tortoso
Aggettivo che ricorre una sola volta in D., nel significato di " foriero d'inganni, d'iniquità, di torti " con riferimento a una natura obliqua e sleale.
Il significato è analogo al latino tortuosus, da tortus e torquere, che in opposto a rectus, rectitudo indica ciò che procede con andamento sinuoso, non retto, e, figuratamente, chi assume un comportamento insinuante, che ‛ raggira ' e non si manifesta francamente; in tal senso, nel latino cristiano, era aggettivo riferito al serpente o al demonio, a denotare la loro natura occulta, fraudolenta e perversa.
In Vn VIII 9 9, D. si rivolge alla Morte villana affermando: E s'io di grazia ti voi far mendica, / convenesi ch'eo dica / lo tuo fallar d'onni torto tortoso, a sottolineare la slealtà della morte, il suo procedere occulto e iniquo (che al § 5 6 era detto crudele adoperare). D., cioè, per ribadire la misera villania della morte, ritiene giusto definire (convenesi ch' eo dica) d'onni torto tortoso, cioè " subdolamente iniquo di ogni iniquità ", l'operare fraudolento (fallar) della morte, che spesso per vie occulte colpisce contro giustizia e contro ragione.
Va rilevato che se il verso appare di gusto guittoniano (per Guittone cfr. l'esordio Gioia gioiosa dei sonetti L e LXI, il " noiosa noia " di Villana donna 12, e il " piacer piacente " di Ben aggia l'amoroso 4) e se erano " artifizi derivati alla poesia dal latino dell'Ars dictandi (il Parodi lo mostrò con esempi di Pier delle Vigne, nel Bull. XXIII 3), e qualche traccia n'è rimasta nella Commedia " (Barbi-Maggini), tuttavia, mentre di solito in questi giochi verbali l'aggettivo rinforzava semplicemente il sostantivo, qui in D., attraverso il riferimento a fallar, l'aggettivo t. viene liberato dalla riduttiva subordinazione a torto. Il risultato è quello di un ribaltamento dell'ordine logico di una sequenza altrimenti stereotipa (t. è in posizione preminente sia nella formula che nel verso) che restituisce valenza al significato del termine. Tanto fallar che t. concorrono infatti a qualificare la colpa della morte per il suo agire ‛ subdolo ' e ‛ insidioso ' (di qui la tensione concettuale con nascoso del v. 10). Per il significato dell'aggettivo, utile il riferimento a Pietro dei Faitinelli, che in Ercol, Timbrëo, Vesta e la Minerva (v. 3) chiama t. quel " Deo " in cui l'uomo crede, in quanto (v. 4) " non è diritto, né ragion osserva ", cioè disinganna, operando ingiustamente contro rettitudine e ragione.