TALENTI, Tommaso
– Figlio primogenito maschio di Giovanni di Filippo e di una Vagia, Talenti nacque in una data incerta da collocarsi fra terzo e quarto decennio del secolo XIV.
La famiglia, per tradizione dedita alla mercatura, era di origine fiorentina; ma già il nonno Filippo era migrato a Forlì.
Nel testamento, dettato il 24 ottobre 1346 (copia in Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di San Marco de citra, 141), Filippo di ser Landi è detto infatti «de Florentia et nunc habitator civitatis Forl(ivi)»; in una pergamena del 27 ottobre 1348 (ibid.) il medesimo Filippo è detto, più precisamente, «Florentinus civis, habitator et mercator civitatis Forl(iv)i contr(atae) burgi Merlonum»; in quella stessa pergamena, Filippo, già procuratore dell’eredità che sua moglie Andriola Agolanti aveva ricevuto dal di lei fratello Tommaso, nomina procuratore in suo luogo, per la medesima eredità di Andriola, il figlio Giovanni. I Talenti erano dunque imparentati con i potenti Agolanti, ghibellini fiorentini migrati in Romagna fin dal XIII secolo. Nel testamento, Filippo dimostra peraltro di essere egli stesso radicato in Forlì, alle cui istituzioni ecclesiastiche, caritative e assistenziali dispone specifici lasciti «pro anima».
Il legame con Forlì resta importante anche per le generazioni successive (sia Giovanni sia Tommaso ricordano infatti la città romagnola nei loro rispettivi testamenti). Ma Giovanni gravitava già in territorio veneziano verso la metà del secolo; è menzionato infatti una prima volta nei Libri commemoriali (II, 1878, p. 233 n. 95) il 17 settembre 1355, data in cui il podestà di Pirano d’Istria informava il doge di aver consegnato a Giovanni, in quanto procuratore della madre Andriola, una somma di denaro sequestrata a un fiorentino domiciliato a Pirano stesso e lo informava inoltre di aver liberato Giovanni di una somma versata in guarentigia. Il 2 settembre 1359 a Venezia, in palazzo Vitturi in campo di Santa Maria Formosa, Giovanni era presente in qualità di testimone all’atto con il quale il patriarca d’Aquileia Ludovico della Torre dichiarava d’aver ricevuto un prestito per i bisogni della sua chiesa e si impegnava alla sua restituzione (I libri commemoriali, II, 1878, p. 303 n. 146). Il 28 maggio 1361 è di nuovo citato come testimone di un atto rogato in palazzo ducale e concernente i redditi del vescovado di Vicenza, dati in affittanza dallo stesso vescovo della diocesi, Egidio, a Giovanni de Maggi e Paolo Alboino della Scala (I libri commemoriali, II, 1878, p. 322 n. 249). Il 13 marzo 1362 Giovanni dettò testamento nella sua casa presso S. Maria Formosa (Archivio di Stato di Venezia, Cancelleria inferiore, notai, 144; copia, Procuratori di San Marco de citra, 141), alla presenza di alcuni testimoni, fra cui Paolino da Forlì, priore del convento domenicano, e Francesco del quondam Ducciolino Volpelli di Lucca, con il quale i Talenti di lì a breve avrebbero stretto una società economico-finanziaria. Giovanni provvedeva a ciascuna delle quattro figlie (Francesca, Agnella, Andriola, Billia) e alla moglie Vagia; nominava per il restante patrimonio eredi i quattro figli maschi: Tommaso, Gabriele, Zaccaria e Filippo; nominava inoltre commissari della sua ultima volontà e tutori dei figli la moglie Vagia, il figlio Tommaso, il nobile «miles» Lunardo Dandolo e Zaccaria Contarini (questi due ultimi insieme a Talenti e a Guido da Bagnolo alcuni anni dopo sarebbero stati protagonisti di una nota controversia con Francesco Petrarca).
Il 12 maggio 1362 Talenti e la madre Vagia, in qualità di unici commissari del fu Giovanni (Dandolo e Contarini avevano rinunciato alla commissaria, come esplicitamente indicato nel contratto in questione), strinsero una società con il citato Volpelli per il commercio di panni di seta e di qualsiasi altra attività mercantesca fosse intrapresa in Venezia, oppure in qualsiasi altro luogo, dal Volpelli stesso (Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di San Marco de citra, 141); Volpelli impegnava il proprio lavoro e 2000 ducati d’oro, Talenti e la madre assumevano nella società un ruolo capitalistico, impegnandovi 8500 ducati d’oro (ulteriori aspetti del contratto sono studiati da Reinold C. Mueller, 1977, pp. 178-185).
Il 21 marzo 1364 Talenti presenziò in casa di Rolandino Volpelli presso S. Maria Formosa alla lettura da parte del notaio Giovanni Camosini del testamento di Francesco Volpelli (da poco defunto), così come redatto il 3 gennaio 1364 da Marino pievano dei Ss. Gervaso e Protasio (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, 21 marzo 1364, Spedale di S. Lucia, segnatura antica: mz. 473). Il testatore aveva infatti previsto che Rolandino Volpelli restasse socio di Talenti e degli altri eredi «in [...] stacione sete». Il 16 settembre 1365, sempre con la madre Vagia e in qualità di commissario del fu Giovanni, Talenti strinse una seconda società per il commercio di panni di seta («de negociando trafficando et mercando in Veneciis et in quolibet allio loco et parte, prout videbitur dictis partibus posse quomodo consequi utilitatem in arte et mercancia sete pannorum»); controparti erano Marco Pisanelli e Giovanni Bartolomei. Anche in questo caso Talenti e la madre erano i principali promotori finanziari con 8000 ducati d’oro; Pisanelli e Bartolomei impegnarono 4072 ducati e 6 denari grossi, assumendosi anche l’impegno di lavorare attivamente nell’impresa («ponere debeant personas et industrias ipsorum Marci Pisanelli et Johannis Bartholomei circha ministerium [...] et bonum huius societatis», Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di San Marco de citra, 141).
Il 21 gennaio 1366 Talenti ottenne il privilegio della cittadinanza veneziana interna ed esterna (Archivio di Stato di Venezia, Libri commemoriales, VII, c. 11(7)v: «1365 die XXI° Jan. / simile privilegium factum fuit / Thomae q(uondam) Joannis de Talentis / qui fuit de florencia», cfr. I libri commemoriali, III, 1883, p. 45 n. 250; per errore Nardi, 1971, p. 7, colloca il privilegio nel 1364).
Probabilmente nello stesso 1366, Talenti insieme con Dandolo, Contarini e Guido da Bagnolo entrò in contatto con Petrarca, il quale, pur non continuativamente, risiedeva a Venezia in palazzo Molin delle due Torri, presso Riva degli Schiavoni, già dal 1362. Stando a quanto riferisce Petrarca stesso nel De sui ipsius et multorum ignorantia (a cura di L.M. Capelli, 1906, p. 19), i quattro avrebbero frequentato con assiduità il poeta, usandogli anche un rispetto ossequioso. Tuttavia, avrebbero infine concordemente sancito che Petrarca era un buon uomo, ma illetterato («brevem diffinitivam hanc tulere: me sine literis, virum bonum», p. 28), ignaro di filosofia aristotelica e di scienza naturale, cioè gli ambiti del loro principale o unico interesse (p. 39). Petrarca tace l’identità degli avversari, dei quali tuttavia giudica, in gradazione progressiva, la preparazione culturale: «ipsi studiosi omnes [...] ita tamen, ut primus literas nullas sciat [...], secundus paucas, tertius non multas, quartus vero non paucas» (p. 24). Per primo Giovanni Degli Agostini rilevò che l’identità dei quattro è svelata da una glossa trecentesca apposta a un testimone del De ignorantia, l’attuale Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat., VI.86 (= 2593), proveniente dalla biblioteca dei Ss. Giovanni e Paolo (Malandrino, 2013-2014, p. 145): nell’ordine essi sono Dandolo, Talenti, Contarini e Guido da Bagnolo. L’episodio documenta la contrapposizione «fra le discipline letterarie da un lato, cui possiamo affiancare lo studio del diritto, e dall’altra la filosofia naturale, alla quale erano aggregate le matematiche con l’astronomia e le scienze mediche con l’alchimia» (Nardi, 1971, p. 6).
Negli anni successivi Talenti, unitamente al fratello Zaccaria, seppe espandere, consolidandola, l’attività commerciale e finanziaria di famiglia (come prova il libro mastro a partita doppia tenuto da Zaccaria, anch’esso in Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di San Marco de citra, 141, che attesta per esempio la sua attività nel commercio di grano durante la guerra di Chioggia (1380), in società con Biagio di Ruberto da Siena: Mueller, 1995, p. 207 nota 14), e così anche l’autorevolezza sociale (come prova, per esempio, il contratto in base al quale una Guotela Rapin «iudea», fra agosto del 1392 e febbraio del 1393, prestò 2000 ducati su pegno di gioielli appartenenti a Carlo Malatesta di Rimini, avendo Talenti quale garante dell’operazione: ibid., p. 209 e nota 17); ma anche continuò a nutrire un autentico interesse per la filosofia naturale.
Di ciò fa fede il più importante documento che lo riguarda, cioè il testamento (Archivio di Stato di Venezia, Cancelleria infer., b. 242, notaio Iacopo Ziera; copia, Procuratori di San Marco de citra, 141, fasc. 2: già noto a Emmanuele Antonio Cicogna, integralmente edito da Nardi, 1971, pp. 7-13), dettato il 22 settembre 1397, allorché Talenti era sul punto di partire alla volta dell’Istria («in hoc meo accessu versus Istriam Deo duce fiendo»). Sono due i principali legati dell’atto: con il primo Talenti chiedeva che entro due anni dalla propria morte fosse individuato nella diocesi di Castello o di Torcello un luogo adatto ad accogliere una comunità di olivetani, costituita di almeno dodici monaci (sette sacerdoti, tre diaconi e due conversi); a tal fine impegnava 7000 ducati d’oro, di cui 2000 da impiegare in opere di ristrutturazione, oggetti e paramenti; 5000 in attività di credito o in acquisto di beni la cui rendita avrebbe finanziato i monaci; Talenti donava inoltre alla disegnata comunità tutti i suoi libri scientifici, che, in numero di circa centocinque volumi, erano al momento custoditi presso il monastero cistercense di S. Maria della Celestia. Qualora il legato non fosse stato espletato nei tempi fissati, i 7000 ducati avrebbero sovvenzionato la fondazione a Bologna di un collegio per sedici studenti in arti e teologia (dodici veneziani, i restanti fiorentini o forlivesi); al detto collegio sarebbero andati anche i libri scientifici del testatore. Il secondo legato prevedeva che 50 ducati d’oro annui provenienti dagli interessi dell’eredità fossero impiegati a stipendiare in Venezia un lettore di logica e filosofia («pro legendo artes, scilicet logicam et phylosophiam, volentibus audire et discere in civitate Venetiarum»).
Talenti morì il 22 novembre 1403, e, pur non nei tempi da lui indicati, i legati testamentari furono entrambi espletati.
Infatti nel 1407 papa Gregorio XII, informato del lascito, assegnò alla Congregazione olivetana il cenobio veneziano di S. Elena, appartenuto già ai chierici agostiniani, ma da tempo decaduto. A seguito di un dibattito acceso con gli esecutori testamentari (restii a riconoscere nel neonato cenobio un’autentica realizzazione di quanto disposto nel legato), e in forza di una deliberazione del Maggior Consiglio (pronunziatosi sulla vertenza il 31 luglio 1408), gli olivetani ottennero sia i 7000 ducati sia i libri scientifici (la cui sorte, tuttavia, resta ancora oscura; è noto tuttavia che la cospicua biblioteca del cenobio, all’atto della soppressione napoleonica, fu in parte venduta, in parte inviata a Padova: Zorzi, 1987, p. 331). Secondo quanto previsto dal testamento, il corpo di Talenti venne traslato nella chiesa amministrata dagli olivetani, S. Elena appunto, dove anche fu sepolta la di lui moglie Margherita.
Storicamente più importante fu il compimento del secondo legato, sulla base del quale nel 1408 la Signoria provvedeva a stipendiare il primo lettore di logica e filosofia della città, Camillo da Ferrara (Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di San Marco de citra, 141, f. 4, c. 6v, in Nardi, 1971, p. 17 nota 1), addottoratosi in artibus a Padova, allievo, fra altri, dell’aristotelico Paolo Veneto; a lui succedettero nell’ordine: Niccolò da Salerno (sino al 1418), Sigismondo da Padova (sino al 1420) e quindi, sino al 1454, Paolo della Pergola; essendo costui pievano di S. Giovanni Elemosinario presso Rialto, ed essendo stato il suo magistero particolarmente influente e proficuo, la scuola di logica e filosofia veneziana fu perciò indicata con il nome di «Scuola di Rialto» (Lepori, 1980, p. 547); le sue prime origini vanno riconosciute tuttavia nel lascito testamentario di Talenti.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Notarile testamenti, 858, notaio Marco Raffanelli (= Avogaria di Comun, 3923): testamento di Filippo, 8 marzo 1409. G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1752, p. 5; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 362 s.; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, II, Venezia 1878, III, 1883; F. Petrarca, Le traite De sui ipsius et multorum ignorantia, a cura di L.M. Capelli, Paris 1906, pp. 19, 24, 28, 39; P.O. Kristeller, Petrarch’s “Averroists”. A note on the history of Aristotelianiam in Venice, Padua, and Bologna, in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, XIV (1952), pp. 59-65; B. Nardi, Letteratura e cultura veneziana del Quattrocento, in Id., Saggi sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento, a cura di P. Mazzantini, Padova 1971, pp. 3-21; R.C. Mueller, The Procuratori di San Marco and the Venetian credit market, New York 1977, pp. 178-185; L. Lazzarini, Il patriziato veneziano e la cultura umanistica dell’ultimo Trecento, in Archivio veneto, CXI (1980), pp. 179-219 (in partic. pp. 186 s.); F. Lepori, La scuola di Rialto, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, III, 2, Vicenza 1980, pp. 539-605 (in partic. p. 547); M. Zorzi, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987, p. 331; R.C. Mueller, The Jewish moneylenders of late Trecento Venice. A revisitation, in Mediterranean historical review, X (1995), pp. 202-217; A. Malandrino, Censimento dei codici petrarcheschi latini della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari, Venezia, a.a. 2013-14, p. 145; E. Guerra, Gli Agolanti. Mercanti tra Trieste e Ferrara nel Tre-Quattrocento, Roma 2017, pp. 17-20.