TORRI
– Famiglia di architetti bolognesi, distintasi a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo per le figure di Giovanni Battista e soprattutto del figlio Giuseppe Antonio.
È incerto se tra gli antenati possa essere annoverato Giulio Torri o della Torre (?-1622), capomastro e architetto, collaboratore di Domenico Tibaldi nella costruzione del monastero e del coro di S. Procolo in Bologna (1579), più tardi progettista in proprio della chiesa di S. Cristina, sempre in Bologna (1598; Gresleri, 1997, pp. 111-113), e, fuori di Bologna, della chiesa di S. Pietro a Reggio Emilia (1584; Adorni - Monducci, 2002).
Capostipite sicuro della famiglia risulta il capomastro Francesco, definito «muratore» nei documenti ecclesiastici: aveva per moglie una Margherita de Positis (Rimondini, 1983, p. 131) e abitava sotto la parrocchia dei Ss. Cosma e Damiano (via dell’Orto) tra il 1655 e il 1658; dal 1674 si trasferì a poca distanza, sul sagrato di S. Domenico (Bologna, Archivio generale arcivescovile, d’ora in poi AGABo, Parrocchie soppresse, Ss. Cosma e Damiano, Stati delle anime, 1655-61, 1674-79). Morì a circa settant’anni il 6 settembre 1677 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria degli Alemanni (ibid., Libri dei morti, 1677). La sua opera è ancora oscura: si è a conoscenza di suoi lavori per i filippini della Madonna di Galliera, per la chiesa di S. Cristina (Lenzi, in corso di stampa) e di alcuni suoi disegni per il grande chiostro (distrutto) del convento bolognese di S. Maria degli Angeli (1676, Archivio di Stato di Bologna, d’ora in poi ASBo, Demaniale, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria degli Angeli, 158/8785): il loggiato a serliane su pilastri riprende quello, all’epoca freschissimo, del portico di S. Luca progettato da Giovan Giacomo Monti. L’opera fu probabilmente portata a termine dal figlio Giovanni Battista, tanto che Marcello Oretti la elenca tra le opere di quest’ultimo (Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, d’ora in poi BCABo, ms. B132, c. 290r); da notare che anche il nipote Giuseppe Antonio lavorò agli inizi del XVIII secolo per il monastero, realizzando l’edificio del forno (ASBo, Demaniale, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria degli Angeli, 158/8785).
Giovanni Battista Torri (anche dalla Torre) nacque il 25 giugno 1637 (Rimondini, 1983, p. 131), ma l’atto di morte (24 settembre 1699, AGABo) documenta un’età di sessantasei anni, probabile errore del parroco che lo redasse. La moglie Paola, il cui cognome è riportato dai documenti ecclesiastici – quasi certamente storpiato – come Ulsbos o Ulcbos, aveva probabilmente origine straniera, anche se risulta difficile stabilire il paese di provenienza. È da notare anche che tutta la famiglia Torri doveva essere recentemente immigrata a Bologna (forse dal Canton Ticino, come tanti capimastri muratori dell’epoca), perché Giovanni Battista richiese e ottenne la cittadinanza bolognese nel 1682 (Lenzi, in corso di stampa). I coniugi vissero insieme ai genitori di lui fino alla morte del padre Francesco, dopo di che continuarono ad abitare nei pressi di S. Domenico con la madre Margherita e, alla morte di lei, si trasferirono dal 1681 con i figli e i garzoni di bottega in via Urbana (AGABo, Parrocchie soppresse, Ss. Cosma e Damiano, Stati delle anime,1674-79; S. Mamolo, Stati delle anime, 1681-92).
La formazione di Giovanni Battista fu sicuramente curata dal padre in senso eminentemente pratico. Al contempo, egli affinò le competenze nel disegno architettonico al fianco del coetaneo Giovan Giacomo Monti (BCABo, ms. B132, c. 290bis.r), il più celebre e conteso tra gli architetti bolognesi dell’epoca, cui fece anche da assistente nel rinnovamento della libreria del monastero di S. Michele in Bosco e nella fabbrica della chiesa del Corpus Domini (Lenzi, 2020). Forse anche grazie a questo rapporto privilegiato, Giovanni Battista pose le basi per un’efficiente impresa, che nel giro di pochi decenni consentì ai Torri di salire al vertice del contesto architettonico bolognese e di ambire a commissioni di sicuro prestigio anche in altre città.
La conduzione familiare dell’impresa non agevola nell’attribuzione delle singole opere a Giovanni Battista o al figlio Giuseppe Antonio (Lenzi, 1983, p. 34), problema che doveva essere già chiaro al contemporaneo Oretti, il quale, attribuendo molte opere all’uno e all’altro indifferentemente, affermò: «Questo valoroso architetto Giovanni Battista Torri è stato uomo assai pratico esecutore di belle fabbriche innalzate col suo disegno, e sopra altri magnifici del bravissimo suo figliuolo Giuseppe Antonio» (BCABo, ms. B132, c. 290r). Tra le architetture ecclesiastiche bolognesi che possono essere attribuite a Giovanni Battista si ricordano soprattutto il rifacimento interno della chiesa della Madonna di Galliera, ariosa opera non immune da dettagli di ispirazione rinascimentale (capitelli, candelabre), e il rinnovamento del contiguo convento dei padri filippini (1684; ibid.); rimane anche la facciata porticata della chiesa dei Mendicanti (1691; Lenzi, 1983, p. 33), mentre perdute sono le chiese di S. Gabriele (1667) e di S. Elena, quest’ultima eseguita insieme al figlio (data incerta; BCABo, ms. B132, c. 290r). Oretti ricorda anche un suo progetto per l’arco iniziale del portico di S. Luca, oggi irreperibile (c. 290bis r): il rapporto tra Torri e Monti, oltre al citato disegno di Francesco Torri per il chiostro degli Angeli, induce a rivalutare una parte dello ‘studio’ Torri nella prima fase di progettazione e realizzazione del portico di S. Luca (tratto di pianura). L’opera di Torri fu prestata anche per il complesso distacco dell’affresco trecentesco della Madonna della Vita e per il suo spostamento nella nuova chiesa (Giudici, 1992): una notizia che permette di ipotizzare per Torri un ruolo anche nella progettazione dell’edificio, capolavoro del Seicento bolognese e opera di Giovan Battista Bergonzoni (S. Maria della Vita, 1687-90).
Tra le fabbriche civili, meritano una segnalazione l’austero edificio del Collegio illirico-ungarico (oggi Collegio Venturoli), terminato dopo la sua morte nel 1700 dal perito Antonio Conti, la finora inedita casa degli Oretti (palazzo Rigosa, via S. Giorgio, 9), e forse il progetto del palazzo Belloni; non resta nulla, invece, di un progetto di rinnovamento della casa Riguzzi (via S. Vitale, angolo piazza Aldrovandi) e dell’annesso torresotto medievale (BCABo, ms. B132, c. 290rv). Nella provincia di Bologna, Giovanni Battista realizzò la chiesa di S. Maria Assunta a Porretta (1689-96; Lenzi, in corso di stampa), quella di S. Michele ad Argelato (1689), e la cappella del Santissimo nella parrocchiale di Castel San Pietro (BCABo, ms. B132, c. 290v). Di ben maggiore rilevanza fu la progettazione del colossale (ma largamente incompiuto) palazzo Mazzolani a Faenza, dalla grandiosa facciata alla romana (1687; Dari, 2016, pp. 95-107). Oretti ricorda anche disegni di Giovanni Battista per l’acquedotto della fontana del Nettuno, nonché disegni e incisioni di chiese e monumenti sepolcrali di Venezia, e due trattati manoscritti, uno sulla geometria e uno sull’architettura (BCABo, ms. B132, cc. 290v-290bis r): nulla di tutto ciò è oggi rintracciabile.
Dei figli di Giovanni Battista, il più dotato, e colui che portò avanti la professione paterna, fu Giuseppe Antonio. Nacque l’8 novembre 1658 nella casa dell’avo Francesco nei pressi di S. Domenico (AGABo, Battistero della chiesa cattedrale metropolitana di S. Pietro, Registri battesimali, 111, 1658, c. 213v; Rimondini, 1983, p. 132); morì per «la troppa assiduità alla fatica» il 15 maggio 1713 e fu sepolto nella chiesa delle monache di S. Caterina (BCABo, ms. B132, c. 291bis r): nell’archivio della sua parrocchia, S. Salvatore, per questi anni completo, non è stato ritrovato l’atto di morte, il che lascia immaginare che sia deceduto fuori di Bologna. Oretti attribuisce la sua valentìa nel campo dell’architettura addirittura alla città di nascita, «dove il cielo benigno fa fiorire uomini di peregrino ingegno ed abilità per le Belle Arti del disegno, tra’ quali deve noverarsi il celebre Giuseppe Antonio Torri, [che] con gli insegnamenti di Giovanni Battista suo padre riuscì uno de’ migliori architetti de’ suoi tempi. Per tale fu conosciuto in altre città» (BCABo, ms. B132, c. 291r). Al di là dell’iperbole, è certo che Giuseppe Antonio ricevette un’educazione pratica dal padre; probabilmente si giovò anche degli insegnamenti che potevano derivargli dal fervido clima dell’architettura bolognese del Seicento (con figure per certi versi antinomiche come Bartolomeo Provaglia o Giovan Giacomo Monti). È però significativo che egli non fu ammesso all’Accademia Clementina, fondata nel 1712, indizio forse di una certa diffidenza da parte degli accademici, disegnatori di architettura e quadraturisti, verso gli architetti pratici (Matteucci, 1988, p. 96). Svolse invece l’incarico istituzionale di architetto pubblico, succedendo ad Agostino Barelli nel 1697 (Gualandi, 1845, p. 20).
L’opera di Giuseppe Antonio a Bologna si aprì con un episodio di folgorante importanza: nel 1688 fu pagato per il modello ligneo dello scalone di palazzo Ranuzzi, poi realizzato entro il 1695. Quest’opera, spesso assegnata a Francesco Angelini e Giovanni Battista Piacentini, rappresenta forse il momento apicale della serie di scaloni scenografici bolognesi, dimostrando la varietà di riferimenti culturali del giovane Torri (Matteucci, 1969; Cuppini, 1974, pp. 93-96, 313; Lenzi, 1994, p. 70; Matteucci, 2000, p. 253; Ceccarelli, 2003, p. 348). Dopo questa prima prova, altre case nobili e senatorie bolognesi si servirono di Torri: al 1705 risalgono la sopraelevazione e lo scalone del palazzo Caprara, che s’inserisce abilmente in una delle logge tardorinascimentali del cortile (Cuppini, 1974, pp. 110, 292), mentre del 1708 è il progetto (incompiuto quanto al cortile) del palazzo Isolani in piazza S. Stefano, dalla severa fronte attardata su modelli cinquecenteschi (BCABo, ms. B132, c. 291r; Cuppini, 1974, p. 302; Galeazzi, 2011). Lo stesso anno, Torri diede inizio alla trasformazione del rinascimentale palazzo Scarani (via S. Felice, 21; Gli splendori della vergogna, 1995), completata solo per metà del cortile, con il caratteristico loggiato a serliane sostenute da colonne doriche. Nel 1709 realizzò la nobile facciata lungo via Clavature del palazzo Pepoli Nuovo (Cuppini, 1974, pp. 120-124, 312); la facciata principale del palazzo, lungo via Castiglione, dal bugnato vigoroso e mastino, è tradizionalmente assegnata a Francesco Albertoni: essendo questi uno scalpellino, andrà riconsiderato un ruolo direttivo di Torri per l’intero palazzo (Lenzi, 2014, p. 618). Torri non disdegnò neanche commissioni minori, come la scala della casa dei Longhi (forse da identificarsi con quella di via Solferino 38 o 42), probabilmente parenti della moglie.
Sul fronte delle commissioni pubbliche, Torri intervenne per adattare il cinquecentesco palazzo Poggi a sede dell’Accademia delle scienze, sistemando il salone del primo piano e impostando brillantemente la massiccia torre della Specola sopra i muri dello scalone; tale opera fu conclusa nel 1725 da Carlo Francesco Dotti (Cuppini, 1974, pp. 83-85; Lenzi, 1988). In ambito ecclesiastico, Torri diede disegni per il tratto collinare del portico di S. Luca e progettò l’atrio della biblioteca conventuale di S. Domenico (Lenzi, 2020); la piccola chiesa di S. Tommaso del Mercato, oggi non più esistente, fu realizzata su suo progetto da Giovanni Andrea Taruffi (BCABo, ms. B132, c. 291r). In relazione al suo incarico di architetto pubblico si ricordano disegni (alcuni stesi insieme al padre, ma non pervenuti) di carattere militare (porte e fortificazioni di Bologna, eseguiti sotto la direzione del generale Luigi Ferdinando Marsili) e ingegneristici (progetti idraulici e per l’edificio della Trafila della Zecca a porta Lame, eseguito sempre da Taruffi; BCABo, ms. B132, c. 291v).
Nel territorio bolognese Torri eseguì la villa Sorra a Castelfranco, caratterizzata da una raffinata rielaborazione degli impianti tipologici bolognesi con l’introduzione della rarefatta sala ovale a tutta altezza (Lenzi, 1983); su suo progetto, portato avanti da Alfonso Torreggiani, fu realizzata anche la chiesa del Carmine a Medicina (1695-1700; Caprara, 1983, pp. 88-90; Rimondini, 1983). Opere minori furono la chiesa di Ciagnano (distrutta; forse anche il piccolo oratorio sussistente gli può essere attribuito: Rimondini, 1983, p. 132) e i disegni per la chiesa e l’ospedale di Cento (p. 124; Lenzi, in corso di stampa).
L’esperienza accumulata e probabilmente la rete di contatti intessuta già dal padre permisero a Torri di progettare un discreto numero di opere fuori di Bologna, delle quali non è sempre agevole ricostruire la datazione; tra esse spiccano le importanti consulenze per Mantova e Brescia. A Mantova, Torri fu chiamato nel 1697 (ancora vivente il padre) per completare l’insigne fabbrica albertiana di S. Andrea: egli presentò un progetto (oggi noto solo da copie e descrizioni) che avrebbe stravolto la chiesa rinascimentale, prevedendo una sopraelevazione della facciata, l’apertura di finestroni nella volta della navata e la costruzione di una cupola caratterizzata da una scenografica balconata con statue, elemento che torna in altre sue opere. In realtà, egli si limitò a rifare le volte del transetto e del coro, a innalzare i piloni della cupola, e poco altro. La cupola fu iniziata nel 1732, dopo la sua morte, ma già nel 1733 si richiese l’intervento di Filippo Juvarra, che progettò la soluzione oggi visibile; gli altri interventi furono cancellati nel 1780 da Paolo Pozzo (Carpeggiani - Tellini Perina, 1987). Sempre a Mantova, Torri realizzò la chiesa a pianta ottagonale e il convento delle Cappuccine (Zuccoli, 1985), mentre nella campagna, a Palidano, gli è attribuito (in alternativa a Ferdinando Bibiena) l’ampliamento della villa Strozzi, con una sala a tutta altezza interrotta da una balconata circolare decorata da figure in stucco, che richiama l’esempio bolognese del palazzo Albergati di Zola Predosa, opera di Giovan Giacomo Monti (Clerici Bagozzi, 1985; Sambin de Norcen, 2004, pp. 313 s.). A Brescia, Torri intervenne nel 1710 nell’importante cantiere del duomo nuovo, proponendo di affiancare alla cupola già progettata quattro cupolette minori (Panazza - Boselli, 1974; Volta, 1987; Boschi, 2004b, p. 123); anche qui, i responsabili della fabbrica chiesero qualche tempo dopo un parere di Juvarra, che criticò le quattro cupole e soprattutto la differenza di quote tra le trabeazioni dei vari elementi (Giustina - Sala, 2014, pp. 123 s.). In ambito bresciano, Torri è ricordato per aver realizzato un palazzo in città, forse il Martinengo Palatino (Lenzi, 2014, p. 617), e un progetto, poi in gran parte modificato, per il castello Gambara di Pralboino (1711; Boschi, 2004a, pp. 106 s.), caratterizzato ancora una volta dalla rivisitazione del modello a tutto volume del palazzo Albergati.
Oltre queste consulenze di notevole peso, Torri lavorò a Lucca (progetto per il giardino – e forse anche per l’edificio padronale – della villa Santini Torriggiani, 1680-90: Fagiolo - Giusti, 1995, pp. 206 s.; Lenzi, in corso di stampa); Trecenta (scala elicoidale e probabilmente il salone del palazzo Pepoli, modificato nella balconata intermedia, in origine circolare e sorretta da telamoni, forse come nella villa Strozzi di Palidano, 1686: Caberletti, 2007; Sambin de Norcen, 2004, p. 313); Forlì (cappelle Albicini e Fiorini in S. Domenico, 1706: Foschi - Viroli, 1991; scalone di palazzo Gaddi: Gori, 1995, p. 133; chiesa e convento dei filippini: Lenzi, 1983, p. 33); Modena (S. Domenico, dall’enfatico interno basato come altre sue opere su uno spazio ovale e memore della bolognese S. Maria della Vita: Martinelli Braglia, 1982; Bulgarelli, 2000, pp. 462, 464; Lenzi, in corso di stampa); Parma (progetto per S. Rocco, ispirato al S. Fedele milanese, poi affidato a Torreggiani: Mambriani, 2000, p. 457; Architettura dipinta, 2007); Ravenna (attribuzione del palazzo Rasponi delle Teste: Lenzi, 2014, p. 618); Reggio Emilia (Collegio gesuitico, oggi Biblioteca Panizzi, e progetti per una cavallerizza, un ritiro di dame, un ornato in ordine corinzio per l’interno del duomo: BCABo, ms. B132, c. 291v-291bis r).
Giuseppe Antonio sposò intorno al 1690 Francesca Longhi, con la quale visse dapprima sotto la parrocchia di S. Barbaziano e dal 1696 nel palazzo Felicini (via C. Battisti, 23; AGABo, Parrocchie soppresse, S. Barbaziano, Stati delle anime, 1689-95; S. Salvatore, Stati delle snime, 1695-1725). Tra i figli della coppia, il più dotato fu Paolo Francesco (così l’atto di morte 8 agosto 1727: AGABo; ma Oretti lo chiama Paolo Antonio: BCABo, ms. B132, p. 208), coadiutore del padre come architetto pubblico (Gualandi, 1842, p. 29), ma morto a soli ventisette anni . Ultimo erede della famiglia fu un altro figlio di Giuseppe Antonio, Mauro Maurizio (spesso a torto considerato figlio di Giovanni Battista), nato il 4 giugno 1699 (AGABo, Battistero della chiesa cattedrale metropolitana di S. Pietro, Registri battesimali, 152, 1699, c. 107v). Sposato con Anna Torelli, figlia dei pittori Felice e Lucia Casalini, era noto soprattutto come disegnatore (perduti i disegni di S. Andrea in Mantova e di S. Pietro in Vaticano); alla morte del padre e dei fratelli, «restò erede di un pingue stato col quale aggiatamente visse. Si dilettò moltissimo di fiori, tenendo sempre un vago giardino, dove con particolare genio li coltivava» (BCABo, ms. B132, c. 293). Alla sua morte, i numerosi disegni della famiglia furono in parte ereditati dai Buratti e in parte passarono a Marcello Oretti (ibid.; BCABo, ms. B109, cc. 105r-107r); oggi sono dispersi.
Gli insegnamenti di Giuseppe Antonio furono assorbiti dai suoi collaboratori e allievi, tra i quali si ricordano Francesco Angelini, Giovanni Battista Piacentini (Lenzi, 1983, p. 33) e, soprattutto, Alfonso Torreggiani.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Demaniale, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria degli Angeli, 158/8785; Bologna, Archivio generale arcivescovile, Battistero della chiesa cattedrale metropolitana di S. Pietro, Registri battesimali, 111 (1658), c. 213v, 152 (1699), c. 107v, Parrocchie soppresse, Ss. Cosma e Damiano, Stati delle anime (1655-61, 1674-79), Libri dei morti (1677), S. Barbaziano, Stati delle anime (1689-95), S. Salvatore, Stati delle anime (1695-1725), Libri dei morti (1727), S. Mamolo, Stati delle anime (1681-92), Libri dei morti (1648-1710); Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, M. Oretti, Notizie de’ professori del dissegno, ms. B109, cc. 105r-107r, ms. B132, cc. 280rv, 290-293.
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Rimondini, L’architettura, in La chiesa del Carmine di Medicina: committenza, iconologia, artisti e maestranze nei secoli XVII-XVIII, Bologna 1983, pp. 103-150; N. Clerici Bagozzi, La ristrutturazione barocca della villa Strozzi di Palidano. Un episodio di cultura bolognese a Mantova, in Il Seicento nell’arte e nella cultura, con riferimenti a Mantova, Milano 1985, pp. 174-185; N. Zuccoli, Architettura conventuale nel Seicento a Mantova, ibid., pp. 203-207; P. Carpeggiani - C. Tellini Perina, Sant’Andrea in Mantova. Un tempio per la città del principe, Mantova 1987, pp. 68, 139 s., 161 s.; V. Volta, La grande fabbrica: tre secoli di progetti, dispute e lavoro per il duomo nuovo, in Le cattedrali di Brescia, Brescia 1987, pp. 81-100; D. Lenzi, Le trasformazioni settecentesche: l’Istituto delle scienze e delle arti, in Palazzo Poggi. Da dimora aristocratica a sede dell’Università di Bologna, a cura di A. Ottani Cavina, Bologna 1988, pp. 58-78; A.M. 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