GARELLI, Tommaso
Figlio di Alberto, è documentato a Bologna, in qualità di "magister pictor", a partire dal 1450.
Con il soprannome di Masaccio o di "el principe", il G. si inserì in un ambiente culturale complessivamente attardato su modelli gotici, episodicamente interessato alle novità di area veneta, scarsamente sensibile alle sollecitazioni razionalistico-prospettiche provenienti dall'Italia centrale. Massaro della società delle quattro arti nel 1455, carica poi ricoperta a intervalli pressoché regolari, il G. fu contemporaneamente al servizio del reggimento cittadino, impegnato nella realizzazione di stendardi per il Comune e di apparati per la festa del Corpus Domini.
Un intervento del G. nella chiesa di S. Michele in Bosco è datato al 1458: esso è associabile ai perduti affreschi della sagrestia, del capitolo e del cosiddetto coro notturno, per i quali viene confusamente ricordato insieme con un suo, non altrimenti noto, familiare di nome Giuliano (Arze; Malaguzzi Valeri, 1895). Nel 1459 l'incarico per un dipinto nella sala grande del palazzo pubblico segnò l'avvio di uno stabile e duraturo rapporto con le istituzioni cittadine, successivamente confermato dalla periodica elargizione di sussidi in favore del pittore, ricordato nei documenti come "vir bonus et integer", gravato dalla numerosa prole e sull'orlo dell'indigenza.
Nel 1461 l'atto di battesimo della figlia Elena, nata dall'unione con Anastasia di Bartolo de Bertolotis (Filippini - Zucchini, p. 159) riporta il nome del pittore Marco Zoppo in veste di padrino, suggerendone una familiarità con il G., incapace, però, di sensibilizzarlo nei confronti delle novità padovane, di recente importate a Bologna. Confermata, due anni dopo, dall'analoga partecipazione del G. al battesimo di Lucrezia, figlia di Marco, la vicinanza tra i due, ancora inattiva sul piano artistico al momento dello straordinario polittico di Zoppo per la chiesa di S. Clemente nel Collegio di Spagna (1463), segnò, più tardi, il G. in direzione di un'espressività e di un plasticismo di matrice squarcionesco-donatelliana, ancora latente sotto una prassi operativa di ascendenza localistica.
Tra il luglio e l'agosto del 1463 vennero corrisposti al G. i pagamenti della Madonna con Bambino dipinta per il tabernacolo ligneo della facciata del palazzo pubblico, realizzato dall'intagliatore cremasco A. de Marchi e, già nel 1478, sostituito dalla Madonna di piazza di Niccolò dell'Arca (Malaguzzi Valeri, 1901; Emiliani).
Ufficialmente incaricato, a partire dal novembre del 1465, di tutta la produzione effimera, degli apparati e della decorazione d'occasione di destinazione civica, nel 1466 il G. realizzò, su tela, l'imponente Madonna con Bambino tra i ss. Nicola da Bari, Pietro, Michele Arcangelo e Petronio per la sede della Compagnia dei Lombardi, all'interno del complesso basilicale di S. Stefano.
Datata da un'iscrizione che ricorda i committenti e le relative cariche all'interno della congregazione, la pala stefaniana aderisce ancora con sincerità ai modi del gotico settentrionale nella scelta dello sfondo neutro, nell'abbondante presenza di oro negli abiti e nelle aureole, nel trattamento vivace delle gamme cromatiche.
Affinità stilistiche consentono di riferire a questo momento il S. Sebastiano affrescato sul pilastro destro del presbiterio di S. Giovanni in Monte (Bergamini, p. 152), tentativo di aggiornamento in direzione di una più solida impostazione spaziale della figura, finalmente attento alle suggestioni veneto-squarcionesche, importate da Zoppo. Con il S. Vincenzo Ferrer affrescato su uno dei pilastri antistanti l'altare maggiore di S. Petronio, firmato e datato al 1467, l'assimilazione delle stimolanti istanze culturali si dimostra a un livello avanzato.
Emerso alla fine dell'Ottocento dalla scialbatura che spiega il silenzio delle fonti, il santo è inquadrato dal basso all'interno di un capiente vano architettonico: il panneggio nervoso e frastagliato, le forzature espressive del volto e delle mani ricordano inequivocabilmente la mimica donatelliana attraverso l'originale rilettura zoppesca. Se l'impegno del G. nel 1468 per i "due lioni sopra li merli del palazzo degli Anziani" (Filippini - Zucchini, p. 160) agisce come ulteriore conferma dell'ufficialità di ruolo in ambito cittadino, il taccuino di undici disegni degli Uffizi, con cautela assegnato al pittore bolognese (Benati, p. 191), dimostrerebbe, qualora ne venissero confermate autografia e altezza cronologica, una progressiva sensibilizzazione della cultura locale alle istanze moderne, donatelliane da un lato, pierfrancescane dall'altro. Stilisticamente contigue ai disegni degli Uffizi, sono le otto tavolette con figure di Santi del Museo di S. Stefano a Bologna, complementi laterali di un polittico smembrato cui si riferisce anche la cimasa con un Cristo di pietà, conservata presso la stessa sede.
Alla fine degli anni Sessanta, l'influsso di Zoppo si traduce in esplicita citazione nella soluzione di nicchie archiacute e di pilastri circolari scorciati come base per le figure, richiamandosi direttamente al polittico di S. Clemente. A questi anni e a questa temperie artistica dovrebbe appartenere anche il laterale di polittico con i Ss. Paolo e Giovanni Battista, già in collezione Platt di Englewood, ricondotto al G. attraverso una fotografia conservata nell'Archivio Berenson di Settignano (Benati, p. 145).
Con l'inizio degli anni Settanta, il G., impegnato anche nell'esecuzione di una Madonna con Bambino, affrescata nella chiesa di S. Vittore (Vacchi), ricomparve sul cantiere di S. Petronio, riannodando con i fabbricieri relazioni che fruttarono nell'arco dell'intero decennio.
Nel 1470, un pagamento di 68 lire liquidò la faccenda della decorazione della cappella di S. Brigida, commissionata dieci anni prima al G. e a B. Maineri, successivamente rilevata dal G. e mai eseguita a causa degli ingenti costi. Nel 1472 un secondo pagamento ricompensò l'esecuzione della "figuram beatae Brigide vidue, que est super altare sue capelle" (Benvenuto Supino, II, p. 193), forse identificabile con l'affresco rintracciato, all'inizio dell'Ottocento, in occasione della rimozione degli stalli del coro (Gatti). Per dorature di capitelli e del parapetto dell'organo, prima, per un'Annunciazione, un S. Petronio e tre angeli dipinti sulle portelle, poi, il G. ricevette compensi, scalati tra il gennaio del 1474 e il luglio del 1475: ricordati da Malvasia (1686), che omette il nome dell'autore, i dipinti sono andati quasi completamente perduti nel restauro del XVII secolo. Nel 1477, il G., che nel frattempo aveva realizzato una Crocifissione (1475) per l'altare della sala dei Tormenti nel palazzo pubblico (Filippini - Zucchini, p. 162), consegnò il polittico per la cappella di S. Barbara, commissionatogli dall'importante magistratura cittadina dei Sedici signori. Proiettati su un fondale uniformemente dorato, in uno spazio reso continuo da una sorta di pedana balaustrata, i ss. Paolo e Giovanni Battista, da un lato, Pietro e Giacomo, dall'altro, affiancano, negli scomparti principali, la Vergine con il Bambino; mentre, ai quattro evangelisti nelle cuspidi, corrispondono, nella predella, i santi protettori di Bologna, Domenico, Ambrogio, Floriano e Francesco. Trasferito nel 1904 nella cappella petroniana di S. Brigida, proveniente dal Museo della Fabbriceria con un'attribuzione ottocentesca a Zoppo, il polittico sembra confermare, nella presenza degli stemmi comunali dipinti sulla base, la sua originaria destinazione civica. Se l'indicazione araldica, con l'insegna della croce e il motto "Libertas", consente, pur con qualche riserva, di superare l'impasse storico-critica causata dai ripetuti spostamenti dell'opera, la sua qualità stilistica sembra di per sé invalidare la già problematica testimonianza di Malvasia che precocemente lo data al 1457. Commissione pubblica di prestigio, il polittico di S. Petronio rappresentò infatti per il G. un momento di sintesi delle proprie esperienze culturali, tra arcaismi e compiacimenti goticheggianti, da un lato, e ricerca di un assetto spaziale più calibrato e di un'indagine psicologica più raffinata, dall'altro, aprendo uno spiraglio persino alla straordinaria "modernità" della pala Griffoni, dal 1473 nella basilica cittadina.
Nel 1478, in significativa coincidenza con la morte di Zoppo, il G., "civis bononiensis", fece testamento in favore degli eredi maschi, nominando come proprio esecutore il priore della chiesa di S. Maria delle Grazie. Dopo la fervida sperimentazione degli anni Settanta, l'attività del pittore, documentabile fino alla fine del secolo, si assestò su posizioni difensive di una tradizione pittorica locale, ormai travolta e superata dalla cultura innovativa di Francesco Del Cossa.
Nominato nel 1482 castellano della rocca di Castelfranco e nel 1495, per l'ultima volta, massaro della società delle quattro arti, il G. si avvalse, in questi anni, della collaborazione del figlio David, anche lui pittore, dal 1485 subentratogli negli incarichi presso il Comune.
Nel 1494, padre e figlio lavorarono insieme nel complesso di S. Michele in Bosco, decorandone la foresteria e le camere.
Non si conosce l'esatta data di morte del G., da stabilire comunque entro il 1505, anno in cui un atto notarile cita come vedova sua moglie Anastasia.
Di David, che nel 1488 dichiarò in una testimonianza processuale di avere trent'anni, sono documentati interventi nella basilica di S. Petronio, dove nel 1485 dipinse un'anconetta con la Natività di Cristo e un Crocifisso.
Fonti e Bibl.: C.C. Malvasia, Felsina pittrice (1678), I, Bologna 1841, p. 38; Id., Le pitture di Bologna (1686), a cura di A. Emiliani, Bologna 1969, ad indicem; G. Gatti, Descrizione delle più rare cose di Bologna e suoi sobborghi, Bologna 1803, p. 121; L. Arze, Indicazione storico-artistica delle cose spettanti alla villa legatizia di S. Michele in Bosco, Bologna 1850, p. 104; F. Malaguzzi Valeri, La chiesa e il convento di S. Michele in Bosco, Bologna 1895, p. 12; Id., L'intaglio e la tarsia a Bologna nel Rinascimento, in Rassegna d'arte, I (1901), 2, p. 26; I. Benvenuto, L'arte nelle chiese di Bologna. Secoli XV e XVI, Bologna 1938, pp. 193, 231; A. Raule, S. Michele in Bosco in Bologna, Bologna 1963, p. 84; F. Vacchi, Il cenobio di S. Vittore e i suoi ultimi restauri, in Strenna storica bolognese, XIII (1963), pp. 316 s.; F. Filippini - G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti del secolo XV, II, Roma 1968, ad indicem; W. Bergamini, Dipinti appartenenti alla Compagnia dei Lombardi, in La Compagnia dei Lombardi in Bologna, Faenza 1970, pp. 148-152, 156, 159 s. (con bibl.); I disegni antichi degli Uffizi. I tempi del Ghiberti, a cura di L. Bellosi, Firenze 1978, pp. 81-89; A. Bacchi, Vicende della pittura nell'età di Giovanni II Bentivoglio, in Bentivoliorum magnificentia. Principe e cultura a Bologna nel Rinascimento, a cura di B. Basile, Roma 1984, pp. 489-491; D. Benati, La pittura rinascimentale, in La basilica di S. Petronio a Bologna, II, Bologna 1984, pp. 143-149 (con bibl.); M. Lucco, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1987, p. 632; A. Tambini, Guidaccio da Imola e le influenze padovane nella pittura emiliano-romagnola del Quattrocento, in Paragone, XXXVIII (1987), 451, pp. 49 s.; H.W. Hubert, Der Palazzo Comunale in Bologna, Köln 1993, ad indicem; P. Foschi - E. Astorri, La basilica di S. Stefano a Bologna. Storia, arte e cultura, Bologna 1997, p. 71; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 193; Diz. enciclopedico Bolaffi…, V, pp. 273-275.