MARZANO, Tommaso
– Figlio di Riccardo e di Rogasia Dragone, nacque nella seconda metà del XIII secolo.
Avendo combattuto, nel 1268, a fianco di Carlo I d’Angiò contro Corradino di Svevia, i fratelli Riccardo e Roberto Marzano, potenti baroni in Terra di Lavoro e in Terra d’Otranto, avevano ottenuto conferma dei loro territori tra cui Marzano, Sant’Angelo, Caggiano, Selvitella.
Nel 1294, sulla base delle leggi longobarde, il M. divenne proprietario di Marzano con il fratello primogenito Guglielmo; caduto Guglielmo «in uno strano morbo di svolgimento di cervello» (Della Marra, p. 248), il M., fu incaricato da Carlo II d’Angiò re di Sicilia di prendersi cura del fratello e di tenerlo segregato se fosse stato necessario.
Il M. sposò Giovanna, figlia del gran protonotaro del Regno Bartolomeo di Capua, e con lei ebbe due figli, Riccardo e Goffredo: in occasione del matrimonio ricevette in dono dall’avo materno, Goffredo Dragone, la terra di Sant’Angelo di Rupecanina. Morta Giovanna, in seconde nozze sposò Simona Orsini, con la quale non ebbe figli.
Quando nel 1300 morì la prima moglie del fratello Guglielmo, l’eredità di questo, rivelatosi infecondo anche il secondo matrimonio, passò al M. il quale, aggiunte altre proprietà, divenne signore di Marzano, Dragone, Baia, Formicolo, Sasso, Sant’Angelo di Rupecanina e della Rocca d’Aspro che nel 1309 – già maresciallo del Regno – comprò da Bertoldo Colonna, valletto di camera di re Roberto d’Angiò.
L’ascesa del M. si snodò lungo l’arco temporale del regno di Roberto d’Angiò. Morto Carlo II, Roberto si recò ad Avignone per ricevere da Clemente V la corona regia. Per il timore di disordini esterni, siciliani o ungheresi, lasciò vicario del Regno Carlo duca di Calabria, ancora minorenne, affiancato dal Consiglio di reggenza, dall’arcivescovo di Capua e da Filippo di Taranto, capitano generale delle armi regie: il 16 maggio 1309 il M., maresciallo del Regno, ebbe il comando generale delle truppe che sarebbero partite al servizio del principe di Taranto; l’anno seguente era capitano di Napoli.
Nel novembre 1312 Roberto convocò un Parlamento a Napoli per il febbraio successivo: il M. stilò un elenco dei baroni più fidi e disposti a seguire il re, tra quelli obbligati al pagamento di una somma annua.
Il 7 apr. 1313 il M. fu nominato da Roberto conte di Squillace e grande ammiraglio, carica che sarebbe passata al figlio Goffredo: in segno di «liberalità», il M. concesse al miles Ligorio Zurlo 40 onze d’entrata delle 100 a lui date dal re (Della Marra, p. 249).
Nell’autunno 1313 Roberto fu creato da Clemente V senatore di Roma. Alla morte dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, la Lombardia visse una difficile situazione, che vedeva lo scontro di interessi cittadini e di fazioni, mentre i Visconti operavano per ridurre nelle loro mani i principali capi di parte guelfa. Il M., siniscalco di Provenza, era capitano degli Angioini insieme con Ugo Del Balzo, siniscalco di Piemonte e vicario per re Roberto in Lombardia; intorno a loro si strinsero i Torriani, che con il M. e Del Balzo mossero verso Milano e sconfissero le milizie di Matteo Visconti, capo del partito ghibellino, arrivando sotto le mura di Milano. Poi si fermarono adducendo come scusa il mancato arrivo dei soccorsi promessi dai Torriani e ripresero la via di Pavia: corse voce che a operare il repentino mutamento fosse stato il denaro di Matteo Visconti. Il 15 marzo 1314 Clemente V nominò Roberto vicario in Italia.
Rassicurato della posizione raggiunta nella penisola, Roberto alla testa di 400 navi nel 1314 sbarcò in Sicilia, nel golfo di Castellammare; lo affiancavano vari feudatari tra cui il Marzano. Lasciato nel forte di Castellammare un presidio, Roberto mosse verso Trapani e la assaltò da terra e da mare; spinto però da difficoltà anche organizzative, il 16 dic. 1314 concluse una tregua di quattordici mesi, sino al marzo 1316.
In qualità di procuratori di re Roberto il M., Niccolò Jamvilla e Giacomo Cantelmo si presentarono al re di Sicilia Federico III d’Aragona chiedendogli di prestare omaggio e giuramento sui capitoli: il 20 dicembre, presente il M., Roberto prestò giuramento di osservanza della tregua a Federico.
L’anno dopo, in preparazione di una nuova impresa in Sicilia, Roberto non lesinò favori ai baroni più fidati: il 19 ag. 1315 rinnovò il possesso di Squillace con la terra di Soverato, già concesso al M. e ai suoi successori «sub honore et titulo comitatus» (Camera, p. 227).
Nel marzo 1316, scaduta la tregua, in Sicilia ripresero le ostilità. Fu allestita un’armata affidata al comando del M. incaricato di sussidiare l’unico presidio rimasto a Castellammare e di portare guerra all’isola. Il M., per anticipare le mosse dei Siciliani, mandò Ruggero da Castrocucco a soccorrere il presidio con un’avanguardia. Ostacolate dai venti, le navi non giunsero in tempo a prevenire i Siciliani, che il 14 apr. 1316 espugnarono Castellammare; dopo aver danneggiato le coste, il M. si ritirò con l’armata. Riunì allora a Castellammare di Stabia 800 balestrieri, che dal 1° ag. 1316 si tennero pronti. Rinforzata e accresciuta da 70 tra galee e taride, imbarcati 1200 cavalli, gran numero di cavalieri e fanti, affidata ancora al M., la flotta angioina sbarcò a Marsala l’8 ag. 1316; l’indomani, l’impetuoso attacco da terra e da mare incontrò la resistenza dei Siciliani. Il M. ritentò l’espugnazione nei giorni successivi; dopo una settimana abbandonò il tentativo, ripiegò per Castellammare e pose le ancore nel porto di Segesta. Seguendo il suggerimento di Tommaso da Lentini e Tommaso da Procida, comandanti in seconda, il M. decise di portare la guerra all’interno.
Salemi fu la prima città assediata lungo il cammino. Fallito il tentativo, il M. e i suoi diedero sfogo alla rabbia: tagliarono frutteti e vigne, distrussero mulini e forni, rubarono armenti, appiccarono il fuoco alle messi. Devastazioni e saccheggi vennero compiuti anche a Castelvetrano dove si era spostata parte dell’armata. In direzione di Sciacca, nei pressi dell’odierna Menfi, il M. assaltò una torre detta del Borgetto, incontrando la resistenza dei soldati di presidio; trascorso qualche giorno, proseguì alla meta e assediò Sciacca che oppose vigorosa resistenza.
Tolto l’assedio anche a Sciacca, il M. marciò lungo la spiaggia e riguadagnò i pressi di Castellammare «indignatus, sibique dedecori ducens» (Testa, p. 171), quindi marciò verso il porto di Segesta, sperando di ottenere migliori risultati nella guerra per mare. Il 26 ag. 1316 l’armata era davanti Palermo.
Per due giorni la città – intorno alla quale il M. aveva radunato l’esercito di terra – venne assediata: alberi e viti tagliati, coltivazioni guastate, abitazioni rapinate, edifici incendiati, animali uccisi. Il 27 agosto fu fatto scempio delle maestose palme vicino al ponte dell’Ammiraglio che da secoli ombreggiavano sull’Oreto. L’armata s’imbarcò il 30 agosto, l’esercito di terra avanzò fino a Messina. Raggiunto il lido il 3 settembre, il M. e i suoi continuarono con incendi e devastazioni. Dopo un nuovo tentativo di sorprendere Milazzo, avvisato che la flotta di Federico III stava per muovergli contro, il M. deviò verso Reggio e tornò a Napoli il 14 sett. 1316, dopo aver seminato danni in Sicilia per circa 45 giorni. Opinione comune è che se il M. avesse continuato, avrebbe sottomesso tutta la Sicilia. Dotato di forza singolare, pare fosse capace di spezzare con le mani un ferro di cavallo; portava la barba lunga, scompigliata, perciò era chiamato «il mal pettinato» (Granata, p. 64).
Nel marzo 1317 tra Angioini e Aragonesi intervenne papa Giovanni XXII che inviò legati per trattare la pace: fu stipulata una tregua triennale (1317-20). Roberto d’Angiò era intanto impegnato nello scontro con i ghibellini.
Il 3 apr. 1318 Roberto scrisse al M. e al proprio cognato Bertrando Del Balzo, conte di Montescaglioso e di Andria, lasciati a custodia di Benevento, di sorvegliare sulla disciplina dei soldati al loro comando, i quali danneggiavano la città e gli abitanti. Fattasi aggressiva l’azione di Federico III, il M. fu riutilizzato sul fronte siciliano: il 28 sett. 1321 ai suoi ordini si concentrarono in Calabria forze ingenti. Il 28 ag. 1322 il M. condusse l’inchiesta ordinata dal re in occasione di una lite tra Cava e l’abbazia.
Il 22 apr. 1326 il re convocò a Napoli, per il successivo 15 maggio, conti, baroni e feudatari del Regno, che sarebbero dovuti passare in parte in Sicilia al seguito del conte Bertrando Del Balzo, in parte in Toscana con Carlo duca di Calabria. Il M. – che quello stesso anno fu coinvolto, creditore danneggiato, nel fallimento dei banchieri Scala – fu richiamato dalla Sicilia e inviato dal duca di Calabria in soccorso dei Fiorentini alle prese con Castruccio Castracani degli Antelminelli; riuscì a togliergli alcune terre, tra cui Carmignano. Mossosi Castruccio con l’armata ghibellina, il M. gli andò incontro ma, al momento di venire a battaglia, si alzò un forte vento; seguì una tempesta così terribile che l’impresa fallì; giunto nel frattempo l’inverno, non fu possibile procedere.
Nel gennaio 1328 Ludovico IV il Bavaro arrivò a Roma, dove il 17 fu incoronato imperatore. Aveva inizio la guerra: nel marzo 1327 Ingerranno Stella, arcivescovo di Capua, pubblicò nella cattedrale di Capua le lettere pontificie con le quali si ordinava la crociata contro Ludovico che, per l’appoggio dato ai ghibellini di Lombardia, era stato scomunicato il 23 marzo 1324. Il M. assistette alla solennità, crocesegnato per mano dell’arcivescovo.
Morto, il 9 nov. 1328, l’unico figlio ed erede di Roberto, Carlo duca di Calabria, il M. fu tra gli esecutori del testamento di Carlo, scelto dallo stesso duca.
Nel 1331 scoppiò una nuova guerra tra Catalani e Genovesi: approdati a Genova, dopo una serie di danneggiamenti e una tregua i Catalani si spostarono verso il Tirreno. I Genovesi mandarono ambasciatori a Roberto, che acconsentì alla pace a malincuore perché tra le condizioni vi era il rientro dei ghibellini a Genova. Con un gran numero di armati a cavallo il M. fu inviato sul fronte genovese dal re, timoroso di perdere autorità con il richiamo dei fuorusciti.
Dal marzo 1331 si mise in moto la macchina per far riconoscere, in Provenza e in altri domini angioini in Francia, la successione di Giovanna, figlia maggiore di Carlo. Nel 1332 si raggiunse un accordo con Caroberto re d’Ungheria: il figlio minore del re, Andrea, avrebbe sposato Giovanna. Il 31 luglio 1333 Caroberto arrivò con Andrea a Vieste: qui nell’agosto incontrò il M., inviato a ricevere gli Ungheresi a nome del re.
Stanco delle armi, il M. si dedicò alla salvezza dell’anima. Nel 1330 fece edificare a Capua il monastero di S. Maria e lo dotò di diverse rendite; nel 1331 ebbe licenza di abitarvi con i monaci benedettini, e qui sarebbe stato seppellito (Granata, p. 64). Nel 1334 fece innalzare a Novi, nel Cilento, un monastero dedicato a S. Giorgio (Camera, p. 397).
Ripresa l’offensiva contro la Sicilia, nel 1339, Roberto affidò il comando della spedizione al figlio del M., Goffredo, «surrogato dal re in luogo» del padre (Summonte, p. 400): probabilmente per quella data il M. era già morto. Alle sue esequie, pompose, pare fosse intervenuta la corte di Roberto.
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