TORRESANI, Bartolomeo, detto Oste da Reggio
TORRESANI (Torresano, de Toresanis), Bartolomeo, detto Oste da Reggio (L’Hosto, Hoste de Regio). ‒ Figlio di Guido, nacque e fu battezzato a Reggio nell’Emilia il 7 ottobre 1518 con il primo nome di due parenti defunti: il nonno paterno e un fratello, battezzato il 30 ottobre 1513 (Reggio Emilia, Archivio del Battistero, Libro di battezzati, 1513-21, cc. 12r, 171r). L’incognito manipolo di astanti ai due battesimi non apporta alcun ragguaglio sulla famiglia, della quale poco si conosce.
In due carte stilate a Reggio il 15 aprile e il 7 giugno 1529 il padre Guido si dichiarava oste della locanda del Moro e creditore di 44 lire per il vitto di un avventore (Archivio di Stato di Reggio Emilia, Notarile, b. 1281, Tommaso Maro, atti nn. 112, 159). In altra carta del 2 marzo 1534 (ibid., b. 866, Baldassarre Araldi, atto n.n.) egli si diceva oriundo di Cremona, cittadino e abitante di Reggio, nonché debitore ‒ insieme alla moglie Lucrezia e al figlio Giovanni Domenico (battezzato a Reggio il 6 gennaio 1510 con il padrinato del noto architetto e scultore Bartolomeo Spani: Archivio del Battistero, Libro dei battezzati, 1505-11, sub data) – di 36 lire per una fornitura di canapa.
Dopo un lungo vuoto di notizie biografiche, Bartolomeo compare, con lo pseudonimo di Oste, in una dotta e allegra brigata di amici, uomini d’arte e letterati gravitanti intorno all’Accademia Ortolana di Piacenza, i cui amabili conversari e passatempi sono riportati nella prima parte del Dialogo della musica di Anton Francesco Doni (Venezia 1544). Lo pseudonimo, originato dalla professione del padre e poi assestatosi come Oste da Reggio, è stato peraltro confuso ‒ da François-Joseph Fétis, voce Hoste (Spirito L’), in Biographie universelle des musiciens, IV, Paris 1878, p. 372, e fino al giorno d’oggi ‒ con quello di Spirito da Reggio, appartenuto invece al compositore Gaspare Pratoneri (Reggio, 1530-1595). In realtà, senza che trapeli alcunché di biografico su Torresani, dal Dialogo traspaiono taluni tratti della personalità: Oste, che «impersona il musicista di professione, si compiace volentieri di assumere atteggiamenti antiaccademici e antipedanteschi: [...] è il più intelligente della compagnia, colui che lascia perdere il particolare, per guardare solo all’essenziale» (Monterosso Vacchelli, 1969, p. 48).
Nel 1547 «l’Hoste da Reggio» diede alle stampe il Primo libro de madrigali a quatro voci, edito a Venezia da Antonio Gardano (che ne allestì una ristampa nel 1552) e dedicato al «cardinale di Mantua» Ercole Gonzaga. Non è stato finora possibile stabilire se il musicista prestò servizio al porporato, ma sembra verosimile che questi gli abbia fornito diretta entratura presso il fratello Ferrante I Gonzaga, governatore di Milano dal 1546 al 1554. In effetti, a partire dai primi anni Cinquanta il musicista instaurò legami sia con la città ambrosiana, che elesse a residenza, sia con lo stesso governatore, divenuto suo mecenate.
In tale contesto, nel 1550 Torresani affidò a un tipografo milanese, Innocenzo Cicognara, la pubblicazione dei suoi Magnificat, cum omnibus tonis, hymni et motetta (indirizzati al mantovano Giovanni Battista Grossi, vescovo di Reggio dal 1549), quindi nel 1554 dedicò quattro nuovi libri di madrigali ad altrettanti maggiorenti della corte: uno a cinque voci a Ferrante, il secondo a quattro alla moglie Isabella di Capua, uno a tre alla loro figlia Ippolita, infine il terzo libro a quattro a Cristoforo Fornari, tesoriere dell’esercito imperiale in Piemonte. Salvo quello per Ippolita, allestito in occasione delle nozze con Antonio Carafa ed edito dai milanesi Francesco e Simone Moscheni (ma la ristampa del 1562 fu a carico di Antonio Gardano), gli altri videro la luce per i tipi veneziani di Girolamo Scotto, con frontespizi indicanti la mansione ufficiale del madrigalista, «Maestro della musica dello Illustriss. & Eccellentiss. Don Ferrante Gonzaga».
Le composizioni da chiesa edite nel 1550 sono distribuite in due sezioni: un ciclo mariano di otto Magnificat negli otto toni gregoriani (con versetti in alternatim a quattro voci, quelli finali a cinque), con un Magnificat VI toni (con versetti pari a cinque voci, quello finale a sei) e l’inno Ave maris stella (con strofe da tre a sei voci); un’appendice di mottetti (quattro a cinque voci e due a sei) destinati alle domeniche per annum. L’insieme rivela un severo impianto contrappuntistico, soprattutto negli episodi conclusivi, i quali rinforzano lo spessore sonoro con l’aggiunta di una voce suppletiva e appoggiano su cantus firmi mensuralizzati in strutture melodiche a valori lunghi, collocate di solito in tessiture medio-gravi. Una serie di sei mottetti a tre voci chiude invece la raccolta madrigalistica dedicata a Ippolita Gonzaga (1554): qui la scrittura si fa più tersa e lineare, grazie a un moto delle parti che predilige procedimenti intervallari congiunti.
La produzione madrigalistica del compositore appare improntata a scelte poetiche ricercate, talvolta inusuali, indizio di una formazione letteraria presumibilmente colta e raffinata. Come altri madrigalisti di quel tempo, egli diede abbondanti intonazioni a versi di Francesco Petrarca e Ludovico Ariosto (fu il primo, tra l’altro, a musicare l’ottava iniziale dell’Orlando furioso), senza tuttavia tralasciare alcune rime di Pietro Bembo, Giulio Bidelli, Francesco Ippoliti, Ludovico Martelli, Vincenzo Quirini, Giovanni Battista Strozzi il Vecchio. In particolare, nel primo libro a quattro voci del 1547 (ed. a cura di J.A. Owens, New York-London 1987) egli scelse componimenti che aprirono la strada a intonazioni d’altri compositori, ricorrendo, per esempio, a rime di Giovanni Della Casa, Veronica Gambara, Girolamo Parabosco, Jacopo Sannazaro (con la canzone Io vo cangiar l’usato mio costume) e il piacentino Luigi Cassola, il cui madrigale Occhi leggiadri, amorosetti e gravi gli dovette essere particolarmente caro, visto che lo reiterò nel primo libro a tre voci e lo elesse a cifra connotativa in un suo ritratto. I nomi di Parabosco e Cassola, già membri dell’Accademia Ortolana, tornano anche nel secondo libro a quattro (ed. a cura di J.A. Owens, New York-London 1988), e quello di Parabosco pure nel terzo, insieme a un testo inconsueto, e lievemente modificato, di Gian Giorgio Trissino (Chi lasso piangeria, se non piang’io?), dalla tragedia Sofonisba (atto I, scena III). Ma non mancano i testi burleschi, come lo strambotto O candidetta come lo camino nel primo libro a tre voci.
Per ciò che attiene alle scelte musicali, il debito nei confronti del cosiddetto ‘madrigale arioso’ di metà Cinquecento è palese nella scrittura di andamento omoritmico (spesso eccitato dall’uso della sincope e del contrasto tra sezioni ora veloci ora lente), nella declamazione prevalentemente sillabica (stemperata in area cadenzale da lievi curvature melismatiche), nella trama accordale a sostegno della parte acuta (con la parte grave asservita a ruolo quasi armonico).
Risalgono allo stesso periodo la menzione del suo nome tra i compositori enumerati nella Libraria di Doni (Venezia, Gabriele Giolito, 1550, p. 64v), l’inclusione de «L’Hoste Reggiano, degno d’esser amato da tutti i buoni», tra i «musici et sonatori» elencati nei Sette libri de cataloghi di Ortensio Lando (Venezia, Gabriele Giolito, 1552, p. 512), nonché il presunto suo ritratto a mezzo busto, in veste clericale e con un libro di musica aperto sul suo madrigale Occhi leggiadri (nella collezione Fenaroli-Avogadro di Brescia). La proposta di identificazione, che ha sottratto il ritratto a un generico anonimato, si fonda su due elementi: la citazione madrigalistica e l’abito ecclesiastico, confacente allo stato sacerdotale abbracciato dal musicista in data ancora irreperita (Torre, 1994).
Nel 1555, tramontate le fortune milanesi di Ferrante, fu necessaria al maestro reggiano una nuova posizione, realizzatasi tra agosto e settembre con l’investitura di un beneficio canonicale della chiesa di S. Calimero, vacato del titolare, il musicista don Nicola Vicentino (i documenti notarili di assegnazione della prebenda confermano, tra l’altro, la corretta identificazione dell’Oste da Reggio con il Torresani). Ma la vera salita di grado gli riuscì il 30 gennaio 1558, quando, previa sottoscrizione di patti contrattuali, venne nominato maestro di cappella del duomo, con retribuzione annua di 144 lire, poi incrementata. Avendo tuttavia chiesto e ottenuto di assentarsi durante l’estate del 1563 per intraprendere cure termali, dopo due mesi di assenza tardò a riprendere servizio, tanto che il 23 agosto, quando forse sostava a Pavia (cfr. Luca Contile, Lettere, Pavia, Girolamo Bartoli, 1564, p. 458, «All’Hoste musico»), fu dichiarato decaduto e rimpiazzato da Vincenzo Ruffo.
Seguitò comunque ad abitare a Milano, se non altro per attendere in S. Calimero ai doveri di rettore del canonicato. Riprese però anche l’attività di maestro di cappella, da marzo a maggio del 1566 nella cattedrale di Torino, e da giugno del 1567 a maggio del 1568 nella basilica di S. Maria Maggiore di Bergamo.
L’autorizzazione al soggiorno bergamasco, accordata dall’arcivescovo di Milano cardinale Carlo Borromeo, fu da questi revocata nel volgere di un anno, con richiesta a Torresani, intimata dal vicario generale di Borromeo, di rientrare in diocesi per cause non precisate (Getz, 1998, pp. 300, 309).
Ritornato a Milano, sottoscrisse, insieme ad altri sei musicisti o esperti di strumenti musicali, una perizia (non datata, ma redatta tra il novembre del 1568 e l’aprile del 1569) a lode di un arpicordo costruito da Giovanni Antonio Brena.
Morì il 5 ottobre 1569, «ex angina cum febre», nella circoscrizione parrocchiale di S. Calimero (Getz, 1998, p. 303), non prima d’aver donato 100 lire per la costruzione di un nuovo organo nella chiesa (Daolmi - Haar, 2001).
Fonti e Bibl.: A.M. Monterosso Vacchelli, L’opera musicale di Antonfrancesco Doni, Cremona 1969; J. Haar, The ‘madrigale arioso’. A mid-century development in the Cinquecento madrigal, in Studi musicali, XII (1983), pp. 203-219; B. Torre, Alcune note su uno sconosciuto ritratto di musicista del XVI secolo, in Rivista italiana di musicologia, XXIX (1994), pp. 7-26; C.S. Getz, New light on the Milanese career of Hoste da Reggio, in Studi musicali, XXVII (1998), pp. 287-309; D. Daolmi - J. Haar, Hoste [L’Hoste, L’Osto, Oste] da Reggio [Torresano, Bartolomeo], in The new Grove dictionary of music and musicians, XI, London-New York 2001, pp. 747 s.; C.S. Getz, Music in the collective experience in sixteenth-century Milan, Aldershot 2005, ad ind.; Ead., Reggio, Hoste da, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XIII, Kassel 2005, coll. 1433 s.; S. Baldi, La musica nella cattedrale di Torino nel Cinquecento, in Musicae sacrae disciplina. Vicissitudini delle cappelle musicali del Piemonte. Atti del Convegno di studi..., Saluzzo... 2011, a cura di C. Bianco, Torino 2014, p. 102.