TRAFILATURA (fr. tréfilage, étirage; sp. estirado, tiraje; ted. Ziehen; ingl. drawing)
Operazione tecnologica, che ha principalmente lo scopo della fabbricazione dei fili metallici (v. filo: filo metallico) e che si applica anche alla produzione di tubi non saldati di piccolo diametro e di barre profilate sottili. Ha origini assai remote nel tempo: si può ritenere che nell'antichità venissero trafilati in prevalenza i metalli preziosi, e si hanno notizie certe dell'esistenza nel Medioevo di un'arte della trafilatura del ferro, che in Italia ha avuto abili maestri.
Consiste essenzialmente nel costringere l'oggetto a ridursi di sezione col passare, a freddo o a caldo, attraverso una serie di fori calibrati, aventi aperture progressivamente decrescenti, praticati in piastre-utensili chiamate trafile o filiere.
Trafilatura dei fili. - Si può riferire la trattazione al caso dei fili di acciaio dato che i procedimenti relativi si estendono con poche varianti ai fili di rame, di alluminio, di bronzo, di ottone, ecc. Poiché con la laminazione (v.) si possono ottenere fili sino al diametro di circa 5 mm., per ridurre questo ulteriormente occorre la trafilatura, che comprende le seguenti operazioni: preparazione della superficie del filo; trafilatura; trattamento termico.
Preparazione della superficie del filo. - Influisce notevolmente sulla riuscita della trafilatura e ha lo scopo precipuo di asportare la pellicola di ossido di ferro che ricopre il filo proveniente dal laminatoio, e l'altro scopo di rivestirne poi la superficie con un sottile strato che favorisca il passaggio del filo attraverso la trafila.
Si effettua in una serie di fasi successive:
a) Pulitura chimica (o decapaggio): le matasse di filo laminato, detto filo-macchina, vengono immerse per due o tre ore in un bagno, a freddo o a caldo, di acqua acidulata con acido solforico o cloridrico. Con il decapaggio solforico (concentrazione media del 25% in peso di H2SO4 a 66° Bé) la pellicola di ossido si distacca per la pressione dell'idrogeno che si sviluppa dalla reazione dell'acido col ferro e che però si diffonde in parte nella massa del filo accrescendone la fragilità. Si può rallentare l'azione troppo energica del bagno e ridurre la diffusione dell'idrogeno aggiungendo alcune sostanze denominate ritardatori o economizzatori (glicerina, amido, fecole, colle, residui di fermentazione, derivati del catrame, ecc.). Il solfato ferroso che cristallizza sul filo ne danneggia la superficie durante la trafilatura; quello che passa in soluzione nel bagno può essere ricuperato, specialmente negl'impianti di una certa importanza, e utilizzato nelle industrie dei coloranti, dei concimi, ecc. Il consumo di H2SO4, varia in media da 35 a 60 kg. per tonn. di filo. Con il decapaggio cloridrico (proporzione media del 20% di HCl) l'attacco è più energico e la quantità di idrogeno diffuso nel filo è minore che nel caso dell'acido solforico. L'impiego del bagno cloridrico è limitato da condizioni di economia, dallo sviluppo di vapori acidi, dalla necessità di evacuare i bagni esauriti, ecc., ed è ristretto generalmente alle piccole trafilerie e a quelle che producono fili sottili o galvanizzati.
Altri bagni di decapaggio sono: il nitrico per gli acciai al nichelio, il cloro-nitrico per gli acciai inossidabili, quello alla soda fusa per gli acciai al cromo-nichelio, ecc.
b) Pulitura meccanica (o battitura): il decapaggio chimico viene integrato dall'azione meccanica: le matasse, infilate in sostegni collocati alle estremità di un bilanciere, oscillando urtano contro un letto di materia smorzante; una pioggia di acqua acidulata completa la pulitura.
c) Lavaggio: le matasse battute vengono solo lavate con acqua fredda, se il decapaggio è stato fatto con bagno solforico poco concentrato o con quello cloridrico, ovvero prima immerse in vasca con acqua corrente a 70°÷80°, se il bagno solforico era saturato di solfato ferroso.
d) Trattamento alcalino: per arrestare l'ossidazione, neutralizzare l'effetto residuo dei bagni acidi e creare sulla superficie del filo uno strato che ne agevoli il passaggio nella trafila, le matasse s' immergono per qualche minuto in acqua di calce purissima a 80° tenuta in continua agitazione. Recente è l'impiego di una soluzione di fosfato trisodico al 5%, che lascia sul filo una pellicola protettrice che dispensa anche dalla successiva operazione (e).
e) Essiccazione: avviene mediante pulsione di aria in stufe riscaldate circa a 150° per gli acciai dolci e a 300° per quelli duri; il filo si asciuga e resta ricoperto della pellicola di calce dovuta al trattamento precedente.
f) Ossidazione (o ingiallimento): per trafilare fili sottili con lubrificazione a secco, dopo il decapaggio si bagnano le matasse con acqua dolce leggermente acidulata e polverizzata, fino a che il filo assuma una colorazione giallo-arancio; si procede poi a lavaggio con acqua pura fino a raggiungere il color ruggine, arrestando l'ossidazione con rapido trattamento alla calce.
Trafilatura. - Il filo avente la superficie preparata, come è detto sopra, viene passato alle apposite macchine di trafilatura, dette anche banchi. Quelle azionate a mano hanno fatto la prima apparizione in Europa nel sec. XVI; le moderne macchine, azionate da motore elettrico direttamente accoppiato, comprendono gli organi essenziali seguenti: aspo di svolgimento del filo da trafilare; supporto della trafila; trafila; pinza di amarraggio per afferrare l'estremità, opportunamente appuntita, della matassa del filo e tirare questo attraverso la trafila; bobina di avvolgimento del filo trafilato con dispositivo di innesto e disinnesto; meccanismo per dare il moto alla bobina di avvolgimento. Si possono avere banchi semplici nei quali il filo subisce un solo passaggio (fig. 1) e banchi multipli nei quali il filo subisce i successivi passaggi sulla stessa macchina attraverso una serie di trafile (fig. 2), avvolgendosi per varî giri dopo ogni passaggio su altrettante bobine; queste hanno diversa velocità angolare in corrispondenza all'aumento di lunghezza del filo derivante dalla riduzione di sezione.
Le trafile sono piastre che portano un foro (trafile semplici) o più fori (trafile multiple) di profilo assiale opportuno (fig. 3). Le trafile di acciaio (al carbonio, cromo, tungsteno, ecc.) debbono avere una composizione chimica e subire un trattamento termico tali da assumere la microstruttura tipica rappresentata da granuli di carburi metallici assai duri (cromo, tungsteno, ecc.) contornati da una massa cristallina avente la malleabilità necessaria per permettere sia il passaggio del filo nel foro, sia il ripristino, mediante martellatura, della forma del foro stesso quando è consumato dall'uso; si ottengono direttamente per fusione o per fucinatura, da piccoli lingotti, secondo la loro grandezza; vengono forate a freddo (con punte da trapano) o a caldo (con punzoni) e i fori vengono calibrati con alesatori di precisione. Le trafile di diamante, assai costose e di difficile preparazione, sono impiegate solo per fili sottilissimi. Le trafile di carburi duri (di tungsteno e molibdeno agglomerati con cobalto) sono poste in commercio sotto varî nomi (Widia, Carbolloy, ecc.) e vengono preparate per fusione calibrando poi i fori con utensili speciali e polvere di diamante; dato il loro costo elevato vengono riportate in una piastra-supporto di acciaio.
Le sostanze usate per la lubrificazione delle trafile sono: olî vegetali (di colza, di lino, ecc.), grassi animali (sego di bue o di montone emulsionati), olî e grassi minerali ad alta viscosità e consistenza, saponi neutri, sottoprodotti della birra, farine di cereali e di lino, materie inorganiche varie (ossido di calcio, talco, grafite, ecc.); il più usato è il sapone bianco in polvere, che permette alte velocità di trafilatura e conserva meglio le trafile. Nel caso del filo cosiddetto chiaro, questo dopo il decapaggio viene passato in un bagno formato da una miscela del lubrificante con acido solforico e solfato di rame, quindi fatto asciugare: la sua superficie viene coprendosi così di una pellicola di rame che favorisce la trafilatura. Nel caso del filo cosiddetto scuro, la cui lubrificazione si effettua a secco con grassi o con polvere di sapone, si procede prima all'ossidazione o ingiallimento del filo e talvolta alla ramatura elettrolitica ovvero alla metallizzazione con leghe dolci del tipo antifrizione o con piombo (processo Dudzeele) contribuendo così a diminuire l'incrudimento, del quale si dirà in appresso.
La riduzione del filo avviene durante il passaggio nella trafila in conseguenza della particolare capacità di deformazione permanente del materiale costituente il filo, detta trafilabilità o duttilità; il metallo fluisce continuamente attraverso il foro in uno stato di plasticità paragonabile a quello dei fluidi incompressibili e analogo a quello assunto localmente, nella zona di strizione, da una barretta metallica sottoposta alla prova normale di trazione (v. resistenza dei materiali): la suddetta deformazione è dovuta all'azione combinata delle estensioni assiali e delle compressioni radiali originate dal serrarsi del metallo contro la parete conica del foro della trafila quando si esercita sul filo la forza di trazione T (sforzo di trafilatura).
Siano (fig. 3) a l'angolo di semi-apertura del cono; p la pressione unitaria (reazione) normale alla parete del cono: fp la reazione tangenziale unitaria d'attrito corrispondente che si oppone al passaggio del filo e che viene diminuita con la lubrificazione (il coefficiente d'attrito f può assumere valori compresi, secondo la qualità del filo e del lubrificante, tra o,04 e 0,2). La reazione unitaria risultante dalle due reazioni suddette essendo distribuita simmetricamente intorno all'asse del filo dà una forza totale risultante diretta secondo l'asse medesimo, che si oppone allo sforzo T: indicando con S0, D0 e S1, D1, le sezioni e i diametri del filo rispondenti all'entrata e all'uscita del foro, supponendo in prima approssimazione che si abbia un'uniforme distribuzione della pressione p, si ha
Affinché il filo possa trafilarsi senza rottura occorre che la pressione p raggiunga almeno il valore della resistenza k del materiale alla trafilabilità e che la tensione massima σ1 esistente nella sezione del filo trafilato sia inferiore al carico di rottura a trazione σt; cioè deve essere:
ossia
La tensione σ1 raggiunge anche il valore 3/4 σt, ma si può assumere σ1 ≅σe (carico al limite di elasticità); la resistenza k alla trafilabilità si deduce dalla misura sperimentale dello sforzo T necessario per ottenere la riduzione nel diametro da D0 a D1; indicando con m un coefficiente numerico ≅ 1,2 si può scrivere:
Questa espressione dà: lo sforzo di trafilatura massimo T, compatibile con la sicurezza del filo, per ottenere la riduzione da D0 a D1; il diametro minimo D1 che si può raggiungere in un passaggio su un banco di trafilatura che eserciti uno sforzo T assegnato:
il valore, compatibile con la trafilabilità e con la sicurezza del filo, del rapporto:
chiamato coefficiente di riduzione, o di assottigliamento o di trafilatura, in un passaggio. Da quanto precede risulta che, col diminuire dell'angolo α, aumenta la pressione totale normale alla superficie del cono,
a parità dei valori del coefficiente c e della proiezione assiale
della pressione stessa; di modo che sarebbe consigliabile adottare un foro a debole conicità che permettesse di comprimere fortemente il materiale lungo una porzione estesa di superficie; in tal modo aumenterebbe però anche la proiezione assiale
della reazione d'attrito e quindi lo sforzo T. D'altra parte una forte conicità porterebbe a un ricalcamento eccessivo del materiale all'imbocco del foro. Occorre perciò adottare per α un valore intermedio "optimum" tenendo conto sia dei valori assunti per la velocità di trafilatura e per il coefficiente c, sia del sistema di lubrificazione. Sulla scelta di a influisce anche la non uniforme ripartizione delle tensioni interne su una stessa sezione trasversale del filo; si riscontrano infatti sollecitazioni di trazione più intense nella zona centrale, il che porta a un ritardo nella deformazione della zona superficiale. Di conseguenza la distribuzione della materia del filo risulta tale che le sezioni trasversali piane si trasformano in superficie di rivoluzione a profilo quasi parabolico con la convessità verso il foro di uscita (fig. 4) e tale da compensare così la distribuzione che durante la laminazione si è formata, in senso opposto, nella barra dalla quale proviene il filo. Il ritardo superficiale cresce, con l'aumentare di α, fino al sopravvenire della cosiddetta sovratrafilatura, che si manifesta con cedimenti o fessurazioni nella zona centrale del filo (fig. 5). Si cerca perciò di mantenere α tra 6° e 15° nonostante l'aumento notevole della resistenza d'attrito.
La scelta della velocità v dipende dal valore del coefficiente c e dal sistema di lubrificazione; per piccoli coefficienti e per fili di acciaio dolce del diametro di 6 mm., v si aggira su 40 ÷ 50 m. min.; in alcuni banchi grossi con lubrificazione alla polvere di sapone può raggiungere 100 ÷ 140 m. min.
Dalla (1) si deduce che in un dato passaggio lo sforzo T aumenta col crescere, a parità di altre condizioni, del rapporto
occorre quindi che γ sia contenuto al disotto del limite corrispondente alla resistenza a trazione del filo. Il coefficiente c = 1/γ si prende generalmente = o,85 ÷ o,95 e in ogni caso tanto più piccolo quanto maggiore è la trafilabilità del metallo; si fa scendere talvolta fino a o,40 purché le trafile siano costantemente rettificate e ben lubrificate. Per ottenere, partendo dal diametro iniziale, un filo avente il diametro definitivo occorre effettuare la trafilatura con passaggi successivi, il cui numero n dipende dal valore del coefficiente c in ogni passaggio e in ogni caso è abbastanza elevato (da 10 a 60): infatti lo sforzo T in un passaggio non può scendere al di sotto di un certo limite, sia perché deve vincere la resistenza del metallo alla deformazione sia perché la trafilatura si deve effettuare con la velocità richiesta dal rendimento industriale del processo. Indicando con D0 il diametro iniziale del tondino da trafilare e con D1, D2, ..., Dn, i diametri successivi ottenuti in n passaggi si può scrivere, supponendo che il coefficiente c si mantenga costante:
da cui
In realtà, specialmente se il numero dei passaggi è molto elevato, i valori dei coefficienti relativi ai successivi passaggi debbono decrescere secondo una progressione geometrica di ragione ≅ o,995 ÷ 0,998.
Trattamento termico. - Il filo nel deformarsi a freddo attraverso la trafila assume proprietà meccaniche diverse da quelle primitive, subisce cioè il cosiddetto incrudimento, che si manifesta generalmente con i seguenti fenomeni: aumento dei carichi al limite di elasticità apparente e di rottura, aumento della durezza, diminuzione dell'allungamento centesimale e della resilienza, ecc.
Lo studio della variazione delle proprietà meccaniche, in funzione della deformazione raggiunta con la trafilatura,
che si assume come misura convenzionale del grado di incrudimento, dà un'idea della variazione della trafilabilità del filo (fig. 7). Lasciando da parte le numerose ipotesi avanzate per spiegare gli effetti dell'incrudimento si può convenire sull'esistenza di una deformazione permanente, prodotta dalla trafilatura, dei granuli cristallini costituenti il materiale (v. metallografia): questi allo stato normale presentano a un dipresso le stesse dimensioni in ogni direzione, mentre dopo la trafilatura si riscontra un sensibile aumento nelle dimensioni longitudinali dei granuli, che conferiscono al filo una microstruttura di apparenza fibrosa (fig. 6). Le suindicate modificazioni delle proprietà meccaniche e della struttura debbono essere quasi sempre attenuate, sia perché il filo crudo (incrudito) viene impiegato solo in casi particolari (produzione di punte, chiodi, ribattini, viti minute, ecc.), sia perché dopo un certo numero di passaggi occorre ripristinare nel filo le condizioni necessarie per sottoporlo ai passaggi successivi. Si raggiunge lo scopo facendo subire al filo un trattamento termico appropriato:
α) Con variazioni brusche di temperatura: questo trattamento, detto di preparazione o patentamento, si applica ai fili di acciaio duro e semiduro per cavi, molle, corde armoniche, ecc., e consiste nel riscaldare progressivamente un certo numero di fili che si svolgono con velocità costante da altrettanti aspi e che, attraversando un forno continuo per tutta la sua lunghezza, raggiungono verso l'uscita una temperatura di 850° ÷ 1050°; a questo punto si raffreddano bruscamente a 400° ÷ 500° attraversando una corrente d'aria ovvero un bagno di piombo annesso al forno. Il riscaldo dei forni di patentamento si fa raramente a carbone, più di frequente a gas e a olio pesante (fig. 8) o elettricamente. La struttura perlitica dell'acciaio diviene a un dipresso troostitica (v. metallografia) e si ha un sensibile ritorno della trafilabilità del filo ai valori necessarî per proseguire nella trafilatura.
β) Senza variazioni brusche di temperatura: l'acciaio incrudito, lasciato per un certo tempo alla temperatura ordinaria, subisce spontaneamente una lenta modificazione progressiva, denominata invecchiamento, che porta a un miglioramento delle proprietà meccaniche utili per la trafilatura; il fenomeno diviene più sensibile se favorito con lento riscaldamento a temperatura inferiore a 300° (Van den Broek). Spingendo questa oltre 300° (addolcimento o ricottura) si ha un'attenuazione crescente degli effetti dell'incrudimento, che possono scomparire tra 600° e 750°. La ricottura si effettua introducendo le matasse del filo incrudito in recipienti o tini di ghisa o di acciaio (di qualità speciale refrattaria) che, accuratamente chiusi, vengono immersi in forni riscaldati con uno dei noti sistemi; le matasse rimangono nei tini per 16 ÷ 20 ore allo scopo di ottenere il lento raffreddamento del filo. Generalmente si preferisce eseguire la ricottura "in bianco", per sottrarre il filo all'ossidazione e alla decarburazione, sia lutando con argilla il coperchio dei tini sia creando nell'interno di questi un'atmosfera o neutra o in depressione. Per quanto riguarda la struttura, negli acciai dolci e dolcissimi i cristalli di ferrite, che sono stati appiattiti dalla trafilatura, si risolvono per ricottura in granuli regolari assai più piccoli (ricristallizzazione); negli acciai semiduri la ferrite si modifica come in quelli dolci, mentre la perlite assume una forma globulare o lamellare ingrossata (coalescenza) che facilita la trafilabilità, mentre negli acciai duri la coalescenza si manifesta anche nei granuli di cementite; in ogni caso occorre mantenere la temperatura al disotto della zona di soprariscaldamento ed evitare la decarburazione.
Trafilatura dei tubi e delle barre profilate. - Oltre ai fili si ottengono altresì, per passaggio forzato attraverso trafile, i tubi e le barre di acciaio, rame, ottone, alluminio, ecc., che hanno profilo anche complesso, con stretta tolleranza nella precisione delle dimensioni e che non si possono ottenere al laminatoio. I varî procedimenti usati rientrano in uno dei due seguenti: trafilatura per trazione e per estrusione.
Per trazione. - Per tubi di acciaio a profilo circolare si parte (processo Stieffel) da un piccolo lingotto che, con laminazione a caldo, viene trasformato in un corpo cavo a forma di bossolo o bicchiere allungato detto "sbozzato"; il fondo di questo viene appuntito a codolo con un maglietto e, afferrato da una robusta pinza, viene poi tirato, a caldo o a freddo, con velocità di 4 ÷ 8 m./min. che talvolta può giungere a 30 ÷ 60 m./min. attraverso una trafila (fig. 9); lo sbozzato assume così, con passaggi in banchi successivi, diametri decrescenti mentre si allunga fino a raggiungere le dimensioni del tubo. Il procedimento a caldo si applica fino a che lo spessore della parete non scenda al disotto di circa 3 mm.; in quello a freddo s'introduce nello sbozzato una barra detta "mandrino" o "calibro" che può anche portare una testa sagomata (fig. 10): in tal modo il materiale viene trafilato attraverso un foro anulare che riduce simultaneamente il diametro e lo spessore e si ottiene una superficie calibrata e indurita nonché una struttura compatta; l'incrudimento prodotto dalla deformazione a freddo viene attenuato con ricottura e l'ossidazione superficiale che deriva da questa si toglie con decapaggio: è un procedimento lungo e costoso, per cui occorre ridurre il numero dei passaggi a freddo. Per tubi di acciaio il cui diametro interno è minore di 14 mm. si procede senza mandrino usando molte precauzioni per non snervare troppo il metallo. Per tubi e barre, sia di acciaio e sia di altro materiale, aventi profilo diverso da quello circolare, il procedimento non cambia salvo che la trafilatura propriamente detta deve essere preceduta da una fase di cosiddetta "messa in forma" destinata a trasformare la sezione circolare o quadrata del massello iniziale in una sezione avente il profilo cercato e lo stesso perimetro di quella primitiva. La trafila non differisce da quelle adoperate per i fili. Nei banchi per trafilare tubi e barre, l'organo di trazione della pinza è generalmente la catena continua (figg. 9 e 11) e la lunghezza delle guide aumenta da un banco al successivo per consentire che l'oggetto possa essere trafilato 3 0 4 volte senza che debba essere tagliato.
Per tubi di acciaio di diametro da 60 a 160 mm. e di lunghezza fino a 7 m. si spinge dall'interno (processi Ehrhardt eWellmann) lo sbozzato cavo a mezzo di un mandrino o punzone, tirando così lo sbozzato stesso attraverso una serie di trafile fissate su un banco e aventi i rispettivi fori di apertura decrescente (fig. 12); l'organo di spinta può essere comandato meccanicamente ovvero da una pressa idraulica. Questo sistema è impiegato anche per materiali diversi dall'acciaio in particolare nella fabbricazione di bossoli per proiettili.
Per estrusione. - Per tubi e barre di materiali che presentano elevata plasticità (leghe del rame, dell'alluminio, del magnesio, piombo, ecc.) si comprime un massello, a freddo o a caldo, entro un cilindro di acciaio nel cui fondo è fissata la trafila (fig. 13), il metallo attraversa il foro comportandosi a un dipresso come un fluido; si ottengono profilati che hanno la superficie liscia e indurita e acquistano elevate qualità meccaniche. L'organo che comprime il massello è azionato dallo stantuffo di una pressa idraulica la quale può raggiungere notevoli dimensioni.
Bibl.: Opere e monografie: M. Bonzel, Tréfilage de l'acier, Parigi 1934; C. Codron, procédés de forgeage, I, ivi 1923; M. G. de Lattre, Technique de l'étirage, ivi 1927; A. Frascio, Lavoraz. del filo metallico, Milano 1929; Hütte, Man. enciclop. dell'ingegneria moderna, II, ii, ivi 1928; G. Jacobs, Trafilatore del ferro e dell'acciaio, ivi 1928; R. Papier, Études sur la tréfilerie, Parigi 1927; R. Pareto e G. Sacheri, Enciclopedia delle arti e industrie, III, Torino 1882; A. Rejtö, Einige Prinzipien d. theoret. mechan. Technologie der Metalle, Berlino 1927; G. Sachs, Praktische Metallkunde, II, ivi 1934; E. Siebel, Formgebung in bildsamen Zustande, Düsseldorf 1932; Soc. Metall. Italiana, Il rame, Milano 1936; g. Soliman, Étirage et tréfilage, Parigi 1924. - Riviste: Draht-Welt; Eisendraht-Industrie; Iron Age; Metal Industry; Metallurgia italiana; Metallwirtschaft; Proceed. of the Instit. of Metals; Revue de Métallurgie; Stahl u. Eisen; Technique Moderne; Wire; Wire a. Wire products; Zeitschrift für Metallkunde.