TOTÒ
. Nome d'arte dell'attore Antonio de Curtis Gagliardi Griffo Focas, nato a Napoli il 7 novembre 1898, morto a Roma il 15 aprile 1967. Esordisce nel 1917 a Roma, al Teatro Jovinelli, come fantasista, sulle orme di G. De Marco, ma si afferma presto in modo autonomo, fra il 1920 e il 1925, nel caffè-concerto, con il personaggio dell'uomo-marionetta, non solo totalmente disarticolato ma anche pronto alle più pittoresche e curiose dissociazioni: con una gamma larghissima di possibilità comiche. A un'attività teatrale multiforme e colorita, particolarmente fortunata se, a sorreggerla nell'avanspettacolo e nella rivista, intervengono i testi di M. Galdieri (Quando meno te l'aspetti, 1941; Orlando curioso, 1942; Che ti sei messo in testa?, 1944; Bada che ti mangio, 1949), comincia ad alternare dal 1936 l'attività cinematografica, iniziandola con un film piuttosto modesto, Fermo con le mani, di G. Zambuto, anche se attomo a sé e alla sua maschera grottesca e popolare sta già suscitando l'interesse di parecchi intellettuali che si apprestano a scrivere soggetti appositamente per lui (A. Campanile, Animali pazzi, 1939; C. Zavattini, San Giovanni Decollato, 1941). Il successo pieno, però, gli arride solo dopo I due orfanelli, 1947, di M. Mattoli, cui fa seguire per vent'anni una serie quasi ininterrotta di film che ora gli vedono perpetuare il personaggio farsesco degli esordi, con sberleffi e lazzi, ora invece, specie con autori d'impegno, gli consentono approfondimenti saldi e meditati; soprattutto quando, lavorando attorno al proprio carattere anche con sfumature di malinconia, cesellate con una recitazione sempre calda e spontanea ma via via più conscia e scavata, crea le composizioni indimenticabili di Napoli milionaria, 1950, di E. De Filippo; Guardie e ladri, 1951, di Steno e M. Monicelli; Dov'è la libertà?, 1952, di R. Rossellini; L'oro di Napoli, 1954, di V. De Sica; I soliti ignoti, 1958, ancora di Monicelli; La Mandragola, 1965, di A. Lattuada; Uccellacci e uccellini, 1956, di P. P. Pasolini. Molta saggistica, comunque, specialmente straniera, continua a considerarlo anche oggi un magico e straordinario improvvisatore le cui virtù gestuali irripetibili si sono soprattutto imposte nei film costruiti esclusivamente per dargli l'occasione di manifestarsi in libertà, senza costrizioni intellettuali. Tra questi, Totò al giro d'Italia e Fifa e Arena, 1948, di Mattoli; Totò sceicco, 1951, sempre di Mattoli; Totò a colori, 1951, di Steno; Un turco napoletano, 1952, di Mattoli e, il più celebrato di tutti, Siamo uomini o caporali?, 1955, di C. Mastrocinque.
Bibl.: E. G. Laura, Il comico irripetibile, in Bianco e Nero, Roma, n. 6, giugno 1967; Rencontre pré-posthume avec Toto, Prince des comédiens, in Cahiers du Cinéma, Parigi, n. 192, luglio-ag. 1967; A. Cappabianca, Totò, le distrazioni del linguaggio, in Filmcritica, Roma, n. 222, febbr. 1972; G. Fofi, Totò, Roma 1972; V. Paliotti, Totò, il principe del sorriso, Napoli 1972.