MARCHI, Tommaso
Nacque a Firenze all'incirca nel 1340 da Marco di Giotto e da Lisa di Caccia Dietaiuti.
La famiglia risiedeva nel sesto di Borgo. Il padre era giurisperito, svolse incarichi politici e diplomatici e ricoprì i maggiori uffici della città: fu priore (1334 e 1343) e nel 1340 e nel 1344 fu inviato in missione diplomatica ad Arezzo. Alla sua morte fu sepolto nella chiesa di S. Stefano al Ponte.
Anche il M. entrò ben presto nella vita pubblica fiorentina, ricoprendo cariche di rilievo e svolgendo missioni diplomatiche inizialmente nell'ambito del governo cittadino, caratterizzato dal crescente predominio della Parte guelfa e in seguito, dopo la parentesi dei ciompi, all'interno del regime oligarchico affermatosi nel 1382 in un contesto politico in cui Firenze realizzava il consolidamento statuale anche attraverso una decisa espansione territoriale, seppure contrastata da una lunga ed estenuante lotta contro i Visconti.
La formazione del M., essenzialmente di natura giuridica, lo portò a ottenere la qualifica di notaio; in tale veste il 13 genn. 1364 fu iscritto nelle liste predisposte dalla Parte guelfa per lo scrutinio dei tre maggiori uffici ed era presente nella portata elettorale del 9 febbr. 1367. Il 26 giugno di quell'anno ottenne da papa Urbano V l'ammissione alle scuole di diritto canonico dello Studio di Bologna.
Nel 1376 il M. conseguì la laurea in decretali a Firenze: infatti in una lettera del 12 aprile di quell'anno, la Signoria chiedeva al vescovo di Firenze, Angelo Ricasoli, che al M. fosse concesso di addottorarsi in diritto canonico in occasione delle vicine festività pasquali (Arch. di Stato di Firenze, Signori, Missive, 17, c. 14v).
Il M. non trascurò inoltre gli studi letterari, come testimoniano i suoi rapporti con esponenti della cultura fra i quali Coluccio Salutati, con il quale dovette condividere l'impegno intellettuale e politico.
Il 26 ott. 1375 il M. era stato inviato a Siena allo scopo di stringere un patto per riconquistare agli Aretini Lucignano, impresa che, fino a quel momento, non era riuscita; a tal fine si richiedeva che i Senesi mandassero al più presto ambasciatori a Firenze. Il 29 ottobre il M., ancora a Siena, fu incaricato di comunicare il parere della città sulla volontà del conte Francesco Aldobrandeschi di Santa Fiora di entrare in accomandigia con Firenze.
Alla fine del 1375 il M. effettuò, su mandato degli Otto santi, una missione a Città di Castello insieme con Taddeo Carchelli: i due oratori erano deputati a sostenere la ribellione all'autorità pontificia di Urbino e del conte Antonio di Montefeltro, desideroso di stringere alleanza con Firenze, fornendo un sostegno logistico e predisponendo la difesa di quel territorio. Nel gennaio 1376 si recò a Forlì per favorire l'ascesa di Sinibaldo Ordelaffi a signore di quella città. Nel luglio il M. fu inviato in Romagna per trattare un accordo con Galeotto Malatesta, e a novembre si recò a Perugia per difendere la causa di alcuni mercanti fiorentini.
In seguito all'instaurarsi del governo dei ciompi, nel luglio 1378, molti esponenti della Parte guelfa furono esiliati e altri lasciarono volontariamente la città; nonostante le continue epurazioni per il timore di complotti, nel dicembre 1379 fu scoperta una congiura che, con l'appoggio degli esuli e di forze mercenarie, mirava a sovvertire l'ordinamento politico: tra i provvedimenti richiesti per punire i rivoltosi, oltre alle confische dei beni, vi fu quello di sospendere le normali procedure istituzionali in concomitanza dell'estrazione a sorte dei nuovi membri del priorato e del gonfalonierato di Giustizia, che doveva aver luogo il 20 di quel mese, allo scopo di eleggere magistrati fedeli al regime. Tra le varie soluzioni avanzate in merito, vi fu quella del M., che insieme con Benedetto Alberti, Benedetto da Carlona e Lorenzo di Donato, tintore, espresse il parere secondo cui la tratta doveva essere effettuata dai quattro accoppiatori preposti alle borse del priorato secondo le procedure tradizionali: tale proposta fu accolta nella "pratica" del 26 dicembre a cui parteciparono la Signoria, i Collegi e tutte le capitudini delle arti, e i risultati dello scrutinio furono accettati da tutta la cittadinanza.
Il M. partecipò allo scrutinio per le cariche maggiori del gennaio-febbraio 1382, per il "gonfalone" Vipera nel quartiere di S. Maria Novella, e conseguì per la prima volta il priorato il 1° sett. 1383. Nel dicembre 1384 fu inviato di nuovo come ambasciatore a Siena, insieme con Benedetto Alberti, Andrea di Franceschino Albizzi, Stoldo Altoviti e Giovanni Bicci, a causa dei tumulti scoppiati in quella città e per il timore, da parte del governo dei Nove, che i membri delle famiglie più importanti mandati in esilio cercassero di riprendere il controllo dello Stato con l'aiuto di Firenze.
In quella circostanza furono trucidati nove abitanti del contado fiorentino e altri vennero fatti prigionieri, per cui Firenze inviò truppe ai confini. Gli ambasciatori dovettero sostare a lungo a Staggia prima di ottenere il salvacondotto per entrare a Siena, dove la missione si rivelò difficile e non ebbe l'esito sperato. Nel marzo seguente, grazie anche all'appoggio fornito da Firenze agli esuli senesi, questi sostituirono al reggimento politico dei Nove un regime aristocratico. Il 25 maggio 1385 il M. fu aggregato al patriziato senese con la possibilità di estendere quel beneficio alla discendenza.
Nel gennaio 1386 il M. si recò a Genova con Filippo di Cionetto Bastari e Zanobi da Mezzola per indurre il pontefice Urbano VI a tornare a Roma, ma rientrò a Firenze nel marzo senza aver conseguito l'obiettivo.
Nell'agosto 1387, insieme con altri giurisperiti, fu chiamato a esprimere un parere su una delicata questione riguardante il privilegio dell'immunità per coloro che avevano ricoperto l'ufficio del priorato.
In base alla legge statutaria, l'immunità era riconosciuta fino a un anno dal termine della carica: il caso era relativo a una vicenda in cui era coinvolto Giovenco Bastari, che aveva accusato il capitano del Popolo, Sentino da Spoleto, di avere violato tale principio. Nella sentenza la commissione ribadì in quel frangente l'ottemperanza alla norma statutaria e nello stesso tempo scagionò il giusdicente, data l'incertezza della materia.
Dal 15 dic. 1387 il M. entrò nel Collegio dei dodici buonuomini. Nell'ottobre del 1388 con Palmieri Altoviti ricevette un delicato incarico che lo avrebbe portato a Bologna, Ferrara, Venezia e Padova per scongiurare la guerra tra Venezia e il duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, da una parte, e Francesco da Carrara, signore di Padova, dall'altra. Il 17 marzo 1389, a Firenze, il M. intervenne con il giurisperito Giovanni Ricci in favore di Francesco di Iacopo Alberti, che era stato arrestato dal podestà con l'accusa di attività contro il governo, chiedendo che fosse liberato.
Nel 1389 il M. si recò per una missione a Roma con Alessandro Arrigucci, allo scopo di stipulare con il pontefice Bonifacio IX una lega aperta anche agli altri confederati di Firenze, in particolare i Bolognesi, Rinaldo Orsini e il conte Antonio di Montefeltro. Il 9 dic. 1389 prese parte a una pratica sostenendo che non era conveniente riporre fiducia nella compattezza delle vicine signorie in Toscana, anch'esse impegnate ad arginare Gian Galeazzo tanto da non poter sostenere Firenze. Dall'8 genn. 1390 entrò a far parte dei gonfalonieri di Compagnia; tra l'11 e il 21 marzo dello stesso anno, in base alla commissione ricevuta dai Priori e dal gonfaloniere di Giustizia il 10 marzo precedente, il M. espresse un parere su una vertenza tra gli ufficiali dello Studio e i provveditori della Camera del Comune. Nell'aprile 1391 prese parte allo scrutinio per i tre maggiori uffici. Dal 25 ott. 1392 compì insieme con Francesco Ardinghelli e Andrea di Ugo Della Stufa una lunga e difficile missione a Pisa, in seguito alla presa del potere da parte di Iacopo Appiani, che aveva segretamente appoggiato Gian Galeazzo durante la guerra ai danni dell'antico alleato fiorentino Piero Gambacorta: scopo della missione era la tutela della vita e dei beni dei Fiorentini lì residenti.
Nel novembre 1393 il M. si recò a Milano allo scopo di intercedere per la liberazione di Giovanni Ricci, catturato dalle forze viscontee nella battaglia di Alessandria del 25 luglio 1391 e tenuto in ostaggio a Pisa da Iacopo Appiani.
Il 4-5 ag. 1395 intervenne in una pratica appoggiando la tesi di Alessandro Alessandri, secondo il quale era opportuno che Firenze tenesse il possesso di Castrocaro, offerta da papa Bonifacio IX come garanzia di un prestito ricevuto, anche se vi era il rischio che tale decisione mettesse a repentaglio l'alleanza con Bologna contro Gian Galeazzo. Il 1° nov. 1395 il M. fu ancora priore. Il 25 giugno 1397 risulta iscritto insieme con i fratelli, i figli e i nipoti tra i prestanziati del quartiere S. Maria Novella, gonfalone Vipera, con un coefficiente comune di imposta di 12 fiorini. Dal 1° giugno 1399 ricoprì l'ufficio di camerario della Camera del Comune per due mesi; dall'8 maggio 1400 fu ancora gonfaloniere di Compagnia e dal 1° ottobre rivestì la carica di ufficiale dell'Abbondanza per sei mesi; nello stesso anno fu eletto tra i Riformatori della città. Nel 1401 prese parte a diversi dibattiti politici: il 9 gennaio si espresse a titolo personale in merito alla sorte dell'imputato Antonio Alberti richiedendo un giudizio non privo di clemenza e di misericordia; il 7 febbraio intervenne sull'atteggiamento da tenere in previsione dell'arrivo a Firenze degli ambasciatori del re dei Romani Roberto di Baviera; il 12 luglio, riguardo alla stipula di un nuovo trattato con Giovanni Bentivoglio, prima di inviargli aiuti a Bologna, si allineò all'intervento di Filippo Corsini, secondo il quale bisognava delegare ogni decisione a una nuova pratica e il 16 seguente discusse sulla proposta di legge relativa all'immissione di nuovi nominativi nelle borse della Signoria; il 1° agosto ribadì la necessità di stabilire un'alleanza con Bologna, il 5 si espresse per il pagamento del denaro promesso a Roberto di Baviera e ancora il 16 agosto aderì alla posizione di Filippo Corsini e Niccolò da Uzzano sui provvedimenti da prendere in merito al tentativo di sollevazione di Pistoia; il 19 agosto partecipò alla discussione sulle modalità degli aiuti ai Bolognesi, e il 24 agosto ancora sui fatti di Pistoia. Il 6 settembre parlò a favore della conferma nell'incarico di capitano delle milizie, di Bernardone delle Serre, e ribadì la necessità di non accordare alcun prestito a Bentivoglio e di onorare gli impegni con Roberto di Baviera.
Dal 1° ott. 1401 il M. ricoprì gli incarichi di ufficiale di Torre per sei mesi e di ufficiale dello Studio per un anno. Il 3 novembre dello stesso anno, dopo la disfatta delle truppe del re dei Romani da parte di Gian Galeazzo presso Brescia, intervenne in una pratica sull'opportunità di inviare gli oratori eletti il 24 ottobre precedente a Padova, dove avrebbe dovuto ritirarsi lo stesso Roberto di Baviera; l'8 dicembre, infine, sostenendo l'opinione di Lorenzo Ridolfi e degli altri partecipanti, chiese di affidare ai Dieci di balia e alla Signoria la trattativa con il re dei Romani per gli aiuti da destinargli.
Il 27 giugno 1402, il giorno seguente la battaglia di Casalecchio, che aveva portato all'occupazione di Bologna da parte di Gian Galeazzo, il M. intervenne in una consulta insieme con i maggiori esponenti del reggimento sulla convenienza di sostenere la popolazione di fronte al pericolo e di resistere comunque al nemico con tutte le risorse possibili. Il 1° ag. 1402 fu nominato capitano di Orsanmichele e il 1° novembre conseguì il gonfalonierato di Giustizia. Il 16 febbr. 1403 ebbe l'incarico di ufficiale dei Contratti. Nello stesso anno risulta iscritto più volte, con i fratelli e i nipoti, tra i prestanziati del quartiere S. Maria Novella. Ancora il 6 maggio 1404 pagò 2 fiorini e 10 soldi.
Il M. fece testamento il 30 dic. 1403, lasciando come eredi la moglie Maria di Lapo di Falcone, i nipoti Antonio e Iacopo, figli del defunto figlio Marco, i fratelli e gli altri nipoti. Morì nel 1404 presumibilmente prima del 19 giugno e non, come si ritiene comunemente, nel 1403.
La data, sia pure approssimativa, si ricava dal pagamento di una prestanza del M. nel giugno 1404, al quale tuttavia assolse Giotto di Piero Marchi il 19 dello stesso mese, ed è confermata dal fatto che il 29 giugno 1404 una nuova tassa fu pagata dalla moglie, con la quale risulta avere avuto i figli Tommaso e Marco.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, E.XXVIII, 3 (lettera di Raffolo Perleoni a Francesco Gonzaga del 13 nov. 1393); Arch. di Stato di Siena, Concistoro, 126, c. 29r; Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 170, cc. 102, 103r; 313, c. 9r; 323, c. 4r; 355, c. 69r; 356, c. 92r; 595, c. 64r; 596, cc. 96v, 127r; 597, cc. 102v, 154r; 900, c. 228r; Signori, Missive, 15, cc. 18, 33r 41r, 42r; 17, cc. 14v, 50v, 77r, 82r; 21, c. 73; Consulte e pratiche, 18, c. 58r; 26, c. 95r (23 agosto); 28, cc. 19v, 49v-51r; 31, cc. 98r-100r; 34, cc. 146v, 155v; 35, cc. 8r, 10r, 15r, 21r, 23r, 26v, 43r, 55r, 127v; Priorista di palazzo, cc. 64r, 88v, 129r, 141v, 148v; Dieci di balia, Legazioni e commissarie, 1, cc. 143, 168v-169r; Prestanze, 1630, c. 121v; 1996, c. 186r; 1998, c. 186r; 2006, c. 189r; 2011, c. 186r; 2015, c. 187r; 2029, c. 186r; 2043, c. 5v; Notarile antecosimiano, 19332, c. 1v (ser Domenico di Matteo di Dato Sofferoni); Manoscritti, 250 (priorista Mariani), c. 593r; 350 (Carte dell'Ancisa), cc. 410r, 411r, 413r; Raccolta Sebregondi, 3305; Firenze, Biblioteca nazionale, Poligrafo Gargani, 1212; Le "Consulte" e "Pratiche" della Repubblica fiorentina nel Quattrocento, I (1401). Cancellierato di Coluccio Salutati, a cura di E. Conti, Pisa 1981, pp. XXXI, XXXVII, XXXIX, XLIX, LIII, 25, 60, 170, 175, 184, 188, 193, 205 s., 211, 217, 219, 274, 312; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXX, 1, p. 432; Delizie degli eruditi toscani, XV (1781), p. 128; XVI (1783), pp. 65, 86, 177; XVII (1783), pp. 45, 57, 76, 165; XVIII (1784), pp. 75, 134, 157, 211; A. Gherardi, Statuti della Università e Studio fiorentino, Firenze 1881, pp. 327, 357, 375; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, II, Roma 1893, p. 376; III, ibid. 1896, pp. 20-23; P. Zambeccari, Epistolario, a cura di L. Frati, Roma 1929, p. XXIV; L. Martines, Lawyers and statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 75, 91, 106, 150, 153 s., 161 n., 396, 483; G. Brucker, Dal Comune alla Signoria. La vita pubblica a Firenze nel primo Rinascimento, Bologna 1981, pp. 154, 210, 217.