TORIO (XXXIV, p. 45)
Prima dell'avvento dell'era atomica la produzione mondiale del torio era destinata in massima parte alla fabbricazione delle reticelle Auer. Ancora nel 1952, quando ormai l'illuminazione elettrica aveva soppiantato completamente la vecchia illuminazione a gas, il 65% della produzione americana di t. era devoluto alla fabbricazione delle reticelle Auer. Inoltre il t. trova impiego nella fabbricazione di leghe speciali Th-Mg per l'industria aeronautica, nella costruzione di elettrodi per tubi catodici, nella fabbricazione, con ossidi di terre rare e in lega al tungsteno, di filamenti per lampade ad incandescenza, come disossidante nella metallurgia del molibdeno e del ferro, nella preparazione di elettrodi destinati alla fusione all'arco in atmosfera di elio, nella fabbricazione di vetri ottici speciali e in metallurgia ceramica per le proprietà del suo ossido. Con la scoperta della fissione nucleare e con la sua applicazione alla produzione di energia per scopi pacifici, la metallurgia estrattiva del t. ha ricevuto un notevole impulso.
Il t. è presente in natura con un solo isotopo, il torio 232. È un elemento fertile che per cattura di un neutrone e due decadimenti beta si trasmuta in un isotopo fissile dell'uranio, U233:
con una reazione molto simile a quella che da U228 porta a Pu239.
Il t. è perciò utilizzato per la produzione di materiale fissile: un reattore nucleare caricato con U235 + Th produce energia a spese dell'isotopo fissile dell'uranio, mentre la massa di t. funge da carica fissile allo stato latente. Durante l'esercizio, cioè, il t. si trasmuta in U233 e può prendere parte attiva alla fissione nucleare. La produzione di U233 può essere sufficiente ad aumentare la vita della carica iniziale di combustibile o può essere superiore al consumo di fissile (reattori "breeder"). La separazione t.-uranio è un problema di chimica calda che anche se involve operazioni delicate non raggiunge mai la complessità della separazione isotopica U238/U235 (v. uranio, in questa App.).
Estrazione del torio dalle sabbie monazitiche. - La principale sorgente a cui si attinge per la produzione del t. e dei suoi derivati, è costituita dalle sabbie monazitiche, miscela di fosfati di t. e terre rare, la cui composizione, variabile da luogo a luogo, è in media: Th 5-10%, terre rare 60%, U 〈 1%, Ti circa 2%, Fe i %, silice 2%, fosfati 25%. Dopo una prima preconcentrazione, eseguita con mezzi fisici (metodi a gravità, elettrormagnetici, ecc.), la monazite viene attaccata energicamente per rendere in forme facilmente estraibili t., uranio e terre rare. I due metodi di attacco consistono nella digestione a caldo del minerale con acido solforico e con soda caustica rispettivamente.
Processo acido. - L'acido solforico concentrato e caldo attacca la struttura complessa della monazite e conduce alla formazione di una massa solida di colore grigio; per lisciviazione con acqua si estraggono in soluzione solforica t., uranio e terre rare, mentre nel residuo insolubile facilmente filtrabile rimangono silice, zircone, rutilo, monazite indecomposta, ecc.
I fosfati delle terre rare e il fosfato e il silicato di t. probabilmente reagiscono all'attacco dell'acido solforico secondo le reazioni:
Le variabili che influenzano velocità e rendimento di estrazione per un dato tempo di digestione sono quattro: finezza di macinazione delle particelle di sabbia, concentrazione dell'acido, rapporto acido/sabbia temperatura iniziale di attacco. Tutte queste variabili, tra loro interdipendenti, sono comunque fissate da limiti di convenienza economica: con tempi di attacco di due-quattro ore circa con H2SO4 al 93%, a temperature iniziali di 150°-16 °C su sabbia con finezza di macinazione oltre 100 mesh e con rapporti acido/sabbia di 1,6-2,5/1, si possono raggiungere rendimenti di estrazione superiori al 90%. La massa reagente deve essere tenuta in agitazione almeno durante i primi stadî di reazione per evitare innalzamenti locali di temperatura: a temperature oltre 250-300 °C è sensibile la formazione di pirofosfati di t. insolubili in acqua.
Dopo filtrazione la soluzione solforica passa alla precipitazione selettiva del t., delle terre rare e dell'uranio. La loro precipitazione avviene nell'ordine su scritto man mano che si innalza il pH della soluzione. In realtà non si ha la precipitazione a distinti valori del pH, ma la formazione di tre frazioni di precipitato entro tre intervalli del PH, la prima costituita da quasi tutto il t. e parte delle terre rare, la seconda dal residuo delle terre rare accanto a poco t. e uranio e la terza da tutto uranio.
La progressiva neutralizzazione è eseguita per semplice diluizione con acqua della soluzione solforica, oppure per addizione di un agente neutralizzante in soluzione acquosa (NaOH o NH4OH) oppure con metodi elettrolitici. Questi ultimi metodi, anche se notevolmente più costosi, hanno il vantaggio sul primo di non diluire la soluzione, sul secondo di non introdurre ioni estranei e su entrambi di una più omogenea distribuzione e di un più rigido controllo del pH della soluzione, cioè a dire di una più netta separazione delle tre frazioni precipitate.
Un metodo di precipitazione messo a punto nei laboratori di Ames (S. U. A.) si basa sulla precipitazione quantitativa con acido ossalico degli ossalati di t. e delle terre rare. In tal modo è possibile recuperare integralmente l'uranio, che rimane in soluzione, e eliminare la presenza di solfati e fosfati nel precipitato, dannosa ai fini del susseguente processo di purificazione. In fig. I è riportato lo schema semplificato del trattamento acido delle sabbie monazitiche seguito nei predetti laboratorî.
Processo alcalino. - Il trattamento alcalino è eseguito con soluzione acquosa di NaOH. La decomposizione della struttura monazitica può essere schematizzata con le reazioni:
Si formano cioè degli ossidi idrati insolubili di t. e terre rare. Anche l'uranio rimane nel residuo insolubile sotto forma di uranato sodico. La ganga, cioè silice, rutilo, zircone, ecc., passa invece in soluzione. A differenza perciò del processo acido, il trattamento alcalino conduce a un residuo insolubile di t., terre rare e uranio e a una soluzione contenente tra l'altro l'eccesso riciclabile di NaOH e fosfato trisodico utilizzabile come sottoprodotto.
Velocità e rendimento di estrazione dipendono, oltre che dal tempo, dalla finezza di macinazione della sabbia, dalla concentrazione della soluzione di soda caustica, dal rapporto soda caustica/sabbia e dalla temperatura di reazione. In un impianto a carattere commerciale si lavora con soluzioni al 30-45% di NaOH, con rapporti NaOH/sabbia di 3/1, 5, a temperature di 140 °C e con agitazione meccanica: in tempi massimi dell'ordine di tre ore si riesce a decomporre oltre il 90-95% della monazite. Viene cioè sacrificato circa il 5-10% di monazite a beneficio di una minore incidenza economica del ciclo estrattivo sull'intero ciclo di produzione del t. metallico.
Il residuo di ossidi idrati dopo filtrazione e lavaggio, è disciolto in acido cloridrico; la soluzione filtrata passa quindi alla precipitazione selettiva con idrossido di sodio o di ammonio. Precipitano quantitativamente t. e uranio, mentre gli elementi delle terre rare rimangono in soluzione: a pH 5,8 tutto il t. e tutto l'uranio passano nel precipitato come idrossidi; le terre rare solo in misura del 2% del totale presente in soluzione. In fig. 2 è riportato lo schema semplificato del trattamento alcalino delle sabbie monazitiche sviluppato nei laboratori del Battelle Memorial Institute.
Altri processi. - Altri metodi di attacco della monazite, di scarso rilievo da un punto di vista commerciale, ma di interesse scientifico sono: la digestione con acido perclorico; la digestione con acido nitrico; la fusione con NaOH, calce e coke; la fusione con KOH; la clorurazione a 700-750 °C con cloro della monazite brichettata con carbone di legna.
Purificazione dei concentrati di torio. - I "concentrati" di t., ottenuti per precipitazione dalle liscivie acide o alcaline, contengono, accanto a t., elevate concentrazioni di impurezze, metalliche e non, tra cui figurano in maniera talvolta preponderante gli elementi delle terre rare.
I procedimenti, seguiti prima ancora dello sviluppo dell'energia nucleare, si riducono essenzialmente alla precipitazione selettiva e alla cristallizzazione frazionata dalla soluzione ottenuta per dissoluzione del concentrato in adatto solvente. Il tenore delle impurezze rimane però sempre troppo elevato per applicazioni dell'elemento in campo nucleare. La purificazione dei concentrati è perciò affidata, come per l'uranio, alla maggiore selettività dei metodi di estrazione per solvente. La grande esperienza acquisita per l'uranio è stata in gran parte utilizzata per il t., date le simili caratteristiche fisico-chimiche dei due elementi.
Attualmente i migliori risultati sono conseguiti con estrazione per solvente da soluzioni nitriche con fase organica costituita da una soluzione di tributilfosfato in idrocarburi alifatici saturi o aromatici. L'estrazione per solvente direttamente dalle liscivie solforiche, senza cioè passare attraverso le fasi di precipitazione e dissoluzione, non ha dato in genere soddisfacenti risultati. Con particolare interesse si guarda ad estraenti organici appartenenti alla famiglia delle alchilammine; in ogni caso si tratta però di applicazioni limitate a impianti in scala da laboratorio o tutt'al più a impianti pilota.
La soluzione purificata del sale di t. uscente dall'impianto di estrazione per solvente viene poi trasformata in un composto, un alogenuro o un ossido di t., suscettibile di riduzione a metallo.
Particolare interesse presenta la produzione del t. attraverso il tetrafluoruro, il tetracloruro e, in misura minore, il tetraioduro.
Preparazione di ThF4 e sua riduzione a metallo. - La produzione di ThF4 dalla soluzione nitrica di nitrato di t. segue due procedimenti, uno per via secca e l'altro per via umida (figura 3).
Quéllo per via secca, detto anche metodo dell'ossalato, è il più usato commercialmente. Dalla soluzione a circa 60 °C si precipita quantitativamente l'ossalato di torio con acido ossalico:
Data la solubilità in acido nitrico degli ossalati di molte impurezze (uranio, titanio, ferro, ecc.) questo metodo migliora la purezza del prodotto finale. L'ossalato dopo filtrazione, lavaggio e disidratazione passa alla calcinazione in forni rotativi a 650 °C; il sale si dissocia e si trasforma in ossido:
L'ossido è poi fluorurato con HF a 550° ÷ 560 °C:
Nel metodo per via umida si precipita dalla soluzione direttamente il tetrafluoruro idrato di t. con soluzione acquosa al 70% di HF a 95 °C:
Dopo essiccazione a 130°-140 °C, il sale è disidratato a 300° ÷ 400 °C in corrente di azoto e HF anidro.
La riduzione di ThF4 a t. è eseguita normalmente con calcio. Poiché però il calore di reazione è insufficiente a portare scoria e t. metallico a temperature superiori alla temperatura di fusione del t., alla carica viene aggiunto il cloruro di un metallo volatile e in grado di formare col t. una lega bassofondente. È usato il cloruro di zinco in proporzioni di 10% circa di ThF4:
La miscela di ThF4, ZnCl2 e Ca deve essere portata per l'innesco a 650°-700 °C e una volta innescata la reazione richiede circa 40 minuti per il suo completamento. Dal lingotto di lega Th/Zn che si raccoglie al fondo del reattore, si separa lo zinco per distillazione sotto vuoto a 1.200 °C. La spugna di t. residua deve essere rifusa per la produzione di lingotti o può essere destinata ad altri usi, per es. alla produzione di t. iperpuro per disproporzionamento del tetraioduro col metodo van Arkel de Boer (v. metallurgia, in questa App.).
Preparazione di ThCl4 e sua riduzione a metallo. - Il procedimento industriale per la produzione del tetracloruro di t. parte dall'ossalato ottenuto per precipitazione con acido ossalico dalla soluzione nitrica del nitrato ed è eseguito con cloro gassoso in presenza di tetracloruro di carbonio.
La clorurazione procede con tutta probabilità in tre tempi secondo le tre reazioni seguenti:
di cui le prime due sono esotermiche e la terza endotermica. Le temperature di reazione oscillano rispettivamente intorno a 330 °C, 530 °C, 580 °C.
Altro metodo di preparazione del tetracloruro si basa sulla carburazione con carbone dell'ossido di t. prodotto per dissociazione termica dell'ossalato (o direttamente del nitrato) e sulla clorurazione dei carburi di t., ThC e ThC2.
Il tetracloruro di t., eventualmente purificato una o più volte per sublimazione, è ridotto a t. metallico con magnesio sulle basi della tecnica di riduzione del processo Kroll applicata già a metalli particolarmente reattivi, quali zirconio, titanio, afnio, ecc. Nel caso del t. la reazione è meno esotermica e richiede calore supplementare dall'esterno perché si raggiunga la temperatura di fusione della lega Th/Mg e della scoria. La reazione è condotta a 850 ÷ 950 °C in atmosfera inerte. Dalla lega Th/Mg si distilla il magnesio e il cloruro trattenuto per riscaldamento sotto vuoto a 925 °C. Anche in questo caso si ottiene una spugna di metallo che per le ulteriori applicazioni può richiedere, come visto, la rifusione sotto vuoto.
In alternativa al processo Kroll, nel 1954 nei laboratorî nazionali di Oak Ridge (S.U.A.) è stato messo a punto un sistema di riduzione con amalgama di sodio. Il tetracloruro viene cioè miscelato con amalgama di sodio contenente 4 moli di sodio per litro di amalgama. Il t. è estratto selettivamente dall'amalgama a temperature di 180 ÷ 300 °C secondo la reazione:
Questa reazione ha rendimenti di estrazione di 93 ÷ 97% circa già dopo trenta minuti di contatto tra le fasi. Dalla miscela di reazione si estraggono con soluzione cloridrica sia il cloruro di sodio che l'eccesso di sodio nell'amalgama. Il composto intermetallico ThHg3, solido e insolubile in mercurio a temperatura ambiente, è separato per filtrazione dall'eccesso di mercurio e ridotto in forma compatta per compressione a freddo. Per sinterizzazione sotto vuoto a 1.100 °C si decompone poi il composto intermetallico e si allontana il mercurio per distillazione.
Riduzione dell'ossido. - La riduzione diretta dell'ossido di t. è eseguita con calcio: la reazione è leggermente esotermica e richiede somministrazione continua di calore dall'esterno per mantenere la temperatura intorno a un valore compatibile con la cinetica (950 °C).
Dopo reazione, la massa risultante è lisciviata con acqua: la esotermicità della dissoluzione dell'ossido di calcio, dell'eccesso di calcio metallico (25% circa) e del cloruro di calcio impiegato come coadiuvante, costringe a un rigido controllo per evitare pericolosi innalzamenti di temperatura della soluzione e il parziale attacco del t. Seguono un lavaggio acido, un lavaggio alcalino, un lavaggio con acqua distillata e la essiccazione della polvere del metallo.
Metodi elettrolitici. - Particolare interesse per la purezza del prodotto, per la semplicità dell'esercizio e per l'onere non molto elevato, presenta l'elettrolisi del fluoruro doppio di t. e potassio o del tetrafluoruro o del tetracloruro di t. in bagno di cloruro di sodio o di cloruri di sodio e potassio. Il deposito catodico dopo macinazione è, lisciviato con acqua fredda e calda e con soluzione cloridrica, indi essiccato e pronto per ulteriori usi.
Fusione del torio. - Il t. prodotto con uno qualsiasi dei metodi esposti si presenta allo stato di polvere o di scaglie o di spugna di più o meno elevata purezza. La fusione in lingotti viene eseguita in forni ad arco con elettrodi consumabili in atmosfera inerte allo scopo di evitare la contaminazione con i materiali dei contenitori (crogiuoli di fusione e di colata) alle alte temperature di esercizio (oltre 1800 °C).
Proprieta' del torio metallico. - Il t. cristallizza in due forme allotropiche, la prima a reticolo cubico a facce centrate (a-=5,089 Å), stabile fino a 1.360 (± 10 °C), e la seconda a reticolo cubico a corpo centrato (a = 4,12 Å) stabile da questa temperatura fino alla temperatura di fusione. Ha densità media di 11,7 gr/cm3 a temperatura ambiente. La sua conduttività termica è molto bassa: a 100 °C è 0,090 cal/sec cm °C; cresce con la temperatura: a 650 °C vale circa 0,108 cal/sec cm °C. Degna di nota è la sua temperatura di fusione: più delle altre proprietà fisiche, questa grandezza è fortemente influenzata dal tipo e dalla concentrazione delle impurezze, e da qui derivano le incertezze dei dati pubblicati nella letteratura. Oscilla intorno a 1.700 °C ma non può, almeno allo stato attuale, essere meglio precisata. Il modulo di elasticità normale del t. varia tra 74,2 e 84,7.104 kg/cm2. Il suo carico di rottura a trazione è piuttosto modesto: già a temperatura ambiente oscilla tra 1.540 e 2.800 kg/cm2. Il carico di snervamento si mantiene all'incirca 700 kg/cm2 al di sotto del carico di rottura; diminuisce rapidamente con la temperatura.
La resistenza alla corrosione del t. è molto bassa e in molti casi anche inferiore a quella dell'uranio. La forte affinità per l'ossigeno lo rende particolarmente sensibile all'azione dell'acqua. A temperature di 80°-100 °C la velocità di corrosione è già molto elevata: l'acqua si decompone con sviluppo di idrogeno. La reazione, inizialmente molto veloce, diminuisce di intensità col tempo in seguito al formarsi di uno strato di Tho2 che oppone una maggiore resistenza al proseguimento dell'attacco. A più alte temperature e con vapor d'acqua la reazione procede più violentemente. Scarsa è anche la resistenza alla corrosione in atmosfere gassose contenenti ossigeno, azoto e idrogeno, anche a pressioni parziali molto basse quali, nel caso dei primí due gas, quelle relative all'argon di produzione commerciale. Con metalli fusi, bismuto, piombo, ecc., il comportamento del t. è del pari pessimo ad eccezione che con litio, sodio e sodio-potassio a temperature tra 500° e 1000 °C, purché in assenza di ossigeno, anche in tracce.
La lavorazione plastica del t. metallico si svolge con una certa facilità, data l'alta duttilità del metallo. Né è necessario ricorrere a particolari accorgimenti nella lavorazione a caldo, quali atmosfere inerti, rivestimenti protettivi, ecc., a meno che non si tratti di pezzi di piccole dimensioni con alto rapporto superficie/volume. In questo caso si può ricorrere a incamiciature in rame o acciai. Gli intervalli di. temperature adottati nella estrusione, nella laminazione e nella fucinatura sono rispettivamente 470-1000 °C, 740-850 °C e 750-960 °C.
Anche la lavorazione alle macchine utensili rientra nella normalità; può essere eseguita anche in assenza di lubrificanti.
La saldatura del t. al t. stesso e ad altri metalli, tantalio, zirconio, titanio, ecc., è praticata con l'arco in atmosfera inerte di elio: la zona saldata si presenta duttile e meccanicamente resistente. Non si può dire lo stesso per le saldature a gas o elettrica, per la tendenza del metallo a ossidarsi rapidamente, e per la brasatura.
Leghe del torio. - Le leghe del t. non offrono particolari vantaggi tali da giustificare il loro impiego in luogo del metallo. Bisogna innanzi tutto dire che gli elementi che possono entrare in lega col t. dando origîne a soluzioni solide di sostituzione o interstiziali sono pochi. Inoltre spesso la lega presenta più scadenti proprietà meccaniche del metallo: è il caso delle leghe con zirconio, titanio e niobio, anche se lo zirconio migliora sensibilmente la resistenza alla corrosione in acqua. In altri casi (leghe con alluminio, niobio, molibdeno, cromo, ferro, berillio e altri) l'alligazione peggiora la resistenza alla corrosione. Inoltre, in generale, salvo poche eccezioni, l'alligazione comporta un aumento di durezza e fragilità, e quindi rende piu difficile la lavorazione plastica. Di particolare interesse sono invece alcune leghe uranio-torio ad alte concentrazioni di t. per la elevata stabilità dimensionale sotto irraggiamento.
Composti ceramici. - Il biossido e il carburo di t. sono due composti del t. con proprietà ceramiche che, per la loro inerzia chimica e per la loro stabilità anche alle alte temperature, sono stati prescelti e spesso impiegati insieme con i corrispondenti composti dell'uranio per la costruzione di elementi combustibili di tipo ceramico a elevato tasso di combustione. Il primo è preparato per dissociazione termica dell'ossalato ad alte temperature allo stato di polvere poco reattiva. Il secondo è invece prodotto per carburazione con carbonio a temperature superiori a 1500 °C dell'ossido ottenuto in uno stato molto reattivo (per dissociazione termica dell'ossalato a temperature inferiori a 600 °C). Le polveri sono trattate con la tecnica della metallurgia delle polveri per la fabbricazione di pasticche, sferette, ecc.
Bibl.: S. Glasstone, Principles of nuclear reactor engineering, New York 1955; M. Benedict e T. H. Pigford, Nuclear chemical engineering, New York 1957; F. L. Cuthbert, Thorium production technology, Reading, Massachusetts, 1958; L. Grainger, Uranium and thorium, Londra 1958; B. Kopelman, Materials for nuclear reactors, New York 1959.