GOZZADINI, Tommaso
Nacque a Bologna poco prima del 1390 da Nanne di Gabione e da Giovanna Negrisoli. Fu uno degli ultimi dei loro numerosi figli e con la madre e i fratelli più giovani venne direttamente coinvolto nelle drammatiche conseguenze del fallimento delle ambizioni politiche del padre.
Al 1413 risale la prima notizia che lo riguarda direttamente: un provvedimento di bando capitale e di confisca dei beni nei confronti suoi e dei fratelli Nicolò, Castellano, Giacomo, Testa e Alessandro, emesso il 14 gennaio da Simone Pallaleoni, esecutore di giustizia per la S. Sede in Bologna, e approvato dal legato pontificio Ludovico Fieschi, che nel settembre precedente aveva ripreso il controllo della città dopo una breve esperienza di governo popolare.
Tre anni dopo una rivolta - guidata da esponenti dell'aristocrazia cittadina, tra i quali un fratello del G., Giacomo - costrinse Antonio Casini, vescovo di Siena e governatore di Bologna per conto dell'antipapa Giovanni XXIII, ad abbandonare la città. Il nuovo regime decretò l'annullamento delle misure punitive adottate nei confronti del G. e dei suoi fratelli, e dispose che fossero loro restituiti i beni confiscati. Nel luglio del 1419 Martino V, in un quadro di avviata normalizzazione dei rapporti con Bologna, riaffermati i diritti della S. Sede sulla città e appagatene alcune istanze di autonomia, riconobbe la validità del provvedimento adottato nel 1416 a favore dei Gozzadini e ne integrò gli effetti, annullando la scomunica loro inflitta dai suoi predecessori. Specchio di questa riconciliazione tra il papa e la famiglia può essere considerata la nomina dello stesso G. a podestà di Viterbo per l'anno 1421: un'esperienza unica nella vicenda del G., forse perché troppo lontana dalla sua preparazione di uomo d'affari.
Nel 1422 sposò Costanza, figlia di Guidolotto Mazzi, che gli recò una dote di 1000 lire di bolognini. Dal matrimonio nacquero due figlie: Diamante, che morì nubile nel 1442, e Margherita, che fu moglie di Giacomo Pepoli. Lo stesso G. scriveva in una sua lettera che ai primi di dicembre del 1441 la moglie Costanza era in avanzato stato di gravidanza, ma di quest'ultimo figlio non sono rimaste altre notizie.
Nel 1424 fu depositario del dazio del sale in Bologna: un incarico pubblico consono alla sua reale competenza finanziaria. Il 30 aprile dell'anno seguente prestò fideiussione per la somma di 100 lire a favore del nipote Scipione, che doveva sostenere, come poi fece nel giugno successivo, l'esame pubblico (conventus) per la nomina a dottore di diritto civile.
Emerge dall'episodio il particolare legame che contraddistinse anche in seguito i rapporti del G. con i figli del fratello Gabione (morto nel 1404), Scipione e Carlo. Quando, dieci anni più tardi, si procedette alla divisione dei beni ereditati da Nanne, fu il G. a tenere da Ferrara i rapporti con i nipoti e nelle lettere scambiate in tale circostanza essi mostravano di avere in lui piena fiducia. A questa stima faceva riscontro nel G. un forte sentimento di affetto nei loro confronti, specie verso Carlo, il più debole o il meno fortunato dei due: si preoccupava del matrimonio organizzatogli da Scipione, che evidentemente non condivideva, e sollecitava quest'ultimo affinché assistesse il fratello con ogni cura e attenzione.
Le lettere alle quali si è fatto cenno vennero scritte tutte da Ferrara, ove il G. si era trasferito intorno al 1426, indottovi probabilmente dal fratello Nicolò, che aveva fatto da tempo dei domini di casa d'Este il luogo privilegiato dei propri affari. In Ferrara il G. si dedicò all'attività di cambiatore, raccogliendo e gestendo insieme con Nicolò e a nome dell'intera famiglia i rapporti che qui avevano fatto capo al padre Nanne. Ma aprì nel contempo una propria attività bancaria e commerciale grazie alla società creata a tale scopo il 1° marzo 1427 con i fratelli Ettore, Paride e Scipione Sacrato. Questi vi apportarono un capitale di 3000 lire e l'avviamento del fondaco del loro padre Giacomo, il G. vi apportò un capitale di 1000 lire e l'impegno a gestire personalmente gli affari della società. La sua fu indubbiamente una gestione accorta, tanto che la durata della società, prevista in tre anni, venne in seguito continuamente rinnovata e proseguì anche quando il G. fece ritorno a Bologna.
Nel 1435 il G., i suoi fratelli e i nipoti decisero lo scioglimento della comunione ereditaria dei beni paterni, costituita da beni immobili e rapporti d'affari, l'origine dei quali era attestata nei libri di banco di Nanne, conservati in gran parte a Ferrara. Alla conclusione delle operazioni di divisione, trascinatesi per l'intero anno, il G. ottenne in proprietà esclusiva un vigneto a Borgo Panigale e un forno in città e, in comproprietà con Nicolò, una casa in Bologna e un mulino a Prunaro, il tutto per un valore di 2000 lire. Meno chiara fu la suddivisione intervenuta a regolare i rapporti d'affari, ma sembra che al G. siano stati attribuiti in esclusiva i rapporti che facevano capo al banco di Ferrara e, ovviamente, alla società con i Sacrato.
Nel luglio dello stesso anno 1435 moriva un fratello del G., Giacomo, che, privo di discendenti diretti, lasciò eredi in parti eguali lo stesso G., i fratelli Castellano e Nicolò e, in rappresentanza del defunto Gabione, i figli Scipione e Carlo. Il valore del complesso dei beni di Giacomo trasmesso per eredità ai tre fratelli e ai due nipoti non è attestato, ma doveva essere più che discreto, sia per la varietà e consistenza dei numerosi legati disposti dal testatore, sia a giudicare dall'immobile pervenuto al solo G., una casa con orto in Bologna, stimato 350 lire. Oltre agli immobili, l'asse ereditario comprendeva titoli di un credito pubblico. Risulta infatti che l'anno precedente Giacomo aveva investito in un prestito sul Monte della Tesoreria una somma pari almeno a 500 lire. Era questo uno dei primi, ma già sperimentati, strumenti di organizzazione del debito pubblico in Bologna, coperto da prestiti garantiti dalle entrate di singoli dazi o, come nel caso specifico, da diritti di rivalsa sull'aggio delle monete coniate nella Zecca cittadina, e Giacomo Gozzadini aveva intuito la convenienza di tale investimento.
I beni ereditati dal padre e dal fratello probabilmente indussero il G. a spostare il proprio interesse su Bologna, città in cui si stavano verificando profondi mutamenti nelle istituzioni e nella gestione delle finanze pubbliche.
Nel febbraio 1438 Raffaello Foscarari organizzò una rivolta contro il legato pontificio Fantino Dandolo al potere in Bologna. Alla rivolta, che doveva consentire ad Annibale Bentivoglio di rientrare in città e di riprenderne il controllo, aveva dato il suo consenso Filippo Maria Visconti e le aveva garantito l'appoggio delle milizie del suo capitano, Nicolò Piccinino. Gonfaloniere di Giustizia dal maggio successivo, Foscarari promosse d'intesa con Piccinino una riforma della gestione delle finanze cittadine, assumendo, in palese violazione di ogni norma, l'incarico di tesoriere generale del Comune per un intero quinquennio e con facoltà di trasmetterlo agli eredi. La gestione delle entrate pubbliche da parte di Foscarari garantì a Piccinino un credito praticamente illimitato e ne sostenne le ambizioni sempre più evidenti di procurarsi un proprio dominio personale.
Non vi sono prove che il G. abbia preso parte attiva alla rivolta e alle successive innovazioni apportate al governo di Bologna e alla gestione delle sue entrate, ma non si possono sottovalutare due circostanze: sia il G., sia Foscarari avevano risieduto e operato in Ferrara durante l'intero decennio precedente, e proprio nel febbraio del 1438 alcuni documenti attestano che il G. era a Bologna, anche se non vi assunse alcun incarico pubblico.
Il 4 febbr. 1440 Foscarari cadde vittima di un agguato tesogli da Annibale Bentivoglio con l'appoggio dell'oligarchia cittadina, conscia che la progressiva diminuzione della propria influenza sul controllo delle finanze della città, ormai concentrato nelle mani di Foscarari, le avrebbe precluso ogni potere di governo.
Alla morte di Foscarari fecero seguito la cassazione dei privilegi accordati ai suoi eredi, un nuovo accordo con Piccinino, che garantiva al capitano di ventura il denaro necessario a pagare le sue truppe e l'aspirazione a crearsi una propria signoria, e soprattutto un nuovo sistema di gestione della Tesoreria bolognese. A tale scopo una società di privati mutuò alla Tesoreria la somma di 12.000 lire di bolognini necessaria a coprire le esigenze di Piccinino e ne ricevette in cambio la gestione della stessa Tesoreria e una provvigione, quale compenso per tale gestione, pari al 66% della somma mutuata. L'elenco dei sottoscrittori del prestito, che formavano nel contempo il Consiglio di Tesoreria, comprendeva nomi delle più prestigiose famiglie della città: Albergati, Bolognini, Fantuzzi, Malvezzi, Zambeccari. Tramite il Consiglio di Tesoreria l'oligarchia cittadina si era così assicurata la gestione delle finanze della città e con essa anche la propria sopravvivenza come classe di governo locale.
Tra i maggiori sottoscrittori del prestito vi fu il G., che vi contribuì con l'importo complessivo di 600 lire, delle quali 350 come prestito personale e 250 quale trasformazione del precedente prestito sul Monte della Tesoreria che era stato acquisito come patrimonio indiviso da tutti gli eredi del fratello Giacomo. A qualificare ancora più decisamente il suo impegno in questa manovra finanziaria e politica il G. assunse l'incarico di depositario generale della Tesoreria. In una lettera ai fratelli Sacrato del 31 dic. 1440 egli dichiarava di aver accettato questo incarico suo malgrado e anche se non spiega i motivi del suo scarso entusiasmo non è difficile individuarli nella recente, drammatica conclusione della vicenda di Foscarari.
Dal gennaio del 1441 all'incarico di depositario egli unì anche quello di difensore dell'Avere e così tra salario e provvigioni poté contare su un introito di 40 lire al mese, più che sufficienti, secondo le sue previsioni, a consentirgli di sostenere tutte le spese correnti senza intaccare i guadagni delle imprese bancarie e commerciali che, contestualmente all'assolvimento degli incarichi pubblici, egli aveva non solo continuato a curare, ma anche incrementato. Alla società con i fratelli Sacrato di Ferrara il G. aveva infatti affiancato dal dicembre 1440 un'altra società in Bologna che lo vedeva socio di Nicolò Sanuti, Simone Manfredi e Virgilio Malvezzi e nella quale il G. aveva conferito un capitale di 1500 lire. Anche in questo caso si trattò di un ottimo investimento, dal momento che, dopo un solo anno di attività, il guadagno complessivo della società si avvicinava a 3000 lire. Il capitale che il G. vi aveva conferito, forse a motivo dell'incarico pubblico che egli rivestiva, fu peraltro denunciato a nome del cugino Venceslao, figlio di Bonifacio.
Il rilievo assunto dal G. in seno all'oligarchia dominante in città ebbe nel 1441 un esplicito riconoscimento sia sul piano politico, con la sua nomina a membro del Collegio dei riformatori dello Stato di libertà, sia sul piano sociale, con il matrimonio della figlia Margherita con Giacomo Pepoli, per la cui conclusione il G. si era impegnato da oltre un anno.
Non si era ancora spenta l'eco dei festeggiamenti che avevano solennizzato queste nozze, tanto ricchi da lasciare un ricordo nelle cronache locali, che una violenta malattia colpì improvvisamente il Gozzadini. Cosciente di essere in pericolo di vita, egli si preoccupò di sistemare gli affari più delicati in corso e il 27 dic. 1441 un apposito atto notarile attestava che il capitale versato nella società con N. Sanuti e gli altri, a nome di Venceslao, era in realtà dello stesso Gozzadini. Gli mancò probabilmente il tempo di sistemare altri affari.
Si spense a Bologna pochi giorni dopo, all'inizio di gennaio del 1442, e vi fu chi in questa sua morte così rapida volle sospettare, probabilmente a torto, l'azione di un veleno.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Ufficio dei memoriali, Provvisori, voll. 704, 21 maggio 1425; 748, 21 luglio 1435; 784, 4 dic. 1443; Provvisori, s. pergamenacea, b. 66, reg. 3, 30 genn. 1426 e 12 febbr. 1427; Notarile, Cesare Panzacchi, b. 265, 15 marzo 1443; Giovanni Mangini, b. 645, 25 ott. 1476; Arch. Gozzadini, b. 1, 14 genn. 1413, 1° marzo 1427, 19 e 31 dic. 1440, 13 genn. e 3 dic. 1441; Bologna, Bibl. com. dell'Archiginnasio, Arch. Gozzadini, bb. 44, f. Tommaso Gozzadini; 112, docc. 9, 46; 113, doc., 20; 114, doc. 41; 115, doc. 4; 116, docc. 1, 10, 26; 117, docc. 1, 6, 21, 29; 219, reg. IV, Repertorio, passim; 405, Bilanci; 448, f. Deposito del dazio del sale; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., 2012, b. VIII, f. 6; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, vol. III, ad ind.; Il "Liber secretus iuris caesarei" dell'Università di Bologna, II, (1421-1450), a cura di A. Sorbelli, Bologna 1942, p. 39; III, (1451-1500), a cura di C. Piana, Milano 1984, pp. 38*, 69*; Arch. di Stato di Bologna, Gli uffici economici e finanziari del Comune dal XII al XV secolo. Inventario, a cura di G. Orlandelli, Roma 1954, pp. 168-177*; G. Gozzadini, Nanne Gozzadini e Baldassarre Cossa, poi Giovanni XXIII, Bologna 1880, pp. 359 s.; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, III, 1, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1933, pp. 60-70; G. Orlandelli, Note di storia economica sulla signoria dei Bentivoglio, in Atti e memorie della Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, n.s., III (1953), pp. 238-240; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Gozzadini di Bologna, tav. IV/a.