SANDRINI, Tommaso
SANDRINI, Tommaso. ‒ Nacque a Brescia tra il 1579 e il 1580 da Alberto (Feinblatt, 1992, p. 44 nota 10).
Il fatto che quest’ultimo fosse attestato in qualità di «lustrator» (Piazza, 2016a, p. 139 nota 7) è un’indicazione utile a comprendere le circostanze dell’ingresso del figlio nella bottega di un intagliatore, Giuseppe Bulgarini (Volta, 1997, p. 46).
In tale ambito il giovane apprese il repertorio di decorazioni poi trasferito negli affreschi, come conferma l’affinità tra le sue pitture della chiesa dei Ss. Faustino e Giovita a Brescia e gli intagli della cassa dell’organo del santuario di Tirano, capolavoro della maturità di Bulgarini. A conferma di simili nessi con la scultura, si segnala che i mascheroni femminili usati dal pittore come ‘firma’ ricalcano quelli scolpiti nei portali del Broletto, dove Sandrini eseguì vari interventi intorno al 1610-12 (Piazza, 2016a, pp. 21-26). Anche i suoi rapporti con architetti e periti, tra i quali Giambattista Lantana, Antonio Comino, Agostino Covo e Tommaso Lorando, aiutano a comprendere il vivace ambiente artistico bresciano dei primi decenni del Seicento, un’epoca di grande rinnovamento.
L’opera d’esordio (è errata la notizia della presenza di Sandrini nel duomo di Salò) fu il ciclo del refettorio dell’abbazia di Rodengo Saiano (Brescia), affrescato nel 1607 insieme a Francesco Giugno per la parte delle figure (Begni Redona, 2002, p. 243 nota 75).
Nei settori laterali della volta si sviluppa un finto loggiato delimitato da una balaustrata; la parte centrale è scandita da scene figurate alternate a decorazioni a monocromo rosso e a girali verdi. Pur avvertendosi incertezze nel disegno, emerge la complessità prospettica delle architetture illusive. Gli affreschi coprono anche le pareti, con figurazioni dell’Antico Testamento, allegorie e finte statue.
L’incarico seguente, relativo alla decorazione dello scalone e del corridoio di accesso all’appartamento del podestà nel Broletto di Brescia, fornì a Sandrini e a Giugno, attivi ormai in tandem, la prima commissione pubblica, attestata dalle fonti (C. Ridolfi, Le meraviglie dell’arte..., 1648, a cura di D. von Hadeln, II, 1924, p. 251) e scaturita dall’intervento promosso nel 1610 dal podestà Giovanni Da Lezze.
I soggetti degli affreschi, dettati dall’erudito Ottavio Rossi (Signaroli, 2008), sottolineano la funzione cui era destinato l’edificio. Se nella volta dello scalone Sandrini si limitò per lo più a eseguire finte modanature (più complessa doveva essere la decorazione delle pareti), ben altro si può dire del corridoio. Qui il pittore, oltre a inserire «bizzarie dettate da quel’ingegno che non sapeva satiar la sagacità del suo spirito» (F. Paglia, Il giardino della pittura..., 1660-1701, a cura di C. Boselli, 1967, pp. 81 s.), impostò nella volta una scenografica sequenza di aperture illusionistiche. Questa idea, apprezzabile anche nell’inedito disegno preparatorio (Piazza, 2017), evitava di ottenere eccessiva distorsione prospettica in ambienti le cui misure sono sproporzionate in lunghezza.
Il 23 novembre e il 7 dicembre 1612 Sandrini ricevette pagamenti dai fabbricieri della basilica della Ghiara a Reggio Emilia «a buon conto di sua mercede delle pitture del torresino» (Artioli - Monducci, 1978, pp. 63, 70 nota 2), vale a dire del lanternino della cupola. Questo lavoro, ancora conservato benché non più visibile dal basso (Mazza, 2015, p. 121 nota 9; Piazza, 2016a, p. 153), fu il primo di una serie di interventi compiuti in Ghiara e culminati, qualche anno più tardi, negli affreschi della cupola. Rientrato a Brescia, intorno al 1613 Tommaso attese con Giugno alla decorazione della cappella di S. Latino nella chiesa di S. Afra (poi di S. Angela Merici); oggi si conserva soltanto la pala centrale di Giulio Cesare Procaccini (pp. 155 s.).
I rapporti con l’Emilia sono certificati da una lettera inviata il 14 ottobre 1613 dal pittore a Enzo Bentivoglio (Artioli - Monducci, 1978, pp. 64, 70 s., nota 15), relativa al completamento di un lavoro interrotto da Sisto Badalocchio nel palazzo Bentivoglio di Gualtieri (Ceschi Lavagetto, 1999, p. 85). Nell’agosto precedente Sandrini aveva collaborato con Badalocchio in S. Giovannino a Reggio: non appare casuale, dunque, che il 12 aprile 1614 il bresciano s’impegnasse ad affrescare, con Lorenzo Franchi, la volta della navata della stessa chiesa reggiana (Piazza, 2016a, pp. 157-161). Come a Rodengo, l’elemento illusionistico è costituito da due loggiati contrapposti; da notare la profusione di dorature, stese a missione.
L’attività reggiana si sostanzia, inoltre, nella decorazione della cupola della Ghiara.
Il contratto, sottoscritto da Sandrini il 18 novembre 1614, prevedeva che «l’opera [fosse] compita per tutto il mese d’aprile 1615, lodevole a giuditio delli intelligenti, con le figure di mano di maestro approvato da noi»; per quest’ultimo ruolo fu scelto Leonello Spada, che nella cupola dipinse otto Profeti a monocromo alternati ad Angeli musicanti, mentre nel tamburo eseguì finte statue (Frisoni, 1975, p. 68). È stato supposto che il lavoro non venne totalmente apprezzato dai committenti (Mazza, 1996, p. 113); se ciò è difficile da dimostrare, è pur vero che qui Sandrini modificò il proprio approccio alla gestione dello spazio illusorio; ne risulta una forzatura tra le parti architettoniche e le figure, che in alcuni casi faticano ad assecondare la struttura a pianta centrale della volta della cupola, caratterizzata da una certa staticità.
L’allontanamento del pittore da Reggio fu conseguenza dell’impegno sottoscritto, entro il maggio 1615, con i domenicani di Brescia (Boselli, 1956, pp. 122-125).
È legittimo sospettare che la convocazione sia stata sollecitata da padre Serafino Borra, inquisitore a Modena prima di venir chiamato a Brescia come priore nel convento domenicano. Da un’importante annotazione, vergata nel 1627 dallo stesso Sandrini, si apprende che «padre Bora [...] era ben informato delle grande imperfesione delle cantonate disuguali et altri luoghi difforme della chesa di Santo Domenico di Brescia» (Formenti, 1990, p. 146). Che il religioso fosse a conoscenza delle problematiche strutturali della fabbrica, sfociate in un contenzioso con alcune maestranze, la dice lunga sul suo probabile ruolo di committente (Piazza, 2016a, pp. 33-36, 171 s.). Borra, inoltre, sarebbe stato il responsabile della convocazione di Sandrini a Bagolino un decennio più tardi.
Pur essendo ampiamente descritto dalle fonti (G.A. Averoldo, Le scelte pitture di Brescia..., 1700, pp. 120 s.; Paglia, 1660-1701, 1967, p. 343), l’aspetto di S. Domenico (chiesa distrutta nell’Ottocento) si ricava dallo straordinario disegno preparatorio del Louvre (Mancini, 2016). I pittori di figura che affiancarono Sandrini furono Francesco Giugno e i fratelli Giovan Mauro e Giovan Battista Della Rovere, con i quali il quadraturista avrebbe lavorato anche nella parrocchiale di Bienno (Brescia), un’impresa che però implica l’intervento della bottega (Bizzotto, 2000, p. 334).
Il 31 novembre 1619 fu richiesto dal nobile bresciano Francesco Gambara un «pittore da mandar a Venetia» per eseguirvi alcune decorazioni nella sua residenza: gli venne suggerito «quello [che] ha fatto le prospettive di Santo Domenico», il che non lascia dubbi sull’identificazione con Sandrini; non è dato sapere se la commissione andò a buon fine (Boselli, 1971, p. 71).
Un’intuizione ha permesso di recuperare, nella volta dell’antica cappella del Ss. Sacramento di S. Giovanni Evangelista a Brescia, un frammentario ciclo da riferire al binomio Sandrini-Giugno (Savy, 2006, p. 80). L’insieme, da collocare intorno al 1618-19, trova un ulteriore elemento di interesse alla luce del recupero del disegno preparatorio (Piazza, in corso di stampa). Nello stesso periodo, il 26 ottobre 1620, Tommaso ricevette dal capitolo della Ghiara «libre vintidua soldi dicisette» per portarsi a Reggio; il soggiorno durò «nove giorni» (Artioli - Monducci, 1978, pp. 64, 71, note 17-18). È probabile che non molto tempo dopo egli prendesse accordi per decorare la parrocchiale di S. Michele a Candiana, come attesta il saldo di pagamento del 4 aprile 1622 (Marin - Longhin, 2000, pp. 196 s.). La congregazione che officiava la chiesa era quella dei canonici regolari del Ss. Salvatore, la medesima insediata in S. Giovanni a Brescia. Questi rapporti spiegano anche la convocazione, a fianco di Sandrini, dell’inseparabile Giugno, di cui si conservano, dopo il recente restauro, i Padri della Chiesa affrescati. Riferendosi proprio ai soffitti di S. Michele, oggi apprezzabili solo in minima parte a causa di ampie ridipinture, Marco Boschini (La carta del navegar pitoresco..., 1660, a cura di A. Pallucchini, 1966, pp. 253 s.) riferì un aneddoto sulla bravura dei bresciani nel rendere le architetture in scorcio. Per farsi un’idea di come dovesse apparire l’insieme sono d’aiuto due disegni preparatori identificati di recente (Piazza, 2017).
Entro il 1621, anno di morte di Giugno, va fissata la prima fase dell’intervento da lui compiuto insieme a Sandrini su «una facciata di bellissima architettura» di fronte alla chiesa di S. Maria del Carmine a Brescia (F. Paglia, Il giardino..., cit., p. 136). Nel 1625 fu dipinta anche la grande volta della chiesa carmelitana, con architetture che circoscrivono scene dedicate a santi dell’ordine (attribuite a vari pittori); il potenziale illusionistico è rappresentato da finti archi sormontati da timpani alternati a mensoloni.
Registrando l’inusuale lunghezza della navata, le fonti rimarcano l’abilità di Sandrini nel correggere, tramite la pittura, le imperfezioni generate dall’architettura. Come già nel Broletto, anche qui non si ravvisa un unico sfondato, bensì una sequenza di ambienti su cui si soffermarono prontamente anche gli osservatori antichi (G.A. Averoldo, Le scelte..., cit., p. 20).
Nella seconda metà del terzo decennio del Seicento Sandrini fu impegnato su due fronti. L’inizio del lavoro nella parrocchiale di S. Giorgio a Bagolino è scandito dal pagamento del 29 settembre 1625; questa fase si concluse nel novembre dell’anno seguente, quando fu ricompensato il fratello «Pietro Sandrino pitore per aver messo l’oro alli cornisoni» (Formenti, 1990, p. 140). La semplificazione dello stile del maestro, ravvisabile in molte parti della volta (peraltro danneggiata da un incendio), si giustifica alla luce dell’intervento della bottega. Altro discorso, invece, riguarda la fabbrica dei Ss. Faustino e Giovita a Brescia, i cui affreschi rappresentano il vertice qualitativo di Tommaso. Il lavoro fu portato avanti con velocità, tanto che a Sandrini venne sborsata una ragguardevole somma nel febbraio del 1627. In questo lasso di tempo furono dipinte le navate, partendo da quella di destra; il lavoro subì un’interruzione nella seconda metà dell’anno, quando Tommaso fece ritorno a Bagolino per porre fine a una vertenza con i deputati del Comune; in tale occasione dipinse la facciata e le cantonate della chiesa, dove si scorge un volto da identificare in via ipotetica con il suo ritratto (Piazza, 2016a, p. 201 nota 313).
L’impresa in S. Faustino e Giovita a Brescia, condotta in parallelo ad Antonio e Bernardino Gandino per le scene figurate, riprese all’inizio del 1628 e fu conclusa l’anno successivo, stando alla data iscritta in testa alla navata sinistra.
Qui le quadrature si fondono con l’architettura reale e, al tempo stesso, la superano: ne è prova la finta balaustrata che corre ai lati della volta e supera gli ampi lunettoni della chiesa grazie a una serie di scale dipinte. Mai, finora, Sandrini aveva dato prova di plasmare lo spazio con tale libertà d’immaginazione. Lo si può intuire osservando la tipologia delle architetture, che creano uno spazio inedito, eppure memore della stagione precedente, come dimostrano le colonne tortili, omaggio a quelle ‘ritorte’ dei fratelli Cristoforo e Stefano Rosa, di cui probabilmente Tommaso si sentiva il legittimo erede.
L’ultimo lavoro, rimasto sulla carta a causa della morte del pittore, sopraggiunta durante la peste il 19 aprile 1630 (G.B. Bianchi, Diario..., 1630, a cura di P. Guerrini, IV, 1930, p. 412), prevedeva la decorazione della chiesa di S. Francesco a Brescia, la cui esecuzione spettò, pochi anni più tardi, a Ottavio Viviani, uno dei più fedeli interpreti dell’eredità di Sandrini.
Esperto nella rappresentazione di architetture in scorcio ed erede di una tradizione che a Brescia ‒ e non solo ‒ aveva già visto i fratelli Rosa (Piazza, 2016b; 2017), Sandrini contribuì a emancipare il genere della quadratura dalla pittura di figura: anche grazie a lui il quadraturista andò ritagliandosi un ruolo definito nel mercato dell’arte. La sua attività in Lombardia, Veneto ed Emilia (proseguita dagli allievi nel XVII secolo) plasmò una scuola dai tratti stilistici peculiari, che si caratterizza rispetto a quella bolognese, assai più celebre. L’elemento principale dello stile e del modo di comporre le finte architetture da parte di Sandrini è rappresentato da una solida progettualità disegnativa, che in linea generale rispetta la reale conformazione degli ambienti, per accrescerne il potenziale illusionistico più che per ricrearli ex novo (come invece sarebbe accaduto, dalla fine del secolo, con Andrea Pozzo).
Fonti e Bibl.: G.B. Bianchi, Diario... (1630), in Le cronache bresciane inedite dei secoli XV-XIX, a cura di P. Guerrini, IV, Brescia 1930, p. 412; C. Ridolfi, Le meraviglie dell’arte... (1648), a cura di D. von Hadeln, II, Berlin 1924, p. 251; M. Boschini, La carta del navegar pitoresco... (1660), a cura di A. Pallucchini, Firenze 1966, pp. 253 s.; F. Paglia, Il giardino della pittura (Manoscritti Queriniani G.IV.9 e Di Rosa 8) (1660-1701), a cura di C. Boselli, in Supplemento ai Commentari dell’Ateneo di Brescia, Brescia 1967, pp. 81 s., 136, 343; G.A. Averoldo, Le scelte pitture di Brescia additate al forestiere, Brescia 1700, pp. 20, 120 s.
C. Boselli, Note d’archivio, in Commentari dell’Ateneo di Brescia, CLV (1956), pp. 119-127; Id., Nuove fonti per la storia dell’arte. L’archivio dei conti Gambara presso la Civica Biblioteca Queriniana di Brescia, I, Il carteggio, in Memorie dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti, XXXV (1971), 1, p. 71; F. Frisoni, Leonello Spada, in Paragone, XXVI (1975), 299, pp. 53-79; N. Artioli - E. Monducci, Le pitture di San Giovanni Evangelista in Reggio Emilia, Reggio Emilia 1978, pp. 63 s., 70 s., note 2, 15, 17-18; U. Formenti, Artisti e artigiani a Bagolino. Documenti 1479-1940, Brescia 1990, p. 141; E. Feinblatt, Seventeenth-century Bolognese ceiling decorators, Santa Barbara (Cal.) 1992, p. 44 nota 10; A. Mazza, Gli affreschi di Lionello Spada e di T. S. nel braccio nord e nella cupola, in Il Santuario della Madonna della Ghiara a Reggio Emilia, a cura di A. Bacchi - M. Mussini, Torino 1996, pp. 107-116; V. Volta, Gli inganni ottici di Tomaso Sandrino, in Brescia & Futuro, VIII (1997), 1, pp. 45-52; P. Ceschi Lavagetto, La chiesa di San Giovanni Evangelista, in Il Seicento a Reggio. La storia, la città, gli artisti, a cura di P. Ceschi Lavagetto, Milano 1999, pp. 83-99; S. Bizzotto, Bienno. Chiesa parrocchiale dei Santi Faustino e Giovita: gli affreschi, in Arte in Val Camonica. Monumenti e opere, IV, Esine, Berzo Inferiore, Bienno, Prestine, a cura di B. Passamani, Gianico 2000, pp. 331-334; A. Marin - S. Longhin, La “Quadreria della Canonica di San Michele Arcangelo di Candiana”, in Quaderni di storia candianese, 2000, n. 2, pp. 196 s.; P.V. Begni Redona, La pittura nei secoli XV-XVII, in San Niccolò di Rodengo. Un monastero di Franciacorta tra Cluny e Monte Oliveto, a cura di Id. - G. Spinelli - R. Prestini, Brescia 2002, pp. 213-280; B.M. Savy, Manducatio per visum. Temi eucaristici nella pittura di Romanino e Moretto, Cittadella 2006, p. 80; S. Signaroli, Brescia, Venezia, Leida: i Chronica di Elia Capriolo nella Respublica literaria dell’Europa moderna, in Italia medioevale e umanistica, XLIX (2008), pp. 287-329; A. Mazza, Lungo la via Emilia. Cicli con storie della Vergine tra Cinque e Seicento, in I Servi di Maria a Reggio Emilia (1313-2013). La strategia delle immagini e il fenomeno Ghiara. Atti del convegno... 2013, a cura di E. Bellesia - A. Mazza, Reggio Emilia 2015, pp. 107-122; F. Mancini, De l’Italie à la France: reconstitution d’un album de dessins de quadratura autrefois conservé au départment des Arts graphiques du musée du Louvre, in ArtItalies, XXII (2016), pp. 80-90; F. Piazza, La pittura di prospettiva e i quadraturisti bresciani tra XVI e XVII secolo, tesi di dottorato, Università di Udine, 2016a, pp. 9-65, 137-218; Id., Tra decorazione e illusione. Architetture dipinte a Brescia e il ‘primo tempo’ di Cristoforo e Stefano Rosa, in Brescia nel secondo Cinquecento. Architettura, arte e società, a cura di Id. - E. Valseriati, Brescia 2016b, pp. 189-208; F. Piazza, Rosa, famiglia, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXVIII, Roma 2017, pp. 402-405; Id., I disegni di T. S., quadraturista bresciano, in corso di stampa.