Trapianti
Generalità
Nel campo delle scienze mediche uno dei progressi più consistenti del 20° sec. è rappresentato dai t. d'organo. Con il termine trapianto si indica la sostituzione chirurgica di un organo malato con uno sano; ciò avviene con l'esecuzione di anastomosi vascolari arteriose e venose, al contrario dell'innesto che non prevede anastomosi vascolari. Il t. è ortotopico quando l'organo sano viene trapiantato nella stessa sede di quello nativo; al contrario, eterotopico se l'organo sano viene trapiantato in una sede diversa da quella anatomica (per es., rene, pancreas ecc.). L'autotrapianto avviene quando il donatore è anche il ricevente dell'organo, l'isotrapianto si ha tra individui geneticamente identici, l'allotrapianto tra individui della stessa specie geneticamente diversi, infine lo xenotrapianto tra individui di specie diverse. Nel t. cellulare le cellule vengono immesse nell'organismo del ricevente attraverso varie tecnologie.
In Italia la legislatura sui t. è stata completamente rinnovata negli anni Novanta del 20° sec. con la pubblicazione delle leggi che regolano sia le procedure per l'accertamento clinico e strumentale della morte encefalica sia l'espressione della volontà in merito alla donazione di organi e di tessuti. La l. 29 genn. 1993 nr. 578 relativa alle "norme per l'accertamento e la certificazione di morte" identifica la morte con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo (art. 1), sia a seguito di lesioni primitive di questo organo sia per arresto prolungato della respirazione e circolazione (art. 2). La legge stabilisce che nei soggetti deceduti per lesioni cerebrali primitive l'accertamento clinico e strumentale della perdita irreversibile delle funzioni encefaliche deve essere effettuato da una commissione di tre medici dipendenti da strutture sanitarie pubbliche: un neurofisiopatologo (oppure un neurologo o un neurochirurgo), un medico legale (oppure un medico di direzione sanitaria o un anatomopatologo) e un rianimatore. Un decreto ministeriale definisce le tecniche e le modalità diagnostiche che devono essere attuate durante l'osservazione della morte per cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali. Se il decesso è determinato da un danno cerebrale primitivo, la commissione di accertamento della morte cerebrale valuterà ripetutamente nell'arco dell'osservazione la contemporanea presenza di: stato di incoscienza, assenza di riflessi del tronco (riflesso corneale, fotomotore, oculocefalico, oculovestibolare, carenale, reazioni a stimoli dolorifici trigeminali), assenza di respiro spontaneo, assenza di attività elettrica cerebrale accertata mediante elettroencefalogramma (EEG). L'accertamento di suddette condizioni deve essere ripetuto per almeno tre volte durante l'osservazione. La durata del periodo di osservazione deve essere almeno di 6 ore per soggetti di età superiore ai 5 anni, 12 ore per bambini tra 1 e 5 anni, 24 ore per bambini di età inferiore a 1 anno. La l. 1° apr. 1999 nr. 91 sulle "disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti" regolamenta sia le attività di prelievo sia il t. di organi e di tessuti secondo i principi di libera volontà dell'individuo e consenso informato alla donazione, trasparenza nelle procedure e pari opportunità di accesso per i cittadini al t. di organi e tessuti. La parte di più rilevante impatto sociale prevede che ciascun cittadino in vita esprima la propria volontà, positiva oppure negativa, in merito alla donazione dei propri organi e tessuti che dovrà essere inserita nel Sistema informatico dei trapianti e rapidamente rilevabile dalle strutture del Servizio sanitario nazionale. È importante sottolineare che queste disposizioni non eliminano il colloquio con i familiari in merito alla donazione: è fatto obbligo ai medici di informare i parenti aventi diritto sulle circostanze del prelievo e sulle opportunità terapeutiche offerte dal t. ai pazienti in lista d'attesa.
La terapia immunosoppressiva
Gli obiettivi principali verso i quali sono rivolte le terapie immunosoppressive sono le differenze di istocompatibilità (HLA) tra donatore e ricevente e, soprattutto, la necessità di modificare la risposta immunitaria, allo scopo di creare nel ricevente una situazione favorevole per l'accettazione dell'organo trapiantato. La terapia immunosoppressiva viene utilizzata per ridurre l'incidenza del rigetto, provocato dalla risposta dell'organismo verso l'introduzione di sostanze riconosciute come non self (alloantigeni). Il rigetto può essere classificato come iperacuto, acuto o cronico. Il rigetto iperacuto (o umorale) avviene nelle ore immediatamente successive all'intervento ed è associato alla presenza di anticorpi preformati in circolo contro gli antigeni del donatore; il rigetto acuto (o cellulare) si verifica nella maggior parte dei casi nei primi giorni o settimane dopo il t. e comporta un danno meno radicale dell'organo in quanto può regredire con la somministrazione di alte dosi di farmaci corticosteroidi; il rigetto cronico è dato dalla perdita graduale e progressiva della funzione dell'organo; può presentarsi dopo anni di funzione stabile, ma viene osservato più spesso nei pazienti che hanno avuto episodi multipli di rigetto acuto, o precoci e a reversibilità incompleta. I principali protocolli che vengono utilizzati si avvalgono della somministrazione di vari farmaci immunosoppressori per garantire un'azione il più efficace possibile, mediante diversi meccanismi. La terapia polifarmacologica non è però scevra da rischi; quello più importante è senza dubbio la stessa immunosoppressione, caratterizzata dall'aumento della suscettibilità a infezioni e malattie linfoproliferative post-trapianto (PTLD).
Trapianto di rene
Le indicazioni al t. di rene sono essenzialmente costituite da le condizioni patologiche che conducono all'insufficienza renale terminale. Le cause più comuni sono rappresentate da: malattie congenite, disordini metabolici, traumi, nefropatie ereditarie, nefropatie tossiche, uropatia ostruttiva, insufficienza renale acuta irreversibile, insufficienza renale cronica irreversibile. Per l'indicazione al t. di rene dopo nefrectomia che è conseguente a patologia neoplastica, questa è subordinata alla non evidenza di malattia per almeno cinque anni. La tecnica chirurgica impiegata nel t. di rene prevede il posizionamento eterotopico del rene in fossa iliaca in posizione extraperitoneale, per gli indubbi vantaggi sia in termini di facile accesso alla biopsia percutanea sia per il monitoraggio clinico post-trapianto. Particolari problemi possono presentarsi nel caso di vene multiple la cui risoluzione deve essere improntata al momento tenendo comunque presente che la vascolarizzazione del rene è di tipo terminale. Per l'anastomosi arteriosa, si confeziona un'anastomosi termino-laterale fra arteria renale e arteria iliaca esterna; in alcuni casi può essere necessaria un'anastomosi termino-terminale con l'iliaca interna. Per quanto riguarda l'anastomosi uretero-vescicale esistono essenzialmente due tecniche: la tecnica extravescicale e quella intravescicale.
Trapianto di pancreas
Il primo t. di pancreas è stato eseguito da R. Lilley e W. Kellog a Minneapolis (Minnesota) nel 1966; l'indicazione è il diabete di tipo i. Se, come spesso avviene, il paziente ha associata una insufficienza renale cronica, si effettua contestualmente il t. di rene. L'intervento chirurgico viene eseguito in sede eterotopica in fossa iliaca, anastomizzando la vena porta alla vena iliaca esterna e le arterie mesenterica superiore e splenica. Le complicanze postoperatorie sono rappresentate da trombosi (venose più che arteriose), pancreatiti e fistole pancreatiche. I progressi tecnici e di laboratorio degli ultimi decenni hanno consentito il t. delle isole del Langerhans, mediante la digestione del tessuto esocrino del pancreas e la purificazione delle insule stesse. La tecnica di purificazione, eseguita in laboratorio in condizioni di sterilità, è stata standardizzata da C. Ricordi negli Stati Uniti e successivamente applicata alla clinica, sui pazienti con diabete di tipo i. Il t. di insule si esegue in sede intraepatica tramite puntura transepatica di un ramo della vena porta o chirurgica (in caso di t. combinato). Ulteriori incoraggianti successi sono riportati con il protocollo di Edmonton, che prevede l'uso di più pancreas per un unico ricevente.
Trapianto di fegato
Il t. di fegato è la terapia di elezione per le malattie che conducono all'insufficienza acuta o cronica del fegato.
Cause di insufficienza epatica acuta sono costituite da intossicazioni da paracetamolo, farmaci oppure funghi, epatite A e B. Le eziologie che conducono alla patologia della cirrosi sono da virus B e C (spesso con epatocarcinoma associato), autoimmuni, da farmaci, postalcoliche, da errori congeniti (emocromatosi, deficit alfa 1 antitripsina), malattia di Wilson, malattie colestatiche (atresia vie biliari, cirrosi biliare primitiva o secondaria, colangite sclerosante), o dello sviluppo (malattia di Caroli, policistica del fegato). I primi tentativi di t. clinico di fegato non furono coronati da successo a lungo termine fino al 1967. Questa procedura veniva eseguita soltanto in pochi centri con scarsi risultati fino agli anni Ottanta, quando l'attività di t. e le probabilità di successo aumentarono enormemente per l'introduzione della ciclosporina come farmaco immunosoppressore. I progressi nella tecnica chirurgica, avvenuti durante gli anni Novanta, hanno stabilito dei criteri standard per questa complessa operazione. Comunque, il notevolissimo aumento del numero di t. sta raggiungendo un plateau che riflette l'esaurimento della disponibilità di donatori. L'intervento chirurgico, particolarmente impegnativo sia dal punto di vista tecnico-chirurgico sia di gestione anestesiologica del paziente, prevede l'epatectomia, l'esecuzione di un bypass veno-venoso tra vena cava sottoepatica, vena porta e vena cava superiore, e il successivo impianto del nuovo organo con anastomosi vascolari della vena cava sovra e sottoepatica, della vena porta e dell'arteria epatica. Dai primi anni Novanta viene eseguita una tecnica chirurgica detta piggy back che prevede l'esecuzione dell'anastomosi delle vene sovraepatiche direttamente alla vena cava del ricevente. Le complicanze che si presentano nel periodo postoperatorio sono la primary non function, il rigetto acuto e le infezioni; le complicanze chirurgiche sono la trombosi dell'arteria epatica oppure della vena porta (più rara), le fistole e le stenosi della via biliare. Problematiche particolari sono rappresentate dalla recidiva della malattia di base sul fegato trapiantato.
Trapianto di cuore
Il primo t. cardiaco è stato eseguito da C. Barnard in Sudafrica nel 1967. Il t. di cuore, in aumento numerico progressivo e costante in tutto il mondo, ha raggiunto livelli di affidabilità tali da farne uno strumento terapeutico valido nel trattamento delle cardiopatie terminali. Nonostante il continuo miglioramento dalla prognosi dei t. di cuore, questo intervento comporta tuttora un alto rischio di complicanze postoperatorie, non raramente mortali. Per questo motivo deve essere riservato a quei pazienti cardiopatici che non possono ricavare benefici dalla terapia chirurgica tradizionale, che hanno una qualità di vita scadente e una aspettativa di vita inferiore ai 6-9 mesi. Le indicazioni al t. di cuore sono le malattie cardiache terminali con prognosi di vita inferiore ai 6 mesi (cardiomiopatia, coronaropatia, malattie valvolari, cardiopatie congenite, sarcoidosi, miopatie, amiloidosi, sindrome di Marfan, aneurisma postraumatico, tumori cardiaci). Per il donatore, naturalmente, deve essere accertato che l'anamnesi sia negativa per cardiopatie. È controindicazione assoluta al t. di cuore l'arresto cardiaco nel donatore durante il periodo di osservazione. Il t. di cuore è in grande prevalenza ortotopico. Alla tecnica tradizionale, nota anche come tecnica biatriale, si è aggiunta la tecnica bicavale che prevede la resezione della vena cava superiore e e di quella inferiore, conservando l'integrità dell'atrio destro. La tecnica tradizionale prevede la cardiectomia del ricevente, lasciando in sede la parete posteriore dell'atrio destro e le due vene cave, nonché la parete posteriore dell'atrio sinistro con le vene polmonari. Il cuore del donatore viene invece asportato in toto, previa incisione della parete posteriore dei due atri, che verrà quindi suturata al moncone atriale rispettivo nel ricevente; si esegue infine l'anastomosi di aorta e arteria polmonare. Le complicanze immediate più gravi del t. di cuore sono l'insorgenza di scompenso destro secondario a vasculopatia polmonare e la mancata ripresa della funzione dell'organo. Tra le altre complicanze vanno ricordate: le infezioni batteriche, virali (sopratutto da citomegalovirus) e protozoarie, la crisi cronica di rigetto (vasculopatia coronarica che comporta angina, infarto del miocardio e morte improvvisa) e complicanze legate alla terapia immunosoppressiva.
Trapianto di polmone e cuore-polmone
Il t. polmonare rappresenta un'ulteriore possibilità terapeutica per le patologie polmonari in stadio terminale. È possibile effettuare, in pazienti accuratamente selezionati, differenti modalità di t.: il t. polmonare monolaterale, bilaterale, cardiopolmonare e il t. lobare da donatore vivente. L'indicazione singola più frequente al t. di polmone è l'enfisema polmonare, sia correlato al tabagismo sia secondario a deficit di α1-antitripsina; le altre principali indicazioni sono la fibrosi polmonare idiopatica e l'ipertensione polmonare primitiva. I pazienti con fibrosi cistica rappresentano il gruppo più cospicuo destinato al t. bilaterale, seguiti da quelli affetti da enfisema, dai portatori di ipertensione polmonare primitiva e da quelli affetti da fibrosi polmonare idiopatica. Le patologie trattate preferenzialmente con il t. cardiopolmonare sono l'ipertensione polmonare primitiva e secondaria e la fibrosi cistica. In seguito all'ampia diffusione dei t. mono- e bilaterali, le indicazioni all'esecuzione di un t. cuore-polmoni si sono circoscritte a un ristretto numero di pazienti affetti da cardiopatia sinistra associata a malattia polmonare in fase terminale, oppure da gravi cardiopatie congenite. I pazienti sottoposti a t. dei lobi polmonari da donatori viventi sono di solito bambini o giovani adulti per lo più affetti da fibrosi cistica. Le linee guida per la selezione al t. prevedono limiti di età fissati a 65 anni per il singolo polmone, a 60 anni per il t. bilaterale e infine a 55 anni per il t. cardiopolmonare. I candidati al t. possono presentare condizioni patologiche controllate non risultanti in grave patologia d'organo, come l'ipertensione sistemica. Controindicazioni assolute includono patologie degli organi vitali (con ldel polmone), infezione da virus HIV, neoplasie maligne attive nei due anni precedenti, positività all'epatite B e all'epatite C con reperti bioptici. A causa dei rigorosi criteri per determinare l'adeguatezza del donatore solo il 10-20% dei donatori d'organo ha polmoni che soddisfano tali criteri. Il t. di polmone singolo può in genere essere eseguito per via toracotomica senza circolazione extracorporea, evitando, laddove possibile, il lato di una precedente toracotomia. Le complicanze più comuni post-trapianto sono: le complicanze a carico delle vie aeree (deiscenza oppure stenosi in sede d'anastomosi), il rigetto acuto, la bronchiolite obliterante, le infezioni (imputabili a batteri, miceti e virus), complicanze connesse all'immunosoppressione antirigetto (inibitori delle calcineurine, corticosteroidi) e la recidiva della malattia di base (per es., sarcoidosi, forme di polmonite interstiziale idiopatica).
Trapianti di tessuti e cellule
Dagli ultimi decenni del 20° sec. stanno assumendo valore sempre più importante le banche dei tessuti (Direttiva del Parlamento europeo 2004/23 CE; Direttiva del Consiglio d'Europa 31/03/2004), strutture deputate all'acquisizione, conservazione e distribuzione di cellule e/o tessuti certificandone e garantendone idoneità e sicurezza. L'organizzazione della banca prevede alcuni passaggi fondamentali per il t. tissutale: reperimento del donatore, reclutamento dell'équipe chirurgica per l'espianto, prelievo, trasporto, trattamento, stoccaggio, conservazione, coltura cellulare e t. dei tessuti su richiesta. Il laboratorio specializzato per il banking tissutale è preposto alla manipolazione di tessuti e prevede il rilascio di produzioni in GMP (Good Manufacturing Practices) in asepsi e dovrà pertanto sottostare alle vigenti normative in materia (le norme GMP regolamentano l'attività che concerne la manipolazione tissutale); può inoltre estrarre dai tessuti cellule differenziate per permetterne la coltivazione prevedendone la crescita cellulare, sempre seguendo le linee guida e normative vigenti in materia (GMP, ISO9002, ISO14644, GLP), secondo quella scienza interdisciplinare che va sotto il nome di bioingegneria tissutale. Questa espressione, dall'inglese tissue engineering, è stata coniata dal National Science Foundation a Lake Tahoe nel 1988 per definire un campo multidisciplinare che studia e produce sostituti biologici al fine di ristabilire o migliorare la funzionalità di tessuti o organi lesi. A tal scopo utilizza la combinazione di cellule, fattori bioattivi e adeguati supporti di crescita detti scaffolds. È possibile eseguire il t. di molti tessuti, come cute, cartilagine, osso, tendini, vasi, cornea e valvole cardiache. Le cellule che attualmente possono essere trapiantate sono le cellule β pancreatiche produttrici di insulina per il trattamento del diabete, le cellule cutanee e, in forte sviluppo, le cellule staminali, che costituiscono una rivoluzione nel campo della scienza e della ricerca medica, con la prospettiva futura di rappresentare la risposta terapeutica a malattie incurabili.
Trapianti di cute
Si definisce t. cutaneo autologo o innesto il trasferimento di cute totale, o di parte di essa, da una regione all'altra del corpo. L'attuale orientamento terapeutico delle ustioni profonde prevede il precoce allontanamento chirurgico delle aree necrotiche (escarectomia) e la rapida copertura delle zone cruentate con innesti dermoepidermici autologhi. Gli innesti autologhi vengono prelevati mediante un apparecchio, detto dermotomo, da zone sane del paziente; si presentano come sottili strisce di epidermide attaccata a una porzione di derma di spessore inferiore al millimetro. Il trattamento precoce presenta indubbi vantaggi, quali la riduzione dei rischi infettivi, delle perdite di sali minerali e fluidi corporei, del fabbisogno calorico e una guarigione migliore in tempi più brevi. I primi t. di cute codificati risalgono a studi effettuati a Bologna dal chirurgo G. Tagliacozzi (1545-1599), autore del libro De curtorum chirurgia per insitionem (1597), nel quale descrive la ricostruzione di difetti cutanei nasali mediante l'uso di lembi dell'avambraccio. Più tardi, il chirurgo G. Baronio (1759-1811) descrisse l'uso di lembi, soffermandosi sull'importanza della scelta dello spessore cutaneo per il successo del trapianto. Ma bisogna arrivare alla Seconda guerra mondiale per vedere un reale progresso nell'ambito dei t. cutanei sia autologhi sia omologhi, costretti dalla necessità del trattamento di un numero elevato di feriti da ustione. Grazie all'esperienza maturata si susseguirono numerosi studi e pubblicazioni tanto che, già agli inizi degli anni Cinquanta del 20° sec., la tecnica del t. di cute omologa nel trattamento dei gravi ustionati era diventata routinaria al Brooke Army Medical Center di San Antonio (Texas). Sempre in quegli anni prese origine, con la US Navy Skin Bank a Bethesda (Maryland), l'era moderna delle banche della cute. A oggi negli Stati Uniti vi sono circa 300 banche dei tessuti e almeno 50 di queste forniscono cute.
Come già detto in precedenza le ustioni gravi risultano essere la principale indicazione al t. di cute; anche le ulcere postraumatiche, postchirurgiche e le ulcere croniche, trovano nel t. cutaneo l'indicazione necessaria alla restitutio ad integrum dei tessuti. La perdita di vaste aree cutanee causa numerose alterazioni nell'organismo umano e, nei casi più gravi, potrebbe essere causa di morte del paziente stesso. Quando vi è urgenza del trattamento, oltre alle vaste superfici cutanee da coprire, la cute omologa rappresenta nell'immediatezza numerosi vantaggi, come il favorire una riduzione delle perdite idroelettrolitiche e proteiche, una riduzione delle richieste metaboliche, della carica batterica e delle infezioni, nonché del dolore, il miglioramento dello stato generale del paziente, dell'emostasi e facilitazione delle manovre fisioterapiche. Tra gli svantaggi si repertano il rischio di trasmissione di malattie infettive, immunogenicità, costi organizzativi legati al reperimento, necessità di una Banca della cute e scarsa disponibilità della stessa. In generale, nel corso del t. di cute bioingegnerizzata (epidermide autologa coltivata su substrati a base di acido ialuronico), l'attecchimento dei cheratinociti non è garantito. Si è ben compreso, con l'esperienza delle applicazioni, che il fattore fondamentale per l'attecchimento è il substrato su cui viene posto, e cioè il derma. Non essendo ancora disponibile un derma artificiale adatto a questo scopo, si utilizza derma di donatore (omologo), opportunamente trattato al fine di renderlo meno immunogeno possibile. La metodica di Cuono, detta anche dell'innesto composto, consiste nell'utilizzo di derma omologo combinato a epidermide autologa coltivata (bioingegneria cutanea). Il derma omologo con la relativa epidermide sovrastante viene prelevato da vivente o da donatore a cuore fermo. Esso può essere utilizzato a fresco entro tre settimane; oppure può essere congelato e criopreservato in azoto liquido a -196 °C nella Banca della cute; in questo caso ha una validità di 5 anni. La cute trapiantata sarà riconosciuta come estranea dall'organismo ospite. Ma allontanando chirurgicamente l'epidermide prima che avvenga il rigetto, il derma può rimanere indefinitamente in situ senza dare rigetto grazie alla sua bassa immunogenicità.
In Italia la Banca della cute è una struttura sanitaria regionale o interregionale avente compiti di processazione, di conservazione e di distribuzione di cute alloplastica (da donatore). La Banca deve essere dotata di laboratori specialistici per effettuare esami ematochimici, istologici, immunogenetici ed eventualmente colture cellulari. Una volta identificato, il donatore viene sottoposto a una serie di accertamenti sul suo stato clinico generale, volti a escludere la presenza di patologie dannose per il ricevente. Infine, se il potenziale donatore viene ritenuto idoneo si procede alla compilazione di una cartella clinica nella quale sia opportunamente documentato il consenso al prelievo e sia riportata tutta la procedura operativa. Banche dei tessuti e della cute sono presenti in Europa, inclusa l'Italia, e in numerosi Paesi extraeuropei.
Trapianti di osso e cartilagine
L'autotrapianto o autoinnesto di osso prevede il trasferimento di porzioni o segmenti ossei da zone donatrici in aree deficitarie dello stesso soggetto. Il t. di osso omologo da donatore viene impiantato privo della componente cellulare in maniera tale che la matrice non vitale induca la sintesi di nuovo tessuto osseo. Gli osteoblasti del ricevente possono così ricolonizzare la matrice e depositare osso neoformato, colmando e stabilizzando le lesioni di continuità finché non venga sintetizzato nuovo osso. Si distinguono t. di osso da vivente e t. di osso da cadavere. Per quanto riguarda questi ultimi, sono disponibili varie possibilità di ricostruire osso per fronteggiare le patologie da trattare. Essi comprendono: i t. di osso fresco, di segmenti muscolo-scheletrici massivi crioconservati e innesti di osso sottoposto a manipolazione minima. I segmenti muscolo-scheletrici freschi hanno capacità di indurre reazioni immunitarie da parte dell'organismo ricevente compromettendo in tal modo il buon esito del trapianto. Si può ovviare a tale inconveniente sottoponendo il segmento da trapiantare a congelamento a temperature uguali o inferiori a -80 °C. Il t. di segmenti muscolo-scheletrici massivi crioconservati comprende gli innesti che sostituiscono una parte circonferenziale di un osso lungo (scheletro appendicolare) oppure dello scheletro assiale (bacino, vertebre) quando vi si sostituisce a tutto spessore un segmento osseo che ha funzioni di sostegno anatomico-funzionale o superfici articolari complete. Si intende per innesti di osso sottoposto a manipolazione minima da donatore cadavere e vivente il trattamento del segmento mediante irradiazione, taglio, liofilizzazione e demineralizzazione. Queste procedure avvengono sotto controllo e certificazione della Banca tissutale di riferimento. È possibile trapiantare tessuto muscolo-scheletrico fresco prelevato da donatore vivente a scopo di innesto, solo se la sua idoneità e sicurezza sono certificate da parte della Banca tissutale di riferimento che si interfaccia con l'ente competente e la Regione di riferimento per tutte le procedure già descritte. Il t. autologo di cartilagine può avvenire per trasferimento di cartilagine intera prelevata come tale da aree sane donatrici o di cellule cartilaginee prelevate, isolate ed eventualmente coltivate per essere poi reimpiantate nel paziente. È possibile in alcune circostanze ricorrere all'uso di cartilagine non propria, ma prelevata da altro soggetto. La cartilagine di donatore viene prelevata e trattata sterilmente ottenendo dei segmenti necessari al ripristino anatomico delle aree deficitarie; risulta maneggevole e sicura perché essendo priva di cellule vitali non innesca rigetto mantenendo inalterate le sue proprietà strutturali ed elastiche; ciò si spiega perché le cellule che compongono la cartilagine, i condrociti, sono immerse nella matrice ialina; nel caso di t. allogenico di cartilagine, essa isola e protegge le cellule dall'attacco cellulare dell'ospite, impedendo reazioni immunitarie.
In merito alle indicazioni per il t. negli adulti, è molto diffuso l'autotrapianto, con diversi campi di applicazione: chirurgia ortopedica, protesica e correttiva; oncologia; traumatologia; chirurgia della mano; maxillofacciale, odontostomatologia; chirurgia plastica ricostruttiva e otorinolaringoiatria. Per fare alcuni esempi, l'osso viene prelevato da cresta iliaca per effettuare ricostruzioni del massiccio facciale dopo ampie demolizioni, traumi, malocclusione e deformità cranio-facciali. Osso liofilizzato omologo può essere utilizzato per la ricostruzione di alveoli dentali, impianti e stimolare la neoproduzione di osso. Nei traumi gravi della mano e dell'arto superiore si possono prelevare da donatore cadavere i segmenti identici a quelli perduti per ricostruire cartilagini articolari, capsule, tendini e con il reimpianto microchirurgico di vasi, tendini e legamenti. Tumori ossei maligni possono essere responsabili di amputazioni di arti che vengono, quando possibile, evitate grazie alla possibilità ricostruttiva offerta da allotrapianti compositi di osso e cartilagine, con sostituzione totale di segmenti ossei oppure osteoarticolari, in associazione a posizionamento di protesi. La cartilagine viene solitamente prelevata dalla regione costale o auricolare, innestata per il trattamento delle lesioni gravi, ma anche per il ripristino di profili facciali, come il dorso nasale. Nel caso delle degenerazioni articolari, la lesione cartilaginea viene riempita con piccoli cilindri di cartilagine prelevati da una zona non danneggiata e che non è sottoposta a carico del peso corporeo. Tra le indicazioni agli allotrapianti di cartilagine vi sono i processi degenerativi articolari come per il rivestimento dei capi articolari erosi dai processi artrosici e infiammatori dell'artrite. La cartilagine prelevata da cadaveri può essere impiegata per rimpiazzare difetti congeniti sia del naso sia dell'orecchio.
La Banca del tessuto muscoloscheletrico è una struttura sanitaria pubblica che, secondo le normative e le linee guida ora vigenti, dopo l'individuazione da parte della Regione di competenza, è deputata alla organizzazione, conservazione, processazione, distribuzione del tessuto prelevato con certificazione di idoneità e sicurezza. La Banca garantisce la qualità dei tessuti dal prelievo sino al t., dal momento in cui viene fatta richiesta dalla struttura sanitaria. L'osso o il tessuto connettivo prelevato come cartilagine costale, tendini o menischi, prelevato da cadavere donatore, vengono opportunamente preparati e crioconservati, con garanzia dell'integrità degli stessi per cinque anni. Dopo l'impianto non è necessaria alcuna terapia immunosoppressiva. La cartilagine articolare ha un potenziale di guarigione intrinseco molto limitato, relativo all'assenza di vascolarizzazione nonché all'esigua presenza di cellule specializzate ad attività mitotica replicativa.
Esistono diversi metodi che si avvalgono della bioingegneria tissutale per il trattamento delle lesioni della cartilagine articolare. Con la sigla ACI (Autologous Condrocyte Implantation) si fa riferimento al t. autologo di condrociti, prelevati dal paziente ed espansi in sospensione in laboratorio e successivamente innestati nella lesione articolare con periostio autologo prelevato al fine di mantenere le cellule nella lesione. La complessità della tecnica descritta non permette la sua esecuzione in artroscopia. Sono poi state sviluppate tecniche ACI di seconda generazione con l'intento di riuscire a migliorare la tecnica precedente. L'evoluzione consiste nel fare crescere i condrociti su dei supporti confezionati sulla base della struttura da ricostruire. L'impalcatura tridimensionale (biomateriale) consente la crescita controllata e direzionata delle cellule per semplificare la loro applicazione nella zona lesionata della cartilagine. Dal momento che i condrociti vengono applicati in forma solida, non richiedono l'utilizzo del periostio per mantenere le cellule nella sede del difetto e quindi l'intervento chirurgico risulta di più semplice esecuzione.
Trapianti di cornea
Il t. di cornea viene tecnicamente definito cheratoplastica (dal greco kératos, lett. corno) ed è quell'atto finalizzato alla sostituzione parziale (detta lamellare) o totale (detta perforante) di tale membrana in caso di patologie della stessa e perdita della sua trasparenza. Le cornee possono essere donate a ogni età e l'idoneità al t. non dipende dall'età ma dalla morfologia del tessuto. Tale intervento può richiedere tempi medi dai 30 ai 90 minuti, la degenza va da 1 a 3 giorni. Il recupero della vista avviene lentamente ma nella maggior parte dei casi è più che soddisfacente. La percentuale di successo del t. supera il 90%, grazie alla tecniche operatorie microchirurgiche, ai numerosi e attenti controlli di qualità sulle cornee di donatore e alla percentuale minima di rigetto. Grazie alla sua caratteristica avascolare, la cornea presenta numerosi vantaggi: può rimanere vitale per molte ore dopo l'espianto dal donatore, essere conservata fino a un mese e più, ha probabilità di rigetto molto più basse rispetto ad altri t. d'organo. Il t. di cornea trova indicazione in tutte le patologie che causano alterazione della trasparenza. Esse possono essere su base infiammatoria, infettiva, tossica, meccanica e distrofica con ripercussioni sull'acuità visiva del soggetto quando la superficie perde la propria regolarità. Ne sono alcuni esempi gli esiti di gravi infezioni, la cheratopatia bollosa e cheratocono. Quest'ultima è una patologia molto diffusa tra le donne e i soggetti giovani, la cui caratteristica particolare è la perdita della convessità della cornea con deformazione a cono del suo profilo per assottigliamento e sfiancamento, con successiva opacizzazione e perforazione della stessa. La cheratopatia bollosa consiste nella formazione di microbolle superficiali che progressivamente opacizzano la cornea portando a diminuzione della vista, bruciore e dolore oculare. La Banca degli occhi è una struttura regionale pubblica che è investita del compito di prelevare da un donatore deceduto la cornea, di accertarsi dell'idoneità al t., di effettuare test sierologici, test di conservazione e distribuzione garantendone la qualità e la sicurezza. La maggior parte delle cornee donate proviene da soggetti oltre i 60 anni di età. La nuova frontiera nel campo della bioingegneria è la creazione di cornee sintetiche in tessuto biocompatibile; tuttavia ancora non si è riusciti a ovviare agli inconvenienti dovuti ai materiali artificiali, come il rischio di infezioni e depositi sulla loro superficie. È possibile anche adottare la soluzione delle cellule staminali prelevate dal limbus per la rigenerazione di epitelio corneale per l'occhio lesionato.
Trapianti di valvole e segmenti vascolari
Si definisce trapianto omologo di tessuti cardiovascolari il trasferimento di valvole o segmenti vascolari da un soggetto donatore idoneo a un soggetto ricevente. Il t. autologo prevede il trasferimento di segmenti vascolari nello stesso soggetto. Può essere necessario ricorrere a t. di segmenti vascolari venosi e arteriosi in caso di patologie come stenoostruzione arteriosa, aneurismi aortici a vari livelli, trombosi, infezioni postchirurgiche di protesi vascolari, patologie richiedenti la rivascolarizzazione di arti. I vasi più comunemente prelevati sono quelli venosi per il t. autologo, l'aorta in numerosi tratti principali e le safene per il t. omologo. È diffuso l'uso di protesi vascolari sintetiche per la sostituzione di tratti vascolari alterati e confezionamento di bypass, presentanti alcuni svantaggi come la formazione di trombi con occlusione e infezione. Per le valvole cardiache, la via più seguita è la sostituzione con protesi artificiali biologiche o meccaniche, le quali presentano però alcuni inconvenienti come facili infezioni, funzionamento non perfettamente fisiologico, impiego obbligato a vita di anticoagulanti per le protesi meccaniche e la necessità di sostituzione dopo circa 15 anni delle biologiche per loro degenerazione.
Queste ultime protesi presentano però i vantaggi di una minore invasività, riduzione dei tempi di intervento e più rapida ripresa del paziente. L'orientamento attuale è sempre più teso verso l'impiego di tessuti omologhi crioconservati grazie all'esistenza delle Banche, minore antigenicità, certificazione e garanzia del tessuto, pronta disponibilità. Tali tessuti trovano indicazione nella terapia chirurgica di malformazioni cardiache congenite dei bambini. I vantaggi di un t. omologo sono la non necessità di terapia anticoagulante, possibilità di attività fisica sportiva, minore emorragia e possibilità per la donna di portare avanti una gravidanza. La Banca di tessuto cardiovascolare rappresenta una struttura sanitaria pubblica individuata dalla Regione di competenza e che opera secondo le linee guida vigenti e standard internazionali. La sua attività prevede organizzazione, processazione, valutazione anatomica, test istologici e sierologici, certificazione di idoneità e sicurezza, conservazione in azoto liquido a -140 °C fino a un massimo di cinque anni.
Trapianti di cellule
L'uso di cellule autologhe o eterologhe umane apre il campo a un numero molto elevato di possibili terapie che vengono generalmente raggruppate sotto la denominazione di terapia cellulare. Essa si riferisce alla somministrazione a esseri umani per scopi diagnostici, preventivi o terapeutici, di cellule umane autologhe o eterologhe. Prima della somministrazione queste cellule devono essere sottoposte a una manipolazione in vitro ed ex vivo sostanziale e tale che ne alteri la funzionalità o lo stato fisiologico. Protocolli definibili come terapie cellulari includono l'uso di cellule derivate da processi di purificazione, selezione, attivazione in vitro, dall'introduzione di proteine, acidi nucleici o agenti farmacologi in cellule con il risultato di alterarne il fenotipo, il genotipo o lo stato fisiologico. Inoltre, rientra nella stessa definizione, la somministrazione di cellule unitamente a un substrato con funzioni di supporto, contenimento o protezione da agenti del sistema immunitario. Le cellule staminali, in particolare, si sono rilevate uno strumento concreto ed efficiente per affrontare o per migliorare un numero elevato di patologie. Le caratteristiche peculiari della cellula staminale risiedono sia nella capacità di dividersi per un periodo di tempo indefinito sia nella capacità di differenziare per dar luogo ai differenti tessuti dell'organismo. Il maggiore impulso ricevuto dalla ricerca di base sulle cellule staminali ha permesso di individuare un loro ruolo clinico-terapeutico, sia come supporto a terapie tradizionali sia come terapia stessa.
Le sorgenti di cellule staminali sono rappresentate essenzialmente da sangue periferico, sangue midollare, sangue cordonale, tessuti adulti. A tutt'oggi gli elementi più immaturi caratterizzati sono le cellule CD34+, capaci di ricostituire le funzioni midollari. Tali cellule vengono correntemente definite staminali, anche se impropriamente, poiché in realtà sono una mistura di cellule staminali, progenitori e cellule a vari stadi di differenziamento. L'isolamento e la progressiva caratterizzazione delle cellule staminali ha aperto la strada a nuovi approcci terapeutici per varie malattie degenerative su base genetica, traumatica oppure ischemica, e al loro utilizzo come vettori, per malattie metaboliche e tumorali. Lo sviluppo delle tecniche di mobilizzazione delle cellule staminali mediante fattori di crescita o attraverso anticorpi per le proteine di adesione ha permesso inoltre di ottenere quantità di cellule staminali sufficienti per un uso terapeutico trapiantologico. Esistono diversi tipi di t.: autologo in oncologia e in oncoematologia; nelle malattie autoimmuni; allogenico in oncologia e in oncoematologia; di cellule staminali mesenchimali.
Medicina rigenerativa
L'applicazione delle medicine tradizionali, basata sull'uso di agenti chimici, per il trattamento di malattie sia acquisite sia congenite si sta evolvendo fino a includere dei concetti terapeutici innovativi basati sull'utilizzo di cellule, sia isolate sia come tessuti, come agente terapeutico diretto o come rimpiazzo per elementi cellulari inefficaci, mancanti o deteriorati. Tutte queste terapie sono fortemente innovative e ad alto contenuto tecnologico. L'ingegneria tessutale prevede lo sviluppo di tecniche per la costruzione di nuovi tessuti in sostituzione di quelli danneggiati. Essa è basata sui principi della biologia delle cellule, della biologia inerente allo sviluppo e della scienza dei biomateriali. Altri esempi di terapie innovative cellulari prevedono l'uso di cellule mesenchimali staminali adulte provenienti anche da tessuti, sfruttando la capacità di queste cellule di seguire percorsi multidifferenziativi per ricostituire cellule o tessuti danneggiati; la somministrazione di cellule autologhe o HLA-compatibili eterologhe, transfettate con geni capaci di renderle resistenti a una mielodeplezione indotta da chemioterapia o in grado di funzionare come serbatoi di produzione per enzimi, fattori di coagulazione oppure per ormoni; terapie antitumorali immunitarie; impianto di cellule specifiche per tessuti come fegato, pancreas, cartilagine delle articolazioni, mioblasti, fibroblasti, cheratinociti, cellule epiteliali, di cellule dendritiche capaci di stimolare linfociti T e B; autovaccini; immunomodulatori.
A seguito del crescente sviluppo di tecnologie di biologia molecolare e ingegneria genetica, si ritiene che le cellule staminali rappresentino una scelta ottimale per fungere da vettori cellulari per la terapia genica. La terapia genica si basa sull'introduzione o l'eliminazione di geni specifici per alterare o coadiuvare la funzione di un gene malato riparando direttamente tale gene o fornendo un gene che aggiunge nuove funzioni o regola le attività di altri geni.
bibliografia
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Kidney transplantation, ed. G.M. Danovitch, Philadelphia (PA) 20054.
È inoltre possibile consultare i seguenti siti Internet:www.ministerosalute.it; www.agenziatrapiantilazio.it; www.iss.it.