Vedi TOREUTICA dell'anno: 1966 - 1997
TOREUTICA (v. vol. VII, p. 919)
p. 919). - Tecnica. - Un significativo contributo alla conoscenza della tecnica della t. classica è offerto dalle recenti ricerche condotte su calchi in argilla provenienti dall'agorà di Atene e da altre località, risalenti al V sec. a.C. Per la maggior parte si tratta di calchi ricavati subito dopo la fabbricazione del modello, ma occasionalmente sono ottenuti da parti già assemblate dell'oggetto in metallo. I reperti dall'agorà ateniese provengono da contesti la cui cronologia si spinge fino in epoca imperiale e molti esemplari dimostrano chiaramente di essere stati utilizzati per lungo tempo. Mentre in questo caso è documentato nei laboratori l'uso di negativi, i calchi in gesso rinvenuti a Memfi in Egitto indicano l'impiego esclusivo di positivi, utilizzati come modelli per un periodo altrettanto lungo. Secondo C. Reinsberg, buona parte degli esemplari provenienti da Memfi fu realizzata direttamente da un modello in cera. Tale ipotesi resta tuttavia incerta, poiché sono evidenti tracce di combinazione di forme parziali anche in lavori in metallo di età tolemaica, quali il gruppo di lottatori di Istanbul. Sarebbe dunque opportuno definire con maggior precisione l'ambito cronologico in cui fu attiva l'officina di Memfi.
A partire dal tardo ellenismo fino al II sec. d.C., i calchi conobbero una diffusione e un'utilizzazione come modelli anche al di fuori delle specifiche officine, come dimostrano le decorazioni dei sarcofagi a rilievo.
Solo in epoca imperiale si afferma la tecnica della battitura del metallo, destinata a semplificare notevolmente la lavorazione a sbalzo: la lamina di metallo veniva pressata con appositi attrezzi su una forma fissata al tornio. La prima testimonianza di questa tecnica è fornita dal cratere che fa parte del tesoro argenteo di Hildesheim di epoca augustea. Come dimostrano studi recenti, la doratura a fuoco con l'ausilio di argento vivo conosce notevole diffusione a partire dal III sec. d.C., tuttavia la sua comparsa si deve far risalire all'epoca augustea. In un primo tempo sembra prevalere l'applicazione dello strato d'oro tramite pressione o calore, senza saldanti, e occasionalmente di argento vivo freddo.
E. Foltz ha dimostrato che i piatti paleobizantini non constano di due parti separate, ossia di una lamina martellata figurata e di un rivestimento esterno non decorato; molto più probabilmente le parti del rilievo maggiormente in aggetto erano lavorate a sbalzo in una spessa lamina d'argento. Il rilievo era quindi rifinito con scalpello e cesello, mentre la superficie esterna era completamente lisciata al tornio. La parte interna dell'anello di supporto, recante i marchi di controllo, rimaneva inalterata. Anche per la maggior parte degli altri piatti dell'epoca si deve presumere l'impiego di simili tecniche. Tuttavia a Bisanzio, come pure in Iran, è documentata anche la tecnica che prevede l'unione di due vasi, le cui prime attestazioni sono fornite dalle coppe argentee fenicie.
T. minoico-micenea. - Al vasellame metallico minoico-miceneo sono state dedicate numerose monografie. Se per i recipienti in bronzo si evidenzia una koinè con poche forme particolari, nel caso dei vasi in metallo prezioso è stata proposta una differenziazione tra manufatti minoici e micenei, basata in parte su varianti tecniche di scarsa importanza, in parte su considerazioni stilistiche. Tuttavia entrambi i criteri sono problematici: se anche volessimo ammettere che le coppe in oro e quelle in argento da Vaphiò furono lavorate rispettivamente da un toreuta minoico e da un toreuta miceneo, la differenza sarebbe talmente trascurabile da rendere più ragionevole l'ipotesi di una tradizione comune.
T. fenicia. - Come evidenziato dalla recente pubblicazione della Tomba Bernardini, non è ancora possibile attribuire con precisione le c.d. coppe fenicie e altri lavori in metallo a Cipro o alla Siria settentrionale. Per la prima volta G. Markoe ha raccolto tutti i materiali proponendone una classificazione in quattro gruppi cronologici scaglionati tra la metà del IX e il VII sec. a.C. Lo studioso individua una koinè fenicia, senza fare ulteriori distinzioni fra tradizioni locali. Per il VII sec. a.C. Cipro è considerato centro di esportazione, soprattutto per gli oggetti rinvenuti in Italia. Hermary ritiene che la nota coppa di Amatunte sia probabilmente da attribuire alla produzione cipriota e che nella sua iscrizione vada riconosciuta la firma dell'artista. Questa considerazione può valere anche per altre iscrizioni.
Nell'ambito del vasellame in metalli preziosi dall'Etruria, una dettagliata analisi iconografica ha consentito di distinguere una produzione iniziale locale dai modelli orientali.
T. greca arcaica. - L'esiguo numero di vasi greci arcaici in argento è stato accresciuto da più di cinquanta reperti pervenuti dall'Asia Minore al Metropolitan Museum di New York. Il gruppo più cospicuo consiste in coppe di tipo quasi puramente achemenide. Degni di menzione sono due esemplari con teste di tipo persiano applicate, note finora solo dagli inventari templari di Delo. Altrettanto singolari sono altre due coppe che riportano la raffigurazione del Gran Re gradiente o del re con un leone. Si segnalano inoltre brocche di stile prettamente greco dai manici riccamente decorati e, tra le novità, anche gli alàbastra, uno dei quali con ornamentazione incisa che rivela una curiosa commistione di diversi stili figurativi. Nell'ambito dei kyathoi, fortemente influenzati dall'arte achemenide, se ne distingue uno dalla sontuosa decorazione figurata a leoni alati e sfingi. Questi materiali, tuttavia, attendono ancora una pubblicazione dettagliata.
T. greca classica. - Nuove scoperte di manufatti in argento di epoca classica hanno avuto luogo soprattutto in Macedonia, Tracia e Russia meridionale (v. oltre). Per quanto concerne la Grecia, numerosi articoli (M. Vickers) sono stati dedicati al problema della diffusione delle opere in metalli preziosi, finora non adeguatamente messa in risalto. I risultati di tali studi, tuttavia, non hanno mancato di suscitare reazioni negative: va senz'altro riconosciuto che l'impiego del vasellame in metallo era più esteso di quanto spesso non si ammetta, come lasciano supporre le testimonianze letterarie, e che i vasi metallici esercitarono una indubbia influenza sulla forma dei vasi in terracotta, si pensi soprattutto a manici, orli e piedi. È invece azzardato postulare una derivazione della figurazione vascolare, soprattutto della tecnica a figure rosse, dalla tecnica dell'intarsio, finora documentata solo da esemplari dalla Tracia e dalla Russia meridionale. Per tali manufatti è senz'altro più plausibile la vecchia ipotesi di una sostituzione della tecnica a figure rosse con una lavorazione che utilizzava un materiale più prezioso, rispondente al gusto del committente. Relativamente al V sec. a.C., tale spiegazione è probabilmente valida per le opere attribuite a Mys, eseguite in base a schizzi di Parrasio (Ath., XI, 782b).
È probabile che gli inizî di una produzione di vasellame in metallo con decorazione a rilievo si debbano far risalire a non prima del IV sec. a.C.; i riferimenti letterari che potrebbero indicare un'altra cronologia (Marziale e altri) sono da considerare fittizi. Tali vasi sono testimoniati dai già menzionati calchi in argilla e da opere del IV sec. a.C., quali, p.es., il cratere con menadi di Berlino e il cratere di Derveni (v.), recentemente pubblicato. L'argento è testimoniato soprattutto da reperti provenienti da regioni periferiche, quali il rhytón di Trieste o il recipiente a forma di testa con iscrizione licia a Londra. La documentazione toreutica del tardo IV sec. si è arricchita soprattutto grazie ai ritrovamenti effettuati di recente in Macedonia (Derveni, Verghina). La c.d. Tomba di Filippo a Verghina (v. AIGAI) ha restituito pezzi di varia provenienza e cronologia, a volte di carattere singolare. Il corredo è costituito quasi esclusivamente da vasellame da banchetto e comprende kylikes di lavorazione greca, tipici skyphoi e coppe di fabbricazione locale, oinochòai decorate con teste di sileni, catini e secchielli con teste di leone. Sono degne di nota due anfore con la raffigurazione delle teste di Eracle e Pan. Tra le opere più antiche, due coppe achemenidi con emblèmata con testa di sileno. Simili coppe sono state riportate alla luce a Stavroupolis e nella seconda, più piccola, tomba di Verghina, dove si segnala anche una tipica brocca a parete carenata di produzione locale. L'emblema più grande e antico dell'epoca in esame è quello con rappresentazione di Eracle e Auge da Rogozen, in Bulgaria, risalente probabilmente alla metà del IV sec. a.C. Quanto ai servizi da tavola, finora si è a conoscenza solo di un piatto per pesce dalla Tomba di Filippo; tuttavia, stando alla descrizione del macedone Hippolochos lasciata da Ateneo (IV, 128a-130d), essi dovevano essere ampiamente utilizzati. L'estendersi dell'impiego dei metalli preziosi trova testimonianza anche in un dìphros d'argento della stessa epoca, da Stavroupolis, oggi a Salonicco.
Una classificazione della produzione in argento su base regionale è ostacolata dalla mobilità degli artigiani e degli stessi manufatti. Il tentativo di individuare officine locali in base a elementi decorativi caratteristici, quali tralci, ovoli e altri (M. Pfrommer), è senz'altro legittimo da un punto di vista metodologico; sarebbe tuttavia necessario definire preliminarmente la fisionomia artistica delle varie regioni e stabilire i confini di ognuna di esse rispetto alle altre. In tale prospettiva non ci si può limitare all'analisi delle singole opere, prendendo in esame soltanto gli ornamenti. Bisogna altresì tenere conto di altri fattori essenziali nei lavori di t. quali lo stile dei rilievi figurati.
Stando ai rinvenimenti effettuati nel corso degli ultimi decennî, nel territorio abitato dalle tribù tracie, alle opere greche di importazione, quali il già menzionato emblema con Eracle e Auge, si affianca nel IV sec. a.C. una produzione tracia autonoma. Esempî di particolare bellezza sono forniti dal tesoro rinvenuto di recente a Rogozen (v. rogozen, tesoro di), nella Bulgaria nord-occidentale, costituito da 165 vasi in argento. Tra i contenitori con decorazione figurata si evidenzia un gruppo caratterizzato da una tendenza verso composizioni simmetriche, frontalità e stilizzazione lineare. Vi sono rappresentate processioni di dèi e altre scene mitologiche, solo in parte spiegabili alla luce dell'iconografia greca. Le affinità stilistiche che alcuni pezzi mostrano di condividere con altri reperti dalla Tracia occidentale lasciano supporre l'esistenza di un'officina comune. Il gruppo di materiali rinvenuti a Rogozen comprende una replica della coppa di Agighiol, sul delta del Danubio (v. vol. VII, fig. 1052), verosimilmente proveniente dalla stessa area. Nell'ambito dei contenitori a decorazione non figurata, accanto a esemplari quali brocche del tipo di Derveni, troviamo forme semplificate di produzione locale.
Nell'area del Mar Nero la documentazione su manufatti di t. greca parte già dal V sec. a.C. Il rhytón in argento da Uljap, sul Kuban', è in forma di Pegaso ed è databile intorno al 460. Il corpo dell'animale è ricoperto da una lamina dorata con decorazione lavorata a sbalzo, comprendente un fregio con gigantomachia. I reperti dal kurgan di Bratoljubovskij, nel Chersoneso, meritano particolare attenzione per quanto concerne la fase più antica. Una phiàle in oro della metà del V sec. è decorata sulla parete esterna da sei teste di cavalli aggettanti e da incrostazioni in ambra. Un alto vaso cilindrico, la cui funzione non è ancora precisata, presenta diversi fregi con gruppi di animali in lotta; difficilmente attribuibile a uno stile determinato, quest'opera non sembra si possa ascrivere alla produzione greca. Tra i recenti reperti di stile greco-scitico del IV sec. a.C. va ricordato un vaso potorio attualmente nel museo di Kiev decorato da un fregio con guerrieri, alcuni dei quali gesticolano, mentre altri assistono, da porre in relazione al famoso vaso di Kul’Oba.
T. ellenistica. - Il più importante rinvenimento concernente la t. ellenistica effettuato in tempi recenti è costituito da un gruppo di quindici pezzi, conservato al Metropolitan Museum di New York, presumibilmente proveniente dalla Sicilia o dall'Italia meridionale. Esso include coppe dalla ricca decorazione a intarsio e con rosette plastiche applicate, un grande emblema con Scilla, risalente agli inizi del III sec. a.C., più piccoli vasi potorî per offerte, e una pisside con una personificazione seduta con cornucopia e fanciullo in grembo. Un piccolo altare costituisce finora un unicum. Un emblema con ninfa seduta, conservato a Berlino, in cui è già accennato uno sfondo paesaggistico, e una coppa correlata di New York (collezione privata) con rappresentazione di satiro e ninfa, ispirata al famoso gruppo marmoreo, sono attribuibili al II secolo. L'emblema occupa l'intera vasca della coppa, che diviene così il campo figurato per eccellenza.
La datazione del tesoro di Taranto è ancora oggetto di discussione. La cronologia bassa è stata scartata, tuttavia non si è ancora raggiunto un accordo sulla sua attribuzione alla parte centrale o alla seconda metà del III sec. a.C. Non convince l'ipotesi che si tratti di opere di produzione alessandrina, mentre è verosimile che esse siano state lavorate nel luogo del rinvenimento. Per l'epoca intorno al 120 a.C. un nuovo punto di riferimento è emerso grazie al restauro degli oggetti in argento dalla tomba di es- Sum'a. Il medaglione con Posidone seduto, in atto di alzarsi, appartiene anche sotto il profilo stilistico agli inizî del tardo ellenismo. Dall'Iran ellenizzato provengono probabilmente alcuni gruppi di coppe e rhytà acquistati dal J. Paul Getty Museum di Malibu.
T. romana tardo-repubblicana. - Il più cospicuo gruppo di argenti tardo-repubblicani non decorati è rappresentato dal tesoro di Tivoli (o da altra località nei pressi di Roma), noto da tempo, ma pubblicato solo di recente. La sua importanza risiede anche nel fatto che ha fornito una testimonianza epigrafica di servizî di tre vasi, ancora erroneamente considerati peculiarità gallo-romana. A questo si sono ora affiancati uno skyphos e due alte coppe rinvenute nella Saona, presso Thorey, databili intorno alla metà del I sec. a.C., come risulta evidente da un confronto delle forme con rinvenimenti recenti, quali quello effettuato a Palmi (Reggio Calabria) e lo skyphos da Giubiasco (Ticino).
Per gli argenti a decorazione figurata, è stato raggiunto (E. Künzl) un sintetico profilo evolutivo, fino all'epoca dei Flavi. Le due coppe con Venere e Marte dalla Casa del Menandro a Pompei e, tra gli oggetti di carattere decorativo, il kàntharos da Stevensweert, sono datati all'epoca repubblicana; mentre è stata dimostrata (R. Lejeune) l'insostenibilità del vecchio terminus ante quern del 52 a.C. per il kàntharos di Alesia, per il quale una datazione al periodo tardo-repubblicano rimane tuttavia plausibile.
Opere di particolare pregio di epoca tardo-repubblicana/proto-augustea sono le due coppe del J. Paul Getty Museum a Malibu, con ghirlande sostenute da eroti in volo. Al di sopra di essi sono raffigurati uccelli in volo ritratti in movimenti molto complicati, mentre in basso sono raffigurati attributi dionisiaci. La profondità del rilievo è molto marcata, tuttavia, rispetto alla coppa di Alesia, qui là lavorazione è caratterizzata da passaggi più morbidi.
T. augustea e giulio-claudia. - Il più significativo rinvenimento di argenti augustei avvenuto di recente è costituito dal kàlathos da Wardt-Lüttingen, nel Museo di Bonn. Nel fregio che lo circonda si rappresenta una scena nuziale, le cui figure avrebbero più tardi fornito i modelli alla scena della consegna dei doni nuziali di Giasone a Creusa sui sarcofagi di Medea. Tuttavia sulla coppa d'argento troviamo raffigurati frutti, un betilo e un parasole: la donna è sprovvista di velo e la scena sembra svolgersi all'interno di un tempio, cosicché si è giustamente dubitato che la coppa riporti il tema di Giasone e Medea; si tratta probabilmente di una scena di genere, successivamente adottata e rielaborata all'interno delle officine marmorarie. In ogni caso, il pezzo è significativo in quanto, analogamente ai calchi da Begrām e da Memfi, costituisce un'ulteriore testimonianza del ruolo svolto dalla t. come fonte di ispirazione per i rilievi dei sarcofagi.
Alle coppe rinvenute a Hockwold, in Inghilterra, è stata restituita la forma originaria grazie a un lavoro di restauro. Il reperto di maggiore spicco, una coppa con ghirlanda di rami di olivo e tralci di vite, rivela una superficie più movimentata e morbida della maggior parte dei pezzi affini. La coppa è verosimilmente databile a epoca claudio-neroniana. Decisamente singolare è un'altra coppa con decorazione incisa a foglie pendenti ed erette; l'ansa, con rami applicati, trova un parallelo in un nuovo reperto da Ambrussum, nella Francia meridionale. Su base stratigrafica, essa può essere datata intorno alla metà del I sec. d.C.
Alla stessa epoca può essere riferita la coppa da Avenches, con rappresentazione di pescatori impegnati nella riparazione di una barca e durante la partenza per la pesca, accompagnata da sacrifici. La resa del paesaggio è qui molto più contenuta rispetto alla famosa coppa dalla Casa del Menandro, e lo stesso può dirsi per la brocca con centauromachia da Pompei, di recente esposta a Monaco di Baviera.
Le due coppe con aironi da Vize (Tracia), attualmente a Istanbul, rivelano una straordinaria semplicità e, contrariamente agli esemplari da Boscoreale e di New York (Pierpont Morgan Library), dimostrano tratti palesemente provinciali; sembra da escludere che esse siano state prodotte in Italia.
L'esatta cronologia degli argenti sia augustei sia di epoca più tarda è ancora oggetto di discussione. La sequenza estremamente dettagliata proposta a suo tempo da Küthmann non è più accettabile; ciò trova supporto nella constatazione che il tesoro di Hildesheim non fu seppellito agli inizî dell'epoca augustea, ma solo intorno al 70 d.C., successivamente alla rivolta dei Batavi. Resta ancora da chiarire se, a parte la patera, per la quale un confronto finora non preso in considerazione è fornito dalla nave di Caligola a Nemi, vi siano anche altri pezzi databili a epoca postaugustea. La sequenza evolutiva elaborata da E. Künzl postula una crescente spazialità e dissoluzione della superficie, in cui si inseriscono anche elementi di paesaggio. Tuttavia non è chiaro se tali forme stilistiche non fossero già presenti in epoca pre- e proto-augustea. In tempi recenti si è spesso discusso il problema dell'assenza nella t. di pezzi che in qualche modo testimonino la passione, nota dalle fonti scritte, per la collezione e la copiatura di opere più antiche. Il tentativo di riconoscere repliche di originali classici in decorazioni figurate basandosi sull'analisi di elementi, quali forme dei vasi o delle anse, come è stato fatto per le brocche con Vittorie che sacrificano un toro da Boscoreale, risulta poco convincente. È più ragionevole ipotizzare l'impiego di modelli tardo-ellenistici, come nel caso della coppa con Atena da Hildesheim, o di opere di poco più antiche, quali la coppa Corsini.
Da un punto di vista metodologico, particolari difficoltà pone la definizione dell'«argenteria di carta», in quanto essa non presenta caratteri espliciti, come la coppa da Boscoreale, ma attinge spesso al repertorio mitologico. Nessuna delle attribuzioni finora proposte è incontestabile; sembra tuttavia si sia raggiunta l'unanimità sulla coppa con scena giudiziaria da Meroe e sul piatto in argento da Aquileia.
T. romana dai Flavi ai Severi. - Opera rappresentativa della t. flavia è lo specchio d'argento di Karlsruhe, probabilmente proveniente dall'Iran, che riporta il busto di Domiziano con una piccola figura di Minerva rappresentata sul margine anteriore del busto. Il lavoro è firmato da Euporos.
Dalle regioni oltre i confini dell'impero provengono ulteriori manufatti in argento, che possono essere considerati doni ufficiali, sebbene solo a livello locale. Si tratta di coppe in argento con i busti di Antinoo e di Marco Aurelio, dalla Georgia. Questi lavori sono significativi in quanto costituiscono i precedenti dei missoria tardo- antichi.
Sempre dalla Georgia provengono altri oggetti del II sec. d.C., quali, p.es., una coppa con maschere e animali, una coppa con grandi motivi a sbalzo e una ciotola e un piatto il cui orlo era decorato da una natura morta marina. Questi motivi, che ebbero una particolare diffusione in Gallia, erano noti tuttavia, come dimostrano gli oggetti menzionati, in tutto l'impero; uno skyphos rivela un trattamento semplificato del motivo a linguetta che, noto da testimonianze pompeiane, potrebbe datare il pezzo al II sec. d.C.
Altri significativi reperti provengono da Stráze, in Slovacchia. Si tratta di uno skyphos con maschere e attributi dionisiaci, una coppa con bucranio e rapaci, diversi piatti e utensili, ma in particolare un grande piatto figurato con medaglione intarsiato e orlo a rilievo, di un tipo noto finora soltanto da un esemplare da Biserta. È possibile che il lavoro di intarsio del medaglione centrale si ricolleghi intenzionalmente a tecniche dell'alta classicità. Nel medaglione centrale della lanx da Stráze è rappresentata una scena di giuramento con sacrificio, mentre il bordo presenta una sequenza di scene ispirate alla leggenda di Bruto e alla cacciata dei Tarquini (J. Dekan). Non è facile stabilirne la datazione con precisione, tuttavia è probabile che l'esecuzione risalga al periodo adrianeo.
Una brocca d'argento, appartenente a una collezione privata con scena di sacrificio e firmata da tale Octavius Menodorus, pone particolari problemi di cronologia. Nella pubblicazione che l'ha resa nota, essa viene datata agli inizî dell'epoca augustea, ma ciò non è sostenibile considerato il suo stile. È più ragionevole supporre che si tratti di un lavoro della metà del II sec. d.C., a giudicare da alcune insolite caratteristiche (attache a protome taurina, doratura dell'intera superficie), che probabilmente rispondono al gusto di un committente residente oltre i confini dell'impero. Agli esemplari con rappresentazioni di natura morta marina si affiancano altri pezzi, due dei quali provenienti dalla Romania. Il motivo conobbe ampia diffusione, anche nelle decorazioni musive delle abitazioni coeve.
Negli studî recenti la cronologia degli argenti di età medio-imperiale permane incerta; i punti di riferimento sicuri sono ancora scarsi. Soltanto per la Gallia si dispone di una cospicua quantità di tesori, tuttavia databili a non prima del tardo II sec. d.C.
Nuove scoperte e ricerche hanno fatto progredire le nostre conoscenze riguardanti l'argenteria romana in Gallia, dove la quantità di materiali noti supera di gran lunga quella di altre provincie. Recenti studi (F. Baratte) hanno dimostrato l'esistenza, nel tardo II e nel III sec., di officine galliche, i cui prodotti non si distinguono da un punto di vista qualitativo da quelli di altra provenienza. Tale circostanza, pertanto, rende particolarmente arduo il tentativo di distinguere i pezzi importati. Solo opere di carattere spiccatamente provinciale, quali l'emblema con la raffigurazione di un principe dei Severi da Notre Dame d'Alençon, potrebbero essere attribuite, in base alle loro peculiarità iconografiche, più probabilmente alla produzione siriaca che non a quella gallica. In assenza di elementi iconografici e tecnici specifici, l'identificazione dei lavori gallo-romani risulta impossibile.
Relativamente agli inizî dell'epoca imperiale, l'ipotesi dell'esistenza di officine provinciali per la lavorazione dell'argento è stata messa in discussione (E. Künzl). In realtà la questione non è di facile soluzione, soprattutto se allo stesso tempo si dà per certa l'esistenza di imitazioni germaniche di argenteria romana dall'area del Baltico. Che già in epoca augustea officine di argentieri lavorassero per soddisfare i gusti locali sembra testimoniato dalla coppa di Lione con divinità galliche; di probabile produzione gallica sono anche i due boccali dal tesoro di argenti di Hildesheim, che con la loro decorazione prevalentemente incisa rappresentano solo un'officina particolarmente bizzarra. Di lavorazione gallica sono ancora alcuni esemplari tardi appartenenti al tesoro di Berthouville (fine del II sec. d.C.), probabilmente eseguiti per essere dedicati a Mercurio Canetonensis. A epoca precedente risale la coppa con collarino dal tesoro di Graincourt, forma caratteristica della Gallia, attestata fino al IV secolo. Un'altra forma tipica è il piatto con orlo perlato e motivo floreale niellato al centro, documentata in numerosi esemplari nel tesoro di Rethel, e ancora coppe con simile decorazione. Ne troviamo i prototipi nelle città vesuviane e - in combinazione con un intarsio in oro - nel tesoro di Vienne.
Una decorazione particolarmente prediletta per coppe molto semplici, a pareti sottili, consiste in cerchi, ovoli e altri motivi punzonati, che ricordano il vetro levigato. Il numero di tesori riportati alla luce in Gallia, compresi i piccoli gruppi di vasi o utensili e gioielli o monete, costituisce una prova convincente della vasta diffusione dell'argenteria nell'epoca in questione, ma anche del suo valore materiale.
La diffusione di argenti e il numero di officine preposte alla loro lavorazione in altre provincie non dovettero essere stati molto inferiori. Solo per l'Egitto è documentata un'apprezzabile quantità di reperti, che tuttavia non consentono di individuare forme peculiari. La stessa considerazione vale per le scoperte, meno numerose, effettuate nelle provincie danubiane.
T. tardoantica. - Nell'ambito delle numerose nuove scoperte e pubblicazioni di argenteria tardoantica un posto di rilievo spetta al tesoro attualmente conservato a Monaco di Baviera (Collezione Statale Preistorica), probabilmente proveniente dai Balcani orientali. Tre coppe sono decorate da medaglioni con la rappresentazione di Licinio II e, come si deduce dalle iscrizioni, furono lavorate a Nicomedia e Antiochia. Si tratta di coppe di largizione per il giubileo quinquennale del regno di Licinio II, che ebbe luogo nel 322 d.C. Altre coppe con iscrizioni dedicatorie provengono dalle officine di Naissus e di Antiochia. Di recente è stata messa in discussione (R. Delmaire) la diffusa opinione secondo cui si tratterebbe di officine governative; ciò implica conseguenze anche nella valutazione del contesto sociale di altri lavori in argento tardoromani, quali p.es. il tesoro di Kaiseraugst, comprendente anche un pezzo da Naissus. In ogni caso si può affermare l'esistenza di officine di pari livello in diversi centri almeno fino al VI sec., stando alle testimonianze fornite dal piatto di Gemila, sicuramente prodotto a Cartagine. Tuttavia solo in pochi casi il luogo di rinvenimento o lo stile rendono possibili attribuzioni precise, come nel caso del tesoro dell'Esquilino.
Il tesoro di Kaiseraugst è stato reso noto da una pubblicazione esemplare, in cui sono trattati tutti gli aspetti tecnici, dalla classificazione tipologica dei vasi e degli utensili alle questioni iconografiche e stilistiche. Le monete e i lingotti d'argento, rinvenuti in associazione con gli altri materiali, consentono di datare il tesoro immediatamente dopo l'anno 350 d.C. Gli oggetti furono lavorati nel corso dei decenni precedenti; alcuni di essi, a decorazione non figurata, sono probabilmente di produzione gallica. Il piatto di Euticius proviene sicuramente da Naissus - cui possono essere attribuiti anche altri pezzi, quali il piatto di Arianna. Mentre l'esecuzione del piatto di Achille, grazie a un'iscrizione, può essere localizzata a Salonicco, resta incerta la provenienza di quello con una città marina (Roma?).
Per quanto concerne il tesoro dell'Esquilino, anch'esso oggetto di una nuova pubblicazione, l'officina va sicuramente localizzata a Roma. Per la datazione, è stato proposto (K. J. Shelton) il periodo intorno alla metà del IV sec., cronologia da altri contestata (A. Cameron) per motivazioni di carattere storico che confermerebbero la datazione tradizionale, ossia la seconda metà dello stesso secolo; in base a considerazioni stilistiche, tuttavia, un'attribuzione al terzo quarto del secolo è la più plausibile.
Il più significativo ritrovamento di t. tardoantica effettuato negli ultimi decenni è il c.d. tesoro di Seuso, comparso sul mercato antiquario nel 1990, ma probabilmente noto già da tempo. La provenienza è poco chiara, come del resto il luogo di deposizione, nonché la possibilità che ne facessero parte anche altri pezzi. Il tesoro prende nome da un'iscrizione con dedica su un piatto con scena di caccia e di banchetto all'aperto, affine al piatto di Cesena. L'oggetto è di dimensioni notevoli (diam. 70 cm), ma non è il più grande del tesoro; troviamo una decorazione insolitamente ricca anche nei restanti tredici pezzi, la cui esecuzione è databile tra la metà del IV e il V sec. circa. Tra le opere più tarde sono i due piatti, lavorati a rilievo, di Achille e di Meleagro. Il primo, datato all'anno 400 c.a, presenta un medaglione centrale simile a quello del piatto di Augst, ma circondato da un fregio con scene dionisiache e la contesa tra Atena e Posidone; il secondo, più tardo, presenta nel medaglione e nel fregio scene ispirate all'episodio della caccia al cinghiale calidonio. Alcune parti del rilievo risultano applicate. Un'anfora, di forma simile a quella da Concesti, è decorata da figure dionisiache e marine. Anche le due brocche con figure dionisiache isolate, animali e venatores incise come gemme ricordano forme tarde. Questi oggetti sono forse da datare a non prima del tardo V secolo. Una brocca e due situle con scene identiche tratte dal mito di Ippolito sembrano di epoca precedente. Un contenitore da toletta ricorda per soggetto e stile un esemplare affine dall'Esquilino. Si spera che, chiariti i problemi di ordine legale, questo gruppo di materiali, che colma una lacuna nella nostra documentazione, non venga smembrato.
Tra i grandi piatti figurati del IV sec., la lanx da Parabiago è stata datata in uno studio recente alla fine del secolo e messa in relazione alle aspirazioni religiose e culturali della cerchia di Simmaco. Nello stesso gruppo E. Künzl include anche la coppa da Altenwald, oggi a Hannover, in cattivo stato di conservazione, ma originariamente di eccellente qualità. In essa si rappresenta in toni molto drammatici la gara tra Atena e Marsia, cui assistono numerose figure secondarie. L'accentuata corposità dei personaggi, ormai persa nel missorium di Teodosio, potrebbe far ipotizzare per entrambi i pezzi una datazione un po' più alta, ossia la metà del secolo o poco dopo. Ai piatti figurati bizantini con scene mitologiche si aggiunge il bell'esemplare da Castelvint, attualmente a Venezia. C. Calvi ha dimostrato che il soggetto - il mito di Atena e Tiresia - segue la versione di Callimaco e che, dunque, la rappresentazione del piatto ha preso a modello l'illustrazione di un manoscritto, similmente a quanto è stato ipotizzato per il piatto di Davide da Cipro.
Di recente sono state rese note due brocche in argento da Tauteni (Romania). La più antica, risalente alla metà del IV sec. circa, mostra - sebbene finora non sia stato compreso - su un lato la contesa tra Atena e Posidone, ispirata al famoso gruppo scultoreo, e sul lato posteriore Bellerofonte. La seconda brocca, forse di poco più tarda, è decorata da diversi fregi, tra cui si distingue un tiaso dionisiaco.
Pezzo particolarmente significativo è l'anfora da Porto Baratti, a Firenze, che imita nell'argento una decorazione a gemme. Un parallelo non ancora riconosciuto è fornito da un frammento di Belgrado. È probabile che l'anfora risalga alla metà piuttosto che alla fine del IV sec., come dimostrano palesi affinità con il tesoro di Mildenhall. Le «gemme» riportano in file isolate soggetti quali putti, eroti, satiri e menadi, ma soprattutto figure mitologiche che formano gruppi completi (p.es., il giudizio di Paride). L'identificazione di numerose singole figure è ancora problematica (lo «Zeus» è sicuramente un dio del vento); resta inoltre da chiarire se l'anfora sia da considerare un oggetto di culto o un raffinato pezzo da tavola.
Di particolare interesse, quale più tardo esempio noto di tesoro templare, è il tesoro di Thetford (Inghilterra orientale). Oltre a gioielli, esso include soprattutto cucchiai a forma di cigno e suppellettili da tavola, originariamente consacrati a Fauno e successivamente divenuti forse proprietà di un gemmarius commerciante. I materiali sono da datare al tardo IV secolo. Degli inizî del V sec. è il tesoro di Hoxne (Suffolk), trovato assieme a una immensa quantità di monete. L'argento da tavola è rappresentato da coppette e cucchiai.
Un'idea della composizione di un tesoro ecclesiastico del IV sec. è fornita dal ritrovamento effettuato a Water Newton (Durobrivae), nell'Inghilterra orientale. Il tesoro comprende una patera, una brocca e diversi vasi potorî, in parte recanti iscrizioni incise, come pure una serie di lamine votive, note finora soltanto da santuari pagani e da reperti di epoca tarda dalla Siria. I vasi potorî non si differenziano ancora nella forma da quelli di uso comune.
Per lo studio dei tesori ecclesiastici tardoantichi è stato importante poter stabilire che le opere di VI sec. pervenute in varî musei e indicate come provenienti da Stuma, Riha, Hama e Antiochia costituivano originariamente un unico tesoro appartenente alla chiesa di S. Sergio a Kaper Koraon, sito probabilmente da identificare con la località Kurin, a SO di Aleppo. Il cospicuo numero dei pezzi (56), di fattura molto variabile, indica che nell'epoca in esame erano attive ancora molte officine destinate a esaudire anche la domanda locale.
È probabile, ma non certa, un'attribuzione ecclesiastica del tesoro rinvenuto a Sucidava, sul delta del Danubio, in gran parte databile al IV sec., privo di attributi cristiani a eccezione di un reliquiario con decorazione a croce.
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