traducianismo
Dal lat. tardo traducianus, der. di tradux -ŭcis «propaggine», che a sua volta è un der. di traducĕre «trasferire, trasmettere». In teologia, teoria secondo la quale l’anima dei figli proviene, come il corpo, dai genitori. Si è soliti distinguere una doppia forma di t., l’uno materialistico che fa derivare l’anima dei figli dal processo generativo, l’altro che la fa derivare dalla sola anima dei genitori. Benché ambedue le forme siano dette t., alcuni teologi riservano il termine alla prima forma, e chiamano la seconda generazionismo. I traducianisti intendono spiegare l’origine dell’anima di tutti gli uomini, a eccezione di quella della prima coppia umana, che ritengono prodotta da Dio per creazione. Nell’antichità cristiana il t. fu sostenuto da Tertulliano (De anima, 27) e da alcuni padri della Chiesa greci di cui parla Girolamo (Epistolae, CXXVI, 1). Al tempo dell’eresia pelagiana Agostino lo difese come la teoria più adatta per spiegare la trasmissione del peccato originale che si propaga per generazione (De genesi ad litteram, X, 11-26 e altrove). Papa Anastasio II, in una lettera del 418 ai vescovi della Gallia, respinse la dottrina che fa derivare l’anima dal seme dei genitori. Nel periodo della scolastica, il t. fu respinto da tutti i teologi, che gli preferirono il creazionismo. In tempi recenti fu riesumato da Frohschammer, da Hermes e da Rosmini; da quest’ultimo però nel senso che ritiene come proveniente dai genitori la sola anima sensitiva, che poi diventa razionale sotto l’illuminazione di Dio che le manifesta l’idea dell’essere. Pio IX condannò la teoria di Rosmini. Successivamente, il creazionismo che fa derivare le singole anime da un atto creativo di Dio è divenuto dottrina comune della Chiesa, ed è stata riaffermata in un’importante enciclica di Pio XII, Humani generis (12 ag. 1950).