GIUNTI (Giunta), Tommaso
Figlio di Lucantonio il Vecchio e di Francesca di Soldano di ser Francesco di Cepparello, nacque a Venezia il 6 marzo 1494 e venne presto coinvolto dal padre negli affari dell'azienda tipografica e libraria di famiglia. Nell'aprile 1525, insieme con il fratello Giovan Maria, rinnovò l'appartenenza all'arte dei vinattieri, della quale faceva parte Lucantonio. Nel 1528 si recò a Firenze, dove l'8 marzo sposò Francesca di Niccolò degli Alberti, di nobile famiglia, che gli portò in dote 1400 fiorini. Nel 1545 sposò in seconde nozze Francesca di Carlo di Giuliano Panciatichi. Dopo la morte del padre, nel 1538, il G. divenne il primo responsabile dell'officina, mentre Giovan Maria mantenne una posizione subalterna.
Giovan Maria sposò la nobile veneziana Maria Stella e abitò sempre nella casa paterna, insieme con il fratello e la cognata. Ne continuò l'attività il figlio Lucantonio il Giovane. Giovan Maria morì il 4 giugno 1569 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, nella tomba di famiglia.
Nel perfetto accordo con cui i due fratelli gestivano l'azienda familiare, si ha l'impressione che Giovan Maria si occupasse della parte amministrativa e Tommaso della direzione tecnica e programmatica. I due fratelli, peraltro, non firmarono mai con il proprio nome le edizioni, che uscirono con le diciture "Apud Iuntas", "In officina Iuntarum" ecc. e, per quelle in volgare, "Presso gli Eredi di Luc'Antonio Giunta" o "Presso i Giunti" ecc. L'ammontare della loro produzione, secondo gli annali del Camerini, raggiunge le 287 edizioni tra il 1538 e il 1566.
Nel 1539, con il fratello Giovan Maria, il G. partecipò a una società detta Compagnia delli libri della Corona, di cui erano soci anche Federico Torresano, Ottaviano Scotto e suo figlio Girolamo, Gabriele Giolito de' Ferrari. L'accordo fu rinnovato nel 1550. Nel 1540 la tipografia fu coinvolta in un caso abbastanza indicativo delle procedure dell'editoria veneziana dell'epoca. Donato Giannotti, autore del Libro dellaRepubblica de' Viniziani, stampato per la prima volta a Roma da Antonio Blado nel 1540, in quarto, manifestò in una lettera a Pietro Vettori del 26 ott. 1540 i suoi sospetti riguardo al fatto che il G. non mettesse in vendita le copie del volume che gli aveva mandato, con la scusa di una cattiva reazione del pubblico. Il Giannotti sospettava, invece, che fosse proprio il G. il responsabile di un'edizione contraffatta, in ottavo, uscita a Venezia, sempre con il nome del Blado pochi mesi dopo la princeps. Nella lettera, il Giannotti chiedeva al Vettori di indagare per tramite di Lorenzo Benivieni e prometteva di rivalersi sul G., se veramente fosse stato lui il colpevole. Data la collaborazione successiva del Giannotti con il G., per il quale tradusse in latino e in volgare le Vite di Plutarco intorno al 1544, bisogna ritenere che tale sospetto fosse caduto o che comunque i due si fossero riconciliati.
Il 18 luglio 1548 la Repubblica veneta emanò un Indice dei libri proibiti che obbligava gli stampatori a consegnare tutti i libri che contenessero dichiarazioni contrarie alla fede cattolica entro otto giorni; scaduto il termine, alcuni incaricati sarebbero stati autorizzati a ricercare tali libri nelle officine tipografiche e nelle librerie. Il provvedimento provocò scalpore tra i tipografi, timorosi delle conseguenze che la misura poteva avere. Il G. inviò alla Signoria una rispettosa lettera che chiedeva chiarificazioni, soprattutto per l'eventuale arbitrarietà nella censura di autori non cristiani, ma ormai comunemente accettati nel mondo della cultura. La reazione era evidentemente dovuta alla vaghezza del provvedimento e alla richiesta da parte dei tipografi di restringere la censura a libri manifestamente eretici. Anche a seguito di questa presa di posizione il provvedimento non ebbe effetto.
Nel novembre 1551 il G. fu interrogato dal S. Uffizio in relazione ai suoi rapporti col libraio lucchese Pietro Perna, il quale, pur essendogli stato vietato l'ingresso nello Stato veneziano, vi era giunto, chiaramente per ragioni di affari, con un permesso di venti giorni ottenuto per lui dal Giunti. Il G. fu nuovamente coinvolto in problemi inquisitoriali nel 1552, a proposito di un libro proibito, che avrebbe fatto passare per la dogana consegnandolo a Girolamo Donzellini, fratello dell'autore del libro, Cornelio Donzellini, protestante italiano che scriveva sotto lo pseudonimo di Francesco Virginio.
Il G. non si discostò nei programmi editoriali dal padre Lucantonio, continuando a stampare prevalentemente testi liturgici e libri scolastici e professionali. Aumentarono le edizioni di libri di medicina. Nel 1541 il G. e il fratello Giovan Maria terminarono un'impresa editoriale e tipografica iniziata dal padre e interrotta a causa della sua morte: gli Opera omnia di Galeno, in dieci volumi. Per pubblicarla, il G. si valse dei migliori specialisti del tempo e nella prefazione al primo volume, scritta da Antonio Gadaldini, così come nella lettera - sempre nel I volume - a Lucantonio Giunta il Vecchio del medico Giovanni Battista Montano, che coordinò l'opera, vengono formulate lodi ai Giunti per la difficoltà dell'impresa e per il modo eccellente con il quale era stata affrontata. Per l'edizione i Giunti ottennero privilegi di quindici anni, anziché di dieci come era consueto, sia da Paolo III, sia dal Senato veneto, in considerazione delle spese ingenti che essa aveva comportato. I Giunti considerarono sempre questa come la prima edizione giuntina delle opere di Galeno, pur essendovene state due precedenti (1522, 1528, ma incomplete), a causa dell'impegno profuso nel riordinamento e nella ricerca. La ristamparono poi otto volte, fino al 1625, con miglioramenti. Nel 1546 il G. stampò la prima edizione del De sympathia et antipathia rerum. De contagione et contagiosis morbis et curatione di Girolamo Fracastoro, opera che segna un grande progresso nella conoscenza delle maggiori malattie contagiose del tempo (febbri, sifilide, lebbra).
Si distinguono dal resto della produzione, nel 1542, le Opere toscane di Luigi Alamanni, sostenitore della Repubblica fiorentina ed esule a Parigi dopo il ritorno dei Medici, elegante edizione i cui esemplari furono bruciati a Roma e posti sotto sequestro a Firenze, e la raccolta di Navigationi e viaggi di Giovanni Battista Ramusio, che era amico del G. e di Girolamo Fracastoro. L'opera, di grande impegno, la prima a comunicare la sensazione che gli spazi terrestri fossero tutti percorribili, pur con le distanze e le difficoltà di allora, fu iniziata nel 1550 (con la sottoscrizione "Heredi di Lucantonio Giunti") e conclusa con il volume II, nel 1559, lasciato incompleto dall'autore (morto nel 1557; il III volume, che era stato finito dal Ramusio, era uscito nel 1556). Nel 1550 il G. stampò gli Opera omnia di Aristotele, una delle edizioni più pregevoli e impegnative della tipografia giuntina, in undici volumi (alcuni recano la data del 1550, altri del 1552), accompagnata da una sua epistola dedicatoria e dai privilegi di Giulio III, di Enrico II di Francia e del doge di Venezia.
Rispetto al padre, il G. alternò maggiormente i caratteri romani a quelli gotici, impiegandoli anche per qualche opera liturgica, ferma restando una larga prevalenza del gotico; introdusse per la prima volta un corsivo, nel 1539. In corsivo è anche il rifacimento di Francesco Berni dell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, stampato dai Giunti nel 1541. Identica rimase la marca tipografica di Lucantonio con il giglio fiorentino, divenuto il simbolo della tipografia giuntina. Alle opere liturgiche in grande formato, quasi una caratteristica dell'officina giuntina di Venezia, vennero alternate altre di formato più piccolo. Nel 1552 i Giunti introdussero a Venezia un corsivo di Robert Granjon di 95 mm, per un'edizione dell'opera medica di Areteo in versione latina, e lo replicarono l'anno successivo per il De balneis, raccolta di oltre settanta piccoli trattati, estratti e opere complete di autori greci, latini, arabi e italiani sulle varie sorgenti termali europee. Il carattere era stato usato in precedenza a Firenze dal fiammingo Lorenzo Torrentino (Laurens van der Beke), che aveva portato con sé nel capoluogo toscano uno stock di caratteri quasi interamente di disegno francese e divenne il carattere prediletto dal veneziano Francesco Marcolini negli ultimi due anni della sua carriera (1556-57). Per il De balneis i Giunti usarono anche un corsivo Gros texte adoperato pure da Gabriele Giolito.
Il 24 maggio 1553, come si legge nel testamento del G., la tipografia giuntina fu soggetta a fallimento causa un debito di circa 100.000 ducati, per un'improvvisa denuncia del creditore Giovanni Priuli, che non dette tempo ai Giunti di raccogliere denaro per coprire il debito, lentamente estinto solo in seguito. Il 4 nov. 1557 la stamperia prese fuoco, con distruzione degli impianti, delle scorte e di alcuni manoscritti pronti per la stampa. I Giunti si ripresero però anche da questo colpo, tanto che nel 1564 l'officina era nuovamente in buone condizioni.
Il 31 dic. 1558 il cardinale M. Ghislieri, futuro Pio V, inviò agli inquisitori veneziani il testo di un nuovo Indice, che rafforzava i meccanismi di controllo e, tra l'altro, imponeva ai confessori di non assolvere coloro che avessero libri proibiti. I librai veneziani si trovarono di fronte alla prospettiva di gravi perdite finanziarie e i tre priori della corporazione (il G., Melchiorre Sessa e Michele Tramezzino) si incontrarono nella bottega del G. nel gennaio, per decidere sul da farsi. Dopo questo incontro, i librai riunitisi in assemblea decisero di disobbedire ai comandi dell'Indice. L'azione brutale dell'Inquisizione finì per convincere la Repubblica ad appoggiare la categoria, ma Roma, a sua volta, rivolse la sua rappresaglia contro i depositi di libri posseduti da veneziani nello Stato pontificio, procedendo a confische, e proibì ai librai veneziani di partecipare a fiere librarie entro i confini dello Stato della Chiesa. I membri della corporazione, fortemente preoccupati, si incontrarono di nuovo nella bottega del G. alla fine di marzo o all'inizio di aprile del 1559, ma nei mesi seguenti dovettero cedere, e uno dopo l'altro pubblicarono le liste di libri proibiti richieste. Il G. fu uno degli ultimi a cedere, in agosto, con Gabriele Giolito, Michele Tramezzino, Melchiorre Sessa, Francesco Bindoni e altri.
Il G. morì a Venezia il 30 marzo 1566. Non avendo figli legittimi, ma solo due figlie naturali, nominò erede universale, soprattutto per la parte spettante all'officina, il nipote Lucantonio, figlio di Giovan Maria. Fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.
Il 27 luglio 1564 aveva fatto testamento. Dal documento ricaviamo che a quella data il patrimonio non era stato ancora diviso tra i due fratelli, e, inoltre, alcune altre notizie. Il G. viveva in contrada S. Zulian, era confratello della Scuola Grande di S. Marco, di cui nel 1550 era stato guardiano grande, lui e il fratello possedevano una volta in Rialto, usata anche come negozio, numerosi terreni e, oltre all'attività di tipografi, commerciavano in gioielli e tessuti. I due fratelli vivevano insieme con le loro famiglie nella stessa casa; a guastare tale armonia, apparentemente, era l'ostilità reciproca delle due cognate, la fiorentina Francesca Panciatichi e la veneziana Maria Stella, che rendeva la convivenza insostenibile.
Il G. fu uno dei tipografi ai quali Conrad Gesner indirizzò una delle lettere premesse a ciascuna suddivisione del volume delle Pandette della sua Bibliotheca bibliothecarum. Nella lettera, in data 30 luglio 1548, premessa alla classe del diritto civile e canonico, il Gesner vi loda, tra l'altro, l'edizione degli Opera omnia di Galeno e le opere di giurisprudenza e medicina stampate da Lucantonio.
Fonti e Bibl.:, Londra, British Library, Add. Mss. 10267, cc. 230-238 (otto lettere del G. a P. Vettori, 7 febbr. 1536 - 20 apr. 1566); 10280, c. 78 (una lettera al Vettori, 14 luglio 1548); M. Bandini, De Florentina Iuntarum typographia eiusque censoribus, Lucae 1791, pp. 19 ss.; P. Camerini, Il testamento di T. G., in Atti e memorie dell'Accademia di scienze e lettere di Padova, XLIII (1927), pp. 191-210; Id., Annali dei Giunti, I, Venezia-Firenze 1962, pp. 295-445; W.A. Pettas, An international Renaissance publishing family: the Giunti, in The Library Quarterly, XLIV (1974), pp. 346 s.; P.F. Grendler, The Roman Inquisition and the Venetian press, 1540-1605, Princeton 1977, pp. 4 s., 8, 10, 14 s., 19, 22 s., 72, 85, 99 s., 108 s., 118, 121-123, 170-173, 178, 181, 185, 227 s., 231, 236, 239 s., 246 s., 251.