tonare
Nella III singol. indic. pres., di solito tona, una volta tuona; sempre in rima, con un'eccezione.
L'uso del verbo con il valore proprio è attestato in similitudini suggerite o da credenze popolari diffuse ai tempi di D. (Rime CXI 7 fa come que' che 'n la tempesta sona / credendo far colà dove si tona / esser le guerre de' vapori sceme; si noti la forma impersonale introdotta dalla particella pronominale) o dal cupo fragore prodotto da tuono: nel secondo girone del Purgatorio la voce misteriosa che grida un esempio d'invidia punita irrompe nell'aria con sì gran fracasso, / che somigliò tonar che tosto segua (Pg XIV 138); qui l'infinito, usato sostantivamente, riprende, variandolo, il motivo del v. 134 fuggì come tuon che si dilegua.
Negli altri esempi compare in costruzione personale con l'accezione di " produrre un tuono ": If XXXI 45 li orribili giganti, cui minaccia / Giove del cielo ancora quando tuona; Pd XXIII 99 parrebbe nube che squarciata tona, ben chiarito dalla chiosa del Buti: " tuono, secondo il filosofo, è sforzato aprimento di nube ".
In Pd XXXI 73 quella regïon che più sù tona, il senso complessivo è chiaro: " la parte più alta dell'atmosfera dove si formano i tuoni "; meno facilmente definibile è il valore esatto del verbo, giacché esso potrebb'essere usato in costruzione personale con il significato ora illustrato (e in questo caso che sarebbe soggetto); ma potremmo anche trovarci di fronte a una forma impersonale retta da un che corrispondente a " in cui ", " nella quale " o a " quando " (è però da avvertire che quest'uso del pronome relativo è più frequentemente attestato allorquando il sostantivo reggente denota una nozione temporale e non locale).