MONDINI, Tommaso
– Nacque a Venezia da Raimondo nella seconda metà del XVII secolo; non è noto il nome della madre.
Nulla si sa della formazione del M. fino al 1683, anno in cui intraprese gli studi di teologia a Padova, conseguendo, nel 1689, il dottorato sine aggregatione, ossia senza essere associato al Collegio dei teologi. Anche per il resto della vita le notizie sono scarse e connesse alla sua produzione letteraria. Nel sonetto autobiografico Sora l’autor, nella tarda raccolta di versi intitolata La Bagozzeide (Venezia 1733, p. 33), allude alla sua appartenenza quasi quarantennale al Collegio dei savi; altri sonetti (ibid., pp. 46 s., 60) attestano uno stretto rapporto con Francesco Morosini, celebrato per le sue imprese contro i Turchi, nella cui abitazione si radunava l’Accademia degli Industriosi, di cui forse il M. fece parte. In età giovanile si rivolse alla drammaturgia comica. Nel 1689, sotto lo pseudonimo anagrammatico di Simon Tomadoni, impiegato anche nella successiva produzione teatrale, diede alle stampe a Venezia Le scioccherie di Gradellino, accresciute dall’astuzie di Fenocchio, sturbatore de’ matrimoni e Le nuove pazzie del dottore. Benché non vi si faccia esplicito riferimento nel frontespizio, dove vengono definite rispettivamente «comedia nuova e curiosissima» e «comedia faticosa e curiosissima», entrambe sono ascrivibili al genere della «ridicolosa», affine per contenuto e struttura agli scenari dell’Arte, di cui riproponeva il repertorio nei circuiti dilettantistici delle accademie, dei collegi o dei palazzi privati, in forma compiutamente scritta ed epurata nei contenuti e nella lingua.
La partizione in tre atti, l’ambientazione veneziana, la presenza delle maschere, fortemente connotate regionalmente (Pantalone, il dottore di Budrio), dei personaggi convenzionali (il forestiero napoletano, gli innamorati, i servitori astuti o sciocchi), la fabula modulata sul doppio registro serio degli innamorati e ridicoloso delle maschere, la modesta variazione di situazioni topiche (progetti matrimoniali, inganni, fughe, riappacificazioni) che approdano inevitabilmente al lieto fine, la mescidanza linguistica, la mistione di prosa e verso sono tutti elementi che accomunano le due commedie e che si ripresenteranno, con alcune varianti, nelle prove successive.
In Le scioccherie di Gradellino il conflitto tra la ragione economica dei vecchi Pantalone e Graziano, che progettano per le figlie matrimoni d’interesse, e primato dei sentimenti, sostenuto dalle giovani e dai loro innamorati, dà luogo a una successione di azioni piuttosto prevedibili, d’innesco alle performances ridicolose del servo sciocco e alle trovate argute del servo scaltro. In Le nuove pazzie del dottore, l’ostacolo al compimento dei progetti nuziali dei giovani è rappresentato dall’improvvisa pazzia del dottore, circostanza impiegata dal M. in direzione di una comicità di parola, che si esprime nei bizzarri monologhi di Graziano, in cui si alternano sproloqui pseudoscientifici, astrusi richiami alla tradizione filosofica e frenetiche enumerazioni di opere e letterati contemporanei (II, 5 e 6), da interpretare anche come documento delle personali letture di Mondini.
Pubblicata a Venezia senza data, ma riconducibile agli stessi anni per l’affinità di conduzione e di contenuti, è la commedia Gl’amori sfortunati di Pantalone. L’argomento – Pantalone contende al figlio l’amore di una giovane – è motivo topico, che riporta nuovamente alla tradizione della ridicolosa, trovando i suoi più immediati antecedenti nel Pantalone imbertonato di Giovanni Briccio (Venezia 1617) e nel Pantalone innamorato di Virgilio Verucci (Venezia 1663), ma che incontrerà fortuna anche presso Carlo Goldoni, il quale lo ripropose, in forma metateatrale, nel Teatro comico (Venezia 1750).
Apice della produzione teatrale del M. è la commedia Pantalone mercante fallito, pubblicata a Venezia nel 1693. A quest'opera la critica si è rivolta con particolare attenzione non solo per l'efficacia dei risultati ma per l’esplicita chiamata in causa da parte di Goldoni, che nella Prefazione a La bancarotta o Il mercante fallito (Venezia 1757) vi riconobbe lo spunto ispiratore della propria commedia, pur riservandole un giudizio totalmente negativo. La definì, infatti, «fra le cattive commedie a soggetto, una commedia pessima», tacendone persino il nome dell’autore. Nella prefazione dell’edizione Pasquali (Venezia 1761), ne classificò l’argomento come «uno de’ soggetti i più sconci, e più mal condotti» (XVI, pp. 5 s.), omettendo il titolo per accreditarne una generica appartenenza agli scenari dell’Arte. L’ingenerosa stroncatura rappresenta tuttavia l’attestato più persuasivo della rilevanza della commedia di Mondini per gli sviluppi della riflessione di Goldoni. Egli, infatti, non si limitò ad attingervi la trama generale de Il mercante fallito e numerosi altri episodi riconoscibili in La putta onorata (II, 2), in Il prodigo (I, 4) e in La famiglia dell’antiquario (I, 16) – ma ne comprese l’importante tentativo di aggiornamento della drammaturgia comica, di cui egli si sarebbe fatto interprete nel proprio disegno di riforma. In quella che è stata definita «la commedia in assoluto più matura e compatta del repertorio veneziano pregoldoniano a noi noto» (Vescovo, 1987, p. 62), infatti, non solo è già in atto «quel processo di trasformazione che porterà la maschera a diventare un carattere» (Mangini, p. 19), ma affiorano tratti della commedia cittadina, in cui gli spazi e i quadri di vita veneziana da sfondo occasionale divengono parte costitutiva e integrante della vicenda, saldandosi alle azioni dei protagonisti. Inoltre, la variazione dell’argomento rispetto alle precedenti commedie – Pantalone e Celio dilapidano il proprio patrimonio nello sconsiderato proposito di ottenere l’amore di due astute cortigiane – sottrae i protagonisti, padre e figlio, alla scontata dinamica di contrasti tra divergenti progetti matrimoniali, privilegiando una più attenta esplorazione dei rapporti tra generazioni e ampliando lo spazio della riflessione morale.
In un episodio centrale della commedia (II, 5) Pantalone, in gondola con l’amata, intona un’ottava della Gerusalemme liberata alla veneziana, alludendo in modo esplicito a un’opera da poco pubblicata dall’editore Domenico Lovisa. Con tale ingegnosa trovata propagandistica, il M. intendeva richiamare l’attenzione sulla ponderosa traduzione in dialetto del poema tassiano che lo aveva impegnato negli anni precedenti e che era finalmente approdata alle stampe.
Tra il 1691 e il 1692, il M. aveva infatti iniziato a pubblicare a Venezia El Tasso stravestìo da Barcariol venezian, ovvero el Tasso tradoto in lengua veneziana. I primi otto canti apparvero nel 1692 in un economico formato in dodicesimo sotto lo pseudonimo di Simon Tomadoni. Secondo un’isolata testimonianza di Raffaello Barbiera (p. 30), già nel 1691 a Venezia, il M., confortato dalla buona accoglienza del pubblico, avrebbe presentato i rimanenti canti sempre sotto pseudonimo, in un unico volume. L’opera riscosse un immediato successo, tale da persuadere l’editore Lovisa a imprimere una prestigiosa edizione in quarto nel 1693, con il titolo El Goffredo del Tasso cantà alla barcariola e il nome di Mondini. Il volume, dedicato al nobile veneziano Francesco Duodo, presentava il testo originale a fronte ed era arricchito da 20incisioni di G. Guerra e F. Valesio (riprese da edizioni venete secentesche della Gerusalemme) e da una tavola per l’antiporta, commissionata per l’occasione a suor Isabella Piccini.
L’opera del M. si inserisce nel variegato quadro di travestimenti vernacolari del poema tassiano che conobbero vasta fortuna tra Sei e Settecento: la versione in bolognese di Giovanni Francesco Negri (Tradottione della Gerusalemme Liberata del Tasso in lingua bolognese popolare, Bologna 1628) e la bergamasca di Carlo Assonica (Il Goffredo del signor Torquato Tasso travestito alla rustica bergamasca, Venezia 1670) furono sicuramente note all’autore, che tuttavia si riallacciava più esplicitamente alla traduzione veneziana del solo primo canto proposta alcuni anni prima da Giovanni Benedetto Perazzo Domenici (Promiscui Apollinis Flosculi, III, Venezia 1678). Rispetto agli esperimenti analoghi, con i quali condivide la destinazione a un pubblico colto, la versione del M. si distingue per un più scoperto indirizzo antiturchesco e per la specifica connotazione alla barcariola, cioè alla tradizione del canto dei gondolieri, di cui mutua ambiente e modalità comunicative. La riduzione parodica del registro eroico e meraviglioso procede così attraverso il sapiente dosaggio di linguaggio gergale, di coloriture locali e di toni colloquiali, e l’adozione di procedimenti rappresentativi modulati sull’esperienza del vissuto cittadino e familiare, con un esito di grande naturalezza. Le numerose ristampe, anche a distanza di tempo (Venezia 1704, 1728, 1746, 1771, 1790, 1840) documentano il perdurante gradimento ottenuto dall’opera.
Nel 1733, sotto lo pseudonimo di Santo Bagozzi, accompagnato dall’epiteto di «poeta natural che del Parnaso netta i pozzi» e con dedica ad Alvise Pisani, apparve a Venezia La Bagozzeide, una raccolta di 100 componimenti – 98 sonetti, 20 dei quali caudati, e due madrigali – per lo più in veneziano, seguiti da una canzonetta in endecasillabi e settenari, anch’essa in dialetto, intitolata La marendina.
L’opera, già da Mazzuchelli e, più recentemente, da Vescovo (2002) attribuita al M., raccoglie componimenti scritti tra gli anni Ottanta del Seicento e il 1730, presentandosi come una sorta di ricapitolazione conclusiva della produzione e della vita dell'autore. Le liriche, di prevalente contenuto morale, gnomico e giocoso, si attardano sui canoni della tradizione secentesca: ai possibili modelli di riferimento il M. allude nel sonetto conclusivo Al lettor, citando tra i poeti «perfetti» Claudio Achillini, Ciro di Pers, Giovan Battista Felice Zappi e Carlo Maria Maggi, ma è visibile il dialogo con la produzione teatrale e il Goffredo, per l’insistita ricerca di effetto comico e per l’analoga intenzione comunicativa. Numerosi sono i componimenti di carattere autobiografico e d’occasione, attraverso i quali si può aggiungere qualche tessera alla scarna documentazione sulla vita dell’autore e sui suoi rapporti con la società veneziana del tempo.
Incerti sono la data e il luogo della morte del M, avvenuta probabilmente a Venezia, non molto tempo dopo la pubblicazione della Bagozzeide (1733).
Fonti e Bibl.: Padova, Università degli Studi, Archivio antico, 439, c. 13; 735, c. 151; 230, I, c. 418; P. Vescovo, «Una fatica bizzarra e studiosa»: El Goffredo del Tasso cantà alla barcariola del dottor T. M., in T. Mondini, El Goffredo del Tasso cantà alla barcariola, Versione in veneziano de «La Gerusalemme liberata», ed. anast. [1693], Padova 2002, pp.V-XL; G.M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 67; E. Re, La commedia veneziana e il Goldoni, in Giornale stor. della letteratura italiana, XXIX (1911), pp. 371, 374 s.; Venezia nel canto dei suoi poeti. Con pagine di musica popolare. Scelti e illustrati da Raffaello Barbiera, Milano 1925, pp. 30-32; La commedia dell’Arte. Storia e testo, a cura di V. Pandolfi, III, Firenze 1958, pp. 281-293; B. Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, Venezia-Roma 1959, pp. 151 s.; P. Spezzani, Per un’analisi critica e linguistica della «Bancarotta» di C. Goldoni, in Studi goldoniani, IV (1976), p. 86 n. 9; G. Padoan, L’esordio di Goldoni: la conquista della moralità, in Lettere italiane, XXXV (1983), pp. 41-45; N. Mangini, Il teatro italiano tra Seicento e Settecento: primi tentativi di riforma, in Italianistica, XIII (1984), pp. 17-20; P. Vescovo, Per la storia della commedia cittadina veneziana pregoldoniana, in Quaderni veneti, V (1987), pp. 37-43, 51-55, 60-64; F. Brevini, Le traduzioni dialettali dei classici: il caso del Tasso, in La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, a cura di F. Brevini, I, Milano 1999, pp. 1284, 1296-1315 e passim.