TONDINO di Guerrino
TONDINO di Guerrino. – Importante orafo attivo a Siena nella prima metà del Trecento, documentato tra il 1322 e il 1340.
Secondo la ricognizione archivistica più recente (Cioni, 1998, pp. 159, 170 s., 360-362), nel 1322 l’artista vendette ai Signori Nove di Siena un bacile d’argento; tre anni dopo fece causa, a nome suo e del socio Andrea Riguardi, all’orafo fiorentino Gellino di Geri, loro debitore; nel 1327 fu pagato per un fregio d’oro per l’altare dei Signori Nove. Al 1340 risale l’ultima notizia documentaria: la denuncia di un prestito a un fornaio.
Un lodo arbitrale recentemente pubblicato (Cioni, 2010) informa che nel marzo del 1351 Giacomo di Guerrino e Giacomo di Tondo, rispettivamente il fratello minore e il figlio di Tondino, si accordarono per la spartizione dei beni dell’orafo, il cui decesso dovette avvenire quindi tra il 1340 e il 1351. Dal medesimo documento si apprende che l’artista ebbe anche tre figlie (Nicolosa, Naddina, Bartolomea), rappresentate in tale occasione dal fratello.
L’attività di Tondino si svolse principalmente tra il terzo e il quinto decennio del XIV secolo, nel pieno apogeo dell’oreficeria gotica senese.
Tre le opere a lui certamente attribuibili pervenuteci: il calice conservato al British Museum di Londra (inv. 1960.1203.1), recante la doppia firma di Tondino e di Andrea Riguardi, e le due patene della Galleria nazionale dell’Umbria, con smalti traslucidi raffiguranti la Resurrezione (inv. 1014) e S. Giacomo e un pellegrino (inv. 1015; certamente ante 1326, cfr. Santanicchia, 2005), relative ai calici sottoscritti dai due orafi, realizzati per la sacrestia di S. Domenico a Perugia e oggi perduti.
Più numerose le opere note solo a livello documentario. Sei i calici sottoscritti dal solo Tondino: uno a Pistoia, nella sacrestia del duomo (1328), uno nel Tesoro della basilica francescana di Assisi e quattro nella chiesa di S. Agostino a Siena, gli ultimi cinque muniti di patene smaltate. Inoltre, i già citati calici per la sacrestia di S. Domenico a Perugia e uno destinato al convento della Verna, munito di patena, tutti firmati anche dal socio Andrea (Cioni, 1998, p. 170 e relative note).
Centrale e problematico, nel dibattito critico, il rapporto societario con Andrea Riguardi. Il calice di Londra, firmato dai due, si situa tra il 1317 – anno di canonizzazione di s. Luigi di Tolosa raffigurato in uno degli smalti – e, per ragioni stilistiche, il 1320 circa. Impossibile dire quando si sciolse la societas.
Il recupero critico dei due orafi prende avvio dal fortuito ritrovamento delle patene nella chiesa di S. Domenico a Perugia (Santi, 1955). Pierluigi Leone de Castris (1980) ha dedicato loro il primo studio approfondito, partendo dall’analisi del calice londinese per cui ha proposto una netta distinzione di mani (pp. 25 s.): a Tondino, personalità autonoma e originale, ha attribuito le placchette del piede, e ad Andrea Riguardi, emulatore corsivo dei modi del socio, le figurazioni del pomo. Su basi stilistiche, ha inglobato nel corpus di Tondino altre tre opere in smalto champlevé a figure risparmiate: due medaglioni, databili all’inizio degli anni Dieci (uno con S. Elisabetta, oggi al Louvre, inv. OA 2011, e l’altro con S. Antonio di Padova, al Kunstgewerbemuseum di Berlino, inv. 97.5), e una placchetta, collocabile attorno al 1315, con la Madonna in trono col Bambino, s. Pietro e s. Paolo, al Museo del Bargello di Firenze (inv. 678C; ibid., pp. 24 s.).
Alla bottega dei due orafi Leone de Castris ha riferito anche le Croci di S. Vittoria in Matenano e del Louvre (inv. OA 10656), gli smalti della Croce detta di Roberto il Guiscardo (Museo diocesano di Salerno), il reliquiario a ostensorio del Musée de Cluny (1331; inv. Cl. 9190) e il calice del Tesoro del reverendo Capitolo di S. Pietro in Vaticano (ibid., pp. 29-40).
Sul calice londinese è intervenuta anche Élisabeth Taburet (1983, p. 152), attribuendo a Tondino la struttura orafa e ad Andrea gli smalti, in base alle notizie documentarie che vedono il primo pagato per opere in metallo prezioso.
Elisabetta Cioni (1998, pp. 160-172) si è soffermata a lungo sulla questione. La stretta parentela stilistica tra gli smalti del calice londinese e quelli del calice di Gualdo Tadino, sottoscritto – insieme ai ‘soci’ – da Duccio di Donato, orafo senese attivo a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, ha indotto la studiosa a interrogarsi e riflettere sul significato delle firme apposte nel Medioevo sulle opere di oreficeria (pp. 160-162), oggetti per eccellenza d’‘assemblaggio’, sulla scia di quanto espresso da Giovanni Previtali (1995). Esse sono da leggersi non come attestazione di autografia, quanto piuttosto come un marchio di fabbrica, una certificazione di qualità, anche se le ragioni alla base della sottoscrizione trecentesca restano in parte tuttora ignote. Alla luce di queste riflessioni, Cioni (1998, pp. 171 s.) ha ipotizzato un ‘alunnato’ di Tondino presso Duccio di Donato, al termine del quale l’orafo fondò una propria bottega, gestita prima con Andrea Riguardi e poi con membri della sua stessa famiglia (il fratello, Giacomo di Guerrino, e il figlio, anch’esso di nome Giacomo come lo zio; Cioni, 2010), bottega certamente molto importante e rinomata, e attiva lungo tutto il XIV secolo e anche agli inizi del successivo.
Merito di Cioni (1998, pp. 271-285) è inoltre il recupero critico della «felicissima intuizione» di Roberto Longhi (1970), che vedeva nello smaltista delle patene perugine l’autore di un monumento dell’oreficeria gotica, il reliquiario un tempo a Frosini, decorato con Storie di s. Galgano, definite dallo studioso come l’«apice figurale degli smalti senesi» (p. 7). La forza di questo linguaggio, vigoroso e dinamico, è sublimata dalla freschezza narrativa delle scene e dalla gamma cromatica brillante. In ragione della vicinanza alla pittura di Pietro Lorenzetti, Cioni (1998, pp. 276-280) propone di datarlo precocemente, negli anni Venti del Trecento.
Secondo la studiosa (ibid., pp. 349-360), due smaltisti di notevole livello operarono in questa bottega. Al primo, storicamente identificabile in Tondino, si devono gli smalti delle opere riferibili per evidenze documentarie a lui e ad Andrea Riguardi e quelli affini stilisticamente, tra cui quelli del reliquiario di Frosini. Al secondo smaltista, il cui linguaggio si distingue per un tono più raffinato e talvolta languido, le placchette traslucide della Croce di S. Vittoria in Matenano, il medaglione con S. Marco nella Sacra Cintola di Pisa e gli smalti della Croce detta di Roberto il Guiscardo.
Cioni si è soffermata infine sui calici del Tesoro Vaticano e del Metropolitan Museum di New York (inv. 1988.67) e sul reliquiario del dito di s. Cerbone (Massa Marittima, Museo di arte sacra), con placchette probabilmente della stessa mano degli smaltisti sopra citati. Si tratta di opere da riferire a una fase posteriore dell’attività della bottega dei ‘Tondi’, tra il quarto e il quinto decennio del secolo (ibid., pp. 335-349).
Più recentemente la studiosa ha persuasivamente proposto di ascrivere al corpus di Tondino gli smalti (inediti) del calice detto di Pio II (ora Siena, Museo dell’Opera del duomo; Cioni, 2010).
Se dei nuclei di smalti stilisticamente affini sono ormai definiti, massima prudenza occorre nell’individuazione storica dei loro autori, data la scarsa conoscenza del funzionamento di una bottega orafa medievale, della ripartizione del lavoro e del significato delle firme apposte sulle opere.
Fonti e Bibl.: F. Santi, Ritrovamento di oreficerie medioevali in S. Domenico di Perugia, in Bollettino d’arte, s. 4, XL (1955), pp. 354-385; R. Longhi, Ancora per San Galgano, in Paragone, XXI (1970), 241, pp. 6-8; P. Leone de Castris, T. di G. e Andrea Riguardi: orafi e smaltisti a Siena (1308-1338), in Prospettiva, 1980, n. 21, pp. 24-44; É. Taburet, in L’art gothique siennois (catal., Avignone), Florence 1983, pp. 151 s., n. 46; P. Leone de Castris, Trasformazione e continuità nel passaggio dello smalto senese da champlevé a traslucido, in Atti della prima Giornata di studio sugli smalti traslucidi italiani, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, XIV (1984), pp. 533-556; G. Previtali, Scultura e smalto traslucido nell’oreficeria toscana del primo Trecento: una questione preliminare, in Prospettiva, 1995, n. 79, pp. 2-17; E. Cioni, Scultura e smalto nell’oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998, passim (con riferimento alla bibliografia precedente); M. Santanicchia, Il committente del calice di T. di G. e Andrea Riguardi per il San Domenico di Perugia, in Prospettiva, 2005, nn. 117-118, pp. 149-151; A. Dietl, Die Sprache der Signatur. Die mittelalterlichen Künstlerinschriften Italiens, II, Berlin-München 2009, pp. 934, n. A289, 961 s., n. A308, III, pp. 1193 s., nn. A452-A453; E. Cioni, Nuove acquisizioni sulla bottega ‘dei Tondi’: un documento e alcuni smalti, in Opera Nomina Historiae, 2010, nn. 2-3, pp. 151-218; S. Riccioni - M. Tomasi, in Opere firmate nell’arte italiana. Medioevo. Siena e artisti senesi. Maestri orafi, a cura di M.M. Donato, Roma 2013, pp. 43-65; Ori, argenti, gemme e smalti della Napoli angioina, 1266-1381 (catal.), a cura di P. Leone de Castris, Napoli 2014, pp. 158-163, n. 14, 166-171, n. 15, 178-183, n. 17; E. Cioni, Per l’oreficeria senese della seconda metà del XIV secolo. Una ulteriore proposta per la bottega ‘dei Tondi’, in Orfèvrerie gothique en Europe: production et réception, a cura di É. Antoine-König - M. Tomasi, Roma 2016, pp. 219-238; G. Davies, The organisation of goldsmiths’ trade in Trecento Siena: families, workshops, compagnie and artistic identity, ibid., pp. 13-29.