Tradizioni ecclesiastiche e culto costantiniano in Occidente
Il culto di Costantino nei secoli VII-XIII e la sua sopravvivenza fino a oggi
Il nome dell’imperatore Costantino il Grande non figura nei libri liturgici delle Chiese latine, mentre è presente in tutti i sinassari delle Chiese d’Oriente1. Nei primi secoli ciò era dovuto al fatto che il culto dei martiri e degli altri santi era legato alla tomba. Ai santi veniva riconosciuta la funzione di tutela solo del luogo e della comunità che li avevano conosciuti. Da tale regola venivano esclusi soltanto la Madonna e gli apostoli, che ebbero presto culto universale. Quando poi si diffuse lo scambio delle reliquie, si passò a riconoscere ai martiri e agli altri santi il potere di intercessione universale, e alcuni culti locali vennero estesi all’intera Chiesa.
Il culto di Costantino sorse a Costantinopoli subito dopo la sua morte perché fu sepolto nella chiesa dei Dodici Apostoli di quella città. Poi lentamente si diffuse fra tutte le popolazioni cristiane di rito bizantino e fu incluso in tutti i loro calendari e sinassari. Quelli armeni commemoravano Costantino già negli anni 417-4392.
L’Occidente non tributò all’imperatore alcun culto e si limitò a riconoscere i suoi meriti nei confronti della Chiesa, come leggiamo nel discorso di sant’Ambrogio per la morte di Teodosio: «Benché [Costantino] abbia ricevuto la grazia del battesimo in fin di vita, egli è tuttavia grandemente meritevole di onore perché fu il primo imperatore ad abbracciare la fede cristiana, che lasciò poi quasi in eredità ai sovrani suoi successori»3 . Col passare dei secoli, però, il culto di Costantino penetrò anche in alcune regioni di rito latino. Questo lavoro si propone, dopo aver esaminato le ragioni per cui la Chiesa romana non inserì Costantino nel suo calendario liturgico, di studiare la diffusione del culto costantiniano nell’Occidente durante i secoli VII-XIII e di individuare i luoghi di rito latino in cui esso è vivo ancora oggi4.
Sono molte le ragioni per cui il nome di Costantino il Grande non fu inserito nel calendario generale della Chiesa romana. In primo luogo l’Occidente, non avendo conosciuto Costantino in vita come vero cristiano, non poteva dopo la morte venerarlo come santo. Negli anni che seguirono la battaglia di ponte Milvio, Costantino fu solo tre volte a Roma, e per brevi periodi: l’ultima nel 326, quando la sua conversione non era ancora chiara. C’è da tenere presente inoltre la secolare e forte rivalità fra Roma e Costantinopoli, tra i Greci e i Latini, in seguito al trasferimento della capitale. Basti dire che i monaci ortodossi nel Medioevo affermavano nei loro inni che Costantino fondò un nuovo impero cristiano e non amavano ricordare che nella sua persona continuò l’Impero di Roma. Negli inni più antichi, infatti, si legge che Costantino «non ha ascendenti e deve il suo trono soltanto all’elezione di Dio». Ancora oggi è ricordato soprattutto come «il nostro imperatore»5.
Al riguardo ebbe molto peso a Roma il giudizio sfavorevole sull’imperatore espresso da san Girolamo, che nel Chronicon lo definì «incline all’arianesimo» perché battezzato da Eusebio, vescovo di Nicomedia: «Constantinus extremo vitae suae tempore ab Eusebio Nicomediensi episcopo baptizatus in Arrianum dogma declinat. A quo usque in praesens tempus ecclesiarum rapinae et totius orbis secuta est discordia»6.
Il libro di Girolamo divenne la fonte principale di informazione su Costantino per l’Occidente perché prima di lui né Eusebio di Cesarea né i polemisti niceni avevano nominato il ministro del battesimo. Girolamo però sapeva bene che Costantino fu battezzato dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia per un caso dovuto alle circostanze, e non per la sua volontà di manifestare l’adesione all’arianesimo; sapeva bene che l’Imperatore chiese il battesimo a Nicomedia perché si trovò in pericolo di vita in quella città mentre preparava una campagna contro la Persia. Il libro fu scritto tumultuose, in un periodo in cui le sorti dell’Impero e dei cattolici niceni apparivano molto incerte, in seguito alla sconfitta dell’imperatore Valente da parte dei barbari Goti nel 378 ad Adrianopoli. Tutti gli ortodossi e i cattolici erano allora assai preoccupati per l’avanzare dell’eresia ariana, per la sua capacità di creare consenso e anche per le conseguenze politiche che potevano derivarne. E Girolamo, di cui conosciamo il carattere difficile, presentò il battesimo di Costantino quasi come la causa dell’inizio di un periodo di disordini nella società civile e in quella ecclesiastica7. In seguito egli ritornò sugli stessi fatti, come nella lettera a Eliodoro8, e non parlò più del battesimo ariano di Costantino. Tuttavia la presentazione negativa del Chronicon era già diffusa e influì nell’Occidente tanto che, più tardi, qualcuno della Curia romana si sentì in dovere di compilare gli Actus Sylvestri, nei quali come ministro del battesimo dell’imperatore viene presentato papa Silvestro al posto di Eusebio di Nicomedia. L’autore di tale lavoro fu forse spinto anche dalla volontà di affermare la preminenza della Chiesa romana, attestando che il battesimo dell’imperatore era stato amministrato dal papa9.
Non si trova il nome dell’imperatore neppure nel Kalendarium Romanum o Album Sanctorun et Beatorum dei secoli seguenti, e la mancata canonizzazione nel Medioevo è da attribuire anche alla conflittualità tra la Chiesa e l’Impero d’Occidente. Alcuni ritengono che con la sua cautela la Chiesa di Roma rese un grande servizio a sé stessa e all’Occidente, perché poté conservare la sua libertà nelle controversie ecclesiastico-politiche medievali, mentre, afferma Raffaele Coppola, la Chiesa greca legandosi all’imperatore ‘indebolì a priori la propria posizione nei successivi contrasti con l’Impero10.
La prudenza della Chiesa di Roma, che ancora oggi riconosce e restringe in Occidente la memoria di San Costantino ai luoghi in cui la vox populi lo esalta da secoli, forse deriva anche dalla considerazione che il mondo occidentale, sebbene costruito su fondamenti cristiani, da molti secoli è in gran parte secolarizzato nel suo modo di pensare la Chiesa e non accetta una particolare comprensione della stessa Chiesa per certe azioni che Costantino compì mentre era ancora pagano e in tempi diversi dai nostri nei valori e nei sentimenti.
La diffusione del culto di Costantino in alcune regioni dell’Occidente nel periodo preso in esame da questo studio si spiega con l’interscambio fra le culture, i pellegrinaggi al Santo Sepolcro e l’immigrazione di persone singole o di gruppi durante l’alto Medioevo. In quei secoli lontani molti monaci orientali di diverse regole, detti comunemente basiliani, furono costretti a fuggire dalle loro sedi prima per le invasioni dei persiani e degli arabi e poi per le persecuzioni iconoclaste degli imperatori (secoli VII-IX). Essi si rifugiarono in varie parti d’Europa, portando con sé reliquie e immagini di santi, che facevano conoscere alle popolazioni indigene dell’Occidente. Tra i vari culti orientali diffusero anche quello di San Costantino Magno, che si affermò, però, solo in alcuni luoghi, e cioè nell’Italia meridionale, in Sicilia e in Sardegna. Le testimonianze del culto costantiniano durante il Medioevo sono, infatti, rare nell’Europa continentale e nell’Italia settentrionale e centrale. E il nome di Costantino non è presente neppure nei cataloghi degli antichi agiografi occidentali, fatta eccezione per il Catalogus Sanctorum di Petrus de Natalibus, nel quale si legge: «I Greci gli tributano culto solenne, ma i latini, pur riconoscendolo grande e santissimo imperatore, non gli tributano alcun culto»11.
Un’altra causa, forse la più grave, della non diffusione del culto di Costantino a Roma è da collegare alla lunga e grave controversia tra i cattolici e gli ariani scoppiata nel secolo IV, durante la quale gli ariani strumentalizzarono il battesimo di Costantino amministrato dal vescovo Eusebio di Nicomedia, esponente dell’eresia. In quel secolo turbolento il fatto costituì un grave problema per chi difendeva l’ortodossia sia in Oriente sia a Roma. Si ricordi il comportamento dell’imperatore Costanzo II, figlio di Costantino, che divenuto ariano e severo controllore della vita della Chiesa cattolica, mandò in esilio il papa Liberio e i vescovi Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari, Dionigi di Milano e Ilario di Poitiers, perché non seguivano la sua dottrina eretica. Tutto ciò fece temere alla Curia romana che insieme al culto dell’Imperatore potesse essere introdotta in Italia anche l’eresia.
Si possono concludere le precedenti osservazioni notando ancora che esiste una ‘essenziale divaricazione’ fra il modo di concepire la santità nel mondo cattolico e in quello ortodosso.
Circa l’introduzione del culto di San Costantino nell’Italia meridionale, si distinguono due periodi, che corrispondono a due diverse epoche di immigrazione in Italia di cristiani provenienti dall’Oriente.
Il primo iniziò nel VI secolo con la Guerra gotica (535-553) e la riconquista dell’Italia da parte delle armate di Giustiniano, alla quale seguirono nuove relazioni commerciali, lo scambio tra culture e la diffusione dei culti orientali.
I vescovi latini furono sostituiti con presuli greci e il rito bizantino-greco fu introdotto al posto di quello latino. In quel periodo i culti di molti santi orientali, tra cui quello di San Costantino, si radicarono profondamente nella popolazione.
In Calabria, nell’alto Medioevo, il culto del Santo imperatore era presente a Papasidero, Guardiavalle, San Costantino Calabro, mentre erano intitolati al Santo anche i monasteri di Herace e Nicastro. Un’altra chiesa di S. Costantino sorgeva a Isola, nel territorio di Crotone. Essa nel 1128 fu assegnata dal vescovo Giovanni al monastero di Santa Maria di Patir e presso tale chiesa i monaci organizzarono una loro azienda, che prese il nome di ‘grangia di S. Costantino’.
In Basilicata un piccolo villaggio ha dal Medioevo il nome dell’imperatore, San Costantino di Rivello. In Campania, a Sapri, provincia di Salerno, esisteva un monastero intitolato a San Costantino. Nell’Italia centrale la divina liturgia in onore di San Costantino si celebrava nell’abbazia di Santa Maria di Grottaferrata fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1004 a opera del monaco Nilo di Rossano. Egli veniva dalla Calabria, le cui diocesi erano guidate a quel tempo da vescovi di rito orientale, sottoposti alla giurisdizione del patriarca di Costantinopoli.
L’Europa occidentale divenne cristiana lentamente, nei secoli VII-XII, e i suoi evangelizzatori furono romani, franchi, irlandesi e anglosassoni. Non risulta che alla diffusione del Vangelo in quelle regioni abbiano partecipato i bizantini. La Penisola Iberica e la Francia dopo la conversione a Cristo erano forse le più preparate ad accogliere il culto di Costantino perché nei secoli VI e VII esse erano sotto il dominio dei visigoti, seguaci della dottrina di Ario e fautori del culto costantiniano almeno fino alla conversione al cattolicesimo del loro re Recaredo (586-601). Inoltre la Spagna meridionale e le Baleari nel 551 caddero sotto il dominio bizantino e furono aperte ai culti orientali.
Per quanto riguarda le regioni più settentrionali dell’Europa, non si ha alcuna documentazione sulla presenza del culto di Costantino nei secoli presi in esame in questo studio.
Alla provincia di Messina apparteneva il paese di Gioiosa Guardia, che venne abbandonato a causa delle frane. Tra le rovine di quell’abitato si notano ancora i ruderi della chiesa dedicata a S. Costantino Magno. Nel territorio sorgeva il monastero basiliano di S. Filippo di Fragalà, di cui restano solo ruderi.
Poiché il culto di San Costantino in Sardegna è separato da quello di Sant’Elena, si crede che sia stato introdotto nei secoli VII-VIII, cioè prima che nel 733 Leone III Isaurico decretasse l’unione del culto dei due santi.
Del culto costantiniano oggi non c’è traccia nei calendari liturgici cattolici dei predetti luoghi indicati dai bollandisti, ma a Praga resta il ricordo di tale culto.
La Calabria, dal 732-733 legata al patriarca di Costantinopoli e quindi seguace del rito e del calendario greco, conservò tale dipendenza legalmente fino all’XI secolo, quando i normanni restituirono le diocesi a Roma. Il ritorno al rito e alla lingua latina fu però assai lento. Basti ricordare che Rossano tornò al rito antico nel 1460, Gerace nel 1482, Gallipoli nel 1513 e Bova nel 1573.
Oggi il santo venerato a Bova non è, infatti, l’imperatore, ma un vescovo e ciò ci porta a ricordare che, dopo il ritorno della Calabria al rito e al calendario romani, il clero latino tentò di sostituire ovunque il culto di San Costantino imperatore con quello di un omonimo santo. La sostituzione del culto di San Costantino continuò nei secoli e nel 1693 a tale iniziativa diede l’assenso la Congregazione dei riti.
Per questo motivo, fra tutti i centri della Calabria che nell’Alto Medioevo celebravano la festa di San Costantino, l’unico che ha ancora una chiesa dedicata all’imperatore è Papasidero. La chiesa è parrocchiale e nel 2010 il paese organizzò una grande festa per ricordare il quinto centenario di tale sua elevazione. Anche a San Costantino di Briatico e a San Costantino Calabro il culto del Santo imperatore è dimenticato e nelle chiese di quei centri c’è oggi l’immagine di un San Costantino vescovo. La chiesa di Bova è oggi dedicata alla Madonna del Carmine e altre chiese già dedicate al Santo imperatore, come quelle di Pentedattilo e Guardiavalle, sono ridotte a ruderi. In quei territori però c’è ancora qualcuno che venera San Costantino Magno.
In Basilicata un piccolo villaggio porta il nome dell’imperatore, San Costantino di Rivello, che non appartiene alla comunità albanese.
Ci sono poi due luoghi non ricordati dai bollandisti che veneravano nel Medioevo, e ancora venerano, San Costantino: il villaggio di San Konstantin e il monastero di Grottaferrata. La chiesa di St. Konstantin dedicata a San Costantino Magno risale al XIII secolo. Modificata e in parte ricostruita per volontà di Leonhard von Vőls (1458-1500), castellano del luogo, ha un bel campanile con cupola. Ogni anno vi si celebra la festa del Santo, che è patrono della parrocchia.
A Brescia, nella chiesa di Santa Croce, esiste un dipinto ad affresco che raffigura l’adorazione della Croce con i santi Costantino, Elena e Silvestro, databile al 1514. Anche Costantino è raffigurato in veste di santo e in abiti pontificali, ma il suo culto, se pure c’è stato, è dimenticato da tempo.
Nel Medioevo, come affermano i bollandisti, il culto del Santo imperatore era presente a Catania. Da altre fonti sappiamo che era praticato anche nelle città di Palermo, Messina, nei loro territori e in alcuni centri minori.
Nel territorio sorgeva il monastero basiliano di S. Filippo di Fragalà, di cui restano solo ruderi.
A Nicosia, in provincia di Enna, nella chiesa di S. Elena c’è un dipinto sacro con soggetto costantiniano, ma il culto è oggi del tutto dimenticato.
Mentre il clero latino cercava di far dimenticare alle popolazioni dell’Italia meridionale i culti propri dell’Oriente come quello di San Costantino, si insediavano nell’Italia meridionale e in Sicilia gruppi di albanesi ortodossi di rito greco-bizantino, seguaci del culto del Santo Imperatore.
La loro immigrazione iniziò nel 1444, quando tre gruppi di mercenari albanesi, guidati da Demetrio Reres, giunsero nel Regno di Napoli dietro invito di Alfonso I d’Aragona, il quale cercava aiuto contro i feudatari ribelli (rivolta dei Centelles) e gli Angioini. Al servizio del re di Napoli si mise poi il condottiero Giorgio Castriota Scanderberg, famoso per aver guidato la resistenza contro gli ottomani. In riconoscimento del servizio prestato ottenne dal re aragonese delle terre in proprietà, che egli assegnò ai suoi soldati e alle loro famiglie. Dopo il 1468, anno della morte del condottiero, i turchi occuparono l’Albania e altri albanesi, non volendo sottomettersi ai musulmani, immigrarono nel Regno di Napoli. Ancora un nuovo arrivo di albanesi si ebbe nel 1534, quando gli abitanti di Corona fuggirono, con l’aiuto della flotta dei Doria, dalla loro città occupata dai turchi.
Gli immigrati dall’Albania conservarono la loro lingua, i costumi, le tradizioni e la celebrazione della divina liturgia secondo il rito bizantino-greco. Non sono stati mai assorbiti dalle antiche popolazioni locali perché esse, ostili nei loro confronti, li costrinsero a vivere nell’isolamento. Nell’Italia meridionale le frizioni tra i due popoli in certi periodi furono tanto forti che il viceré si sentì costretto a stabilire con decreto che gli albanesi vivessero in «terre murate».
La celebrazione della divina liturgia nel rito bizantino-greco venne concessa agli albanesi d’Italia diventati cattolici da papa Paolo II nel 1536, e ancora oggi tale rito è seguito nelle comunità albanesi della Basilicata, della Calabria e della Sicilia, mentre è stato dimenticato, anche per l’opposizione del clero latino, nelle comunità albanesi della Puglia, del Napoletano, del Molise e dell’Abruzzo. Le comunità albanesi dell’Italia meridionale che seguono il calendario bizantino-greco e celebrano la festa dei santi Costantino ed Elena il 21 maggio, fanno capo all’eparchia di Lungro, provincia di Cosenza. Le comunità albanesi in Calabria sono riunite in venticinque parrocchie, che assommano a circa trentamila persone.
Nella Basilicata esistono cinque comunità albanesi riunite in due parrocchie, che fanno capo all’eparchia di Lungro e seguono il rito bizantino-greco. Esse sono quelle di Barile, Ginestra, Maschito, San Paolo Albanese e San Costantino Albanese. In quest’ultimo centro al Santo imperatore è dedicata anche una chiesa.
La visione e la liberazione dell’uomo sarebbero avvenute al tempo dell’imperatore Carlo V d’Asburgo. E in realtà, quando quel sovrano inasprì la guerra contro i musulmani d’Africa, la Sardegna fu nuovamente sottoposta alle incursioni moresche. D’altra parte la ricostruzione della chiesa di Monte Isei risale alla seconda metà del secolo XVI, come attesta anche l’aquila bicipite, simbolo imperiale di Carlo V, scolpita nel presbiterio, sul peduccio del costolone situato tra l’altare e la porta della sacristia.
Di quella costruzione restano il presbiterio e le due cappelle laterali, che uniscono forme gotiche e rinascimentali. Sull’altare maggiore nel secolo XVII fu posto un nuovo retablo di S. Costantino e ai suoi lati nel 1673 furono collocate le statue dei santi Elena e Silvestro. In quel secolo fu fondata anche la Confraternita di S. Costantino.
La nuova chiesa divenne meta di numerosi e generosi pellegrini e col passare del tempo accumulò un patrimonio formato di terreni e di animali che diede inizio all’Azienda di S. Costantino. Del beneficio era titolare il Capitolo della cattedrale di Oristano, il quale nel 1613 nominò cappellano e amministratore il canonico Sisinnio Loi. Questi donò a San Costantino un calice d’argento datato 1613 e oggi conservato nell’archivio parrocchiale di Sedilo.
Dopo 200 anni, la nuova chiesa cominciò ad apparire insufficiente per il grande numero di pellegrini e fu ingrandita. Al termine dell’opera, nel 1789, furono apposte due iscrizioni, una sulla facciata in lingua spagnola e l’altra in latino sul secondo pilastro interno a destra, con i nomi dei principali artefici dell’opera: il priore della Confraternita Pedro Niola Guiso e il rettore Domenico Porqueddu.
Un’altra antica chiesa di S. Costantino già ricordata sorge nella campagne di Ollastra, in provincia di Oristano, in cima a una collinetta, sul sito di una chiesa precedente. La chiesa attuale è romanica, con un campanile a vela sulla sommità della facciata. La festa si celebra ogni anno il 7 luglio, con messa solenne, panegirico, corsa di cavalli e buon concorso di fedeli.
Nella parrocchia di Flussio, all’inizio degli anni Duemila, l’amministrazione comunale e il parroco Melchiorre Paris presero l’iniziativa di costruire e dedicare una chiesa a S. Costantino, nella località Sa Roda. La prima pietra dell’edificio venne posta il 25 agosto 2003 e un anno dopo, il 25 agosto 2004, la chiesa venne benedetta e inaugurata dal vescovo emerito di Cagliari Ottorino Pietro Alberti.
A Oristano è dedicato al Santo un altare nella parrocchia cittadina di S. Sebastiano, registrata nel 1603; la festa si celebra il 7 luglio, occasione in cui si registra un grande concorso di popolo.
La festa di San Costantino si celebra anche in alcuni centri che non hanno una chiesa dedicata al Santo. A Scano Montiferro il culto in passato era molto vivo e una famiglia ancora si onora di conservare la bandiera, l’anello e la statua del Santo che i pellegrini scanesi portavano a Sedilo ogni anno per la festa del 7 luglio. A Samugheo, nella chiesa parrocchiale è conservata una statua equestre del Santo e anche qui la festa si celebra il 7 luglio. A Genoni la festa di San Costantino si celebra il 5 agosto, a Paulilatino la prima domenica di settembre, il 7 luglio a Plamadula e a Sorso, nel Sassarese, a Bottidda nel Goceano e a Santulussurgiu, in provincia di Oristano.
I tempi erano realmente cambiati e nel 1987 il vescovo di Bosa Giovanni Pes con un suo decreto elevò la chiesa di San Costantino di Sedilo alla dignità di santuario diocesano:
Le discussioni del clero sulla legittimità o meno del culto di San Costantino si erano estese nel frattempo al popolo, creando incertezza. Fu allora che, d’accordo con il vescovo, alcuni sacerdoti inviarono alla Congregazione romana per il Culto divino, in data 2 ottobre 1987, due quesiti chiedendo se «un culto, considerato legittimo a tutti gli effetti dai cattolici di rito greco», potesse essere considerato legittimo «in quei luoghi, oggi di rito latino, nei quali venne diffuso oltre mille anni fa, nei tempi cioè che precedettero lo scisma d’Oriente, ed è ancora profondamente radicato nella religiosità, nella tradizione e nella cultura del popolo». La Congregazione rispose in data 27 ottobre 1987 (Prot. 1167 / 87):
Una caratteristica della chiesa che colpisce sempre chi la visita per la prima volta è quella degli ex voto che coprono tutte le pareti: tavole e quadri dipinti, tele ricamate, foto, targhe, cuori d’argento. Oggetti in genere di scarso o di nessun valore materiale, di produzione artigianale, o realizzati direttamente da chi ha ottenuto la grazia. Lo schema della narrazione delle tavolette dipinte è sempre lo stesso. La parte alta è riservata al soprannaturale ed è delimitata da una cortina di nuvole o da una luce particolare in cui appare San Costantino; la parte bassa invece indica le necessità umane, malattie o altro, per cui si è ricorso all’intercessione del Santo. I pochi personaggi, il graziato, spesso con la famiglia o con un prete, hanno le mani giunte o sono in ginocchio e con le braccia e gli occhi tesi verso l’alto. Le donne hanno il capo velato. Il Santo rivolge gli occhi ai supplicanti e raggi luminosi scendono dall’alto verso il basso. Il colore è drammatico, bianco, rosso, verde, nero, senza sfumature né mezzi toni. Alcuni quadri riproducono ammalati a letto, scene di guerra, incidenti di carretti o di auto, cavalli imbizzarriti. Un altro tipo di ex voto è costituito dalle bandiere che i pellegrini offrono alla chiesa dopo aver fatto con esse i giri intorno al santuario recitando il rosario. Le più belle di esse vengono appese alle pareti del tempio.
Il vincenziano lombardo G.B. Manzella, inviato dal vescovo di Bosa Zannetti nel 1920 per osservare, inviò al presule una lettera che viene qui trascritta in parte:
Molti autori hanno raccontato la festa di San Costantino. Tra gli altri ne parla lo scrittore Marcello Serra:
I documenti medievali sul culto costantiniano nell’Occidente sono pochissimi e pertanto non è stato possibile individuare tutti i luoghi nei quali si venerava Costantino il Grande come santo nei secoli VII-XIII. È comunque certo che il suo culto non era molto diffuso nell’Occidente, a eccezione di quelle regioni, come l’Italia meridionale e insulare, che furono sottoposte per secoli alla dominazione civile e religiosa dell’impero bizantino. In alcune parti dell’Italia, benché manchino dati certi sui luoghi e il tempo della prima diffusione del culto, questo si radicò tanto da conservarsi vivo fino a oggi. A partire dal secolo XV, in particolare dopo la dimostrazione del Valla sulla falsità della donazione di Costantino (1440), tutta l’opera dell’imperatore fu posta sotto attento studio e il suo culto, non avendo il sostegno del Calendario romano, cominciò a essere guardato con sospetto da molti. La Chiesa aveva subìto nel 1054 la grave frattura dello scisma d’Oriente e il clero latino non gradiva che nei propri territori, come in Calabria, si continuassero a celebrare riti e feste propri degli ortodossi. In Sicilia anche l’autorità civile contribuì alla regressione del culto costantiniano con la demolizione di alcune chiese per i suoi fini politici o militari. Anche in Sardegna, dove tuttavia il culto costantiniano sembra più solido, una parte del clero lo combatté, e ancora si mostra ostile.
Il secondo si ebbe quando confluì nell’Italia meridionale e a Roma una élite intellettuale di chierici e di monaci orientali, che fuggivano, come già detto, le invasioni dei persiani e degli arabi (secoli VII-VIII) o la persecuzione iconoclasta (secoli VIII-IX). In seguito all’espansione araba, l’emigrazione dalla Grecia verso l’Italia fu favorita anche dal governo imperiale per alleggerire la gravissima crisi economica causata nell’Impero dalla perdita dell’Egitto e del suo grano. Un gran numero di greci immigrò allora in Italia e ciò fu il pretesto colto dall’imperatore Leone III Isaurico per annettere ecclesiasticamente alcune regioni. Egli con suo decreto del 732 staccò da Roma le diocesi dell’Italia meridionale e le legò al patriarcato di Costantinopoli12.
Tuttavia della presenza del culto costantiniano nella Penisola Iberica non resta traccia. Si potrebbe pensare che in quella regione tutto sia stato spazzato via dalla dominazione araba, che ebbe inizio nel 711, ma nei documenti visigoti anteriori all’arrivo degli arabi e che ci sono pervenuti non si fa cenno al culto predetto. Tra quei documenti è rilevante il codice LXXXIX Veronensis (olim 84), conservato attualmente nella biblioteca capitolare di Verona. Scritto nella penisola iberica ante 711 e scoperto da Scipione Maffei nel 1713, fu dallo stesso segnalato a Francesco Bianchini13. Il codice LXXXIX è il più antico manoscritto in minuscola visigotica e latore della raccolta eucologica maggiormente ricca e vetusta della liturgia ispanica, ma non presenta Costantino il Grande tra i santi che menziona14.
Per quanto riguarda l’impero carolingio e il regno di Francia, si sa che nella tradizione popolare di alcune di quelle regioni è stato sempre vivo il ricordo di Costantino il Grande. In Provenza, fino al secolo XIX, la gente della Francia meridionale identificava in Costantino il motivo del cavaliere posto sui coronamenti delle cattedrali di Poitou e dell’Aquitania e nei bassorilievi provenzali dei capitelli della cattedrale di Aix e di Saint Trophine di Arles, risalenti ai secoli XII-XIII. Tali motivi dal popolo venivano denominate Constantins. D’altra parte sotto l’affresco del secolo XII conservato nel battistero di Saint-Jean di Poitiers si legge la scritta Costantinus. Altri motivi equestri costantiniani del medioevo francese si trovano nelle sculture di Notre-Dame di Parthenay-le Vieux, di Saint Juin de Marnes, Saint Nicolas Civray, di Saint Hilaire de Melle15. Nelle opere d’arte del medioevo francese però Costantino non è raffigurato come santo, e non risulta dai calendari né dai libri liturgici che nello stesso periodo la Chiesa francese gli abbia tributato culto religioso.
Nei territori del regno di Germania e del Sacro Romano Impero invece esisteva un villaggio nel quale nel secolo XIII si praticava il culto dell’imperatore. Si tratta del borgo detto St. Konstantin, frazione del comune di Fiè All Sciliar, oggi provincia di Bolzano in Alto Adige, sopra la valle Isarco. Il villaggio sorge a 900 metri sul livello del mare, tra alte colline e boschi. La chiesa del Santo risalirebbe, secondo le guide locali, al secolo XIII ed è probabile che il culto vi sia stato introdotto da qualche monaco basiliano che portava delle reliquie.
Abbiamo ancora la testimonianza dei Bollandisti sulla presenza del culto costantiniano nel Belgio, a Praga e in Gran Bretagna, ma poiché la loro opera è molto tarda, si parlerà di essa nel paragrafo seguente16.
Anche in Sicilia il culto di San Costantino venne introdotto in periodi diversi: con i commerci e gli scambi tra le culture dopo la riconquista dell’Isola da parte di Giustiniano (535-553), poi nei secoli VII-IX con l’arrivo di numerosi monaci ‘basiliani’, che fuggivano gli arabi e l’iconoclastia. Nel Medioevo il culto del Santo imperatore era presente nelle città di Palermo, Messina, Catania, nei loro territori e in altri centri. La chiesa palermitana, nota con i nomi di S. Costantino della Kalsa e di Santa Maria del Palazzo e già appartenente alla Compagnia dei Santi Elena e Costantino, è documentata dal 118317.
A Corleone, provincia di Palermo e diocesi di Monreale, era dedicata ai Santi Elena e Costantino una chiesa di origini molto antiche, ma che oggi di antico non conserva più niente nella sua fabbrica. In essa dal XIV secolo aveva sede una confraternita con la stessa denominazione18 .
A Messina esisteva una chiesa dedicata ai Santi Costantino ed Elena presso il palazzo reale, nel cosiddetto Piano Terranova. Nel 1455 essa fu data in concessione alla corporazione degli argentieri e orefici, sorta in quegli anni e detta dei Santi Costantino ed Elena19.
Al Santo erano inoltre dedicate delle chiese a Caprileone, Piraino e Tortorici, che ancora esistono. La chiesa di Caprileone è patronale e ha notevoli pregi architettonici, la piccola chiesa di Piraino sorge nella contrada che prende proprio il nome di San Costantino, infine nella chiesa di Tortorici c’è una tela raffigurante la Madonna e i santi Costantino ed Elena20.
Per quanto riguarda Catania, nei Bollandisti leggiamo: «In Sicilia quoque, ut scribit in sua Catania Sacra Ioannes Baptista De Grossis, Chorda 2, Modulo 16, sub nomine S. Constantini notus est pius virorum coetus, in Disciplinantium Confraternitatem institutus ab anno MCCCVI»21.
In Sardegna il culto costantiniano si è radicato profondamente nell’alto Medioevo perché l’Isola visse in quei secoli quasi isolata dal resto del mondo cristiano. Gli Arabi infatti, dopo aver distrutto Cartagine nel 697 e occupato l’Africa romana, divennero signori del Mediterraneo occidentale fino allo sviluppo delle marinerie di Pisa e Genova nel secolo XI. In quel lungo periodo i culti bizantini divennero patrimonio dei popolo sardo e ancora oggi i santi più venerati sono quelli del calendario greco, tra cui la Dormitio Mariae, Sant’Antonio abate, San Giorgio, Santa Barbara, San Michele, San Nicola, Nostra Signora d’Itria22. Il culto costantiniano si radicò nella Sardegna anche perché durante le incursioni musulmane dell’alto Medioevo e poi durante quelle che funestarono l’Isola dal tempo di Carlo V fino al secolo XVIII, il Santo veniva invocato dal popolo come il ‘vincitore’ nella lotta contro i nemici di Dio e della Chiesa.
L’antica diffusione del culto nell’Isola è attestata da diciotto toponimi presenti in ogni parte del suo territorio23. Essi sono espressi nelle forme dialettali dei vari luoghi, Bantine, Goantine, Gosantine, Antine, Antinu, e indicano nuraghi, monti e anche un borgo (Bantine, frazione di Pattada, provincia di Sassari). Intorno ai nuraghi che hanno il nome del Santo, di solito oggi troviamo i resti di antichi villaggi, prima pagani e poi cristiani, che probabilmente veneravano il Santo del quale hanno il nome. Il più noto di essi sorge nell’agro di Torralba e viene indicato come la reggia nuragica di Santu Antine.
Anche l’onomastica medievale sarda attesta la presenza antica del culto di Costantino. Mentre nel secolo XI-XII si andavano consolidando i quattro giudicati o regni dell’Isola, portavano il nome di Costantino tre giudici di Gallura: Costantino I della Gherardesca (1065-1073/4), Costantino II Spanu (1116-circa 1123), Costantino III de Lacon Gunale (1146-1173); tre di Arborea: Costantino I de Lacon Serra (1125-1130), Costantino de Orrù, Costantino Spanu; due di Cagliari: Costantino-Salusio II de Lacon Gunale (1066-circa1090), Costantino Salusio III de Lacon Gunale (1106-1163); due di Torres: Costantino I de Lacon Gunale (1082-1124), Costantino II de Lacon Gunale (1170-1196)24.
L’onomastica della gente umile usava le varianti dialettali, che ritroviamo nei condaghi o registri delle variazioni patrimoniali dei monasteri latini dei secoli XI-XIII. Leggiamo Gosantine 190 volte nel condaghe di S. Pietro di Silki e 121 in quello di S. Nicola di Trullas; Gosantin è presente 144 volte in quello di S. Michele di Salvenor e Goantine 90 volte in quello di Santa Maria di Bonarcado, nel quale vengono usate anche le forme Constantine, Gosantine, Gantine. Per le donne si usava Gosantina e Goantina25.
I primi a diffondere il culto di S. Costantino furono probabilmente i militari bizantini e le loro famiglie. L’exercitus Sardiniae era formato nei primi secoli da soldati non sardi, provenienti da varie parti dell’Impero26. Erano sottoposti a una ferma molto lunga e veneravano, insieme con le loro famiglie, il Santo imperatore, patrono dell’esercito imperiale. Si trova un indizio del loro influsso religioso sulla popolazione del luogo nella presenza di un certo numero di chiese dedicate a S. Costantino non lontano dalla linea di difesa creata dai bizantini nel 534, per proteggere la pianura romanizzata dalle incursioni degli abitanti della montagna del Gennargentu. Tale linea di difesa, che secoli prima era stata dei Romani e comprendeva una serie articolata di scolte militari, aveva come centro il villaggio di Forum Traiani (oggi Fordongianus). Non lontano da essa, nei villaggi di Nordai, Sedilo, Norbello, Genoni, Siamaggiore, Ollastra, Simaxis e Samugheo sorsero nel Medioevo chiese e altari dedicati a S. Costantino, i quali sono ancora in parte officiati. Una ricerca condotta dall’Università di Sassari ha riportato alla luce nella zona di Iscrocca, dove era situata una scolta dell’esercito imperiale, numerosissimi reperti bizantini. A ovest di tale località si trovano un nuraghe detto ‘di S. Costantino’ e il più noto santuario sardo del Santo.
Nel 704 iniziarono le scorrerie degli arabi sulle coste sarde e i bizantini dovettero trasferire l’esercito nel meridione dell’Isola per difendere Caralis. Da allora la Sardegna fu governata dagli arconti imperiali e la Chiesa sarda fu sottoposta al patriarca di Costantinopoli. I vescovi orientali imposero ovunque il rito bizantino-greco col suo calendario liturgico. Al territorio cagliaritano e al secolo X appartiene il documento epigrafico più antico del culto di S. Costantino in Sardegna. Consiste in tre frammenti marmorei murati nella chiesa parrocchiale di Nuraminis (Cagliari), i quali facevano parte in origine di un ciborio votivo. Sul primo frammento Letizia Pani Ermini ha letto le seguenti parole greche scritte in caratteri latini (consta)ntinu megal(ou), che indicherebbero la dedica del ciborio al Santo imperatore. L’iscrizione, secondo la studiosa, risale al secolo X-XI, mentre Renata Serra l’attribuisce al X secolo27.
Nei secoli XI-XII, dopo lo scisma d’Oriente, arrivarono numerosi monaci benedettini e l’isola ritornò al rito latino, ma il culto di San Costantino non fu dimenticato. L’arte romanica e gotica anzi lo incrementarono con splendide raffigurazioni del Santo, come notiamo nell’architrave appartenente al secolo XI della cattedrale di S. Pietro di Bosa, dove le figure di San Costantino e della Madonna col Bambino sono poste tra i Santi Pietro e Paolo. È evidente il riferimento all’uso orientale di raffigurare il Santo pari agli Apostoli28.
Un antico documento relativo al culto di San Costantino nella Sardegna centrale e risalente al 1265, consiste in un sigillo del vescovo di S. Giusta, ritrovato dal parroco Manca all’inizio del XX secolo nella chiesa parrocchiale di Norbello, durante la demolizione di un altare. Il sigillo, oggi perduto, riportava la dedica dell’altare a San Giovanni Battista, ai Santi quaranta Martiri di Sebaste e a San Costantino: sancti joannis baptistae, xl martyrum, sancti constantini, a. d. mcclxv. scripsit dominus gunarius episcopus s. justae.
La presenza antica del culto costantiniano è attestata per la Sardegna meridionale anche dalla chiesa di S. Guantine nel territorio dell’attuale città di Iglesias, la quale nel secolo XIII fu inclusa nelle fortificazioni elevate dai pisani in quella città, capitale della signoria dei Donoratico. Ancora oggi si conservano i ruderi all’interno del cosiddetto Castello di Iglesias29.
Un poco posteriore è il documento costituito dalla scheda n. 363 delle Rationes Decimarum Italiae, la quale dice che nel 1341 la chiesa parrocchiale di Siamaggiore (diocesi di Oristano) era dedicata a San Costantino. Il villaggio è ricordato col nome di Su Maiore30.
Della prima metà dello stesso secolo sono gli affreschi della cappella del castello Malaspina di Bosa, che presentano nella parete della contro-facciata i santi Costantino ed Elena ai lati della Croce e con gli strumenti della Passione. È evidente l’imitazione di dipinti dell’Oriente inseriti in una serie di santi latini31.
L’unica fonte importante sulla presenza del culto costantiniano nell’Evo moderno in Europa Occidentale è l’opera dei bollandisti Acta Sanctorum, la quale afferma che Costantino era venerato come santo in Gran Bretagna, a Praga, in qualche luogo del Belgio, in Calabria e in Sicilia. In essa leggiamo:
Alibi non ita facile invenire est aeres sacras sancto huic Imperatori consecratas: in Britannia tamen, ubi natus fuisse ab Anglis creditur, plures ecclesias arasque olim ei fuisse dedicatas existimat Witfordus, auctor Anglicani Martyrologii anno 1608 excusi: unamque adhuc valde pulcram supersse ibidem affirmat […]. Praga quoque in Bohemia cultum aliquem S. Constantini Magni esse, propter insignem partem de minore osse bachii, incertum unde et quando allatam, indicat Pezzina de Czechorod in Diario Metropolitanae ecclesiae S. Vitii […]. In Belgio quoque alicubi coli eumdem Sanctum Imperatorem credibile nobis facit Floriarium Ms., ubi nomen notatur die XIX Aprilis, utique minime communi aliis32.
In Gran Bretagna il culto, diffuso forse da monaci orientali che portavano reliquie, fu accolto perché si credeva che Elena e suo figlio fossero nati nell’isola. Si trattava di tradizioni locali prive di qualsiasi fondamento, ma ancora oggi la popolazione di Colchester sostiene che Elena e Costantino nacquero nella loro città e che appartenevano alla famiglia reale del luogo. Circa il legame di Elena con la Britannia, sant’Ambrogio nel discorso per la morte di Teodosio afferma che Elena da ragazza fu presentata come «stabularia» a Costanzo il vecchio, che divenne poi imperatore33.
Per la Calabria i bollandisti, nei loro citati Acta Sanctorum, ricordano due centri in cui nel XVII secolo si venerava San Costantino. Nel primo, Vicus S. Constantini della diocesi di Mileto, si conservavano reliquie del Santo e si celebrava la festa il 2 maggio con l’ufficio latino dei Santi confessori non pontefici. Essi scrivono inoltre che si celebrava la festa di San Costantino anche a Bova perché in quel centro si conservavano sue reliquie, e che tale notizia essi avevano appreso dal Catalogus Sanctorum Italiae del Ferrari, il quale a sua volta citava il Chronicon Calabriae. Nelle note, però, il Ferrari diceva che, secondo alcuni, il santo venerato a Bova poteva essere qualche personaggio del luogo, di cui non si aveva più memoria, per cui il nome veniva confuso con quello dell’imperatore34.
Nell’Italia centrale i monaci di Grottaferrata seguono il rito bizantino e onorano Costantino come Santo fin dalla fondazione del monastero. Tale rito in lingua greca si conservò a lungo senza alterazioni, ma col passare del tempo subì delle modifiche, per cui oggi è detto rito italo-bizantino. Quando poi, a iniziare dalla fine del XIX secolo, nel predetto monastero furono accolti candidati delle comunità albanesi in Italia, il monastero venne assegnato alla realtà italo-albanese ed elevato a esarcato territoriale sui juris, dipendente dalla Santa Sede romana.
La chiesa palermitana, nota con i nomi di San Costantino della Kalsa e di Santa Maria del Palazzo, già appartenente alla Compagnia dei santi Elena e Costantino e documentata dal 1183, nel 1568 subì un intervento da parte del viceré Ferdinando d’Avalos, che vi introdusse un’immagine in pietra della Vergine Maria e ordinò che la chiesa fosse denominata Santa Maria del Palazzo. Il tempio venne poi demolito dal viceré don Lorenzo Suarez, duca di Feria, per allargare lo spazio antistante il palazzo dei Normanni. Al suo posto, nel vasto piano, vi è oggi un edificio per oratorio, detto dei Santi Elena e Costantino. Costruito a partire dal 1602, presenta nel soffitto un dipinto centrale eseguito da Filippo Tancredi, raffigurante la visione dei santi Elena e Costantino. Nel 1962 l’oratorio fu descritto, in relazione al piano regolatore della città di Palermo, come bisognoso di restauri al fine di utilizzarlo per usi pubblici di carattere culturale. E infatti oggi ospita la nuova biblioteca dell’Assemblea regionale Siciliana ed è chiuso al pubblico. Anche il Museo diocesano di Palermo è intestato ai Santi Elena e Costantino35.
A Corleone la chiesa dedicata ai Santi Elena e Costantino, il 2 novembre 1636 fu eretta in parrocchia ma tale restò solo fino al 1643, quando fu ridotta a filiale. Nel 1929 venne nuovamente eretta in parrocchia, ma nel 1963 tale ruolo fu trasferito alla vicina chiesa di Santa Maria, che prima era succursale. Oggi la chiesa è di nuovo sede della Confraternita dei Santi Elena e Costantino ed è regolarmente officiata36.
A Messina, come già visto, la chiesa dedicata ai Santi Costantino ed Elena fu data in concessione alla corporazione degli argentieri e orefici. Il governo borbonico, in seguito alla rivolta popolare del 1848, pensò di creare una piazza d’armi nel piano antistante il palazzo reale e nel 1850 per ampliare lo spazio demolì la chiesa37.
Nella diocesi di Patti, provincia di Messina, il culto di San Costantino è praticato ancora oggi in diversi luoghi secondo il rito latino, e al Santo sono dedicate delle chiese a Caprileone, Piraino e Tortorici, come già visto. A Caprileone, in passato, il simulacro, che abitualmente è privo della corona, veniva incoronato con una speciale corona imperiale d’argento il 21 maggio e al termine di quel rito il popolo acclamava ‘Viva l’Imperatore’. Il Santo è venerato anche tra i contadini e i pastori delle vallate di quel territorio38.
Per quanto riguarda Catania, i soci della Confraternita dei disciplinati, già ricordati dai bollandisti39, a spese del Senato di Catania e con il permesso delle autorità civili, nella notte delle Parasceve partecipavano alla processione con abiti vili e si percuotevano severamente. La società concluse la sua vita nel 1615. La chiesa in cui aveva sede la confraternita era dedicata a San Costantino Magno, sorgeva in una zona centralissima ed era conosciuta col nome di chiesa delle Confraternite. L’edificio, che ha dato il nome alla piazzetta Costantino, esiste ancora e nella facciata ha un chiaro segno costantiniano. Al posto del rosone c’è un bassorilievo marmoreo che raffigura la croce ai cui lati vi sono un guerriero romano e una figura femminile. Non può essere altro che la raffigurazione, secondo l’usanza greca, dei santi Costantino ed Elena ai lati della croce. Ai piedi del bassorilievo c’è la sigla S. E.e C., che si legge comunemente: Santi Costantino ed Elena. La chiesa, che conserva dipinti con soggetti costantiniani, è stata parrocchia e rimase aperta al culto almeno fino al 1900, come si legge in una guida del tempo; oggi è sconsacrata40.
Alla provincia di Catania appartiene il comune di Aci Catena (diocesi di Acireale), che ha una chiesa intitolata ai Santi Elena e Costantino; è molto antica e nel 1572 in essa fu fondata la Confraternita del suffragio.
Per i secoli XV e XVI Gaetano Catalano, nel saggio citato, afferma che il culto costantiniano è pienamente accertabile in Sicilia e «le vicende di quel culto si intrecciano con le vicende delle confraternite fiorite negli stessi secoli»41. Circa la presenza del culto di San Costantino ai nostri giorni, Salvino Greco afferma che «il Santo è onorato in pochissimi luoghi della Sicilia»42.
L’eparchia di Lungro, come quella di Piana degli Albanesi in Sicilia, è chiesa sui juris e dipende direttamente dalla Santa Sede romana.
In Sicilia gli immigrati albanesi si stabilirono vicino a Palermo, in quella regione che fu chiamata Piana dei Greci e oggi porta il nome di Piana degli Albanesi. Le comunità, divenute cattoliche, fanno capo all’eparchia di Piana degli Albanesi e sono state autorizzate da Pio XI, con la bolla Apostolica Sedes del 26 ottobre 1937, a seguire il rito bizantino-greco. L’eparca ha il rango di vescovo e le parrocchie sono quindici. Esse fanno parte dei seguenti comuni: Piana degli Albanesi, Santa Cristina Gela, Mezzojuse, Contessa Entellina, Palazzo Adriano. Anche a Palermo ci sono fedeli di rito greco. Essi fanno capo alla chiesa cittadina di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta anche dei Greci o chiesa della Martorana a Palazzo, di cui si ha notizia dal 1143. La festa dei santi Elena e Costantino si celebra il 21 maggio, ma non esiste nella città una chiesa dedicata ai due santi43.
Nei secoli XIII-XIV la Sardegna attraversò uno dei periodi più difficili della sua storia. A causa della guerra, durata oltre cento anni, contro gli Aragonesi invasori, delle frequenti pestilenze e della conseguente gravissima crisi economica e sociale, la popolazione si ridusse notevolmente e molti villaggi furono abbandonati44.
In quei secoli e nei seguenti scomparvero alcune chiese costantiniane, delle quali si vedono ancora i ruderi, come quella di S. Antine di Salvenero, presso Ploaghe, diocesi di Sassari. Di essa, distrutta insieme con il paese, di cui era la parrocchiale, a causa delle pestilenze, restano ancora i ruderi, mentre la campana e la pila dell’acqua santa sono conservate nella chiesa di Ploaghe. Due borghi scomparsi, ma esistenti nel XIII secolo nell’attuale territorio di Dorgali, cioè Scopeta (oggi Icopidana) e Badu (oggi Giumpadu) avevano una chiesa dedicata ai Santi Elena e Costantino. Medievali erano anche le chiese scomparse di S. Antinu de Nordai e quella di Genoni che sorgeva nel monte Santu Antine. Anche a Villagreca, provincia di Cagliari, esisteva una chiesa di epoca imprecisata dedicata a San Costantino. Si conserva il suo altare, con la scritta A S. Costantino nella chiesa di S. Vito dello stesso paese.
Il culto costantiniano non venne però abbandonato e nel secolo XVI esso riprese con nuovo vigore grazie a un episodio che la gente del tempo riteneva miracoloso. Narra la leggenda che un uomo di Scano Montiferro, sorpreso dai mori in un suo campo vicino al mare, fu rapito e venduto al mercato degli schiavi di Costantinopoli. In quella sua triste condizione ebbe la visione di San Costantino, che gli annunciava la liberazione e gli chiedeva di ricostruire la sua chiesa di Monte Isei di Nordai. Dopo alcuni giorni l’uomo si ritrovò sulla spiaggia di Porto Torres e di nuovo gli apparve il Santo, che gli disse: «Ecco, sei libero: ricordati di ricostruirmi la chiesa di Monte Isei»45.
La stessa tradizione viene narrata dagli abitanti di Scano Montiferro, con l’aggiunta del nome del loro concittadino fatto schiavo, Giommaria Ledda, e del fatto che il Santo gli fosse apparso il 7 luglio, giorno che fu poi scelto per la festa46.
La costruzione della nuova chiesa fu eseguita in pochi decenni e nel 1584 l’arcivescovo di Oristano Francesco Figo poté nominare titolare e prebendario della stessa chiesa di S. Costantino il canonico Giovanni Battista Puzzone47.
All’inizio del XX secolo il parroco Niola fece nuovi lavori per preparare la chiesa ai festeggiamenti del XVI centenario costantiniano: fu elevata la balaustrata di marmo e fu costruito un nuovo altare con lo stemma di mons. Eugenio Cano, vescovo di Bosa. Nel 1803, infatti, la parrocchia di Sedilo era stata trasferita dalla diocesi di Oristano a quella di Bosa. Infine nel 1912 tutto il tempio fu intonacato e dipinto con tempere da alcuni artigiani di Sassari. Le feste del 1913 furono solenni48.
Dopo il santuario di Sedilo, la chiesa costantiniana più importante nell’Oristanese è la già ricordata parrocchiale del paese di Siamaggiore, indicato come Su Maiore dalle citate Rationes Decimarum Italiae nel 1341. Nel corso dei secoli la chiesa subì rifacimenti e restauri e l’attuale edificio, che risale al Settecento, presenta un elegante altare barocco, nel quale un bassorilievo datato 1789 raffigura San Costantino in trono con le vesti imperiali. Un altro bassorilievo murato nella facciata della chiesa presenta l’imperatore ugualmente in trono e coronato, con la mano sinistra sul petto e con la destra che stringe lo scettro. Un’antica statua processionale in legno, non più adatta agli usi liturgici, lo raffigura allo stesso modo, ma con la croce al posto dello scettro nella mano. La festa del Santo è quella patronale e si celebra ogni anno il 23 e 24 aprile49.
A Scupetu, nell’attuale comune di Sant’Antonio di Gallura, nella diocesi di Tempio-Ampurias, sorgeva una chiesa rupestre di età imprecisata e dedicata al Santo col nome di Santu Santinu. Quando nel secolo XVII fu abbandonata – di essa restano solo i ruderi – vicino all’antica ne fu costruita un’altra dedicata a S. Elena e a S. Santino (S. Costantino). L’esterno è in granito a vista e ha un campanile a vela. L’interno ha sull’altare le statue di Sant’Elena e di San Costantino La festa si celebra il 1° maggio50.
Nel secolo XX è stata dedicata a San Costantino una nuova chiesa a Pozzomaggiore e un’altra nel 2003 a Flussio, paesi entrambi oggi della diocesi Alghero-Bosa. La prima è stata costruita ex novo nel 1923 nella periferia del paese, in un campo offerto dalla famiglia Porcu. L’iniziativa fu presa dai reduci della Prima guerra mondiale per ringraziare il Santo, per essere scampati dai pericoli della Grande guerra. All’iniziativa si unirono i compaesani emigrati in Argentina e poi tutta la popolazione. La chiesa, iniziata nel 1920, fu portata a termine in soli tre anni. Il Comitato di San Costantino ha il compito di organizzare l’ardia51.
La mancata inclusione del nome del Santo imperatore nel calendario liturgico romano creò dei problemi tra le persone di un cero livello culturale. Nel secolo XVII, in età spagnola, il sardo Agustin Tola sentì il dovere di difendere il culto di San Costantino e scrisse un libro, che pubblicò a Roma nel 1656, presentando a prova della santità di Costantino dieci argomenti (fundamentos), dei quali si trascrive qui il quinto nella lingua originale per il suo candore e la semplicità della parola. È opportuno notare che in esso l’autore cerca di dimostrare come la mancata inclusione del Santo nel Martirologio romano non abbia importanza, dal momento che la Chiesa approva i Santi del calendario bizantino:
El quinto fondamento de la santidad del S. Emperador es porque asi los dizen multos Martyrologios, que me parece es un muy fuerte argumeto para nuestro proposito. Finalmente se responde que poco importa que el Martyrologio Romano non lo ponga por Santo pues para prouar nuestro intento basta que la Iglesia Romana aprueba los Santos de la Iglesia Griega por tenerlos por tales segun hà aprouado à San Costantino Magno52.
I dubbi non diminuirono nei secoli seguenti e nell’Ottocento lo studioso Vittorio Angius arrivò a negare che si venerasse in Sardegna l’imperatore. Egli scrisse: «Il S. Costantino cui è dedicata questa chiesa [di Sedilo] come quella del campo è il regolo turritano, non l’imperatore romano, come alcuni pensano»53. Non è possibile che l’Angius sia caduto in un errore tanto grossolano perché fu a Sedilo e vide nell’altare, ai lati dell’imperatore, le statue di Sant’Elena e San Silvestro, che non hanno nulla a che vedere col ‘regolo turritano’ a tutti sconosciuto. Probabilmente Angius voleva indirizzare il culto in altra direzione.
Anche nel XX secolo nei confronti del culto di San Costantino furono poste delle difficoltà, specialmente da parte dell’autorità ecclesiastica. Nel 1927 don Diego Vassallo, d’accordo col vescovo, tentò di sopprimere nella sua parrocchia di Scano Montiferro la festa, sostituendola con quella di Errio e Silvano, ritenuti antichi martiri scanesi. La popolazione però si ribellò e si trasferì nel vicino paese di Sennariolo per le celebrazioni. Il Vassallo capì e riprese la tradizione. In quegli stessi anni, o nei primi anni Trenta, i sacerdoti di Sedilo per la festa di San Costantino iniziarono a celebrare la messa di Sant’Elena o del santo del giorno al posto di quella dell’imperatore. Di tale decisione non si conosce il responsabile perché negli archivi della curia di Bosa non esiste in merito alcun documento. Probabilmente si trattò di una comunicazione verbale dell’Ordinario del tempo. Si pensava forse di poter sostituire col passare degli anni il culto di San Costantino con quello di Sant’Elena, ma il popolo non diede peso alla modifica e forse non se ne rese neppure conto, poiché la messa si celebrava in latino. Nel frattempo si continuò a cantare i gosos, a recitare la novena del Santo in lingua sarda e a tenere i tre panegirici nei giorni della festa. In ogni caso, la messa di Sant’Elena sostituì quella di San Costantino per decenni, benché si sapesse che nelle vicine diocesi di Oristano e di Alghero non si era mai interrotta la celebrazione della messa del Santo. Solo negli anni Sessanta, col nuovo clima ecumenico creato dal concilio Vaticano II, alcuni sacerdoti ripresero a celebrare anche a Sedilo la messa di San Costantino senza essere ostacolati. Quando poi nel 1971 il metropolita di Sassari partecipò alla festa di San Costantino nella vicina parrocchia di Pozzomaggiore, appartenente alla sua metropolia, e vi celebrò il pontificale, il nuovo parroco di Sedilo, parrocchia della stessa metropolia, si sentì autorizzato a chiedere ai sacerdoti di celebrare nella chiesa di S. Costantino la messa del Santo. Tutti si adeguarono senza discussioni.
Tra le chiese della nostra diocesi insigni come luoghi di particolare frequenza e di significativa testimonianza di pietà cristiana da parte dei fedeli di tutta l’Isola, va annoverato certamente l’antico tempio sotto il titolo di San Costantino Magno nel territorio della parrocchia di S. Giovanni Battista di Sedilo […]. Considerando peraltro tale devozione non tanto nella fenomenologia e nei suoi titoli storico-liturgici, quanto soprattutto come occasione di autentica manifestazione di fede che si attua in una straordinaria partecipazione ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, nell’ascolto della Parola di Dio, nella ben ordinata preghiera dei novenari e nell’esercizio dell’ospitalità e di una generosa carità […], con questo atto riconosciamo la chiesa sotto il titolo di S. Costantino nel territorio della parrocchia di Sedilo, come santuario diocesano ai sensi dei canoni 1230 e 1234 del Codice di Diritto Canonico […]. Bosa, 31 agosto 1987. Giovanni vescovo.
Con questo atto di particolare significato, il presule si mise sulla linea di quasi tutti i vescovi suoi predecessori, i quali avevano contribuito a incrementare il culto di San Costantino a Sedilo con gli atti ordinari di governo, come la nomina dei cappellani, l’approvazione della novena e dei gosos, la presidenza delle liturgie solenni. Il relativo decreto del vescovo Pes è conservato nella curia di Bosa (Decreti vescovili).
In risposta ai due quesiti inviati a questa Congregazione con lettera del giorno 8 c.m., Le riferisco quanto segue.
Circa il 1° quesito: Affermativamente. Un culto (inteso come culto di un santo), approvato dalla Congregazione per le Chiese Orientali, è legittimo anche per le Chiese di rito latino. Tuttavia per le celebrazioni occorrerà che sia inserito in un Calendario liturgico e che vi siano testi propri per il rito latino, da approvarsi da questa Congregazione.
Circa il 2° quesito: Affermativamente. Soprattutto in quei territori o luoghi, oggi di rito latino, dove un tale culto è da secoli radicato nella devozione popolare, risulta non solo legittimo, ma anche auspicabile, sempre nel rispetto della procedura sopra detta. Colgo l’occasione per esprimerle i sensi della mia distinta stima.
In Domino (+ Virgilio Noè ) Arcivesc. tit. di Voncaria, Segretario54.
Il centro principale del culto di San Costantino in Sardegna è il santuario che sorge nell’agro di Sedilo, nella diocesi di Alghero-Bosa e in provincia di Oristano. La sagra di San Costantino si tiene il 6-7 luglio da tempo immemorabile, con la celebrazione della messa a ogni ora, l’ardia nel pomeriggio del 6 e al mattino del 7, la processione nel pomeriggio del 7. La novena si tiene dal 23 al 31 agosto.
Osservai come attorno alla chiesa, sempre, tutto il giorno e quasi tutta la notte, girano pellegrini a far la guardia al Santo. Donne coi capelli sparsi, uomini a capo scoperto, con candele o bandiere o rosari in mano, a piedi e a cavallo, di corsa e a passo lento; seri, compresi dell’atto che stanno facendo, non guardano attorno agli spettatori; nessuno degli spettatori né ride, né scherza, né parla con quelli che girano attorno. A San Costantino ogni atto è religioso. È un voto di viaggio, denaro, tempo e sacrifici enormi. Terminato il giro attorno alla chiesa, vi entrano dentro; qui si vedono donne in ginocchio, dalla porta all’altare trascinarsi genuflesse con atteggiamento devoto; la gente passa loro di fianco, davanti, dietro, ed esse continuano con religiosa cerimonia. Nessuno fa loro osservazione. A San Costantino il rispetto umano non c’è. La fede, la fede e non più. Donde vengono questi pellegrini? Io mi trovai come a casa mia, perché ad ogni momento trovavo gente che mi chiamava: Signor Manzella, non mi conosce? Sono di Sedini; io sono di Castelsardo, sono di Cabras, sono Milese, sono di Seneghe, ecc…, da ogni parte della Sardegna [...]. A San Costantino tutto è fede55.
La maggiore attrazione della sagra consiste nell’ardia, che è una corsa di oltre cento cavalieri per rendere onore al Santo. Essa è quasi una liturgia popolare diretta nell’insieme dal parroco. La parte che si svolge di corsa è però guidata da sa prima pandela o capo-corsa, il quale ha in mano uno stendardo giallo. Nel pomeriggio del 6 luglio e nelle prime ore del 7 il parroco attende i cavalieri davanti alla chiesa parrocchiale, li benedice, quindi monta anche lui a cavallo e si colloca con il sindaco alla testa del gruppo. A passo lento la schiera attraversa il paese e discende adagio fino a una collinetta detta Su Frontigheddu, e prega. La chiesa del Santo è di fronte, nella collina opposta coperta dalla folla dei pellegrini. Il parroco, accompagnato dal sindaco, si distacca dai cavalieri e quando raggiunge la chiesa del Santo, la corsa può iniziare. Ecco la descrizione fattane dal viaggiatore J.E. Crawford Flitch in una mia traduzione:
Nel crinale che sorge di fronte alla chiesa e distante circa mezzo miglio, stava una massa di circa duecento cavalieri. Con i loro fucili e le bandiere avevano l’apparenza di un’armata schierata in battaglia […]. Esplose uno sparo e immediatamente tutti i cavalieri si buttarono giù al galoppo e si mossero velocissimi sopra il terreno roccioso in direzione della chiesa. Nella stretta piazza antistante ad essa c’era a malapena spazio per i duecento animali frementi: essi si spingevano e lottavano per una precaria posizione. Ad un segnale galopparono in mezzo alla folla disordinata, facendo sette giri intorno alla chiesa. Poi con una nuova scarica di fucili discesero per il ripido sentiero nella parte bassa del recinto […]. Intorno a quel pilastro i cavalieri girano vorticosamente estendendosi a ventaglio, tre volte da ovest a est e tre volte da est a ovest. Il volume della polvere sollevata oscurò per qualche momento il sole. Nella vaga oscurità apparivano come in una visione il lampeggiare di bandiere e di canne di fucile, la tensione e il pallore dei visi, gli arti tesi dei cavalli, gli occhi arrossati e le bocche gocciolanti schiuma. Al termine del sesto giro i cavalli ripresero a correre per il ripido sentiero su verso la chiesa. Poi, come si rompe l’onda, si dispersero sui fianchi della collina. Questa prodezza, tale è infatti l’ardia, ha un significato religioso perché commemora la vittoria di S. Costantino. I cavalieri durante la loro corsa pregano ogni volta che passano davanti alla porta della chiesa e alla croce. Al termine partecipano alla S. Messa nel presbiterio. Finita la celebrazione eucaristica, il parroco riprende la guida e tutti i cavalieri ritornano alla chiesa parrocchiale56.
Questa sagra è una delle poche che conservino intatto il carattere tradizionale, senza contaminazioni o adulterazioni. Qui la vecchia Sardegna mostra ancora il suo volto non deformato, le sue usanze integre e il suo umore genuino. Ogni anno, infatti, essa riunisce qui i suoi più pittoreschi costumi, tutte le sue represse manifestazioni popolari, tutti gli istinti liberi e schietti della sua gente. E perciò la festa di San Costantino, oltre che una sagra religiosa, è una sorta di assemblea nazionale dei Sardi ed assume anche il valore di un rito, in cui si esprime senza limitazioni una razza che non vuole livellarsi e perire del tutto […]. La festa di S. Antine, oltre questo suo aspetto intimo, ne rivela un altro esterno, per il quale essa diventa una grande mostra dell’arte popolare, dell’abbigliamento, delle specialità gastronomiche dell’Isola. Quasi tutti i paesi della Sardegna sono infatti rappresentati nei loro costumi, con i prodotti della terra e dell’artigianato, con i cibi più tradizionali, con i vini più generosi57.
Per la celebrazione della Santa Messa di San Costantino, ripetuta nel santuario ogni ora nei giorni della festa, si segue quella del comune dei Confessori non Pontefici del messale romano. Grande è anche la partecipazione dei pellegrini alla novena in sardo, che è uguale in tutta l’isola e che a Sedilo si recita dal 23 al 31 agosto58.
La novena ha una grande capacità di coinvolgimento sui fedeli, i quali ripetono a voce sommessa insieme col sacerdote tutte le preghiere, avendole mandate a memoria. Scritta dal sacerdote Bachisio Michele Carboni (Sedilo 1823-Soddì 1910), essa segue lo schema tradizionale delle novene sarde e lo stile del tempo. Inizia con l’atto di dolore (attu de contrizione), al quale segue l’atto di adorazione a Dio su un tema teologico diverso ogni giorno: il timore di Dio, l’amore di Dio e del prossimo, il perdono delle offese, la fede cristiana operosa, come amare Dio, la croce unica speranza di salvezza, la religione cristiana maestra di vita, Gesù redentore, la pace compendio di tutti i beni. Quindi si recitano due preghiere, uguali per tutti i giorni, una a San Costantino e l’altra alla Vergine Maria. A San Costantino si chiede l’intercessione per ottenere il perdono dei peccati, l’aiuto per osservare i comandamenti, la pace tra i principi cristiani e per la Chiesa la libertà dalle eresie. A Maria si chiede che i giusti diventino sempre più santi, i peccatori si pentano, gli infedeli siano illuminati e gli ebrei si convertano. Ecco l’inizio della preghiera a San Costantino:
O liberalissimu Monarca e poderosu difensore de sa fide cattolica, colunna firmissima de sa Ecclesia Romana, conquistadore de su mundu, flgellu terribile de sos tirannos e inimigos de sa santa Rughe, valorosissimu Costantinu, avvocadu e prtettore nostru. Su mundu tottu, connoschinde sos meritos de sos cales ti ad’arricchidu su Signore, e’ su valore tuu in paghe e in gherra, non solu ti venerada in sos altares, ma ti giamada puru Magnu. Magnu in su valore, Magnu in su zelu, Magnu in sa liberalidade pro difendere e propagare sa fide cristiana [...].
Alla novena segue sempre il canto dei gosos, o laudi del Santo. Di autore ignoto e approvati dal vescovo Eugenio Cano nel 1902, sono formati da venticinque strofe59, le quali ricordano le opere di Costantino, la concessione della libertà religiosa, il concilio di Nicea, la costruzione delle chiese e la gloria data alla santa croce. Le ultime sono un’invocazione della buona morte.
Oggi il culto è in regresso un po’ dovunque, ma è doveroso dire che la Chiesa di Roma, pur non ritenendo opportuno inserire Costantino nel suo calendario liturgico, ne permette il culto in quei luoghi in cui da secoli viene praticato. Si tratta per noi occidentali di un culto locale, che, onorando Costantino, onora la croce di Cristo, definita dai gosos del Santo «sorgente di libertà e iscala fin a su Chelu».
1 Per una bibliografia essenziale si vedano G. Henschen, D. Papebroch, Acta Sanctorum Maii, V, Parisiis et Romae 1685, ed. anast. 1966 pp. 12-27; I. Pargoire, L’Église byzantine de 537 à 847, Paris 1905; J. Gay, L’Italie méridionale et l’Empire byzantin depuis l’avènement de Basile Ier jusqu’à la prise de Bari par les Normands (867-1071), Paris 1904; E. Besta, La Sardegna medievale, Palermo 1908-1909, 2 voll., rist. Bologna 1966; J.E. Crawford Flitch, The festa of S. Costantino, in Mediterranean moods, footnotes of travel in the islands of Mallorca, Menorca, Ibiza, and Sardinia, New York 1911, pp. 249 segg.; C. Pellegrini, Il culto a Costantino Magno, in La Scuola Cattolica, 41 (1913), pp. 263-257; G. Piras, Aspetti della Sardegna bizantina, Cagliari 1966; La chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, Atti del Convegno storico interecclesiale (Bari 30 aprile-4 maggio 1969), 3 voll., Bari 1972-1973; A. Guillou, La civilisation byzantine, Paris 1974; Id., La Sicile byzantine: état des recherches, in Byzantinische Forschungen, 5 (1977), pp. 95-145; V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, Bari 1978; A. Boscolo, La Sardegna bizantina e alto-giudicale, Sassari 1978; M. Atzori, Il Santo Cavaliere e l’Ardia. La festa di S. Costantino a Pozzomaggiore, Sassari 1990; E. Giordano, Dizionario degli Albanesi d’Italia, Milano 1963; S. Greco, I Santi patroni di Sicilia, Palermo 1995; J.M. Martin, A. Jacob, La Chiesa greca in Italia (c.650- c.1050), in Storia del Cristianesimo. Religione, Politica, Cultura, IV, Vescovi, Monaci e Imperatori (610-1054), Roma 1999; J.M. Martin, Hellenisme et prèsence byzantine in Italie méridionale (VIIIe-XIIe siècle), in L’Ellenismo italiota dal VII al XII secolo. Alla memoria di Nikos Panagiotakis, Atti dell’VIII Convegno internazionale della Fondazione nazionale ellenica delle ricerche, Istituto di Richerche Bizantine, Atene 2001; A.F. Spada, La sagra di San Costantino Imperatore, Sassari 2001; G. Catalano, Il culto di S. Costantino imperatore in Sicilia, in Poteri religiosi e istituzioni: Il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. Sini, P.P. Onida, Torino 2003, pp. 383-398; R. Coppola, La santità in Oriente e in Occidente. A proposito del culto di S. Costantino I imperatore, ivi, pp. 355-365; C.G. Pitsakis, L’idéologie impérial et le culte de saint Constantin dans l’Église d’Orient, ivi, pp. 253-287; V. Poggi, Perché in Sardegna Costantino è santo, ivi, pp. 325-342.
2 U. Zanetti, Costantino nei calendari e Sinassari orientali, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, II, Macerata 1993, pp. 893-914.
3 Ambr., obit. Theod. 14.
4 All’argomento di questo saggio dedicò attenzione nel secolo XVII il gesuita Jean Bolland con la sua scuola, ma negli ultimi secoli gli studiosi occidentali, con poche eccezioni, si sono limitati a considerare l’origine del culto di S. Costantino come derivante dalla propaganda ariana o dal culto che in epoca pagana si prestava agli imperatori. Gli scritti che trattano della diffusione del culto costantiniano in Occidente si limitano in genere a singole regioni. Un’attenzione più ampia vi ha prestato di recente l’Università di Sassari, la quale, all’interno del Progetto strategico del Consiglio nazionale delle ricerche ‘Sistemi giuridici del Mediterraneo’, ha promosso una unità operativa su Poteri religiosi e istituzioni in collaborazione con l’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo (Isprom). Dal 1994 al 2000 sono stati promossi su tale argomento dei convegni scientifici a Sassari, Sedilo, Oristano e Pozzomaggiore, sotto la direzione di Pasquale Catalano dell’Isprom e Francesco Sini del Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Sassari. Cfr. Poteri religiosi e istituzioni, cit.
5 S. Gassisi, Innologia greca in onore dei SS. Costantino ed Elena, in Roma e l’Oriente, 6 (1913), pp. 57-85.
6 chron. A. Abr. 2353: «Costantino battezzato in punto di morte da Eusebio vescovo di Nicomedia, si piegò verso l’eresia ariana. Da allora e fino al tempo presente alla rapina delle chiese è seguita anche la discordia di tutto il mondo».
7 PL 27, c. 679.
8 Hier., epist. 60.
9 V. Aiello, Costantino, la lebbra il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo, cit. pp.17-58, 98.
10 R. Coppola, La santità in Oriente e in occidente, cit., pp. 355-365.
11 Petrus de Natalibus, Catalogus Sanctorum et gestorum eorum, Vicenza 1493, IV, 26.
12 M.V. Anastos, The tranfert of Illyricum, Calabria and Sicily to the jurisdiction of the Patriarchate of Constantinople in 732-733, in Studi bizantini e neoellenici, 9 (1957), (Silloge bizantina in onore di S.G. Mercati), pp. 14-31.
13 Giuseppe Bianchini, Libellus Orationum ecclesiasticorum officiorum gothico-hispanus nunc primum in lucem editus ex incomparabili et plus quam millenario ms. codice Capituli Veronensis (= Thomasii Opera Omnia, I, partes I-II, pp. 1-136), Romae 1741.
14 G.P. Mele, Culto e liturgia in Sardegna tra Grecìa e Romània: il codice LXXXIX ‘veronensis’ (‘Orazionale Visigotico’), in Poteri religiosi e istituzioni, cit., pp. 399-430.
15 E. Croce, s.v. Costantino, Iconografia, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Roma 1964.
16 Acta Sanctorum, cit., p. 14.
17 Guida istruttiva per Palermo e i suoi dintorni, a cura di G. Di Marzo-Ferro, Palermo 1858, pp. 507 segg.
18 G. Millunzi, Prospetto Storico Dell’Archidiocesi di Monreale. Palazzo Adriano, in Bollettino Ecclesiastico della Archidiocesi di Monreale, 8-9 (1913), pp. 85 segg.
19 G. La Farina, Messina e i suoi monumenti, Messina 1840, p. 30.
20 Salvatore Amedeo Ciminata, San Costantino in Caprileone: tra storia e tradizione popolare, Università di Messina, 2006-2007, relatrice Renata Melissari.
21 Acta Sanctorum, cit., p. 14: «Anche in Sicilia, come scrive Giovanni Battista De Grossis nella sua Catania Sacra (Chorda 2, Modulo 16) è nota un’associazione di uomini pii intitolata a S. Costantino e organizzata dal 1306 come Confraternita dei Disciplinanti».
22 G. Piras, I Santi venerati in Sardegna, Cagliari 1959; A.F. Spada, Storia della Sardegna Cristiana e dei suoi Santi. Il primo millennio, Oristano 1994.
23 Cioè a Barisardo, Escovedu, Genoni, Guspini, Neoneli, Nuraminis, Olastra Simaxis, Orune, Ploaghe, Quartucciu, S. Vero Congius, Scano Montiferro, Sedilo, Siamaggiore, Suelli, Tempio, Torralba, Villamassargia. Cfr. R.J. Rowland, Su alcuni agiotoponimi greco-orientali in Sardegna, in Quaderni Bolotanesi, 17 (1991), pp. 311-319.
24 F. Floris, s.v. Giudici, in La grande enciclopedia della Sardegna, V, Roma 2002.
25 I condaghi di S. Nicola di Trullas e di S. Maria di Bonarcado, a cura di E. Besta, A Solmi, Milano, 1997; I. Delogu, Il condaghe di S. Pietro di Silki, Sassari 1997; R. Di Tucci, Il condaghe di S. Michele di Salvenor, in Archivio storico sardo, 8 (1912), pp. 247-337.
26 A. Boscolo, La Sardegna bizantina, cit., p. 101.
27 L. Pani Ermini, Una testimonianza del culto di San Costantino in Sardegna, in Memoriam Sanctorum Venerantes. Miscellanea in onore di monsignor Victor Saxer, Città del Vaticano 1992, pp. 613-625.
28 G. Spano, Bosa vetus, Bosa 1878, p. 6.
29 S. Petrucci, Storia politica e istituzionale della Sardegna medievale, in Storia dei Sardi e della Sardegna, II, Il Medioevo dai giudicati agli aragonesi, Milano 1987.
30 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sardinia, a cura di P. Sella, Città del Vaticano 1945, p. 150.
31 A. Caleca, Pittura del Duecento e del Trecento in Sardegna, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, I, Milano 1986, pp. 265 segg. Cfr. anche A. Mastino, Bosa in età giudicale. Nota sugli affreschi del castello di Serravalle, Sassari 1991.
32 Acta Sanctorum, cit., pag. 14: «Non è facile trovare altrove chiese dedicate a questo Imperatore: tuttavia nella Britannia, dove secondo gli Angli egli nacque, Witfordus, autore del Martirologio degli Angli dell’anno 1608, ritiene che un tempo vi erano molte chiese e altari a lui dedicati e che di esse ne esisteva ancora una molto bella. Pezzina de Czechorod nel Diario della chiesa Metropolitana di S. Vito dice che un certo culto di S. Costantino Magno è praticato anche a Praga, in Boemia perché vi fu portata una notevole parte dell’osso minore del braccio, pur restano incerto il luogo e il tempo in cui vi fu portata [...]. Il Ms. Floriarium rende credibile che si veneri in qualche luogo lo stesso Santo Imperatore anche nel Belgio, dove il nome è ricordato il 19 aprile, differentemente dagli altri».
33 Ambr., obit. Theod. 42.
34 Acta Sanctorum, cit., pag. 14.
35 G. Catalano, Il culto di S. Costantino imperatore in Sicilia, cit., pp. 388-389; 392.
36 Ivi, p. 390.
37 Ivi, p. 391.
38 S. Greco, I Santi patroni di Sicilia, cit., pp. 142-212.
39 Acta Sanctorum, cit., p. 14.
40 G. Catalano, Il culto di Costantino in Sicilia, cit. p. 388.
41 Ivi, p. 391.
42 S. Greco, I Santi patroni di Sicilia, cit., pp. 142 sgg.
43 E. Giordano, Dizionario degli Albanesi d’Italia, cit.
44 J. Day, Villaggi abbandonati in Sardegna dal Trecento al Settecento: inventario, Paris 1973.
45 G. Bottiglioni, Leggende e tradizioni di Sardegna, Geneve 1922, pp. 84-85.
46 G. Dettori, Un’altra storia sul santuario di S. Costantino, in Il Messaggero Sardo, 37, 2, 2005, p. 32.
47 Atti delle visite pastorali a S. Costantino, Archivio parrocchiale di Sedilo.
48 Storia della parrocchia di Sedilo, Archivio parrocchiale di Sedilo.
49 Siamaggiore. Novenariu de Santu Costantinu, (con note storiche a cura della parrocchia), Oristano 2004.
50 Venite alla Festa, a cura della diocesi di Tempio-Ampurias, Ortacesus 1999, p. 90.
51 M. Atzori, Il Santo Cavaliere e l’Ardia, cit., pp. 25 segg.
52 Thesoro escondido de la Religion Christiana de Don Agustin Tola Cavallero de Sardeňa, en el qual se prueva con muchos, y fuertes fundamentos, que el Religiosissimo, y piissimo Emperador Constantino Magno es Santo, Roma, por Francisco Caballo, 1656.
53 G. Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna, 28 voll., Torino 1833-1856; V. Angius, s.v. Sedilo, ivi, III, Firenze 1988, p. 761 (Edizione anastatica delle voci della provincia di Oristano).
54 Il documento della Congregazione del Culto divino, prot. 1168/87, è conservato nell’Archivio parrocchiale di Sedilo.
55 La lettera del Manzella è conservata nell’Archivio della curia di Bosa, fondo Sedilo.
56 J.E. Crawford Flitch, The festa of S. Costantino, cit., p. 265.
57 M. Serra, Mal di Sardegna, Firenze 1955, pp. 260-262.
58 B.M. Carboni, Novena de Santu Antinu, Sedilo 1999.
59 Il ritornello e la seconda strofa recitano: Già chi sezis collocadu / In cussa sedia de onore / Siades nostru avvocadu, / Costantinu imperadore / Cun soberanu consizu / Po dare a su mundu fama / Naschesit dae tale mama / Tale santu e tale fizu: / Biancu e coronadu lizu, / De s’ortu celeste fiore. Poiché vi è stato dato / Quel trono di gloria, / Siate nostro avvocato, / Imperatore Costantino. / Per decisione divina, / Per dare lustro al mondo / Nacque da una tale madre / Un tale santo e un tale figlio: / Bianco e coronato giglio, / Fiore dell’orto celeste.