TORO
Città della Spagna occidentale, nella prov. di Zamora, appartenente alla Comunità Autonoma di Castiglia e León, situata presso il fiume Duero, in una vasta pianura.
T. è nota con questo nome fin dal ripopolamento della zona organizzato da Alfonso III il Grande (866-910) agli inizi del sec. 10°, e già nel 974, in un documento di Ramiro III (m. nel 984), i suoi dintorni sono indicati come Campo de Toro (Florez, 1758, pp. 444-447). Sembra che il nome della città tragga origine dal 'verro' o toro di granito trovato dai conquistatori cristiani e conservato attualmente davanti alla Puerta de Santa Catalina. Materiale celtiberico rinvenuto durante gli scavi archeologici, dimostra la primitiva esistenza di un accampamento militare, corrispondente probabilmente all'antica città dei Vaccei, citata in diverse fonti come Arbocela (Itinerarium Antonini, 434, 7), Arbucale (Polibio, Historiae, III, 14) o Arbocala (Tito Livio, XXI, 5). Questa prima popolazione dovette scomparire dopo la conquista di Annibale, poiché non esistono testimonianze né resti archeologici di epoca romana, visigota o musulmana.Come documentazione iconografica sono interessanti la veduta di T. di Antonius van den Wyngaerde (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 41, c. 23), commissionata da Filippo II (1556-1598), e la planimetria antica di Leclercq (Madrid, Arch. Histórico Nac., Estado, Mapas nr. 515, 13; Coello, Madoz, 1865).Dei secc. 10° e 11°, prossimi al ripopolamento, si conoscono solo riferimenti a parrocchie scomparse che, per le loro dedicazioni (San Román, San Cebrian), sembrano corrispondere a fondazioni mozarabiche, come conferma il reimpiego di alcuni capitelli di detto stile nell'od. chiesa di Santo Tomás Canturiense. Sembra ipotizzabile l'esistenza di una cerchia di mura, della quale però non resta alcuna traccia.Lo sviluppo urbano di T. ha inizio dalla fine del sec. 12°, dopo la separazione dei regni di Castiglia e León, alla morte di Alfonso VII (1157). La sua posizione strategica, sulla frontiera del regno leonese, giustifica la costruzione di una cinta fortificata, oggi quasi scomparsa e tuttavia documentata dalla planimetria di Leclercq. Le uniche testimonianze sono alcuni resti di mura inglobati negli edifici moderni. In data incerta, ma sicuramente entro il sec. 13°, questo recinto fu ampliato con un'altra cinta di grossi laterizi e torri quadrate, che si raccordava con la precedente in prossimità dell'alcazar, seguendo un tracciato parallelo. Di essa facevano parte la Puerta de la Corredera e la Puerta de Santa Catalina, trasformate in archi viari rispettivamente nel 1602 e nel 1753.Tanto il primo recinto che l'ampliamento presentano un perimetro a forma di ventaglio, il cui vertice coincide con il ponte sul Duero, opera della fine del sec. 12° o degli inizi del 13°, e con la collegiata di Santa María la Mayor, che funge da centro del tracciato stradale ad assi radiali terminanti in corrispondenza delle porte delle mura. L'asse principale conduceva dalla collegiata fino alla Puerta del Mercado e, benché alterato nel sec. 16°, quando fu pianificata l'od. plaza Mayor, conserva ancora parte dei portici. L'assetto urbano di epoca medievale si è per lo più conservato, soprattutto nel quartiere del ghetto e nella zona a S-O della collegiata, che sembra fosse abitata da mudéjares e convertiti; in vari casi ricordano l'origine dei primi abitanti i nomi attuali delle strade, come la calle de los Francos e la plaza de San Juan de los Gascos (o Vascos), o l'insediamento dei navarrini in quella di Roncisvalle e degli asturiani in Santa Maria de Arbás.Secondo la tradizione, la collegiata di Santa María la Mayor fu fondata da Alfonso VII e ciò è ratificato da un documento del 1139 relativo alla donazione da parte del re del borgo di Fresno a don Bernardo vescovo di Zamora e alla chiesa di Santa María que fundatur in Tauro (Gómez Moreno, 1927, p. 206). Alcuni anni dopo, intorno al 1160-1170, si dovette iniziare l'edificio, che seguì il modello della cattedrale di Zamora e si colloca perciò nell'ambito del c.d. gruppo del Duero, caratterizzato dal tipo con il poderoso tiburio sopra il transetto, il c.d. cimborrio (Torres Balbás, 1922; Gómez Moreno, 1927, p. 209). La collegiata presenta un impianto a tre navate, con transetto e capocroce a tre absidi. L'evidente cambiamento di materiale tra il capocroce, la parte bassa del transetto e i portali laterali, in blocchi di pietra calcarea, e le parti alte del transetto e il corpo delle navate, in arenaria, attesta l'interruzione dei lavori, che secondo Gómez Moreno (1927) corrisponde all'attività di due maestri. Durante la seconda fase, alcune particolarità della costruzione, come i diversi tipi di volta nelle navate laterali, semplici nelle due campate vicine al transetto e divise in otto spicchi nelle successive quattro verso il fondo, indicano un cambiamento di progetto secondo il modello angioino, e quindi una relazione con la cattedrale di Ciudad Rodrigo. Si notano cambiamenti anche nella copertura della navata centrale, a botte spezzata, benché le colonne addossate agli angoli dei pilastri sembrino predisposte per coprire tutto l'edificio con volte a crociera, come nel transetto, che in origine dovette prevedere crociere ma che alla fine fu coperto da un cimborrio, imitando la soluzione della cattedrale di Zamora. Su questo e altri dettagli, Ramos de Castro (1977) distingue fino a cinque maestri.
Contemporanea alla costruzione della chiesa è la decorazione dei portali laterali: quello meridionale, esclusivamente a motivi vegetali, e quello settentrionale, con la rappresentazione negli archivolti di Cristo benedicente accompagnato da angeli turiferari e dai vegliardi dell'Apocalisse che suonano strumenti musicali. Le analogie iconografiche con il Pórtico de la Gloria della cattedrale di Santiago de Compostela, soprattutto riguardo ai vegliardi dell'Apocalisse e ad alcuni motivi vegetali, hanno portato Ramos de Castro (1977, p. 355) a sostenere un'ipotetica presenza del maestro Matteo a T., il cui portale sarebbe stato precedente e sarebbe servito da modello per l'opera di Compostela.Ancora in periodo gotico, nella seconda metà del sec. 13°, venne realizzata la decorazione della facciata occidentale, nota come Portada de la Majestad. Essa mostra una chiara influenza delle botteghe di Burgos e León, soprattutto del Maestro del Giudizio della cattedrale leonese, evidente in varie figure degli stipiti. Recentemente Ara Gil (1995, p. 252) ha proposto per questo artista la denominazione di Maestro del Portale occidentale di T., considerando questa sua opera più rappresentativa; gli ha attribuito, inoltre, un gruppo di sepolcri nella provincia di Palencia, supponendo che avesse la sua bottega a Carrión de los Condes. L'aspetto più interessante è, senza dubbio, il programma iconografico, che unisce il ciclo della Morte e Incoronazione della Vergine, abituale nel Gotico, alla rappresentazione del Giudizio finale nell'archivolto esterno. Nell'interpretazione dei temi sono singolari alcuni dettagli, come l'assenza di Cristo al momento della morte della Vergine - comune ad altri portali ispanici di questi anni, come quello della cattedrale di Ciudad Rodrigo e quello di Burgo de Osma -, e, soprattutto, la strana iconografia del Paradiso e dell'Inferno, dove si avverte l'ispirazione di fonti orientali trasmesse probabilmente attraverso versioni arabe (Pérez Higuera, 1988), insieme alla precoce rappresentazione del Purgatorio.
Le chiese mudéjares di T. costituiscono un gruppo molto omogeneo: San Lorenzo, San Salvador, Santa María de la Vega (od. cappella del Cristo de las Batallas), San Pedro del Olmo, di cui si conserva soltanto il capocroce, e Santo Sepulcro, oggi molto trasformata ma con le absidi e parte dei muri settentrionale e occidentale ancora mudéjares (Tejedor Mico, 1988; Pérez Higuera, 1993, pp. 59-61). La più antica sembra essere quella di San Lorenzo, nell'ambito della tipologia del mudéjar castigliano derivato da Sahagún, ridotto a una sola navata ma con l'abituale abside semicircolare decorata all'esterno con due file di archi a tutto sesto. Gli altri edifici definiscono il modello proprio di T., caratterizzato da un unico ordine di archi che percorre i muri del capocroce e delle navate, conferendo un aspetto di leggerezza che compensa il ripetuto ed esclusivo uso degli archi doppi a tutto sesto, il cui fondo intonacato di bianco era parte fondamentale della decorazione, come dimostra il recente restauro di San Salvador. Ulteriore caratteristica propria delle architetture di T. è la presenza nella parte alta delle chiese, sotto la gronda, di vari fregi di mattoni disposti a 'denti di lupo' o a 'coltello'. Nelle absidi si aprono strette finestre, feritoie o fessure, con la loro cornice di archetto e riquadro; l'evidente strombo all'interno determina l'organizzazione su due piani: quello inferiore con archi ciechi a tutto sesto e quello superiore con gli ampi vani delle finestre intercalati nelle arcate. Quasi tutte le chiese conservano i loro portali - tre a San Lorenzo e a Santa María de la Vega, e uno a San Salvador e a San Pedro del Olmo -, anche questi nell'ambito della tipologia del mudéjar castigliano: una cornice rettangolare sporgente dal muro racchiude la porta d'ingresso, con vari archi decrescenti che sostituiscono gli archivolti in pietra e sopra la consueta fascia di mattoni a 'denti di lupo' o 'a coltello'.Nel corso del sec. 13° gli interni di queste chiese mudéjares furono decorati con pitture murali, nell'ambito del Gotico lineare, e le chiese di San Salvador, Santa María de la Vega e San Pedro del Olmo conservano notevoli resti, a volte recuperati sotto successivi restauri.Lo straordinario complesso di dipinti murali scoperti nel 1955 nel coro del monastero di Santa Clara e poi trasferiti su tela nel 1962, dopo diverse destinazioni provvisorie, è collocato definitivamente, nel 1977, nell'antica chiesa di San Sebastián, con l'intento di creare un museo. Il complesso pittorico è costituito da due cicli quasi completi corrispondenti alla Vita di s. Caterina di Alessandria (ventuno scene) e alla Vita di s. Giovanni Battista (dieci scene), da resti di un altro ciclo sulla Vita di Cristo (Epifania, Battesimo, Apparizione alla Maddalena) e da varie figure di santi isolati. Le rappresentazioni, identificate facilmente grazie alle rispettive legende, seguono l'iconografia abituale che si ispira alla Legenda aurea di Jacopo da Varazze, benché includano certi episodi originali come l'Infanzia di s. Giovanni Battista nel deserto, o la Vittoria di Marta, sorella di Lazzaro, sul drago di Tarascona, che appare sul fondo della scena con l'Apparizione di Cristo alla Maddalena (Navarro Talegón, 1980, p. 172; 1988, p. 85). Questi dipinti appartengono al Gotico lineare e sono stati datati intorno al 1320-1330, poiché nel 1316 terminarono i lavori di riedificazione del monastero. In alcune raffigurazioni (S. Cristoforo, Vita di s. Giovanni Battista) appaiono stemmi non identificati; inoltre, sempre nel S. Cristoforo, identificato come tale - sebbene siano visibili solo le gambe - per le proporzioni gigantesche e perché ritratto in mezzo a un guado, compare, fatto eccezionale per l'epoca, un'iscrizione con il nome dell'autrice: "Teresa Diez me fecit". L'assoluta somiglianza dello stile permette di attribuire a questa pittrice anche gli altri dipinti. Sembra inoltre probabile che la sua attività si estendesse anche ad altre opere di pittura conservate nella chiesa di San Pedro del Olmo e nella collegiata, così come a quelle che decorano il capocroce della chiesa de La Hiniesta, anch'essa nella prov. di Zamora.Nella chiesa di San Salvador, recentemente restaurata, e in cui è stata recuperata gran parte dei dipinti murali, si è allestito un museo che conserva alcuni resti architettonici, un sepolcro del sec. 14° trasportato da Santa Maria de Arbás, caratterizzato dalla rappresentazione del corteo funebre, e una buona raccolta di immagini provenienti dalle chiese scomparse di Toro.
Bibl.:
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