TORNIELLI
– Il primo rappresentante di questo gruppo familiare novarese, di nome Graziano Turniel, è documentato nel 1127 come testimone a un atto di investitura feudale effettuato dal presule di Novara, Litifredo de Sancto Petro, nei confronti del giudice cittadino Gotefredo.
La cerimonia avvenne alla presenza di due capitanei di pieve, Obizzone de Sancto Petro, e Ottone da Conturbia. È quindi probabile che Graziano Tornielli in quell’anno appartenesse già al ceto capitaneale o fosse comunque socialmente omogeneo a esso.
Tale dignità politico-sociale favorì la sua elezione a console del Comune di Novara per l’anno 1139. Uno dei suoi stretti familiari, forse un fratello, di nome Guglielmo, prima del 1150 era entrato a far parte del capitolo della cattedrale e nel 1153, dopo due anni e mezzo di discussioni, fu eletto vescovo di Novara. Come fidelis del re Federico I fece parte dell’esercito del sovrano che nel 1154 era sceso in Lombardia e che – dopo aver varcato il Ticino, assediato e distrutto il castello di Galliate difeso dai milanesi (22 dicembre) – fu ospitato a Novara, ove con Guglielmo si trovavano i maggiori signori del territorio tra cui i conti Guido di Biandrate e Barbavara da Castello, vassalli sia dell’imperatore sia dei vescovi di Milano, Vercelli e Pavia oltre che di Novara. Pochi giorni dopo (3 gennaio 1155) Guglielmo, che seguiva la comitiva regia, ottenne da Federico I un solenne precetto con il quale si attribuivano ai presuli di Novara i diritti giurisdizionali sulla città, i proventi fiscali riscossi settimanalmente sul mercato urbano, la tutela del districtus episcopale. Il rapporto con l’Impero si rinsaldò negli anni successivi. Tra il 27 ottobre e il 4 novembre 1157 Tornielli fu testimone, tra i grandi vassalli dell’Impero e i vescovi tedeschi, alla importante Dieta di Besançon; nel 1160 partecipò alla sinodo di Pavia, nella quale i vescovi filoimperiali tedeschi e dell’Italia settentrionale accettarono come pontefice Vittore IV, contro la candidatura dell’assente Alessandro III. Nel 1162 partecipò con i novaresi all’assedio di Milano e alla distruzione delle sue mura, seguendo poi l’esercito imperiale in Borgogna (compare il 7 settembre 1162 a Saint-Jean de Losne), ma al ritorno a Novara morì.
La presenza dei Tornielli nella Chiesa novarese non venne meno, perché nel febbraio del 1176 era arcidiacono del capitolo della cattedrale uno stretto congiunto di Guglielmo, Ugo, che presenziò come teste a un atto del vescovo Bonifacio. Grazie anche ai legami esistenti tra papa Alessandro III e il vescovo Bonifacio, Ugo nel 1183 fu eletto vescovo di Acqui; governò quella chiesa per molti anni, ma a partire dal 1206 – quando Innocenzo III unì le sedi diocesane di Acqui e Alessandria – incontrò l’opposizione dei cittadini a seguito della sua decisione di optare per la residenza in quest’ultima sede e nel 1213 fu costretto ad abbandonare il governo episcopale delle due diocesi, e rientrò in Novara ove aveva mantenuto la carica di arcidiacono.
Negli anni successivi, dopo la Pace di Costanza, la famiglia Tornielli perseverò in una strategia di crescita sociale ed economica legata anche alle carriere ecclesiastiche, oltre che alla posizione nella società cittadina.
Durante il pontificato di Celestino III (1191-95) un giovane esponente dei Tornielli, Giacomo (figlio di Robaldo console del Comune nel 1195, e nipote del vescovo Ugo) fu destinato ‘in aspettativa’ alla prima prebenda canonicale libera dal cardinale Fidanzio, legato papale, ma una volta ottenuto lo stallo in coro si trovò in contrasto con un altro canonico designato dal papa. Dopo un passo indietro da parte dei Tornielli, Celestino III tentò di risolvere la questione ordinando al preposito (dal 1190) della chiesa canonicale di S. Gaudenzio, Oldeberto Tornielli, di assegnare a Giacomo Tornielli la prebenda di un canonico da poco defunto, ma vi fu una ulteriore opposizione di un gruppo di canonici, perché di recente (1196) un altro Tornielli – Giovanni, suddiacono papale – aveva a sua volta ottenuto una prebenda canonicale.
La complessa questione è illustrata da due lettere di Innocenzo III, che la risolse nel 1198 a favore sia di Giacomo sia di Giovanni; risulta in conclusione che ben tre Tornielli erano presenti, alla fine del XII secolo, in posizioni di vertice nella Chiesa novarese. E tutti e tre fecero carriera, negli anni successivi: Giovanni fu vescovo di Bergamo (1211-40) designato da Innocenzo III, e Giacomo arcidiacono della Chiesa di Novara (1219-31/32); quanto al preposito di S. Gaudenzio, Oldeberto, dopo la morte del vescovo Gerardo da Sesso (1211) fu eletto nel 1213 vescovo di Novara, rastrellando la maggioranza dei voti del capitolo. Il contrasto con il preposito di S. Maria, Giacomo Lamberto, candidato di minoranza, fu risolto ancora una volta da Innocenzo III, con lettera del 21 maggio 1213, nella quale si espresse per Tornielli.
L’episcopato di Oldeberto fu reso difficile da un grave scontro con le autorità del Comune, intenzionate tra il 1216 e il 1218 a conquistare il Cusio, un territorio dominato dal castrum episcopale dell’Isola di San Giulio. A seguito di una mediazione di Onorio III, che aveva sollecitato l’intervento pacificatore dell’arcivescovo di Milano e del vescovo di Torino, nel luglio del 1219 Oldeberto incontrò nel palazzo arcivescovile di Milano il podestà del Comune di Novara e giurò di accettare l’arbitrato del vicario di Federico II (cui poche settimane dopo rese omaggio a Hagenau, in Germania, ove sottoscrisse un diploma). Il lodo arbitrale, pronunciato dal vicario imperiale, Giacomo da Carisio, che poneva le basi per la formazione di una signoria territoriale nel Cusio (da Gozzano a Omegna esclusa), fu promulgato nell’ottobre del 1219 a Novara nella basilica di S. Gaudenzio. In quanto signore e pieno proprietario di beni terrieri, Olderico negli ultimi anni del suo episcopato rafforzò anche la signoria di banno della Chiesa novarese sul castello di Vespolate. Sul versante del governo ecclesiastico, applicò in diocesi i canoni del Concilio Lateranense IV, in rapporto alla pastorale e alla vita dei canonici delle collegiate; votò nel Concilio provinciale di Lodi nel 1229 l’Edictum de vita et honestate clericorum; nel 1233, con l’ennesimo Tornielli preposito, Giacomo figlio di Ardizzone, e con Odemario Buzio, autorizzò i frati minori provenienti da Milano a costruire una chiesa dedicata a S. Antonio da Padova, ma l’importante decisione non ebbe seguito.
Nonostante la presenza del preposito Giacomo tra i canonici, nella fase acuta del contrasto fra Innocenzo IV e Federico II (anni Quaranta del Duecento) le fortune politiche dei Tornielli furono messe a repentaglio, poiché il pontefice impose come vescovo di Novara il presule di Padova Sigebaldo Cavallazzi, appartenente a un casato capitaneale novarese da tempo in rapporto con i Fieschi, contrario ai Tornielli e ai loro progetti territoriali. Agendo d’intesa con il legato papale Gregorio da Montelongo, il nuovo vescovo espulse le famiglie filoimperiali e tra esse i Tornielli, che poterono rientrare in città solo nel 1254, approfittando di un’assoluzione disposta dal pontefice.
Attorno alle due casate si organizzarono la fazione ‘guelfa’ (pars Sanguigna: leader i Cavallazzi e i Brusati) e quella ‘ghibellina’ (pars Rotunda, i Tornielli appunto). A capo di quest’ultima fu, negli anni Cinquanta, Giovanni, poi ucciso nel 1257, e successivamente suo figlio Torello, cacciato e rientrato tre volte fra il 1260 e il 1273. Ne seguì un mezzo secolo di inesauste e confuse guerre civili, con frequenti cambiamenti di fronte e plurime influenze, su Novara, delle forze esterne (volta a volta gli Angiò, i marchesi di Monferrato, i Visconti, non senza qualche interferenza delle lotte in corso tra i pretendenti europei alla corona imperiale), ma con i Tornielli sempre schierati su posizioni ‘ghibelline’.
Nel 1257 i Sanguigni aggredirono Giovanni Tornielli, uno dei capi della pars Rotunda, e lo uccisero: nelle guerre cittadine che seguirono i ghibellini furono guidati dal figlio del defunto, Torello, che tra il 1260 e il 1273 fu cacciato e riammesso tre volte in città, sempre opponendosi ai Cavallazzi e ai Brusati (che si erano collegati per qualche tempo ai Della Torre, ma avevano comunque contrastato le mire angioine su Novara). Nel 1273, in applicazione di un accordo segreto con i Cavallazzi (che portò all’espulsione dei Brusati) Torello poté così rientrare in città, dopo aver giurato fedeltà in Castiglia ad Alfonso X, re dei Romani. La precaria pace fra Tornielli e Cavallazzi (sotto l’egida dei Della Torre) non durò che due anni, sino a quando non fu ospitato in Novara Ottone Visconti, arcivescovo di Milano, con il quale i Tornielli combatterono nella decisiva (per le sorti di Milano) giornata di Desio (1277). Ma l’accordo fra Tornielli e Cavallazzi fu ripristinato negli anni successivi (sotto l’egida del marchese del Monferrato, pronto a sostenere la causa del re di Castiglia) e durò con alterne vicende sino al 1299 e a un nuovo giro di valzer dei Cavallazzi (alleatisi ai fuorusciti Brusati e orientatisi verso i Visconti tra il 1299 e il 1302) per essere poi nuovamente avvicendati dai Tornielli, nel rapporto preferenziale con i Visconti, che tentarono di impadronirsi di Novara. Dopo un altro decennio di fuoruscitismo, fu la discesa in Italia di Enrico VII a costituire l’occasione decisiva per i Tornielli, sempre alleati con i Visconti. Nel 1316 Loterio del fu Rainerio, come capo della pars Rotunda, diede inizio a imponenti lavori di fortificazione a mezzogiorno della porta Sud di Novara, detta di Santa Maria, tanto da creare un poderoso ricetto fatto «ad securitatem et tuitionem civitatis et ad esaltationem sacri imperii» (Cognasso, 1971, p. 324).
Da questo momento signori politici incontrastati della città, i Tornielli pagarono ovviamente pegno sul piano dell’influenza nella Chiesa locale. Questa era retta ai primi del Trecento dal vescovo Uguccione Borromei, un fedele di Giovanni XXII, che abitò a lungo a Domodossola cercando di appoggiare, contro Matteo Visconti e la consorteria dei Tornielli, il legato papale Bertrando dal Poggetto. Costui scomunicò i Visconti e tutta la pars Rotunda, processando (ma senza alcun esito) l’intera consorteria Tornielli, che nel febbraio del 1321 aveva aderito al partito di Ludovico il Bavaro.
Nel processo inquisitoriale furono implicati non solo Loterio, ma tutti i rami del casato, a cominciare dai tre figli di Giovanni Tornielli di Vergano, Enrico, detto Robaldone, Obezzino e Pietro, detto Calcino, quest’ultimo podestà di Milano nel primo semestre del 1323, e marito di Bonacosa, figlia di Matteo Visconti.
L’organizzazione della consorteria Tornielli nel Due-Trecento non è del tutto chiara, ma secondo il notaio-cronista novarese, vissuto nel corso del XIV secolo, Pietro Azario, essa si suddivideva in due grandi rami, l’uno più antico e più radicato in città, poiché aveva anche il patronato della chiesa di San Matteo, l’altro – i cui membri avevano ottenuto privilegi imperiali – aveva i suoi centri di forza nel contado, a Vignarello, a Parona e in altre località della zona meridionale della diocesi.
Furono Calcino e Robaldone i protagonisti degli anni successivi, ottenendo il vicariato imperiale su Novara nel 1329, durante la spedizione di Ludovico il Bavaro.
Ne siamo certi perché nei patti tra il Bavaro e Azzone Visconti se ne parla apertamente: «debebimus confirmare et de novo concedere Ribaldono et Calcino de Torniellis omnia privilegia hinc retro per nos eis concessa, hoc addito quod in civitate et episcopatu Novarie non debebimus facere aliquam novitatem» (Acta regni Ludewici IV, a cura di I. Schwalm, 1914-1927, p. 547); inoltre il 26 novembre 1329 Calcino dichiarava in atti notarili di essere dominus generalis Novariae.
Del resto secondo il cronista Pietro Azario e secondo una lettera dell’antipapa Niccolò V al canonico Giovanni Tornielli, essi avevano aderito allo scisma messo in atto dal Bavaro.
Su questa adesione fece leva Giovanni Visconti che – riconciliatosi con il Papato e desideroso di acquisire il titolo di dominus generalis di Novara, sede diocesana alla quale era stato destinato il 1° agosto 1331 – chiese la condanna dei due fratelli. Calcino fu da lui arrestato il 22 maggio 1332, mentre Robaldone si rifugiò presso Mastino della Scala. Con i signori ghibellini di Verona aveva infatti da lungo tempo relazioni, essendo stato fatto cavaliere da Cangrande della Scala e avendo combattuto per il signore veronese durante l’assedio di Padova (1319-20). A Verona rimase, coprendo qualche carica significativa (fu podestà di Treviso nel difficile 1337, durante la guerra veneto-fiorentino-scaligera), e ivi morì negli anni Quaranta.
Come molti milites provenienti dai lignaggi protagonisti delle lotte di fazione nelle città padane, nel Trecento anche i Tornielli si avviarono dunque a una sorta di ‘professionismo politico-militare’ presso le potenze territoriali superstiti nella competizione politica in atto. Nei decenni centrali del secolo i figli di Robaldone, Antonio e Opezzino, si orientarono verso il Monferrato, allora retto da Giovanni II Paleologo, che si avvalse di loro, ma continuò a coltivare sospetti nei loro confronti come possibili alleati di Galeazzo II Visconti.
In effetti il 18 giugno 1358, mentre Petrarca parlando ai novaresi (con la sua consueta servile retorica) celebrava la conquista viscontea, Antonio Tornielli allora podestà di Asti fu autorizzato a rientrare in città; latore del messaggio fu proprio il notaio Pietro Azario.
Nella seconda metà del Trecento i Tornielli accettarono l’egemonia viscontea e infine il potere ducale di Gian Galeazzo. Fu proprio il vecchio Antonio Tornielli a giurare fedeltà al duca per tutta la consorteria l’11 giugno 1398, conservando in questo modo i beni terrieri, i castelli, le signorie di banno e il potere di comando sui rustici.
Anche nel Quattrocento i Tornielli, ormai divisi in molti rami, si dedicarono prioritariamente alla guerra, non senza compensi e successi. Nel 1449 Giovanni Zanardo, che da due anni combatteva a fianco di Francesco Sforza, anticipando capitali utili alla causa del condottiero ormai avviato alla conquista del Ducato di Milano, ottenne il (peraltro modesto come dimensioni e introiti) castrum et locum Brione, ove nominò podestà un altro Tornielli, Stefano, con il potere di amministrare la giustizia e di riscuotere i proventi fiscali spettanti alla nuova amministrazione ducale. Qualche mese dopo Giovanni Zanardo ottenne dallo Sforza anche il feudo di Barengo, con il villaggio e il vecchio castrum sulla collina, e nel 1466 acquistò da Bianca Maria e Galeazzo Sforza un terzo e redditizio feudo, Nibbiola (nella bassa irrigua). Il suo profilo non è del resto esclusivamente quello di un miles, visto che ebbe un patrimonio stimato in 80.000 fiorini e si impegnò anche nella vita amministrativa cittadina, entrando a far parte, nel 1460, dei decurioni.
Suo figlio, Melchiorre, ottenne anche la dignità comitale, ma preferì vendere la signoria di Nibbiola e il vecchio castrum ai consanguinei Niccolò e Francesco, figli di Romagnolo, costruendo con quei proventi una rocca in Briona, entro lo spazio dell’antico castrum; dunque la nuova fortezza divenne un bene allodiale e non feudale. Dopo la sua morte (1488), beni e diritti furono ereditati dal figlio Manfredo, che tra il 1490 e il 1495 sostenne un duro conflitto con Ludovico Sforza, detto il Moro, ma non per motivi politico-militari, bensì per diritti d’acqua, essenziali per la zootecnia e la risicoltura: un altro segno dei tempi.
Nel 1495 tuttavia Manfredo tornò sullo scenario politico, accordandosi con la potente consorteria dei Caccia di Cavagliano, di Caltignaga e di Mandello, per conquistare Novara e cederla a Luigi d’Orléans. Con i francesi, Tornielli e Caccia restarono coerentemente schierati, riparando prima ad Asti e poi in Francia, rientrando in Italia nel 1499 con Luigi XII e partecipando con Giangiacomo Trivulzio alla cacciata di Ludovico il Moro e alla creazione del Ducato francese in Lombardia.
La famiglia era ormai entrata nella nobiltà del regno di Francia e faceva parte della corte degli Orléans. Si aprivano alla fine del Medioevo nuove strade e nuove possibilità, che avrebbero permesso ai Tornielli di agire con successo entro i contesti ecclesiastici, politico amministrativi e militari dell’Europa in età moderna.
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