TRAPEZOFORO (τραπεζοϕόρος τραπεζοϕόρον, trapezophorum)
Etimologicamente, ὁ τὴν τράπεζαν ϕέρων, sostegno di tavolo. In epoca tarda (Pollux, 10, 69; Digesto, xxxiii, 10, 3) passa a significare anche l'intero tavolo. Il termine archeologico moderno, adoperato dall'inizio del XIX sec. (M. A. Marchi, Dizionario tecnico-etimologico-filologico, Milano 1829, t. ii, p. 773), sta in genere ad indicare un supporto di tavolo particolarmente ornato o lavorato, in genere a forma umana, o di animale, o di parte di esso.
L'uso di dotare i mobili (seggi, letti, tavoli, ecc.) di piedi imitanti zampe di animali (in genere, felini) risale all'Egitto antico, e di qui passò successivamente in Mesopotamia e nel territorio iranico. Nella Grecia arcaica e classica si preferivano in genere supporti più semplici, di linea diritta ma, spesso, terminanti anch'essi in un piede felino (v. arredamento). Non mancano tuttavia esempî più complessi e vicini ai tipi orientali, come ci è testimoniato, tra l'altro, dai modellini in terracotta del santuario della Malophoros a Selinunte. Da respingere quindi è la teoria rigidamente evoluzionistica del Déonna, che ritiene il t. a zampa di animale di origine romana. La diffusione maggiore del t. figurato inizia con l'età ellenistica (con tipi che derivano spesso, come in altri campi, da modelli achemènidi) e prosegue per tutta l'età imperiale romana. Essa non è, del resto, che una delle conseguenze dell'industrializzazione dell'artigianato artistico, tipica del periodo ellenistico. Lo studio di queste categorie di oggetti, almeno per questa fase, dovrebbe quindi svolgersi non secondo tipologie rigorosamente distinte, come per lo più si è fatto, ma tenendo conto della intercambiabilità e dell'uso indifferenziato di molti elementi, che ritornano, ad esempio, in un tavolo, in una sedia o in un candelabro.
I tipi più diffusi di t. sono quelli di marmo o di pietra. Ne restano anche numerosi esemplari in bronzo, a volte ageminati in argento (soprattutto da Pompei e da Ercolano), ed alcuni in legno, oltre ad un singolo esemplare fittile (un Atlante, al Museo Nazionale di Napoli). Le fonti ci danno inoltre notizia di t. in avorio, argento ed oro massiccio.
A Roma i primi esemplari di tavoli particolarmente lussuosi furono introdotti in seguito alle vittorie di Gn. Manlio sui Galati d'Asia (189 a. C.: Liv., xxxix, 6, 7; Plin., Nat. hist., xxxiv, 14), in una fase, cioè, in cui a Roma, in seguito alle conquiste orientali, affluiscono in copia tutti i prodotti dell'artigianato artistico ellenistico. Nel corso del I sec. a. C. l'uso di questi mobili si generalizza, e l'erede dell'oratore L. Crasso (morto nel 91 a. C.) poté venderne numerosi esemplari. Anche nella corrispondenza di Cicerone e nelle Verrine non mancano gli accenni a tavoli e t. (Ad fam., vii, 23, 3; in Verr., iv, 16, 35; 25, 57; 59, 131). Per il periodo imperiale le citazioni si moltiplicano (Petr., 73; luven., iii, 205; Mart., ii, 43, 10; xii, 66, 7; Lucian., Lexiphan., 7; Sid. Apoll., 17, 7, ecc.).
I tipi più comuni di tavolo, che ci sono indicati dalle fonti, sono la delphica, il monopodium e l'abacus. La delphica (tavola rotonda a tre piedi, generalmente a forma di zampa di animale), è utilizzata per prendere i pasti, ed è quella che appare più spesso in rappresentazioni figurate, a partire dal IV sec. a. C. Ce ne restano numerosissimi esemplari, soprattutto in marmo, in bronzo e anche in legno. Esempî di quest'ultimo materiale, sono stati rinvenuti ad Ercolano (Casa dell'Atrio a Mosaico, Casa del Mobilio Bruciato), in Inghilterra, in Egitto, nella Russia meridionale (Panticapeo). Il tipo di t. che viene applicato a questi tavoli consiste in genere in una zampa felina, cui spesso si innesta, nella parte superiore, una protome di animale (leone, grifo, anatra) secondo un procedimento evidentemente non greco, ma di origine orientale. La diffusione di questi tavoli è vastissima: se ne trovano raffigurati fin in rilievi del Gandhara (cfr. A. Foucher, L'art gréco-bouddhique du Gandhāra, Parigi 1905, fig. 156). La rappresentazione di falegnami in atto di fabbricarne appare in un sarcofago del Museo Vaticano (Amelung, I, p. 864, n. 162) e in un rilievo appartenuto ad un'ara monumentale, sempre a Roma (A. M. Colini, in Capitolium, xxii, 1947, p. 21 ss.).
Nel monopodium, predominano t. rappresentanti figure intere, umane od animali (Attis, Telamone, sfinge, ecc.). Gli esemplari in bronzo sono in genere più complessi.
Il termine abacus indicava originariamente il piano di un tavolo di forma quadrangolare. Si tratta di solito di un mobile destinato a sostenere argenterie o altra suppellettile di pregio (si veda la cosiddetta Coppa dei Tolemei, vol. ii, fig. 434; cfr. anche vol. i, fig. 802).
Tra i t. destinati a sostenere un piano allungato (cartibulum), particolarmente notevole è il tipo doppio, costituito da due elementi affrontati, tagliati in un'unica lastra di marmo e separati da una palmetta o da girali. Alcuni esemplari ne sono stati trovati in situ, e permettono di stabilire che, in genere, questi tavoli erano collocati nell'atrio, davanti all'impluvium, dal lato del tablino (un'eccezione è quello della Casa del Tramezzo di Legno, ad Ercolano, posto dal lato dell'ingresso: A. Maiuri, Ercolano: I nuovi scavi, Roma 1958, p. 212, fig. 166). Questi "doppi t." potevano essere di un tipo abbastanza semplice, costituito da due zampe feline contrapposte, o più complesso, che sovrapponeva a questi elementi delle protomi, in genere di grifo o di leone-ariete alato, o li sostituiva con figure intere: cariatidi, Scille, centauri, sfingi, ecc. (cfr. Spinazzola, tavv. 33 e 34; P. Gusman, L'art décoratif de Rome, Parigi 1908, ii, tav. 103; W. Amelung, Die Skulpt. d. Vatic. Mus., tavv. 9, 25). I t. con grifi o leoni-arieti alati contrapposti costituiscono un gruppo abbastanza omogeneo e non molto frequente, per il quale è forse da postulare una fabbrica unica. Gli esemplari più notevoli sono quelli della Casa di C. Rufo a Pompei, i frammenti, praticamente identici, trovati a Delo, quelli della casa romana sotto il Municipio di Spoleto, della chiesa di S. Tommaso ai Cenci in Roma, del Museo Vaticano, del Metropolitan Museum di New York, e del Museo Nazionale di Napoli. La Richter li giudica tipici dell'età imperiale romana, ma elementi decorativi del tutto simili ritornano in rilievi ellenistici (quale quello, datato al II sec., della Gliptoteca di Monaco: cfr. L. Laurenzi, in Röm. Mitt., Liv, 1939, p. 42 ss., tav. ii). Gli esemplari trovati a Delo, inoltre, sono sicuramente databili all'inizio del I sec. a. C. Inaccettabile, a questo proposito, e giustamente respinta dal Bakalakis, l'ipotesi del Déonna, tendente a riferire all'Italia la fabbricazione di questi tavoli, impossibile in tale periodo, visto il materiale adoperato (il marmo). L'ipotesi opposta (provenienza degli esemplari trovati in Italia dall'Oriente) è assai più probabile: si pensi, ad esempio, ai lecti Deliaca specie citati da Plinio. Va aggiunto che la tipologia di questi t. si rifà a modelli achemènidi e che quindi la loro presenza nel mondo romano è comprensibile solo attraverso il tramite dell'arte ellenistica.
Per quanto riguarda l'utilizzazione di questo tipo di tavolo (il cui piano doveva spesso essere in materiale deperibile, legno o ardesia), è preziosa la rappresentazione che ne appare nel fregio degli eroti artigiani della Casa dei Vettii a Pompei. Ivi il tavolo è adoperato per la fabbricazione e la vendita di ghirlande di fiori. È quindi probabile che potesse essere adoperato come bancone di bottega. Una tale utilizzazione è del resto confermata dai numerosi tavoli in marmo sostenuti da t. trovati nel mercato di Leptis Magna, che avevano appunto questa funzione.
Bibl.: (Per una bibliografia generale sull'arredamento e sul mobilio, cfr. arredamento). G. M. A. Richter, Ancient Furniture, Oxford 1926; G. Alvisi, Mobilio, in Encicl. Univ. dell'Arte, IX, 1963, c. 486 s. - In particolare: J. Marquardt, Vie privée des Romains, Parigi 1892, I, p. 373 ss.; G. Spano, Intorno ad una mensa rinvenuta in Pompei, in Rend. Lincei, XIV, 1905, p. 215 ss.; A. De Ridder, in Dict. Ant., s. v. Mensa; H. Graillot, ibid., s. v. Trapezophorus, -um; H. Blümner, Römische Privataltertümer, Monaco 1911, p. 124 ss.; E. Gabrici, Il Santuario della Malophoros a Selinunte, in Mon. Ant. Lincei, XXXII, 1927, p. 202, figg. 104-105; V. Spinazzola, Le arti decorative in Pompei, Milano-Roma 1928, tavv. 33-39; A. Maiuri, in Not. Scavi, 1929, p. 359 ss., fig. 22; F. Pernice, Hellenistische Tische, Zisternemündugen, Beckenuntersätze..., Berlino 1932, p. i ss.; R. Paribeni, Ciciliano, trapezoforo iscritto, in Not. Scavi, 1932, p. 126 ss.; W. Déonna, Le mobilier délien in Expl. Arch. de Délos, fasc. XVIII, Parigi 1938, p. 15 ss.; C. Pietrangeli, Spoletium, Roma 1939, p. 67; M. Felletti Maj, La casa e l'arredamento, Roma 1940, p. 59 s.; Ch. Picard, Trapézophore sculpté d'un Sanctuaire thasien, in Mon. Piot, XL, 1944, p. 107 ss.; G. Q. Giglioli, I trapezofori di S. Tommaso ai Cenci, in Bull. Comun., LXXII, 1946-48, p. 49 ss.; G. Bakalakis, ᾿Ελληνικὰ τραπεζόϕορα, Salonicco 1948 (rec. in Bull. Corr. Hell., 1949, p. 501); J. Liversidge, Furniture in Roman Britain, Londra 1955, p. 37 ss.; T. H. Robsjolm-Gibbings, C. W. Pullin, Furniture of Classical Greece, New York 1963, p. 95 ss.; F. Zevi, La casa Reg. IX. 5, 18-21 a Pompei, in Studi Miscellanei, 5, Roma 1964, p. 19, tav. XIII, 3; R. Bianchi Bandinelli, E. Vergara Caffarelli, G. Caputo, Leptis Magna, Milano 1946, tavv. 59, 60.