TORSO DEL BELVEDERE
Uno dei pezzi di scultura antica che ebbero maggior fama nella cultura artistica a partire dal Rinascimento in poi.
Il luogo del ritrovamento è incerto: è falsa la notizia che il torso sia stato rinvenuto al tempo di Giulio II a Campo dei Fiori, o nelle terme di Caracalla; ipotetica è la provenienza, avanzata dal Sauer e dallo Hülsen, dalle terme di Costantino. Sappiamo invece che il pezzo, nel Palazzo Colonna sul Quirinale già prima del 1433, si conservava là ancora nei primi anni del 1500: nel disegno di Giovanni Antonio da Brescia è indicato infatti come "in monte cavallo". Con Clemente VII (1523-34) la scultura fu trasferita al Vaticano, dove rimase per qualche tempo all'aperto, rovesciata sul dorso (cfr. disegno di M. v. Heemskerk); solo con Clemente XI (1700-1721) si procedette alla sua sistemazione sotto un porticato.
Il torso, considerato come "singularissima figura" già nel 1400, fu oggetto di straordinario interesse e ammirazione, influendo, insieme col Laocoonte e l'Apollo del Belvedere, sullo sviluppo dell'arte europea del '500 e '6oo e suscitando un'ampia letteratura iconografica e critica. Tralasciando di elencare i numerosi disegni, incisioni e ricostruzioni plastiche che del torso furono eseguite nel sec. XVI, è interessante notare l'entusiasmo che esso suscitò in Michelangelo: ce lo attestano le parole dei contemporanei e alcune figure, specie nella Cappella Sistina, che senza essere copie della scultura del Belvedere, ne rivelano la discendenza. La fortuna del pezzo continua nel '6oo (per il Bernini l'opera, insieme al Pasquino, è "di più perfetta maniera del Laocoonte stesso") e nel 700, specialmente per opera del Winckelmann, concorde col giudizio dell'amico Mengs, il quale trovava riunite in questa "tutte le bellezze delle altre statue". All'entusiasmo unanime, che da parte di studiosi d'arte e di uomini di cultura continuò sino alla metà del XIX secolo (il Conte di Clarac nel 1850 scriveva: "Il n'existe pas de sculpture antique exécutée dans un plus grand style"), si contrappone l'accurato esame del Brunn, che nel 1853, nella sua Geschichte d. gr. Künstler, i, p. 207, giungeva ad una collocazione cronologica e stilistica del pezzo, formulando un giudizio che, avversato in un primo tempo da molti, fu ben presto condiviso da tutti gli studiosi.
Innumerevoli, a cominciare della fine del '400, furono le proposte di identificazione e il conseguente tentativo di ricostruzione della figura, intesa da prima come un Ercole, poi come Polifemo (Sauer), Prometeo (Robert), Marsia (Hadaczek), Amico (Rossbach), un Sileno (P. Marconi), Filottete (Andrén).
Per l'esame archeologico del torso si rimanda al nome dell'autore, iscritto sulla statua: Apollonios, figlio di Nestore, ateniese (v. apollonios, 6°).
Bibl.: W. Amelung, Die Sculpturen des Vaticanischen Museums, II, Berlino 1908, n. 3, p. 9 ss.; A. von Salis, Antike und Renaissance, Erlenbach-Zurigo 1947, p. 165 ss.; A. Andrén, Il torso del Belvedere, in Opuscula Archaeologica (Acta Inst. Romani Regni Sueciae), VII, 1952, p. i ss.; con bibl. prec.; L. Alscher, Griechische Plastik, IV, Berlino 1957, p. 137 s.; H. Ladendorf, Antikenstudium und Antikenkopie, Berlino 1958, p. 31 s.; W. Helbig, Führer, (H. Speier), Roma 1963, n. 265, p. 211 ss.