequente è l’enfisema polmonare associato al fumo di sigaretta, seguito dall’enfisema da deficit di alfa 1-antitripsina. Queste patologie sono caratterizzate da un deterioramento funzionale relativamente lento che consente ai pazienti di tollerare tempi di attesa anche lunghi con una qualità di vita accettabile.
Tra le patologie infettive la fibrosi cistica è senza dubbio l’indicazione più frequente, infatti i processi infettivi subentranti distruggono in maniera progressiva il polmone conducendo all’insufficienza respiratoria cronica. Un’altra patologia relativamente diffusa è rappresentata dalle bronchiectasie.
Nel gruppo delle patologie polmonari con deficit restrittivo, la fibrosi polmonare idiopatica è quella più frequente. Il decorso di questa malattia è spesso rapidissimo, lasciando poco spazio all’attesa del t., infatti la terapia medica è sovente del tutto inefficace e il t. è l’unica opzione terapeutica, ma deve essere preso in considerazione molto precocemente. In questo terzo gruppo di indicazioni al t. sono comprese alcune patologie rare, come le fibrosi polmonari secondarie a malattie del collagene o a somministrazione di farmaci; anche la sarcoidosi in stadio avanzato può costituire in alcuni casi un’indicazione al t., tuttavia ne sono state descritte recidive a livello dell’organo trapiantato.
Le patologie del circolo polmonare comprendono l’ipertensione polmonare primitiva (IPP), la sindrome di Eisenmenger e, in casi molto selezionati, la malattia polmonare tromboembolica. L’IPP è sicuramente l’indicazione più frequente in questo gruppo. Negli ultimi anni la sopravvivenza e la qualità di vita di questi pazienti sono notevolmente migliorate con l’impiego di farmaci ad azione vasodilatatrice sul circolo polmonare, tanto che le indicazioni al t. sono state progressivamente ridimensionate. Anche nel gruppo di pazienti con sindrome di Eisenmenger (ipertensione polmonare secondaria a difetti di setto interatriale o interventricolare o pervietà del dotto di Botallo) le indicazioni al t. si sono ridotte, grazie soprattutto alla diagnosi prenatale che consente correzioni precoci dell’anatomia cardiaca. L’embolia polmonare cronica periferica, quando non è trattabile con intervento di tromboendoarterectomia, costituisce un’indicazione al trapianto.
Il gruppo delle altre patologie riunisce patologie relativamente rare, come la linfangioleiomiomatosi, la microlitiasi alveolare o la bronchiolite obliterante.
I parametri clinici per l’inclusione in lista d’attesa sono definiti da linee guida internazionali (assolute, per es. l’abitudine al fumo di sigaretta, o relative, come la presenza di obesità); esistono tuttavia alcune controindicazioni che riducono sensibilmente il numero di pazienti realmente candidati all’intervento. L’inclusione in lista d’attesa viene effettuata dopo un’attenta valutazione clinica della funzionalità cardiorespiratoria e di tutti gli altri organi e apparati, anche con esami invasivi (cateterismo cardiaco, broncoscopia ecc.), per escludere qualunque patologia che possa inficiare il risultato del trapianto. I potenziali riceventi sono affetti da insufficienza respiratoria cronica senza alcuna alternativa terapeutica medica o chirurgica. Tuttavia, se da una parte la compromissione polmonare deve essere tanto grave da giustificare il t., le condizioni generali del paziente non devono essere così compromesse da pregiudicarne il successo.
Nel corso degli anni sono sta te modificate non solo le indicazioni al t. ma anche i criteri di scelta del tipo d’intervento: t. lobare, singolo, doppio, t. cuore-polmoni. All’inizio degli anni Ottanta del 20° sec. il t. cuore-polmoni era considerato l’intervento di scelta, indipendentemente dal tipo di patologia. In seguito, in assenza di una significativa compromissione cardiaca, è stato proposto il t. di polmone isolato (singolo o doppio). In genere si tende sempre più spesso a effettuare un t. bilaterale, che garantisce una riserva funzionale ottimale. Il t. singolo viene oggi considerato in pazienti più anziani, quando ci sia un’evidentissima discrepanza funzionale tra i due polmoni, o per ottimizzare l’allocazione degli organi. In caso di patologie infettive viene sempre effettuato un t. bilaterale. Il t. cuore-polmoni è attualmente indicato solo quando il coinvolgimento polmonare è associato a una patologia cardiaca irreversibile e non correggibile chirurgicamente. Il t. lobare viene effettuato in pazienti di età pediatrica, o comunque di piccole dimensioni, con una notevole discrepanza donatore-ricevente, e in caso di t. da donatore vivente; è utile per ottimizzare l’impiego dei donatori.
Selezione dei donatori. – Solo il 20-25% dei donatori segnalati può essere impiegato per il t. di polmone, per motivi legati alle difficoltà di mantenimento dell’organo durante il periodo di osservazione o per l’esistenza di traumatismi intervenuti al momento del decesso: infatti i criteri di idoneità per il prelievo di polmone si basano sulla funzionalità ottimale dell’organo e sull’assenza di infezioni o traumatismi. La valutazione del donatore si fonda su esami radiologici, di laboratorio e strumentali e sull’osservazione diretta.
Una volta giudicato idoneo l’organo, sono esaminati l’identità di gruppo sanguigno AB0, la compatibilità dimensionale, il tempo di attesa in lista, i criteri di rotazione tra centri t. e, infine, le condizioni cliniche del paziente; quest’ultima variabile prevede un certo grado di discrezionalità da parte dei centri. Esiste un programma nazionale per l’assegnazione degli organi in regime d’urgenza.
Tecnica chirurgica. – Il t. prevede una fase di pneumonectomia e una di reimpianto. La tecnica chirurgica ricalca quella originale proposta sperimentalmente da Henry Metras negli anni Cinquanta del 20° secolo. Il t. polmonare singolo viene eseguito attraverso una toracotomia posterolaterale. Mentre si effettua la toracotomia può essere indicato preparare la regione inguinale omolaterale per incannulare i vasi femorali, qualora si renda necessaria la circolazione extracorporea (CEC). Il t. polmonare bilaterale si effettua attraverso una doppia toracotomia anterolaterale, con o senza sternotomia trasversa. Il t. polmonare doppio consiste in due t. singoli effettuati in successione (t. doppio sequenziale).
Decorso postoperatorio. – Dopo il t. viene immediatamente iniziata la profilassi delle infezioni batteriche, virali e fungine e la terapia immunosoppressiva, che trova i suoi farmaci cardine in ciclosporina, tacrolimus, azatioprina e steroidi; altri farmaci come il micofenolato mofetile sono entrati nella pratica clinica sulla scia dell’impiego in altri tipi di trapianto. Il paziente viene inoltre avviato a un intenso programma di fisioterapia.
Le complicanze più frequenti nell’immediato decorso postoperatorio sono il rigetto acuto e le infezioni. È quindi necessario un monitoraggio funzionale (emogasanalisi, saturazione periferica, prove di funzionalità respiratoria) e bioumorale continuo; talvolta è opportuno eseguire un campionamento tissutale (biopsia transbronchiale o a cielo aperto) per dirimere il quesito diagnostico e in virtù del fatto che il rigetto acuto ha una gradualità istologica ben codificata.
Il rigetto acuto è una complicanza relativamente frequente che può verificarsi dai primi 3-5 giorni dopo il t. fino a parecchi anni di distanza dall’intervento. Il rigetto acuto presenta numerose manifestazioni cliniche, ma nessuna è veramente specifica. Nel corso delle prime settimane dopo il t. gli indicatori più frequenti sono la presenza di un senso di malessere, una lieve dispnea, una febbricola serotina, la diminuzione della saturazione arteriosa, una leggera riduzione dei valori spirometrici e la comparsa radiologica di un addensamento polmonare. La diagnosi differenziale comprende le infezioni batteriche e l’edema polmonare da riperfusione o più semplicemente da accumulo di liquidi nell’interstizio. Il trattamento del rigetto acuto prevede la somministrazione di steroidi ad alto dosaggio; in assenza di risposta al trattamento standard si somministrano anticorpi monoclonali o siero antilinfocitario. La diagnosi precoce di rigetto acuto è di estrema importanza: episodi di rigetto acuto non diagnosticati o trattati in maniera non appropriata o incompleta possono favorire l’insorgenza di un rigetto cronico.
Il rigetto cronico assume le caratteristiche istologiche della bronchiolite obliterante (alterazione infiammatoria delle piccole vie aeree) e viene attualmente considerato come il principale ostacolo alla sopravvivenza a lungo termine. Tale patologia presenta un’incidenza che sfiora il 50% nei pazienti sopravvissuti oltre cinque anni dal t. ed è generalmente irreversibile. Una volta diagnosticata si può solo cercare di arrestarne l’evoluzione e la progressione verso l’insufficienza respiratoria, poiché è rarissimo un ritorno alle condizioni funzionali precedenti. Il trattamento consiste in una reinduzione dell’immunosoppressione. Quando sopraggiunge l’insufficienza respiratoria, l’unica strada percorribile è il ritrapianto, che tuttavia è gravato da un’elevata mortalità.
Risultati. – La sopravvivenza a lungo termine è notevolmente migliorata con il passare degli anni e l’acquisizione di una maggiore esperienza; tuttavia, non ha ancora raggiunto quella ottenuta con il t. di altri organi solidi: a cinque anni di distanza dall’intervento si attesta intorno al 60%. La qualità di vita per tutti i pazienti liberi da rigetto cronico è eccellente: la maggior parte di quelli in età scolare ritorna tra i banchi conducendo una vita sovrapponibile a quella dei loro compagni, senza alcuna limitazione; i pazienti in età lavorativa generalmente riprendono le loro occupazioni professionali. La sopravvivenza è migliore in caso di enfisema e fibrosi cistica, mentre è meno entusiasmante per le fibrosi polmonari e l’IPP, anche in relazione a una maggiore mortalità operatoria.
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