TRAERI
(Trajer, Traher, Trieri, Bersani, Bressani). – Famiglia di intagliatori, plasticatori, organari e cembalari, attivi soprattutto in Emilia durante il corso dei secoli XVII e XVIII.
Ugo, il capostipite, nacque agli inizi del Seicento, probabilmente a Brescia, dove esercitò con successo l’arte dell’intaglio ligneo. Ne seguì le orme, ma «con scarsa fortuna» (Belardinelli, 1999, p. 265), il figlio Giorgio, il quale si trasferì da Brescia a Modena per gestire una bottega d’intarsio. Talento e notorietà arrisero viceversa a un figlio di Giorgio, Antonio, detto Cestellino, nato a Modena nel 1669. Nella città natale fu, tra Sei e Settecento, «il principale plasticatore» (ibid.), con felici lavori nel palazzo ducale e in varie chiese della città (1694-98), nella rocca di Scandiano (1701-07), nella collegiata di Correggio (1707), nonché in S. Francesco e in cattedrale a Reggio (1722-28). Antonio morì il 24 marzo 1732.
Carlo, nato a Brescia nel 1632, altro figlio di Ugo, coltivò invece l’arte organaria, i cui rudimenti poté forse apprendere da artefici in attività a Brescia, quali Ercole Valvassori e Matteo Cardinali (Ravasio, 2017). Verso la fine del 1668, effettuati interventi manutentivi o ampliativi a organi di alcune chiese del Bresciano (a Collio nel 1666, a Quinzano d’Oglio nel 1667, nella cattedrale di Brescia nel 1668), Carlo si trasferì a Bologna con un cognato, il cembalaro Sebastiano Ossa, unitamente alle rispettive mogli, le sorelle Anna Maria e Doralice Costantini. A parte un breve rientro a Brescia per lavori nella collegiata dei Ss. Nazaro e Celso (marzo del 1669), nonché in S. Maria Maggiore a Chiari (giugno-ottobre del 1669), egli puntò a farsi un nome nella città d’adozione, dove effettuò opere di ripristino in S. Paolo Maggiore (1670), manutenzioni ordinarie in S. Martino Maggiore (1674-89), in S. Pietro (1675-90) e in S. Petronio (1688-90), edificazioni ex novo nell’Accademia filarmonica (1673), nella parrocchiale dei Ss. Gregorio e Siro (1673) e nella chiesa dei Ss. Naborre e Felice (1683, in collaborazione con i figli).
Il suo raggio d’azione si estese anche al territorio bolognese ‒ Montasico di Marzabotto (1670), Dozza (1671), Medelana di Marzabotto (1675), Molinella (1676), Monte San Giovanni di Monte San Pietro (1677), Gesso di Zola Predosa (1678), Pieve di Cento (S. Rocco, 1680), Imola (cattedrale, 1690) ‒ e alle chiese di S. Quirino a Correggio (1674), S. Maria Nuova e S. Francesco a Faenza (1677), S. Filippo Neri a Cento (1680), del Paradiso a Modena (1681), della Madonna del Ponte a Formigine (1689, organo ultimato dai figli). La qualifica di ‘bresciano’, con funzione aggettivale, fu attribuita di frequente a Carlo e al figlio Francesco, «spesso chiamati, con metatesi dialettale, Bersani» (Tagliavini, 2014, p. 118).
Carlo morì a Bologna intorno al 1691.
Francesco, nato a Brescia nel 1660 circa, morto a Bologna l’11 dicembre 1732, e Giovanni Domenico (detto Domenico), nato a Bologna il 24 gennaio 1669 e morto forse a Modena nel luglio del 1744, allievi e collaboratori del padre Carlo, si accollarono la conduzione della bottega all’indomani del suo decesso, cui seguì, tra l’altro, lo spostamento dello zio Ossa a Modena in qualità di cembalaro e organaro ducale. In quel periodo i due Traeri restaurarono o costruirono strumenti in chiese di Bologna ‒ tra di esse Ss. Vitale e Agricola (1694), S. Maria di Galliera (1697), S. Maria della Vita (1698), S. Cristina (1698) ‒, Guiglia (1689), Castel Bolognese (1691), San Giovanni in Persiceto (S. Giovanni Battista, 1697), Fanano (1699), Forlì (cattedrale, 1701) e Modena (S. Margherita, 1706). Si separarono nel 1707 a causa sia della divisione di beni comuni (una prima divisione era stata rogitata il 22 giugno 1697 dal notaio bolognese Paolo Antonio Bonesi; documento citato nel testamento di Agostino Traeri del 4 ottobre 1743, ma disperso), sia di un’attività in espansione: Domenico si trasferì a Modena, anche per assumere la carica ducale che era stata dello zio Ossa, defunto nel 1704; Francesco rimase a Bologna, accanto alla moglie Rosa Sarti e ai figli, che avviò alla bottega eccetto Carlo (Bologna, 1686 circa-dopo il 1745), ordinato sacerdote. Successivamente i due fratelli si irradiarono in specifiche aree di pertinenza: Domenico in quella dell’antico ducato estense (tra Ferrara, Modena e Reggio), ma con un’edificazione pure nella piacentina Fiorenzuola d’Arda (S. Fiorenzo, 1733); Francesco in quella pontificia, tra Bologna (dove nel 1710 fu aggregato come «fabbricatore d’organi» all’Accademia Filarmonica), il Bolognese e la Romagna (a scanso d’equivoci va segnalata la coeva attività organaria in Piemonte di un suo omonimo, pure di origini bresciane, morto nel 1717).
Se non è qui possibile dar conto degli innumerevoli lavori dei due fratelli (se ne veda il compendio cronologico in Mischiati - Tagliavini, 2013, pp. 200-202), occorre almeno segnalare gli organi eretti da Francesco a Pieve di Cento (collegiata, 1707), Ortodonico di Imola (1712), Ozzano (1719), Imola (S. Agata, 1720), Bagnacavallo (S. Girolamo, 1723), Asìa di San Pietro in Casale (1726); e quelli di Domenico a Modena (S. Pietro Martire, 1707; S. Salvatore, 1708; S. Carlo, 1714; S. Paolo, 1716; S. Maria della Pomposa, 1719; S. Domenico, 1731; Beata Vergine delle Grazie, 1734; Corpus Domini, 1744), Reggio (S. Pietro, 1712; S. Domenico, 1741), Comacchio (S. Cassiano, 1728) e Ferrara (S. Giuseppe, 1727).
Ugo Annibale (Bologna, 5 ottobre 1689 - 27 ottobre 1766), Giuseppe (Bologna, 15 luglio 1693-26 maggio 1743) e Filippo (Bologna, 3 aprile 1704-1734 circa), figli di Francesco, continuarono l’arte di famiglia. Merita un cenno il più longevo dei tre, per non dire il più itinerante e versatile. Reduce da un falso matrimonio stipulato nel 1720 (e annullato nel 1725) con la cantante modenese Anna Maria d’Ambreville, Ugo Annibale effettuò lavori in numerose chiese di Bologna, spesso assistito dai fratelli (attivi quasi solamente nella città felsinea), con i quali però conflisse per questioni ereditarie (Pasqual, 1999). Fu operativo anche a Genova (S. Maria Assunta di Carignano, 1730, insieme al padre), Roma (S. Giovanni in Laterano, 1731-33, in collaborazione con Celestino Testa; domiciliava nell’Urbe anche nel 1743), Imola (S. Maria delle Grazie, 1735), Loreto (S. Casa, 1754), Lugo (Madonna del Carmine, 1760), suggellando la carriera nel 1762-63 con l’erezione (insieme ad Antonio Pilotti) di un organo a due tastiere e positivo tergale, collocato nella cappella del bolognese Collegio di Spagna.
Due suoi manufatti provano che si dedicò anche alla cimbalaria: un clavicordo costruito nel 1726 «e che sembra aver appartenuto a Georg Friedrich Händel quale “strumento da viaggio”» (Tagliavini, 2014, p. 120); e un clavicembalo del 1729, ora nel museo Davia Bargellini di Bologna.
Agostino, nato a Castelfranco Emilia il 24 agosto 1720, figlio di Giuseppe Scarabelli, fu solerte e fidato allievo di Domenico, il quale, celibe e avanti negli anni, testò a suo favore, nominandolo erede universale a patto che assumesse «stabilmente, senza mistura ed unione del suo, il [...] cognome Traeri» (Archivio di Stato di Modena, Notarile, b. 5033, Giuseppe Caprioli, atto n. 22 del 4 ottobre 1743, c. 4r). Domenico devolvette pure un lascito per la dote della governante Giulia Marverti, promessa sposa dell’allievo (ibid., c. 3r). Morì a Modena il 6 settembre 1797.
Durante la sua notevole attività, Agostino tramandò i fondamenti dell’organaria ai figli Giovanni Giuseppe (Modena, 10 ottobre 1754-12 febbraio 1826) e don Gaetano (Modena, 10 aprile 1757 - 25 gennaio 1832), i quali, dopo saltuarie operazioni di restauro, si ritirarono dalla professione intorno al 1825, cedendo l’utensileria di bottega agli organari Riatti di Reggio (Rodolfi, 2015).
Gli organi Traeri rivelano, in genere, un impianto sonoro di ascendenza rinascimentale, coltivato dalla famiglia per lungo tempo, almeno fino alla morte di Domenico. Benché si conservino esemplari di varia morfologia (dagli organi ottavini ai grandi strumenti ‘da muro’, talvolta forniti di due tastiere), appare prevalente il modello di medie dimensioni e pochi registri, frutto di un mirabile equilibrio tra la solidità dei materiali costruttivi, l’eleganza essenziale delle forme, l’eufonia dei timbri. Tale modello si configura su somiere ‘a tiro’, con tastiera solitamente strutturata a quattro ottave (dal do grave al do sovracuto), la prima delle quali ‘corta’, con «Principale, registro base di tutto l’edificio sonoro, registri di Ripieno articolati in singole file, Flauti in VIII e in XII, Fiffara (ovvero Voce umana), in organi grandi Contrabbassi al pedale» (Tagliavini, 2014, p. 122). Alcune opere di Agostino, orientate a gusti più aggiornati e inclusive di taluna innovazione tecnica, approdarono a soluzioni di ampio respiro: ne erano tangibile esempio ‒ prima di essere sottoposti a pesanti modifiche ottocentesche ‒ l’organo della parrocchiale di Bibbiano (1757-58, di 16 piedi, a due tastiere, con i Tromboncini) e quello di S. Barnaba a Modena (1774, a due tastiere e positivo tergale).
Fonti e Bibl.: P. Tollari, L’organo Agostino Traeri della chiesa dell’Annunciata a Finale Emilia e il suo restauro, Finale Emilia 1989; C. Giovannini - P. Tollari, Antichi organi italiani. La provincia di Modena, Modena 1991; B. Belardinelli, Antonio Traeri detto il Cestellino scultore modenese (1669-1732), in Atti e memorie. Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XXI (1999), p. 265; S. Pasqual, La bottega di Traeri, in Arte organaria e organistica, 1999, n. 29, pp. 39 s.; O. Mischiati - L.F. Tagliavini, Gli organi della basilica di San Petronio in Bologna, Bologna 2013; L.F. Tagliavini, L’organo di Carlo Traeri (1673) dell’Accademia Filarmonica di Bologna, in L’Organo, XLVI (2014), pp. 118, 120, 122; S. Rodolfi, L’organo di Agostino Traeri (1756) e le campane della chiesa di Quattro Castella, Quattro Castella 2015, pp. 15-17; U. Ravasio, Organari e cannisti nella Brescia del Seicento, in Arte organaria italiana, IX (2017), pp. 62 s.