MAZZA, Tommaso
– Nacque a Forlì, presumibilmente tra il 1615 e il 1616, da Defendente; non è noto il nome della madre.
In assenza di riscontri nei libri battesimali della cattedrale e della basilica di S. Mercuriale di Forlì, le notizie relative alla data di nascita sono contrastanti. Nella relazione che nell’ambito dell’inchiesta disposta da Innocenzo X sui regolari d’Italia fu inviata a Roma nel 1650 dal convento di S. Giovanni in Canale di Piacenza, dove il M. risiedeva allora con l’incarico di lettore, viene detto «d’anni 34» (Forte, p. 422). Un necrologio della provincia romana lo dichiara però circa settantasettenne al momento della morte, nel 1688, e porterebbe dunque la nascita al 1610-11.
Entrò «adolescens» tra i domenicani forlivesi di S. Giacomo apostolo (Quétif -Echart, p. 718); prima dell’ingresso nell’Ordine aveva seguito nella città natale le lezioni di umanità del gesuita ferrarese Andrea Lazzari, come attesta la dedica all’antico maestro de Il Raimondo. Panegirico sagro a s. Raimondo di Pegna (Crema 1666), edizione accresciuta di un discorso pronunciato nel 1639 dal M., studente di teologia, nel refettorio del convento di S. Domenico di Bologna, pubblicato in quella città nel 1647 con il titolo La luce del mondo. Panegirico sacro sopra di s. Raimondo. Sempre nel 1647 a Bologna era stata stampata un’Orazione latina da lui recitata, in qualità di primo lettore di filosofia dello Studium domenicano bolognese, all’apertura del capitolo della provincia Utriusque Lombardiae, tenuto in quell’anno. Nel 1650 il capitolo generale dell’Ordine riunito a Roma approvò la promozione del M. al magistero in teologia.
Dal 1650, per un quindicennio, il M. insegnò nelle scuole dell’Ordine, spostandosi tra Bologna, Piacenza, Mantova, Genova e Bosco Marengo. Fu quindi priore dei conventi di Imola, Forlì e Ferrara.
Le memorie locali si diffondono sulla sua cura per gli edifici conventuali: a Imola fece costruire un nuovo refettorio e un atrio; a Forlì rinnovò il primo chiostro, collocandovi una cisterna marmorea sormontata da una statua di S. Domenico in bronzo dorato e una serie di iscrizioni in onore del santo, da lui stesso composte nel 1657. Si ignora se abbia avuto parte, nel 1663, nella commissione al Guercino (Giovanni Francesco Barbieri) da parte dei domenicani di Forlì della tavola con il Beato Marcolino Amanni, traslato in quel periodo in una nuova cappella della chiesa. Membro dell’Accademia cittadina dei Filergiti, rifondata nel 1652 dopo un lungo periodo d’inattività, il M. fu amico di Francesco Scannelli, medico forlivese appassionato d’arte, autore de Il microcosmo della pittura (Cesena 1657). Nel periodo del priorato in S. Domenico di Ferrara entrò in relazione con il cardinale Carlo Rossetti, del quale divenne teologo.
Nel 1665, dal convento ferrarese, il M. si propose per l’incarico di inquisitore locale. Nella supplica rivolta alla congregazione del S. Uffizio faceva presente che da dodici anni aveva affiancato agli incarichi nell’Ordine il servizio come consultore delle Inquisizioni di Piacenza, Mantova e Ferrara, e in questa era stato anche vicario (Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Sant’Officio, Stanza storica, HH.2.f, cc. n.n.). Nel settembre dello stesso anno fu nominato inquisitore a Crema, per essere trasferito nel 1667 a Vicenza e nel 1670 a Verona.
Sedi di rango minore nel quadro della rete periferica del S. Uffizio, i tribunali veneti che si trovò a reggere si collocavano comunque in un’area strategica per il corso della politica dell’Inquisizione romana nel secondo Seicento. Dopo l’ondata di condanne che alla fine degli anni Cinquanta aveva disperso i gruppi pelagini bresciani e bergamaschi, rimaneva infatti viva l’attenzione nei confronti degli epigoni del movimento e dei seguaci di pratiche mistiche e carismatiche, temute parimenti dalle autorità ecclesiastiche e secolari.
L’esperienza acquisita nei territori della Repubblica di Venezia valse al M., nel giugno 1674, la promozione alla più importante sede di Genova (di «prima classe» con Milano, Bologna e Faenza), procurata – a detta di un apologeta del M., il minore osservante portoghese Francesco Macedo (Responsio ad notas nobilis critici anonymi, Verona 1674, p. 6) – dal cardinale Francesco Albizzi, che ne aveva apprezzato la prudenza e la dottrina.
Con l’approdo al ruolo d’inquisitore, il M. diede corso ad ambizioni letterarie ed erudite che in precedenza si erano appena profilate, nell’intento di accreditarsi negli ambienti culturali delle città in cui operava. Nel 1666, a Crema, aveva ripubblicato il panegirico di s. Raimondo di Peñafort. Nella nuova edizione (un’altra ne uscirà a Bologna nel 1681) lo scritto giovanile – corredato di un’approvazione in rima del vescovo di Crema e infarcito di versi tardolatini, in particolare dei prediletti Ausonio e Claudiano – passava da 27 a 104 pagine, lungo le quali il M. evitava rigorosamente l’uso della lettera «r», con un artificio barocco che una nota di Cinelli Calvoli riconduceva maliziosamente alla «imperfezione, che doveva avere il padre Mazza, di non poter pronunciare l’R» (p. 302). Due anni dopo uscì a Vicenza la Vita di Claudiano poeta, con l’Apologia per il di lui cristianesimo, introdotta da una pomposa e adulatoria dedica al podestà veneziano della città, Nicolò Michiel, eletto patrono di un’impresa – dimostrare la fede cristiana del poeta protetto da Stilicone – che costringeva il M. a mettere in campo argomenti tanto più abbondanti e capziosi quanto più arduo si presentava l’ostacolo: l’opinione contraria di Agostino e Paolo Orosio. Il capitolo principale e più controverso del suo impegno di autore si sarebbe aperto a Verona nel 1673 con la pubblicazione dell’Apologia per frate Giovanni Annio Viterbese (Giovanni Nanni), poi tradotta in latino da un confratello e stampata con falsa data topica e senza anno (Opusculum apologeticum quo fr. Io. Annius Viterbiensis Ord. Praed. a recentiorum, et antiquorum calumniis vindicatur).
L’Apologia – parte, avvertiva il M., di un lavoro più ponderoso, in via di stesura, sulla storia delle antiche popolazioni gote – non si limitava a un’appassionata difesa della persona del domenicano Nanni, tacciato dalla storiografia cinquecentesca d’impostore e falsario, ma rivendicava l’autenticità dei frammenti da lui pubblicati, specialmente di quelli attribuiti al sacerdote caldeo Beroso, riferendone con ammirazione il racconto delle antichissime genealogie noachiche e della dispersione dei figli di Noè nell’Etruria e nel resto d’Europa, nonché gli ingegnosi argomenti linguistici e onomastici. Il M. confutava perciò puntigliosamente i rilievi dei numerosi critici che avevano demolito i testi anniani – da M.A. Coccio Sabellico a Juan Luis Vives, da Melchor Cano a Gerhard Johann Voss – accusati, tutti, di pedanteria ciceroniana e di astio antiscolastico. Vivaci furono le reazioni del mondo erudito veronese, dal quale proveniva un censore di Nanni del calibro di Onofrio Panvinio. Contro la riabilitazione di Nanni insorse il nobile Francesco Sparavieri, con alcune caustiche Castigationes ad Apologiam Thomae Mazzae pro Ioanne Annio Viterbiense (circolate manoscritte e infine raccolte in un grosso volume a stampa, con la sola indicazione dell’anno 1676). Respinte le ragioni del M., Sparavieri si scagliava con particolare violenza contro il francescano F. Macedo, ex gesuita e professore di filosofia morale nello Studio di Padova, il quale aveva preso le parti del M. con la sua Responsio ad notas… fin dall’estate 1674. Seguirono una risposta del M. – con l’opuscolo Aucupium ibis hoc est confutationes obiectionum elenchistae cuiusdam del 1676, dedicato al patrizio genovese Cosimo Centurione – e una sprezzante controreplica di Sparavieri (In Thomam Mazzam, s.l. 1676), che ridicolizzò la fantasiosa rappresentazione di Nanni quale ibis incalzato dai bracconieri.
Nel 1677, con lo pseudonimo Didimo Ropaligero Liviano, il M. fece imprimere a Verona la preannunciata opera maggiore, I Goti illustrati overo Istoria de Goti antichi (un’ulteriore emissione uscì a Verona con frontespizio datato 1679).
A dispetto del titolo, solo una ventina di pagine – la nona parte del testo, preciserà Francesco Nazari nella recensione comparsa nel Giornale de’ letterati del 1679 – era dedicata, in apertura, ai Goti e alle loro migrazioni dalle regioni scandinave verso l’Europa sudorientale, ripercorse farraginosamente sulla scorta delle testimonianze di geografi e poeti antichi e degli scritti di Orosio, Paolo Diacono e Giordane, con in più qualche richiamo alla Methodus di Jean Bodin. A costituire il corpo centrale e più cospicuo dell’opera era l’apologia di Nanni, riproposta integralmente e saldamente ancorata al Medioevo barbarico. A essa si ricollegavano in vario modo le digressioni della sezione finale del volume, dedicate a temi quali il nome dei Longobardi, le credenze dei gentili sulla propagazione della specie umana, i fondatori di città, i nomi delle divinità pagane. Il M. concludeva così la sua battaglia, tardiva e priva di seguito, a sostegno delle ricostruzioni operate da Nanni. Una battaglia nella quale il fascino di una visione storica universale e le suggestioni delle testimonianze antiquarie, riecheggianti motivi del nascente pirronismo storico, si combinavano con la difesa rabbiosa della tradizione scolastica fratesca e dei suoi strumenti culturali, contro la superbia umanistica di «grammatici» ed «elegantisti», come il M. definiva polemicamente a più riprese nel testo i suoi avversari. Qualche decennio più tardi, negli Scriptores Ordinis Praedicatorum, Jacques Echard ricordò con un certo imbarazzo l’ostinata fedeltà del M. alla causa del confratello viterbese, a suo tempo confutato dal massimo teologo M. Cano. Ma a metterlo in difficoltà fu soprattutto l’appoggio offerto al M. dall’ex gesuita Macedo, il quale aveva poi accusato di giansenismo l’agostiniano veronese e futuro cardinale Enrico Noris. Nell’intento di allontanare dal M. un’ombra ambigua di filogesuitismo, il bibliografo domenicano francese respingerà perciò la voce, raccolta da G. Leti, secondo cui proprio Noris sarebbe stato l’ispiratore delle Castigationes di Sparavieri.
La polemica con Sparavieri si era intrecciata con una fase intensa e delicata dell’attività d’inquisitore a Genova. A poco più d’un anno dal suo insediamento, nell’agosto 1675, il M. aveva dato conto al S. Uffizio del dilagare nei territori sotto la sua giurisdizione – dalla costa genovese occidentale fino alla Corsica – dell’«orazione di quiete e del silenzio» (lettera in Petrocchi, pp. 152-154), le cui infiltrazioni dalla Francia in diverse zone della Savoia e del Monferrato erano state segnalate a Roma fin dal 1671. La scrittura redatta nell’aprile del 1682 dal cardinale Albizzi sull’Orazione di quiete (ibid., pp. 147-157), nella quale prendeva forma un paradigma del quietismo destinato a lunga fortuna, ci informa sul ruolo assunto dal M. nel coordinamento – tra le aree ligure e piemontese – delle iniziative rivolte al controllo delle devozioni sospette e delle letture che le veicolavano. All’inizio del 1676, per ordine della congregazione del S. Uffizio, il M. istruì il processo contro Maurizio Scarampi, signore di Cortemiglia, denunciato all’Inquisizione di Alessandria per aver protetto e incoraggiato, nelle sue terre, conventicole dedite a esperienze contemplative. Oltre a esaminare testi manoscritti e a stampa di dubbia ortodossia, in seguito il M. dovette far fronte, nel 1675, alle proteste suscitate a Finale e a Spigno, nell’entroterra savonese, dalla pubblicazione dei decreti dell’Inquisizione romana che vietavano particolari forme di preghiera e mettevano in guardia contro i rischi dell’orazione mentale.
Nel giugno 1677, il M. partecipò in qualità di definitore della provincia Utriusque Lombardiae al capitolo generale dell’Ordine, a Roma. Trasferito all’inizio del 1679 all’Inquisizione di Bologna, fu nominato il 21 giugno 1682 commissario del S. Uffizio. Le fonti domenicane, dal necrologio ufficiale a Echard e Touron, insistono sull’impegno profuso dal nuovo commissario nell’opera di raccolta e vaglio di testimonianze sulle presunte deviazioni quietiste, che coinvolse ampiamente l’Ordine e condusse, nel luglio 1685, all’arresto e all’incarcerazione di Miguel de Molinos. Fu proprio il M. a ricevere, il 3 sett. 1687, l’abiura del prete spagnolo, reo confesso e condannato al carcere perpetuo, e ad assolverlo dalle censure ecclesiastiche. La sua figura s’intravede in lontananza, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva stipata di folla, nell’incisione di Arnold van Westerhout rappresentante la scena della sentenza. Entrato a far parte della speciale congregazione deputata al giudizio sull’operato e gli scritti del cardinale Pier Matteo Petrucci, il M. presenzierà inoltre alla ritrattazione in forma privata da questo pronunciata il 17 dic. 1687.
Assunto tra i protagonisti di quella «svolta antimistica» (Signorotto, p. 279) che, promossa dal S. Uffizio, aveva travolto personalità protette dallo stesso papa Innocenzo XI, sopravvisse per poco tempo alle drammatiche vicende che aveva attraversato.
Dopo un periodo di malattia, il M. morì a Roma in S. Maria sopra Minerva, nelle stanze dell’Inquisizione, il 15 luglio del 1688.
L’insieme dell’attività romana del M. è documentato da due voluminosi fasci di abiure spontanee rese da luterani e calvinisti, ma anche da religiosi e laici accusati di bestemmie e fornicazione (Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Sant’Officio, Stanza storica, M.4, g-h). L’inventariazione in corso delle serie dell’archivio del S. Uffizio romano sta portando alla luce lettere e altri interventi da lui redatti su varie questioni. Tra questi si segnalano le censure di uno scritto del 1681 a difesa della Mistica città di Dio di Maria d’Agreda (ibid., O.3.b: De scriptis Mariae a Iesu de Agreda, cc. n.n.) e di alcune tesi sospette di giansenismo discusse all’Università di Lovanio (ibid., G.3.i: Acta in varias theses propugnatas in Belgio ab anno 1670 ad annum 1703, cc. 209-214).
Opere. Oltre alle opere ricordate, la bibliografia registra, come inediti, un Tractatus moralis super interdicto mulieribus monasteriorum ingressu, una serie di Prediche delle dominiche e de’ santi, oltre ad alcuni Philosophica et theologica scripta, tutti risultati irreperibili.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivum generale Ordinis Praedicatorum, serie V, 3, n. 14, 17 luglio 1688; Necrologio della provincia romana 1656-1694 (trascrizione dattilografica, Firenze 1978), n. 550; serie XIV, lib. D: Chronologicae Annotationes ven. conv. S. Iacobi Maioris Ap. Forolivii prov. Utriusque Lombardiae, pp. 255-257; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Sant’Officio, Stanza storica, HH.2.f: Circa deputationem Inquisitorum, cc. n.n., 16 sett. 1665; II.2.i: Catalogo delli nomi, cognomi e patria di tutti l’inquisitori d’Italia, cc. 57, 78, 116, 132; H.3.h.f. IX (lettera del 13 apr. 1675); Tituli librorum, 1677-87, ff. 50, 52, 55, 60; Privilegia, 1701-10, c. 297; P. Bonoli, Storia di Forlì (1661), II, Forlì 1826, p. 474; V.M. Fontana, Sacrum Theatrum Dominicanum, Romae 1666, p. 566; B. Ricceputi, La verità rediviva a favore della città di Forlì, Forlì 1673, pp. 161 s.; Giorn. de’ letterati, VII (1674), pp. 17-24; Giorn. de’ letterati di Francesco Nazari, VIII (1675), pp. 12 s.; XII (1679), pp. 3-10; G. Leti, L’Italia regnante, IV, Valenza 1676, pp. 328-340; A. Rovetta, Bibliotheca chronologica illustrium virorum prov. Lombardiae S. Ord. Praedicatorum, Bononiae 1691, pp. 194 s.; J. Quétif - J. Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, II, Parisiis 1721, pp. 718 s., 827; G.V. Marchesi, Vitae virorum illustrium Foroliviensium…, Forolivij 1726, pp. 167 s.; Bullarium Romanum, VIII, Romae 1734, p. 445; G.V. Marchesi, Memorie storiche dell’antica, ed insigne Accademia de’ Filergiti della città di Forlì, Forlì 1741, pp. 199 s.; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, III, Venezia 1746, pp. 227-230, 301 s.; IV, ibid. 1747, p. 257; A. Touron, Histoire des hommes illustres de l’Ordre de St Dominique, V, Paris 1748, pp. 614-626; S. Maffei, Verona illustrata, III, 2, Milano 1825, pp. 414-416; Monumenta Ordinis Fratrum Praedicatorum historica, a cura di B. Reichert, XII, Romae 1902, p. 308; XIII, ibid. 1903, p. 352; I. Taurisano, Hierarchia Ordinis Praedicatorum, Romae 1916, p. 75; G. Bandini, La lotta contro il quietismo in Italia, in Il Diritto ecclesiastico, LVIII (1947), pp. 46, 48; M. Petrocchi, Il quietismo italiano del Seicento, Roma 1948, pp. 49, 147-157; R.W. Lightbown, Correggio and Begarelli. A study in Correggio criticism, in Art Bulletin, XLVI (1964), p. 8; S.L. Forte, Le provincie domenicane in Italia nel 1650. Conventi e religiosi, V. La «provincia Utriusque Lombardiae», in Archivum Fratrum Praedicatorum, 1971, vol. 61, p. 422; G. Signorotto, Inquisitori e mistici nel Seicento italiano. L’eresia di santa Pelagia, Bologna 1989, pp. 266 s.; M. Gori, Le espressioni artistiche nei secoli XVII e XVIII, in Storia di Forlì, III, L’Età moderna, a cura di G. Tocci - C. Casanova, Bologna 1991, p. 270; A. Malena, L’eresia dei perfetti. Inquisizione romana ed esperienze mistiche nel Seicento italiano, Roma 2003, pp. 115, 190, 246.