GHERARDINI, Tommaso
Nacque a Firenze il 21 dic. 1715. Poiché fin da bambino sembra che preferisse disegnare "pittoreschi capricci" più che "attendere alle umane lettere" (Pazzi, p. 27), i genitori lo misero a bottega presso l'anziano scultore G. Piamontini e in seguito gli permisero di completare la sua formazione nelle accademie di Venezia, Bologna, quindi in quella fiorentina, nei cui registri egli è menzionato nell'anno 1740. Mentre ancora frequentava l'accademia, il G. iniziò a collaborare con Vincenzo Meucci, pittore molto apprezzato nella Firenze del pieno Settecento per le sue decorazioni ad affresco improntate a un classicismo fluido e arioso. Meucci istruì l'allievo nell'arte di dipingere a monocromo finti bassorilievi e minuziosi cammei, per i quali il G. diverrà in seguito famoso, e lo introdusse presso i Martelli, potente famiglia fiorentina cui l'artista rimarrà legato per tutta la vita.
Ad apprezzarne per primo le doti fu l'arcivescovo Giuseppe Maria Martelli, che commissionò al G. molte opere all'epoca in cui il giovane pittore era ancora nella bottega di Meucci: copie di dipinti, pitture murali, numerosi piccoli affreschi su tegola raffiguranti Teste di santi e Personaggi mitologici (alcuni dei quali tuttora visibili nel palazzo di città), oltre a diciotto quadri realizzati a tempera, a pastello e ad affresco, un tempo conservati nell'appartamento dell'arcivescovo nella villa di Gricigliano (Civai, p. 88). Tuttavia, fu il senatore Niccolò Martelli, appaltatore della riscossione delle imposte e delle dogane, ad affidare al G. le commissioni maggiori e a sostenerlo fino al 1774 con frequenti prestiti di denaro, includendolo per lunghi periodi tra gli stipendiati fissi della casa. Per i Martelli il pittore lavorò infatti non solo come frescante, ma anche come copista, restauratore e decoratore di mobili: nel 1763 restaurò, insieme con Giovan Battista Paolesi, la pala d'altare nella cappella di S. Gaetano (Civai, p. 105 n. 168), e l'anno seguente eseguì la bella pala d'altare con S. Giusto in preghiera per la pieve di S. Giusto in Piazzanese a Prato. Mentre attendeva a queste commissioni portò a termine la decorazione dei soffitti di alcune sale nel palazzo di città dei Martelli. Di quest'ultima impresa rimane solo la cosiddetta camera dei poeti, decorata con un Parnaso con le muse e i poeti realizzato sicuramente prima del 1766, anno in cui viene descritto da Marrini nelle aggiunte al libro di Pazzi.
In seguito, tra il 1772 e il 1773, Niccolò Martelli chiamò il G. nella residenza di Castello ad affrescare la galleria, distrutta nella seconda guerra mondiale, che l'artista decorò con uno "sfondato" raffigurante le Arti liberali sulla volta e finte statue e bassorilievi a trompe-l'oeil sulle pareti sottostanti.
L'alunnato presso Meucci e la protezione dei Martelli consentirono al G. di conquistarsi ben presto un posto di rilievo tra le nuove leve della pittura fiorentina. Nel 1756 dipinse una perduta Crocifissione in S. Pancrazio, mentre tra il 1760 e il 1764 realizzò una grande Orazione nell'orto per la chiesa di S. Paolino e, contemporaneamente, decorò insieme con altri pittori il convento della Calza con le Storie del b. Giovanni Colombini, assai ridipinte. Nel 1765 eseguì ad affresco una Trasfigurazione, in seguito distrutta, nella tribuna del duomo di Livorno, città in cui sono ancora conservate due sue tele raffiguranti generiche Feste, siglate e datate 1766. Lavorò poi nei palazzi fiorentini dei Del Nero, dei Gerini, degli Aldobrandini e degli Alessandri (Pazzi, p. 27); dopo il 1767 affrescò nella cupoletta della cappella Canigiani in S. Felicita la Ss. Trinità in una gloria di angeli, opera di concezione tipicamente barocca, ispirata allo stile introdotto a suo tempo a Firenze da G. Lanfranco.
La commissione di maggior prestigio arrivò nel 1768, quando i Lorena chiamarono il G. ad affrescare alcuni ambienti della villa del Poggio Imperiale. Nelle nuove sale costruite al piano terreno dell'ala destra della residenza granducale, il pittore lavorò a fianco di artisti quali Giuliano Traballesi, uno dei protagonisti del rinnovamento della pittura tardobarocca fiorentina, e il quadraturista Giuseppe Del Moro. Nel gennaio del 1769 il G. portò a termine la decorazione della sala del lato posto a mezzogiorno, raffigurando sul soffitto un'Allegoria dell'origine dell'Impero romano, assai lodata dal Marrini (ibid., p. 28), e dei finti bassorilievi sulle pareti sottostanti. Quindi, dopo il 1772, il G. diede seguito al programma celebrativo delle glorie dell'Impero con l'affresco che illustra, sulla volta di un'altra sala, le Imprese dell'imperatore Costantino e il trionfo del cristianesimo. Nel 1776, infine, subentrò al pittore Lorenzo Pecheux, allora a Roma, nella decorazione di una stanza dell'ala di ponente, realizzata dal G. nello stile pompeiano tornato di gran moda in tutta Europa dopo le scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei (Panichi, p. 19). Mentre attendeva ai lavori nella villa del Poggio Imperiale, nel 1770 il G. decorò un salotto d'angolo nel palazzo Naldini del Riccio e, l'anno seguente, affrescò un Convito degli dei sul soffitto di sala del palazzo d'Ambra.
La decorazione del salotto tondo in palazzo Pitti, attribuita al G. da Meloni Trkulja (1990) e datata ipoteticamente al 1771, è invece opera documentata del Traballesi (1775; L. Baldini Giusti, in Gli appartamenti reali di palazzo Pitti, a cura di M. Chiarini - S. Padovani, Firenze 1993, pp. 73-76). D'altra parte, la grande affinità del G. con lo stile già neoclassico del più celebre pittore è confermata dagli eventi che seguirono la partenza di Traballesi per Milano nel 1776. Il G. gli subentrò, infatti, negli incarichi di consulente e artista di fiducia del direttore degli Uffizi G. Bencivenni Pelli, che si avvalse in diverse occasioni della sua collaborazione.
Tra il 1779 e il 1780 gli affidò la decorazione a finti cammei della sala del museo appositamente ristrutturata per accogliere il gruppo statuario delle Niobidi; nell'aprile del 1782, invece, lo chiamò a stimare i dipinti posseduti dalla Camera di commercio e destinati alla Galleria per colmare i vuoti causati dalla nuova sistemazione delle collezioni granducali. Due anni dopo, a conferma della generale stima tributata all'artista, al G. venne affidata l'assistenza dell'Accademia delle arti e del disegno riformata nel 1784 su espressa volontà del granduca Pietro Leopoldo.
Tra le ultime opere eseguite dal G. sono gli affreschi nel palazzo Portinari Salviati, oggi di proprietà della Banca Toscana di Firenze, tipico esempio di quel "moderato classicismo sorretto da un disegno molto nitido in cui si ravvisa la tradizione fiorentina", che contraddistingue tutta la sua produzione (Gregori, 1982, p. 281). Nei due soffitti, raffiguranti l'uno l'Olimpo - siglato e datato 1783 -, l'altro Marco Curzio, il G. evitò gli scorci più arditi dei decoratori barocchi senza tuttavia rinunciare all'illusionismo degli scorci di sottinsù, attento agli esiti della pittura decorativa romana di P. Batoni e dei maggiori rappresentanti della scuola emiliana del Seicento: Lanfranco e Guercino. I registri della famiglia Martelli riportano notizia di lavori eseguiti dal pittore ancora nel 1792.
Il G. morì a Firenze nel 1797.
Conosciamo la fisionomia di questo artista garbato, ma senza guizzi di genio, grazie a due autoritratti: il primo, eseguito nella maturità, è agli Uffizi; il secondo, dipinto nel 1787 all'età di 72 anni, è ancora nella quadreria Martelli a Firenze. Si tratta degli unici esempi rimasti della sua attività di ritrattista, oltre al quadro giovanile nell'Accademia Etrusca di Cortona, in cui raffigurò Gaetano Antinori, lucumone nel 1755 (Castelli).
Fonti e Bibl.: A. Pazzi, Serie di ritratti di celebri pittori dipinti di propria mano in seguito a quella già pubblicata nel Museo fiorentino… con brevi notizie intorno a' medesimi compilate dall'abate Orazio Marrini, II, 2, Firenze 1766, pp. 27 s.; L. Lanzi, La Real Galleria di Firenze…, in Giornale de' letterati, XLVII (1782), p. 10; M. Gregori, 70 pitture e sculture del '600 e del '700 fiorentino, Firenze 1965, pp. 65 s.; L. Ginori Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell'arte, Firenze 1972, I, pp. 391-398, 423 s.; S. Meloni Trkulja, in Gli Uffizi: catalogo generale, Firenze 1979, p. 883; O. Panichi, Il rinnovamento dell'architettura e della decorazione di interni a Firenze nell'età leopoldina, in Florence et la France, Atti…, Firenze 1977, Firenze-Parigi 1979, pp. 19, 33; M. Gregori, La decorazione settecentesca, in Banca Toscana: storia e collezioni, Firenze 1982, pp. 281 s.; Id., L. Lanzi e il riordinamento della Galleria, in Gli Uffizi: quattro secoli di una galleria, Atti…, Firenze 1982, a cura di P. Barocchi - G. Ragionieri, Firenze 1983, pp. 377, 388; F. Fiorelli Malesci, La chiesa di S. Felicita a Firenze, Firenze 1986, pp. 95, 197, 203; A. Civai, Dipinti e sculture in casa Martelli…, Firenze 1990, ad indicem; S. Meloni Trkulja, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, II, p. 732; M.C. Castelli, in Il Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona, a cura di P. Bocci Pacini - A.M. Maetzke, Firenze 1992, p. 275; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 524 s.