Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A partire dall’XI secolo la scienza islamica comincia a esercitare una tangibile influenza sull’Occidente, cui trasmette nozioni iraniche, indiane ed ellenistiche. Sarebbe tuttavia limitativo pensare che questo solo sia stato il contributo offerto dagli Arabi, che seppero produrre significativi avanzamenti in numerosi ambiti del sapere scientifico.
Se prendiamo la definizione di Alexandre Koyré, secondo il quale il mondo moderno è l’universo della precisione, allora la civiltà araba ha sicuramente precorso questo stadio. Gli accuratissimi calcoli in campo astronomico dimostrano come i dati dell’osservazione fossero anteposti alle teorie preconcette sull’invariabilità dei moti celesti; il desiderio di effettuare osservazioni e misure precise porta gli Arabi a perfezionare strumenti scientifici come la sfera armillare e il quadrante. Globi celesti sempre più aggiornati combinano sapientemente la tradizione ellenistica con quella iraniana e indiana, mentre notevole sviluppo ha la produzione di astrolabi, basati sulla teoria della proiezione stereografica e usati per risolvere i problemi dell’astronomia sferica.
L’introduzione delle cifre posizionali (da noi dette “arabe”) sopperisce al grande handicap della matematica che si trascina dall’antichità: l’insufficiente notazione simbolica. Attraverso Leonardo Fibonacci queste cifre entrano nell’uso comune anche in Europa dal 1200, aprendo enormi possibilità di sviluppo non solo in campo matematico, ma anche per tutto quello che riguarda le attività commerciali. Competente in matematica e geometria, noto agli ambienti colti di tutta Europa, Leonardo Fibonacci scrive nel 1202 il Liber abbaci, un vero e proprio manuale di calcolo per il commercio, con uso delle cifre arabe. Nel trattato dedicato alla Pratica geometriae Fibonacci dimostrerà non solo di padroneggiare la geometria euclidea, ma anche di riuscire a impostare complicate equazioni algebriche di difficoltà superiore a quella raggiunta dai matematici del suo tempo.
Per la cultura scientifica dell’Occidente è stata assai importante anche la riscoperta del Corpus agrimensorum, l’opera che raccoglieva gli scritti di alcuni agrimensori romani di epoca imperiale, nella quale si prestava particolare attenzione a problemi di carattere pratico come il calcolo del perimetro e dell’area di terreni dal profilo assai irregolare. Generazioni di agrimensori si sono formate su questa raccolta di testi, il cui studio guida una serie di interessanti tentativi di applicare le norme della geometria anche alla soluzione di problemi come la misura a distanza dell’altezza di edifici, il calcolo della larghezza di un corso d’acqua e altre operazioni che vertono sulla triangolazione. Al 1050 circa risale il trattato De quadratura circuli, nel quale Franco di Liegi cerca di risolvere uno dei problemi classici della matematica greca, quello della quadratura del cerchio, senza però fare riferimento ai tentativi degli antichi.
Sul finire del primo millennio Gerberto di Aurillac, che diverrà nel 999 papa Silvestro II, coniuga interessi scientifici e umanistici unendo alla lettura dei classici lo studio delle discipline del quadrivio. Specializzato nell’uso di un particolare abaco, Gerberto fornisce contributi importanti relativamente al calcolo matematico, riassunti all’interno di alcuni testi dedicati all’aritmetica e alla geometria. Molto attento alle possibilità derivanti dall’utilizzo degli strumenti di misura e precisione per lo studio delle scienze, Gerberto scrive anche il Liber de astrolabio, dove la descrizione del complesso strumento astronomico fornisce il pretesto per riassumere alcune conoscenze arabe probabilmente apprese durante gli studi giovanili compiuti in Catalogna.
Le opere di Euclide, Archimede, Claudio Tolomeo, Galeno e altri autori classici che avevano trovato accoglienza nelle biblioteche arabe, fanno ritorno in Occidente attraverso la Spagna e l’Italia.
Gli intellettuali leggono, studiano e commentano i testi che contengono la cultura greca recuperata dagli Arabi e resa accessibile attraverso nuove traduzioni. I traduttori sono i veri protagonisti di questa storia, come gli architetti lo sono per le cattedrali e i tecnici per i mulini. Dal momento che la conoscenza del greco nell’Occidente europeo è ormai una prerogativa di pochi, tutto viene tradotto in latino.
A trarre beneficio da questa operazione sono soprattutto le discipline scientifiche. Mentre per il trivium si può contare su testi latini ancora considerati validi, le materie del quadrivium conoscono nel mondo arabo progressi che devono ora essere messi a disposizione anche dell’Occidente. Alla metà del XII secolo Ermanno di Carinzia, studioso di filosofia e astronomia, traduce dall’arabo il Planisfero di Tolomeo aggiungendo una prefazione nella quale riordina la fisica celeste dandone anche i testi di riferimento: l’Almagesto di Tolomeo, il De scientia stellarum di al-Battani, la Introductorium maius in astronomiam di Abu Ma‘shar (Albumasar). All’inizio del XII secolo sono disponibili le opere di Euclide e nel 1126 Adelardo di Bath traduce la trigonometria e le tavole astronomiche di al-Khuwarizmi. Circolano inoltre estratti delle opere di Filone di Bisanzio ed Erone di Alessandria: attorno a questi testi e agli scritti di Euclide, Aristotele e Archimede si vanno definendo i fondamenti teorici della scientia de ponderibus.
Anche in questo caso, a sostegno delle ricerche compiute in questi settori, gli studiosi arabi creano una raffinata strumentazione scientifica: strumenti di calcolo e di misura, bilance e stadere, quadranti, sestanti e astrolabi entrano in Europa e cominciano, tra l’altro, a suscitare l’interesse dei collezionisti. L’effetto è duplice, da una parte gli artigiani europei si impegnano nella produzione di strumenti analoghi, dall’altra gli intellettuali rivolgono una maggiore attenzione alla pratica della scienza. D’altro canto, nel mondo islamico appare più evidente che non nell’Occidente l’esistenza di conoscenze pratiche che hanno ricadute anche sui contenuti delle discipline scientifiche.
I manoscritti scientifici islamici sono spesso illustrati con raffigurazioni di strumenti, e ciò invita il lettore a porre una nuova attenzione al testo che di quelle immagini contiene la descrizione. Anche se spesso le illustrazioni di strumenti, apparati e tecniche sono poco chiare e talvolta eseguite in un secondo momento rispetto alla stesura del testo, è comunque importante stabilire un nesso tra lettura e immagine scientifica.
Le carte nautiche raccolgono dati delle esplorazioni dei viaggiatori arabi i quali, navigando in zone poco note agli occidentali come l’Oceano Indiano fino alla Cina e alle isole Sonda, ampliano notevolmente anche le conoscenze della geografia di tipo descrittivo. Al-Biruni, geografo, matematico e astronomo, calcola con esattezza la latitudine e la longitudine di molte località. Frutto dell’incontro tra Ruggero II d’Altavilla ed Edrisi, nel 1154 in Sicilia viene composto lo Svago per chi è appassionato di girare il mondo, il capolavoro di geografia poi noto come Svago di re Ruggero. Giunto a Palermo dal Marocco, Edrisi compone quest’opera facendo ordine nelle conoscenze acquisite nel mondo islamico attraverso i racconti dei viaggiatori.
Lo schema seguito è quello di Claudio Tolomeo con la divisione in sette fasce climatiche, dall’equatore verso nord ognuna divisa in dieci sezioni, da ovest verso est. Ne consegue che la descrizione di un Paese che cade in più climi è spezzettata in più parti dell’opera: una scomodità per il lettore che trova per esempio le informazioni sull’Italia suddivise in varie parti del trattato. Il testo descrive tutte le regioni note dal Nord Europa all’estremità dell’Asia, l’Africa fino all’equatore, fornendo una testimonianza fondamentale del contributo della scienza islamica alla geografia medievale. Su richiesta dello stesso Ruggero II, Edrisi correda la sua opera con una mappa geografica contenente la rappresentazione di mari, fiumi, città, itinerari. Appare qui evidente la vasta conoscenza acquisita dagli Arabi relativamente a vaste zone dell’Oceano indiano e dell’Africa. Edrisi riporta anche alcune distanze tra i luoghi e alcuni itinerari, mentre abbandona la parte relativa all’astronomia che pure la scienza araba era solita considerare all’interno di questi testi. È interessante infine ricordare il metodo di lavoro seguito da Edrisi, che coordina un gruppo di mercanti, soldati e viaggiatori per raccogliere le notizie che Ruggero II desidera acquisire.
Il lavoro di Edrisi non ha però diffusione nell’Occidente, dove agli studiosi di geografia è nota l’opera di Adamo di Brema, che alla fine del secolo XI, nelle Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, inseriva una parte dedicata alla penisola scandinava e all’Atlantico del Nord nella quale riferiva delle spedizioni navali dei Vichinghi, risalenti a epoche precedenti e mai registrate all’interno di un’opera letteraria. La descrizione delle cosiddette “isole del nord” poneva all’attenzione del lettore l’esistenza di territori quali l’Islanda, le Faer Øer e, soprattutto, la Groenlandia. Adesso i testi di geografia prodotti in Occidente cercano di raccontare le nuove conoscenze che vanno acquisendosi grazie ai viaggi compiuti nell’estremo Nord. Nella Topographia Hiberniae Giraldo di Cambria descrive l’Irlanda e l’attuale Galles, dando ampio risalto alla fauna locale e alle meraviglie della natura. Mentre gli Arabi riprendono seriamente in esame la questione della descrizione e rappresentazione dell’ecumene sulla base dei testi antichi che vanno traducendo, la scolastica cerca di trovare un accordo tra la teologia cristiana e le dottrine di Aristotele e Tolomeo sul cosmo, sulle sfere celesti, sulla centralità della Terra nell’universo e sul luogo naturale degli elementi. Questo è l’indirizzo del De naturis rerum che Alexander Neckham compone verso la fine del XII secolo e in cui descrive animali che vivono nell’aria, nell’acqua e sulla terra, attingendo a fonti classiche e ai testi arabi, cercando tuttavia di ricondurre i fenomeni naturali all’interpretazione delle Sacre Scritture, alla cui comprensione concorre lo studio approfondito della natura.
Ferma restando la nozione della sfericità della Terra, per le dimensioni viene accolto il valore, notevolmente inferiore al vero, fornito da Posidonio e riportato anche da Claudio Tolomeo, cui viene attribuita anche la divisione della Terra in regioni climatiche in base alla durata della luce nei periodi dell’anno. La dottrina aristotelica, in base alla quale i diversi elementi, tendendo ognuno verso il proprio luogo naturale, si ordinano in sfere a seconda della loro pesantezza, porta come conseguenza che la sfera dell’acqua debba rivestire per intero quella della terra solida, più pesante: di fatto, poiché qualche parte della terra emerge dalle acque, occorre ammettere che le due sfere non sono concentriche. Sorge così un problema assai dibattuto, denominato quaestio de aqua et de terra, trattato anche in uno scritto dal medesimo titolo attribuito da taluni a Dante Alighieri. Controversa rimane ancora, infine, la questione del prevalere o meno della quantità di terre emerse sull’acqua, problema antico e non ancora affrontato su base sperimentale. L’origine delle acque, la circolazione dei fiumi, la presenza disordinata dei quattro elementi nelle cavità della Terra, l’esistenza di vulcani, venti e terremoti viene ricondotta alla dottrina aristotelica.
Nel XII secolo si colloca anche la Descriptio mappae mundi di Ugo di San Vittore, un elenco di dati geografici ed etnografici a carattere storico e relativi a tutta la popolazione terrestre, che rientra nell’ambizioso progetto di riordinare la cronologia delle vicende storiche dell’umanità. È interessante, per capire i diversi modi in cui viene trattato l’argomento geografia, soffermarsi sull’introduzione di quest’opera, nella quale Ugo di San Vittore spiega che vi sono persone di notevole cultura capaci di usare l’immagine per descrivere, cioè usano rappresentare le notizie su una carta mentre altri le descrivono solamente. Di questa natura è la Mappa mundi di Gervasio di Canterbury: si tratta in realtà di una descrizione delle contee della Gran Bretagna con indicazione delle zone di sosta e delle sorgenti di acque dolci e salate. In linea generale, le nozioni di geografia ereditate dall’antichità e già mediate nell’alto Medioevo vengono ora ulteriormente rivisitate alla luce delle Sacre Scritture e della fisica di Aristotele.
La fisica, la storia della scienza e la meccanica
Gli studiosi arabi hanno un ruolo assai importante anche nello studio della fisica. Alhazen, attivo in Egitto tra la fine del X e l’XI secolo, è autore di un trattato di ottica fisiologica che avrà enorme importanza, poi tradotto in latino con il titolo Opticae thesaurus, a cui attingeranno ampiamente Witeloo e Ruggero Bacone. Vi è descritto con esattezza, per la prima volta, l’organo della vista con le sue parti e vi si dimostra che i raggi visivi non escono dall’occhio per giungere all’oggetto luminoso, ma si propagano da quest’ultimo per poi arrivare all’occhio.
È interessante osservare che gli Arabi, sul finire del X secolo, maturano anche un interesse storico per la scienza. È questo infatti il senso dell’opera di Ibn al-Nadim, libraio di Baghdad che redige un elenco di tutti gli autori noti e dei loro scritti, fornendo indicazioni storiche per ogni materia. Said Ben-Ahmad, erudito di Toledo, scrive invece una vera e propria storia della scienza nella quale fornisce un quadro delle attività scientifiche di Persiani, Indiani, Caldei, Greci, Egiziani e Arabi.
Anche nel settore dei meccanismi automatici la tradizione classica viene ereditata dagli Arabi, che in questo settore raggiunsero risultati di eccellenza. Ctesibio, Filone, Erone di Alessandria vengono recepiti come i capisaldi della tecnologia meccanica greca, la cui abilità è comprovata dai testi nei quali sopravviveva la loro sapienza. Questo corpo di conoscenze era passato da Alessandria a Bisanzio, quindi alla Persia dei Sasanidi, dove la tradizione ellenistica si era fusa con quella iranica e con elementi indiani e cinesi. Di generazione in generazione questo patrimonio di conoscenze troverà la sua collocazione nel trattato dei Banu Musa, i tre figli di Musa.
Al XII secolo risale la stesura di un importantissimo trattato, che combina assieme le esperienze maturate nel settore della costruzione di congegni automatici con quello della costruzione degli orologi ad acqua. Risale infatti al 1150 la pubblicazione del Libro di Archimede sulla costruzione di orologi ad acqua, opera di un anonimo autore. Giuntoci in varie copie, il trattato affronta vari temi di tecnologia meccanica ellenistica, persiana, bizantina e araba. Il nucleo del testo è costituito dalla descrizione di un complesso orologio idraulico, il cui motore è un contrappeso che scende in maniera controllata all’interno di un contenitore pieno d’acqua, mettendo così in azione una serie di ingranaggi concatenati; al trascorrere di ogni ora un disco esegue uno spostamento calibrato in modo da lasciar cadere un sassolino in un’apposita apertura, così da terminare la sua corsa in un contenitore. Il medesimo meccanismo aziona, in alto, un’asticella oraria. Il dispositivo permette quindi di registrare, anche acusticamente, lo scorrere giornaliero del tempo ed è sufficiente contare i sassi contenuti nel recipiente per sapere con buona precisione l’ora del giorno. La figura mostra l’aspetto dell’orologio visto frontalmente e l’interno, testimonianza evidente del debito della tecnologia meccanica islamica nei confronti della civiltà ellenistica e bizantina.
L’esistenza di monumenti bizantini in Siria, dei trattati di Archimede e delle traduzioni delle opere di Filone di Bisanzio ed Erone di Alessandria nel IX secolo a Baghdad deve aver stimolato l’inventiva dei tecnici islamici. Che si tratti effettivamente di un’opera di Archimede oppure di un anonimo autore arabo, questo trattato mette a frutto nozioni tramandatesi da secoli al fine di realizzare una macchina in grado, non solo di stupire chi la guardasse, ma soprattutto di indicare lo scorrere del tempo a prescindere dalla luce del sole.
Infine, nel XII secolo compare anche una nuova importante tecnologia meccanica in campo militare: il trabocco. Utilizzata per la prima volta in Cina dopo l’anno Mille, questa macchina poteva contare in origine su un grosso braccio con fionda imperniato su un telaio e azionato da uomini che agivano su delle robuste funi attaccate all’estremità del braccio stesso, che poi veniva rilasciato. Diffusasi rapidamente in Europa, viene concepita secondo una serie di varianti locali: un testo arabo della fine del XII secolo ne menziona tipi arabi, turchi, franchi e, soprattutto, una versione più complessa introdotta in Persia e caratterizzata dalla presenza di un elemento nuovo, un contrappeso libero di oscillare. Sarà proprio quest’ultimo tipo, entrato in Europa nel 1199, a ricevere il nome di trebuchet, da cui il nostro trabucco. Capace di scagliare una pietra del peso di 100 kg a oltre 300 metri di distanza, il trabocco si diffonde rapidamente venendo preferito a ogni altro tipo di macchina da lancio a torsione o a tensione come catapulte e balliste in uso sin dall’età ellenistica.