PORCACCHI, Tommaso
PORCACCHI, Tommaso. – Nacque a Castiglione Aretino (oggi Fiorentino) probabilmente nel 1532, il 21 dicembre, da Bernardino di Francesco, ciabattino, e da Maddalena Grillandi.
Il nome della madre è trasmesso da una notizia raccolta nel XVI secolo da Anton Francesco Marmi (ms. Vat. Capp. 274, c. 601r, in Crimi, 2015, pp. 56 s.). Il giorno natale risulta dalla sottoscrizione della dedica di La nobiltà della città di Como (Venezia, G. Giolito, 1569, c. 1r); l’anno è stato fissato da Antonio Paglicci Brozzi (1897) sulla base della supplica presentata da Bernardino il 6 settembre 1551 al podestà di Castiglione affinché la inoltrasse al duca Cosimo I, in cui Porcacchi risulta di circa 19 anni.
La famiglia contava altri sette figli, quattro maschi e tre femmine, e nella supplica Bernardino chiedeva per Tommaso un posto di convittore nello Studio di Pisa, non potendo mantenerlo negli studi. La supplica non fu accolta. Nel dedicare al comasco Severino Ciceri la Historia delle due Sarmatie del polacco Maciej z Miechowa, tradotta dal bresciano Annibale Maggi, Porcacchi chiede retoricamente: «che posso io fare non havendo alcuna esperientia di cose, et non mi trovando fornito d’alcuna scientia delle chiarissime discipline; ne l’acquisto delle quali, come che molto sudato v’habbia anchor ne gli estremati freddi; nondimeno sempre nimica fortuna mi s’è acerbamente opposta?» (Venezia, G. Giolito, 1561, cc. 2v-3r).
La formazione di Porcacchi avvenne nel piccolo centro natio: verosimilmente, come congettura Paglicci Brozzi, fu istruito dai frati del locale convento agostiniano. Una certa iniziativa culturale, di cui egli stesso fu promotore, testimonia una sua lettera del 13 maggio 1556 a Ludovico Domenichi, a Firenze, con la quale egli invita il destinatario a recarsi a Castiglione per partecipare ai lavori di una «Accademia» costituita «fra otto o dieci» letterati locali, che si riuniva nelle dimore di campagna del giurista Mario Cotti e dell’arciprete Giovan Battista Titi. Porcacchi aveva avuto da Domenichi alcune lettere (autografe) di Paolo Giovio e le aveva presentate agli accademici. Le avrebbe rese tre anni dopo (lettera a Domenichi da Roma 31 maggio 1559), in vista dell’edizione delle Lettere volgari di Giovio, cui Domenichi attendeva e che uscì l’anno dopo (Venezia, G.B. e M. Sessa; le due lettere di Porcacchi a cc. 116r-122v; ora in Crimi, 2015, pp. 65-69). Era dunque a questa altezza già consolidato il legame con Domenichi, che si mantenne saldo fino alla morte di quest’ultimo (20-22 agosto 1564). Nello stesso 1556 Domenichi accolse il volgarizzamento del V libro dell’Eneide eseguito da Porcacchi nella silloge dell’opera virgiliana in traduzioni di autori toscani contemporanei da lui curata (L’opere di Virgilio cioè la Bucolica, la Georgica, et l’Eneida…, Firenze, Giunti, la traduzione di Porcacchi a cc. 172v-191r); in principio del volume si legge inoltre, di Porcacchi, una Vita di Virgilio (cc. 4v-8r). La raccolta fu ristampata a Venezia nel 1568 (D. Farri).
La simpatia nutrita da Domenichi per il giovane volonteroso provinciale è confermata nello stesso 1556 dalla presenza di due sonetti di Porcacchi in calce alla domenichiana Historia di detti et fatti notabili di diversi principi, et huomini privati moderni (Venezia, G. Giolito, pp. 671 s.) e di un carme in distici elegiaci di seguito alla dedica di Domenichi ad Antonio Landriani (in data 25 gennaio) dell’edizione fiorentina degli Hieroglyphica di Pierio Valeriano (Giovanni Pietro Dalle Fosse) per lo stampatore ducale Lorenzo Torrentino, edizione interrotta bruscamente al IV paragrafo del libro IX per mancanza di fondi.
La più cospicua testimonianza sull’impegno del giovane Porcacchi come rimatore viene da De le rime di diversi eccellentissimi autori nuovamente raccolte libro primo, uscito a Lucca presso Vincenzo Busdraghi ancora nel 1556 (la dedica di Vincenzo Pippi alla marchesa Elisabetta di Massa è in data 25 giugno). Con 41 sonetti attribuiti, Porcacchi è l’autore più rappresentato (senza escludere che alcuni dei componimenti adespoti possano essere pure suoi); per la maggior parte sono poesie di corrispondenza: con Domenichi, Cotti, Chiara Matraini, Andrea Lori, Gherardo Spini, Girolamo Montaldi genovese.
A Domenichi si deve l’inizio della collaborazione con l’editore veneziano Gabriele Giolito nel 1557. Quando ancora risiedeva in Toscana, Porcacchi partecipò con quattro sonetti e una canzone alla seconda edizione della silloge plurilingue La Fenice, allestita da Tito Giovanni Scandianese (Ganzarini) in onore di Giolito, apparsa in due emissioni con le date 1556 e 1557 (nella prima edizione, del 1555, molto inferiore, le rime di Porcacchi non figuravano, sì bene un sonetto di Domenichi). Il primo prodotto di un rapporto professionale che si sarebbe mantenuto intenso e costante, seppure non esclusivo, fino alla scomparsa di Giolito fu il volgarizzamento dei Tre libri del sito, forma, e misura del mondo di Pomponio Mela (1557; con dedica al bolognese Giovan Battista Botticella). Nel 1558 uscì la traduzione di Curzio Rufo, De’ fatti d’Alessandro Magno, re de’ Macedoni, intrapresa per incoraggiamento di Domenichi. Nella premessa ai lettori egli si scusa per avere diviso l’opera in dieci libri, invece che in dodici secondo la recente edizione di Enrico Glareano (Basilea 1556), che dichiara di non avere avuto a disposizione nel luogo dove aveva eseguito il lavoro (ciononostante la traduzione sostituì quella quattrocentesca di Pier Candido Decembrio e godette di fortuna editoriale incontrastata fino alla metà del XVIII secolo). La traduzione doveva risalire dunque ancora al periodo castiglionese. Porcacchi si era «ridotto nella città», cioè a Venezia, in occasione della stampa, quindi nel 1558. Nella dedicatoria del Dione Cassio, De’ fatti de’ Romani dalla guerra di Candia, fino alla morte di Claudio imperatore (20 novembre 1565), egli dichiara di risiedere a Venezia da «sei anni continuati».
Dalla dedica del Libro di natura d’amore di Mario Equicola (Venezia, G. Giolito, 1563) al conte Scipione Castelli (Venezia, 1° aprile 1561), risulta, anteriormente all’arrivo a Venezia, un soggiorno a Bologna, dove Porcacchi strinse legami con personalità cittadine, che non vennero meno negli anni successivi. A Castelli nel 1561 egli scrive: «Lungamente sono io stato da Lei beneficato; et così mentre io era in Bologna, come poi che ridottomi sono a Vinetia».
Il 30 gennaio 1560 Domenichi da Firenze lo nominò procuratore per la riscossione di alcuni crediti (Mischi, 1915, pp. 39 s.). Nel 1561 era bene inserito nell’ambiente veneziano: due suoi sonetti figurano nell’importante raccolta delle Rime di diversi nobilissimi, et eccellentissimi autori, in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo (Venezia, D. e G.B. Guerra, 1561, pp. 125, 163), uno di risposta a Domenichi e uno di proposta a Ludovico Dolce.
A Venezia Porcacchi risiedette per gli anni che gli restavano da vivere, dedicandosi a una indefessa attività di scrittore, traduttore e curatore editoriale. Il matrimonio con Aurora Bianca da Este, della quale si conservano alcune rime in miscellanee poetiche dell’epoca, dovrebbe essere posteriore al 1562 (una galante lettera di Porcacchi alla futura consorte in Lettere di XIII huomini illustri, Venezia, G.M. Bonelli, 1571, c. 464r-v). Il panorama delle dediche dei libri da lui scritti o editi mostra tuttavia, nel corso degli anni, un ventaglio ampio di relazioni, non circoscritto alla città lagunare. Da Venezia si allontanò in diverse occasioni, anche per periodi non brevi. Nella citata lettera a Domenichi del 31 maggio 1560 dichiara che starà a Roma «anchor qualche mese» e raccomanda di scrivergli. Nei Funerali antichi (Venezia, S. Galignani, 1574, p. 16) dà la trascrizione di un’epigrafe da lui rinvenuta nel 1563 tra Roma e Tivoli, dove si trovava «per far diversi suoi servitii per il paese de’ Sabini». È forse questo il viaggio al cui ritorno si fermò per quindici giorni a Castiglione, di cui parla in una lettera non datata a don Gregorio Macigni (Lettere di XIII huomini illustri, 1571, c. 471r). I legami con la cittadina d’origine non si interruppero mai, in particolare Porcacchi rimase legato a Mario Cotti, «mio amico intrinseco di molti et molti anni, et mio Signore amato et honorato da me per la sua bontà e la sua dottrina» (a Paolo Manuzio, ibid., c. 471v). Di rilievo è l’affiliazione alla bresciana Accademia degli Occulti, tra i quali Porcacchi fu l’Oscuro. Nel 1568 partecipò alle Rime de gli Academici Occulti (Brescia, V. Nicolini da Sabbio, cc. 71r-76v) con 14 sonetti dedicati ad Aurora Bianca, preceduti dall’impresa scelta in Accademia e da una dotta esposizione di essa. Una tenzone in versi con il bresciano Bartolomeo Arnigio databile al biennio 1574-75 fu edita in Delle lettere facete, et piacevoli, di diversi grandihuomini, et chiari ingegni, scritte sopra diverse materie. Libro secondo (Venezia, A. Manuzio, 1575, pp. 393-397), in calce a una lettera con cui il grecista Ascanio Persio invia i componimenti ad Antonfrancesco Doni.
La più importante impresa editoriale ideata da Porcacchi per Giolito fu la Collana historica de’ greci (o Historici greci, o semplicemente Collana historica). Il progetto si proponeva di offrire una selezione di storici antichi in versioni volgari di qualità, destinate a un pubblico desideroso di accostarsi ai classici, ma sprovvisto della formazione necessaria per leggerli in edizione filologica.
La Collana aveva un’organizzazione precisa. Le opere erano divise in due serie: l’una composta da storici greci antichi («anelli»), l’altra da trattati contemporanei attinenti ad argomenti militari («gioie»), che avrebbero dovuto intrecciarsi alle opere antiche, illustrandone e approfondendone le tematiche. Gli anelli erano disposti secondo l’ordine cronologico, le gioie secondo una successione arbitraria. L’alternanza degli uni e delle altre seguiva un disegno ragionato, che si sarebbe dovuto concludere con un volume, non realizzato, di indici generali di tutti i volumi pubblicati.
Il piano originale è illustrato da Porcacchi nella premessa al Ditti Cretese e Darete Frigio, Della guerra troiana, primo anello, benché pubblicato nel 1570. Comprendeva dodici anelli e dieci gioie. Gli autori greci avrebbero dovuto essere: Ditti e Darete (I), Erodoto (II), Tucidide (III), Senofonte (IV, nel volume era previsto anche Gemisto Pletone), Polibio (V), Diodoro (VI), Dionigi di Alicarnasso (VII), Flavio Giuseppe (VIII), Plutarco (IX), Appiano (X), Arriano (XI), Dione Cassio (XII). Le gioie avrebbero dovuto comprendere le seguenti opere, con i relativi autori laddove indicati: Delle cagioni delle guerre (Porcacchi); Del capitano generale dell’esercito; Della qualità del maestro di campo; Il soldato (Domenico Mora); Dell’arte della militia; Del governo della militia (Bernardino Rocca); De’ paralleli o essempi simili (Porcacchi); Della castramentatione; Imprese, stratagemi, et errori militari (Rocca); Dell’orationi militari (Remigio Fiorentino [Nannini]).
Tra il 1563 e il 1574 videro la luce dodici titoli, sette storici e cinque trattati, secondo questa successione: Polibio, Dell’imprese de’ Greci, de gli Asiatici, de’ Romani, et d’altri, e Tucidide, Delle guerre fatte fra i popoli della Morea e gli Atheniesi (1563); Porcacchi, Il primo volume delle cagioni delle guerre antiche (1564, l’opera doveva comporsi di più volumi, ma uscì solo questo), e Dione Cassio, De’ fatti de’ Romani dalla guerra di Candia, fino alla morte di Claudio imperatore (1565); Porcacchi, De’ paralleli o essempi simili, e Plutarco, Vite de gli huomini illustri greci e romani (1566, in due volumi); Rocca, Imprese, stratagemi, et errori militari (1567); Ditti Cretese e Darete Frigio, Della guerra troiana (in calce sono tre declamazioni di Libanio riguardanti la guerra di Troia), Mora, Il soldato, e Rocca, La seconda [-terza] parte del governo della militia (1570); Diodoro Siculo, Historia overo Libraria historica (1574, in due volumi); Dionigi di Alicarnasso, Delle cose antiche della città di Roma (1575).
La morte di Porcacchi, nel 1576, seguita da quella di Giolito, nel 1578, interruppe il progetto. Solo Flavio Giuseppe, Dell’antichità de’ Giudei, apparve nel 1581 per i figli di Giolito.
È da rammaricarsi che il volume degli indici non sia stato realizzato. Secondo quanto spiega Porcacchi nella prefazione del Ditti e Darete, esso avrebbe dovuto essere concepito con una serie di «capi generalissimi» («Guerra, Pace, Vettovaglie et simili») sotto cui collocare tutte le azioni storiche distribuite in uno schema ad alberi, che avrebbe consentito il recupero di ogni cosa ordinatamente catalogata, «fin che si viene all’individuo». Ciò all’interno di una «concatenazione» delle storie antiche, divisa nelle quattro monarchie – Assiri, Persiani, Greci, Romani –, per cui il lettore avrebbe avuto un accesso ordinato e sistematico a tutti gli eventi della storia antica nella misura in cui erano stati tramandati dagli autori.
Porcacchi tradusse solo il Ditti e Darete. Le altre traduzioni furono affidate a letterati in contatto con il mondo editoriale veneziano o furono utilizzate edizioni esistenti che rispondessero a criteri di qualità e modernità della lingua e dello stile. Tucidide è tradotto da Francesco di Soldo Strozzi; Dionigi di Alicarnasso è la riproposta della traduzione di Francesco Venturi fiorentino, disponibile dal 1545; lo stesso dicasi di Polibio, tradotto da Domenichi e uscito in due distinte edizioni nel 1545 e nel 1546; le Vite di Plutarco sono in traduzioni di Domenichi e di altri, confrontate sui testi greci da Leonardo Ghini; Dione Cassio è la versione condotta apposta da Francesco Baldelli sull’edizione greco-latina procurata da Guglielmo Xilander (Basilea 1557) e a Baldelli si devono anche le traduzioni di Diodoro e di Flavio Giuseppe. Per i volumi non pubblicati: Erodoto avrebbe dovuto essere tradotto da Remigio Fiorentino; Senofonte da Domenichi; Gemisto Pletone e Arriano da Porcacchi; Appiano da Ludovico Dolce.
Porcacchi compose le biografie di tutti gli autori greci della collana (sono in calce al Ditti e Darete), le postille e le tavole dei vari volumi. Sue sono le prefazioni e le dediche, che però sono spesso accompagnate da analoghi paratesti dei traduttori o di Giolito, sicché alcuni volumi recano dedicatorie plurime. Porcacchi riservò per sé il ruolo del curatore scientifico e le sue dediche sono prodighe di informazioni sulla collana o sull’importanza delle singole opere, oltre a contenere appassionate dichiarazioni intorno al suo interesse dominante per la storia. Al Ditti e Darete del 1570, dopo la dedica a Silvio Torelli è premessa una dissertazione su Il frutto et l’utilità che si cava dalla lettione dell’historie, che trascende la funzione introduttiva alla Collana per considerazioni più generali sulla storiografia.
Le due gioie composte da Porcacchi, Il primo volume delle cagioni delle guerre antiche, tratte da gl’historici antichi greci (1564) e De’ paralleli o essempi simili cavati da gl’historici, accioché si vegga come in ogni tempo le cose del mondo hanno riscontro, o fra loro, o con quelle de’ tempi antichi (1566), rappresentano sin dai titoli l’oscillazione tra intento scientifico (cagione è il calco di aìtion, da Tucidide) e attitudine catalogatoria (paralleli rinvia a Plutarco, non tanto alle Vite, quanto ai cosiddetti Paralleli minori, testo che ebbe grande voga già presso gli umanisti). Porcacchi non arriva a elaborare un metodo peculiare di lettura dei fatti storici, secondo gli indirizzi della moderna storiografia civile fiorentina e, in particolare, secondo il modello di Francesco Guicciardini, la cui Historia d’Italia glossò. L’approccio tende piuttosto a modalità classificatorie, che hanno tuttavia il merito di superare lo schema delle storiografie universali di tradizione umanistica per aprirsi a una visione analitica e comparativa, congeniale a un letterato profondamente immerso nella mentalità e nel modus operandi della cultura tipografica qual era Porcacchi.
Alla storiografia guicciardiniana Porcacchi tributò il suo omaggio nel Giudicio in calce alla Historia d’Italia nella stampa Venezia, G. Angelieri, 1574. Nel volume l’apporto di Porcacchi è notevole e consiste nel confronto con le altre fonti contemporanee, edite e inedite, nonché con autori classici (la Tavola è posta in principio del volume), condotto nei marginalia, che per continuità e ampiezza si propongono come un commento perpetuo. Il Giudicio muove dal concetto per cui la Historia contiene in massimo grado bellezza, misura e verità, e si diffonde in un’analisi complessiva dei pregi dell’opera, toccando anche gli aspetti formali (retorici, stilistici, linguistici). Penetrante è la comprensione della novità del metodo guicciardiniano, consistente nella disamina obiettiva delle fonti, nella ricostruzione analitica delle cause prossime e remote, nella concentrazione sull’agire umano come motore della storia, nel congedo dall’ideale umanistico della storiografia come opus oratorium. Insistito è l’accento sulla ricostruzione delle origini e delle cagioni degli avvenimenti storici, per esempio: «Gli Annali solamente ci discoprono le cose fatte di più anni, osservato anno per anno, senza render alcuna ragion de’ consigli et delle cagioni, che indussero a far le dette cose: dove l’historia alla narration delle cose fatte aggiugne i consigli, et la cagione perché furon fatte: le quali, se tu removessi, altro non sarebbe l’historia, che novella» (c. a7r).
Le difficoltà insorte nel condurre in porto gli Historici greci impedirono di avviare la Collana latina, annunciata nella premessa del Ditti e Darete, nella quale avrebbe dovuto trovare posto come secondo anello il Curzio Rufo del 1558. Tra gli storici latini Porcacchi volgarizzò anche Giustino (Venezia, G. Giolito, 1561). Curò inoltre un’edizione della monumentale Historia di Milano di Bernardino Corio (Venezia, G. Cavalli, 1565), «da me alquanto ripulita da alcuni errori di lingua, secondo che ’l mondo pareva di desiderare» (così nella dedica a Giugno Sorgo, gentiluomo raguseo). Revisione formale fu anche quella eseguita per la seconda edizione della guida di Roma del sangiminianese Bernardo Gamucci (Le antichità della città di Roma, Venezia, G. Varisco, 1569; prima edizione, Venezia, G. Varisco 1565).
Porcacchi fu anche autore originale e alcune opere sono di buon valore documentario, per cui si deve concludere che egli dovette avere accesso a fonti archivistiche e di cancelleria. Nel 1569 pubblicò per Giolito La nobiltà della città di Como, con dedica ai Decurioni e signori di provisione della città. Le biografie di papa Pio IV e Pio V furono stampate nell’edizione delle Vite dei pontefici di Bartolomeo Sacchi (il Platina), Venezia, G. Leoncini, 1572 (cc. 5r-aaaa4r), che arrivava così fino ai papi contemporanei. In particolare, la biografia di Pio V risulta composta quando il pontefice era ancora in vita (morì il 1° maggio 1572) e difatti il finale fu rimaneggiato nelle edizioni successive (la prima quando Porcacchi era già morto, Venezia, G. Picchi e fratelli, 1578). La Historia dell’origine et successione dell’illustrissima famiglia Malaspina uscì postuma nel 1585 (Verona, G. Discepolo) per cura della vedova Aurora Bianca (l’autografo a Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plutei, 61.48).
Diversa impostazione hanno Le attioni d’Arrigo Terzo re di Francia et Quarto di Polonia (Venezia, G. Angelieri, 1574), composte per il passaggio a Venezia del nuovo re di Francia Enrico III diretto dalla Polonia a Parigi per prendere possesso dello Stato, evento che suscitò l’entusiasmo di poeti, cronisti, scrittori a vario titolo operanti nella città. Lo scritto, in forma di dialogo tra Ottaviano Manin e Giovanni Gherardo da Udine, ambientato nella villa Colombara presso Cividale proprietà di Manin, è interessante per come Porcacchi si sforza di superare le strettezze del componimento d’occasione. Oltre a descrivere le cerimonie con cui il sovrano fu accolto lungo tutto il tragitto nel territorio della Repubblica (e anche nel prosieguo a Ferrara e a Mantova), Porcacchi aggiunge «essempi d’Historie in paragone, et massimamente de’ Principi di Corona, ch’altre volte sono stati ricevuti in Vinetia», e nella parte iniziale si diffonde sulla biografia del sovrano. Ma non si solleva dal piano sostanzialmente aneddotico senza attingere le dinamiche politiche vive aperte dalla successione di Enrico.
In ambito religioso, al 1562 risale l’edizione per Giolito del Pianto sopra la Passione di Christo di Vittoria Colonna, insieme con l’Orazione sopra l’Ave Maria. Specialmente il primo fu un testo discusso, che nel XVI secolo ebbe tradizione autonoma dalle Rime. Poiché dalla premessa risulta che fu Porcacchi a suggerire l’edizione a Giolito, ciò ha portato alcuni studiosi a parlare di un interesse per l’evangelismo, che al momento non trova conferma. Al 1569 risale la traduzione per Giolito dell’Imitatio Christi di Jean Charlier de Gerson, che però Porcacchi attribuisce a Tommaso da Kempis, asserendo di avere utilizzato la versione spagnola del teologo domenicano Luis de Granada. In verità, ricorse alla versione dell’Imitatio che aveva dato fuori Remigio Fiorentino nel 1563 (con il nome di Gerson), dedicandola alla moglie di Giolito, Lucrezia, affinché se ne servisse per l’educazione delle figlie. Ai nuovi orientamenti dell’industria tipografica veneziana, che si adattava al clima creatosi con il Concilio di Trento, si deve la cura di opere di impronta controriformistica: la raccolta della Prima parte delle prediche di diversi illustri theologi, et catholici predicatori (Venezia, G. Cavalli, 1565) e la Somma general di confessione (Venezia, G. Cavalli, 1566; Venezia, G. Varisco e compagni, 1569). Per Giolito Porcacchi ideò una Ghirlanda spirituale, destinata a ospitare esclusivamente opere di Luis de Granada. I volumi che la componevano erano detti «fiori» e ne furono pubblicati dodici tra il 1568 e il 1576.
Nell’ambito della letteratura volgare contemporanea la presenza di Porcacchi non è altrettanto autorevole che quella di altri operatori attivi per le tipografie veneziane, come Domenichi, e presenti anche sulla piazza, come Girolamo Ruscelli e Ludovico Dolce. Senza toccare questioni filologiche ed esegetiche, il suo contributo consiste prevalentemente nella redazione di tavole e marginalia.
Per Giolito pubblicò i quattro libri riuniti delle Lettere amorose di Girolamo Parabosco (1561); le Commedie di Ludovico Ariosto (1562); il Laberinto d’amore di Giovanni Boccaccio (1563); le Rime di Pietro Bembo (1563); il Libro di natura d’amore di Mario Equicola (1563); Tutte le opere di Giulio Camillo (1566); l’Arcadia di Iacopo Sannazaro (1566); gli Asolani di Bembo (1571). Compose la Dichiaratione d’historie, et di favole in calce a ogni canto dell’Orlando furioso nell’edizione Venezia, A. Valvassori, 1566, non più ristampata nel XVI secolo, e le Le allegorie, et l’annotationi a ciascun canto, apparse la prima volta nell’edizione Venezia, D. e G.B. Guerra, 1570, e replicate nelle edizioni successive (sua anche la dedica a Pietro Martire Sandrini in data 30 settembre 1569). Nel 1565 (Venezia, G. Cavalli) fece uscire una nuova edizione delle Facetie, motti et burle di diversi signori et persone private di Domenichi, scomparso l’anno prima, con una «nuova aggiunta di motti», destinata a rimanere in tutte le ristampe, fino all’inizio del XVII secolo.
Interesse per la lessicografia mostra un Vocabolario nuovo che raccoglie i vocaboli di autori antichi e moderni assenti dalla Fabrica di Francesco Del Bailo (Alunno). Era in corso di compilazione nel 1571 (Porcacchi ne parla nella dedica al conte Cesare Locatelli degli Asolani di Bembo), ma fu pubblicato postumo in calce all’edizione della Fabrica curata da Borgaruccio Borgarucci nel 1584 (Venezia, G.B. Porta). Nei limiti di una compilazione incompleta e a cui mancò l’ultima mano, è chiara la propensione per autori toscani anche remoti (tra i citati sono Annibal Caro, Angelo Poliziano, Cino da Pistoia, il Novellino, Agnolo Firenzuola, Benedetto Varchi, Guicciardini, Luigi Alamanni, inoltre Paolo Giovio); apprezzabile è la cura nella redazione dei lemmi, nei quali Porcacchi si diffonde, oltre che sull’etimo e sul significato, consigliandone o sconsigliandone l’uso, forte della conoscenza sicura della lingua che gli veniva dall’essere nativo toscano.
Nel campo dell’epistolografia lasciò il segno ripubblicando le Lettere di XIII huomini illustri, raccolta in origine costituita da Dionigi Atanagi (Roma 1554), poi riedita con ampi interventi da Girolamo Ruscelli (Venezia 1556) e infine aumentata da Porcacchi di ulteriori 37 lettere, tra cui 14 proprie (Venezia, G. Cavalli, 1565), edizione più volte ristampata.
Gli interessi geografici coltivati sin dal Pomponio Mela del 1557 diedero vita nel 1572 al trattato L’isole più famose del mondo, pubblicato dalla società tra il libraio Simone Galignani e l’incisore padovano Girolamo Porro, che si servirono della tipografia di Giorgio Angelieri (con privilegio di 10 anni concesso il 16 luglio 1572). Il volume, in formato in quarto, con dedica di Galignani a don Giovanni d’Austria, presenta le magnifiche tavole calcografiche di Porro (una seconda edizione, cospicuamente accresciuta di testo e tavole, uscì nel 1576). Il modello è quello degli isolari, raccolte di carte di isole diffusi in particolare nell’area mediterranea dagli inizi del XV secolo, sul quale però Porcacchi innesta lo spirito delle corografie antiche, aggiungendo per ciascuna isola una descrizione fisica, storica e culturale. La concezione è molto ampia (sono comprese penisole, grandi isole come l’Inghilterra o interi continenti: l’America Settentrionale), ma nel Prohemio Porcacchi fornisce un glossario di termini geografici che testimonia lo sforzo di impiegare in maniera corretta la terminologia della disciplina.
Alla collaborazione con Porro e Galignani si devono anche i Funerali antichi di diversi popoli et nationi, forma, ordine, et pompa di sepolture, di essequie, di consecrationi antiche, et d’altro (1574, con privilegio di 15 anni concesso il 6 aprile). Si presenta come un trattato in forma di dialogo, in cui è riportata la conversazione tra il conte Cesare Locatelli (da Alzano, presso Bergamo) e il conte Vespasiano Cuovo (da Soncino), rispettivamente genero e suocero, che nello scrittoio del primo commentano le tavole dei riti funerari antichi intagliate da Porro e impresse nel volume. Come dichiara nella dedica a Ottaviano Manin (21 maggio 1574), Porcacchi riversa nell’opera le conoscenze in materia che aveva raccolto in anni di studio sugli storici antichi. La conversazione dei due interlocutori è ricca di notizie di fonte letteraria, di testimonianze epigrafiche, edite e inedite, di informazioni attribuite a eruditi contemporanei, con i quali Porcacchi si rappresenta in intenso colloquio.
La dedica dei Funerali e le Attioni d’Arrigo III (entrambi del 1574) testimoniano i legami intensificati negli ultimi anni con l’ambiente friulano, in particolare con il nobile Ottaviano Manin.
Porcacchi morì, probabilmente suo ospite, a Udine nell’ottobre 1576. Fu sepolto nella chiesa della Madonna delle Grazie (la notizia in Fontanini, 1736, p. 613). Manin collocò la lapide con epigrafe che ne ricorda la «prudentiam in conscribendis historiis» (il testo in Crimi, 2015, p. 63; il mese risulta da una fonte archivistica segnalata in Manno, 1987, p. 242 n. 5).
In edizioni moderne: la Vita di Pio V, in F. Van Ortroy, Le pape saint Siste V, in Analecta Bollandiana, XXIII (1914), pp. 207-215 (e pp. 191 s.); A. Gerstenberg, Thomaso Porcacchis “L’Isole più famose del mondo”. Zur Text- und Wortgeschichte der Geographie im Cinquecento (mit Teiledition), Tübingen 2004; la tenzone con Arnigio in Rime del Burchiello commentate dal Doni, a cura di C.A. Girotto, Pisa 2013, pp. 493-511.
Fonti e Bibl.: G. Fontanini, Della eloquenza italiana, Roma 1736, p. 613; G. Ghizzi, Storia della terra di Castiglione Fiorentino, III, Arezzo 1886, pp. 24 s., 60 s.; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, II, Roma 1897, ad ind. e passim; A. Paglicci Brozzi, La giovinezza di un erudito castiglionese del secolo XVI, in Erudizione e belle arti, III (1897), 6, pp. 61-64; G. Mischi, Una corrispondenza poetica del Cinquecento. L. Domenichi e T. P., in Miscellanea di storia, letteratura e arte piacentina, V (1915), pp. 36-45; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-VI, London-Leiden 1963-1992, I, pp. 107, 367, VI, pp. 223, 290; L. Coglievina, Il Vocabolario nuovo di T. P., in Lingua nostra, XXVI (1965), pp. 35-38; A. Manno, Giulio Savorgnan: «machinatio» e «ars» fortificatoria a Venezia, in Cultura, scienze e tecniche nella Venezia del Cinquecento. Atti del Convegno internazionale di studio Giovan Battista Benedetti e il suo tempo, Venezia 1987, p. 242 n. 5; C. Di Filippo Bareggi, Il mestiere di scrivere. Lavoro intellettuale e mercato librario a Venezia nel Cinquecento, Roma 1988, ad ind.; J. Basso, Le genre epistolaire en langue italienne (1538-1662). Repertoire chronologique et analytique, Roma-Nancy 1990, ad ind.; P. Trovato, Con ogni diligenza corretto…, Bologna 1991, ad ind.; M. Rossi, Arte della memoria: antiquaria e collezioni fra Cinque e Seicento. La Collana storica giolitina e la sua eredità, in Memoria e memorie. Convegno internazionale di studi, Roma... 1995 Accademia nazionale dei Lincei, a cura di L. Bolzoni et al., Firenze 1998, pp. 107-132; S. Hill, T. P.: frammenti di una sua «selva» perduta, in Ricerche sulle selve rinascimentali, a cura di P. Cherchi, Ravenna 1999, pp. 83-99; P. Cherchi, Su due volgarizzamenti mal noti: gli “Apophtegmata” di Plutarco e il “Testamentum porcelli”, in Italian Quarterly, 2000, n. 143-146, pp. 146-149; C. Lastraioli, Les “Funerali antichi” de T. P., Genève 2001, pp. 357-388; M. Gotor, Le vite di san Pio V dal 1572 al 1712 tra censura, agiografia e storia, in Pio V nella società e nella politica del suo tempo, a cura di M. Guasco - A. Torre, Bologna 2005, pp. 210-212; A. Nuovo - C. Coppens, I Giolito e la stampa nell’Italia del XVI secolo, Genève 2005, ad ind.; V. Caputo, Le vite in tipografia: Dolce, P., Varchi e Nannini nella stamperia di Gabriele Giolito, in Studi rinascimentali, V (2007), pp. 92-95; C. Lastraioli, «Un monde en forme d’île»: espace géographique et espace imaginaire dans l’isolario de T. P., in Espace, histoire et imaginaire dans la culture italienne de la Renaissance, a cura di A. Godard - M-F. Piéjus, Paris 2007, pp. 43-67; A. Giachery, scheda 15 (su L’isole più famose, 1576), in Le muse tra i libri. Il libro illustrato veneto del Cinque e Seicento nelle collezioni della Biblioteca universitaria di Padova (catal.), a cura di P. Gnan - V. Mancini, Padova 2009, pp. 100-103; D. Scruzzi, Eine Stadt denkt sich die Welt. Wahrnehmung geographischen Räume und Globalisierung in Venedig von 1490 bis um 1600, Berlin 2010, pp. 170-172; S. Favalier, Penser un nouveau produit éditorial: T. P., Gabriel Giolito de’ Ferrari et leur “Collana historica”, in Réforme, Humanisme, Renaissance, 2012, n. 74, pp. 161-184; G. Crimi, Preliminari su Domenichi e P., in Bollettino storico piacentino, CX (2015), pp. 56-75.