TRADIZIONE
. Diritto. - È la consegna della cosa, che nel diritto romano può essere fatta sia per trasmettere ad altri la semplice detenzione della cosa stessa (come nel deposito), sia per trasmettere il possesso (come nel pegno), sia per trasmettere la proprietà (come nella donazione). Perché si effettui la trasmissione del possesso, occorre che l'intenzione di possedere (animus possidendi) cessi nell'alienante e sorga nell'acquirente; perché si effettui la trasmissione della proprietà occorre inoltre che la consegna della cosa avvenga sulla base di un rapporto riconosciuto atto dal diritto al trasferimento della proprietà stessa.
Questo articolo si occupa della tradizione come modo di acquisto della proprietà.
Non bastava per i Romani l'accordo fra le parti a trasferire la proprietà di una cosa dall'alienante all'acquirente, perché dal contratto non sorgeva che una ragione di credito, non un diritto reale. La tradizione nel diritto romano classico faceva acquistare la proprietà delle sole res nec mancipi (per le res mancipi era richiesta la mancipatio o la cessio in iure); nel diritto giustinianeo fa acquistare la proprietà di qualsiasi res corporalis: immobile o mobile. Perciò i Giustinianei, in Cod., II, 3, de pactis, 20, dicono: traditionibus et usucapionibus... dominia rerum transferuntur. In ordine alle res incorporales (usufrutto, servitù) vale il principio: res incorporales traditionem non recipiunt.
Si suole richiamare, a proposito della tradizione, la massima: nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse haberet (Dig., L, 17, de div. r. i. ant., 54); ma Ulpiano dettava questa massima in materia ereditaria per illuminare il concetto di successio: portata fuori del campo della successione, non è sempre esatta. È stato anzi sostenuto (P. de Francisci) che, all'infuori del campo della successio, non vi ha trasferimento di diritti; negli acquisti a titolo singolare un diritto si estingue in capo all'alienante, un diritto sorge in capo all'acquirente.
Oltre il proprietario, può tradere chi è investito della administratio (tutore, curatore, procuratore); il creditore pignoratizio; il figlio e lo schiavo nell'ambito del peculio loro concesso. Nel diritto giustinianeo, perché l'amministratore possa alienare, è necessario il mandato speciale; per il figlio e lo schiavo è necessaria la libera administratio peculii. Nel diritto classico il procurator non acquistava direttamente al dominus; nel diritto giustinianeo è ammesso in generale che il rappresentante acquisti al rappresentato. La cosa non deve essere gravata di un divieto di alienazione: così, dopo la lex Iulia il marito, benché proprietario, non può alienare il fondo dotale. Quanto all'acquirente, non si richiede in generale se non la sua capacità giuridica che può mancare in relazione a determinati oggetti: per esempio, al preside non è consentito di acquistare beni nella provincia.
L'atto materiale della tradizione non è se non la realizzazione della possessio. Come tale, esso venne via via staccandosi dalla materialistica visibile operazione del trapasso da mano a mano. Dal circumambulare omnes glebas di un fondo, per aversi tradizione del fondo stesso, si passò all'intrare in quamlibet partem; dal toccare la cosa all'averla in praesentia. Non si riteneva necessaria la consegna della cosa quando l'acquirente ne aveva già la detenzione o come locatario o come comodatario, ecc.: in questo caso si parlava di traditio brevi manu. Nel diritto giustinianeo la tradizione della cosa non è più rigorosamente richiesta per aversi trasferimento della proprietà. Si ammette che possa trasferirsi la proprietà di un fondo indicato a distanza (traditio longa manu); che possa trasferirsi la proprietà di merci con la consegna delle chiavi del magazzino, fatta a distanza dal magazzino e non apud horrea, come il diritto classico esigeva (traditio symbolica: che prepara la via alla circolazione moderna delle merci esistenti in magazzini, mediante polizze di carico, fedi di deposito, note di pegno); si ammette, anche, che l'alienante possa non operare la tradizione effettiva quando conchiuda con l'acquirente una convenzione che gli permetta di tenere la cosa come locatario, depositario, comodatario, usufruttuario, e per tal modo venga a costituirsi rappresentante nel possesso altrui (constitutum possessorium). La tradizione fu uno degli istituti che maggiormente ebbero a soffrire per la lotta tra diritto imperiale e diritti locali nell'età postclassica. La tradizione corporale era segnata come avvenuta negli atti notarili, mentre in realtà non era più fatta.
Il rapporto tra le parti, atto a giustificare il trasferimento della proprietà, è detto iusta causa traditionis. Le iustae causae non sono positivamente determinate: sono invece determinate le causae iniustae (ad esempio, la donazione fra coniugi).
Il diritto moderno, riattaccandosi allo spirito del diritto giustinianeo e sviluppandolo, ammette il principio che il solo consenso è operativo del trasferimento della proprietà. L'accordo delle parti opera nello stesso tempo con effetto obbligatorio e con effetto reale (art. 1125, 1062, 1448 cod. civ.). Codesto nuovo principio, che - se applicato con rigore - darebbe luogo a conseguenze gravissime per la tutela dovuta alla buona fede dei terzi, riceve una profonda attenuazione da altri due principî che con esso concorrono: il principio, cioè, della necessità della trascrizione perché il trasferimento della proprietà degl'immobili sia pienamente efficace di fronte ai terzi, e quello - di origine germanistica - che il possesso di buona fede vale titolo per i mobili (Hand muss Hand wahren).
Bibl.: B. W. Leist, Mancipation und Eigenthumstradition, Jena 1865; S. Perozzi, La tradizione, in Annali Univ. Perugia, 1886; V. Scialoja, Lezioni 1901-1902, Roma 1902; S. Riccobono, Traditio ficta, in Zeitschr. d. Sav.-St. f. Rechtsgesch. (rom. Abt.), XXXIII (1912), p. 259 segg.; XXXIV (1913), p. 159 segg.; A. Checchini, Trasferimento della proprietà e costituzione delle servitù in diritto romano postclassico, in Ann. Ist. veneto, 1914-15; P. de Francisci, Il trasferimento della proprietà, Padova 1924; P. Bonfante, Corso di dir. rom., II, Proprietà, parte 2a, p. 151 segg.; H. Lange, Das kasuale Element im Tatbestand der klassischen Eigentumstradition, Lipsia 1930; A. Ehrhardt, Iusta causa traditionis, Berlino e Lipsia 1930; E. Betti, Il dogma bizantino della ϕύσις τῆς παραδόσεως e la irrilevanza del dissenso sulla causa della tradizione, in Studi in onore di P. Bonfante, I, Milano 1930, p. 303 segg.; R. Monier, Le malentendu sur la causa traditionis, ibid., III, p. 217 segg.; D. Hazewinkel-Suringa, Mancipatio en traditio, Alfen Rijn 1931; F. Schulz, in Zeitchr. d. Sav.-St. f. Rechtgesch. (rom. Abt.), LII (1932), p. 535 segg.