FORMAGLINI, Tommaso
Nacque a Bologna verso il 1275 da Rolandino, figlio di Iacopo. Ebbe due fratelli, Dino e Comacino, e tre sorelle, Guida, Fosca e Belizia.
Sia il nonno Iacopo, che aveva esercitato la professione di beccaio, sia il padre Rolandino - detto Formaglino, da cui il nome assunto dalla famiglia - dovevano possedere ottime capacità imprenditoriali. Il patrimonio familiare, costituito da estese proprietà immobiliari nel contado e da numerosi capi di bestiame, accortamente gestito, consentì nel 1297 a Rolandino di essere annoverato tra i milites, i cittadini in grado, cioè, di prestare servizio per il Comune quali cavalieri. Nel 1303 Rolandino ricoprì l'incarico di difensore delle venti società d'arti: era quindi un esponente di primo piano della fazione guelfa moderata. Col prevalere dei guelfi intransigenti l'esperienza non ebbe seguito e per lungo tempo nessuno della famiglia assunse cariche di rilievo. Dei figli, Dino e, sembra, anche Comacino seguirono le orme paterne dedicandosi agli affari.
Il F. scelse invece gli studi, conseguendo il titolo di legumdoctor intorno al 1309; poco dopo lo ritroviamo insieme con altri dottori, particolarmente noti in città, interpellato in un lodo arbitrale emesso nel febbraio 1310. All'attività di consulente affiancò ben presto quella di docente, pur senza essere incaricato di una lettura ufficiale dello Studio. La sua attività didattica, attestata dal 1317, si svolse per lungo tempo col sistema delle liberae collectae. Non gli mancarono tuttavia gli allievi, ed è anzi molto probabile che abbia annoverato tra i propri scolari sia Pietro, figlio di Dante Alighieri, sia, almeno per qualche tempo, Francesco Petrarca.
Il F. ebbe fama presso i contemporanei di grande esperto di diritto, oltre che di ottimo insegnante. La sua produzione scientifica appare tuttavia abbastanza ridotta. È memoria che abbia scritto letture sopra il Digesto vecchio e sopra il Codice; ma oggi di lui si conoscono soltanto poche quaestiones, grazie in particolare alle citazioni e agli apprezzamenti di altri giuristi.
Scarse tracce hanno anche lasciato le vicende del F. fino alla sua maturità. Sembra si sia sposato una prima volta all'inizio del 1300, ma della moglie, ben presto scomparsa, è ignoto il nome e il casato. Ne ebbe un figlio, Giovanni, la cui presenza nella casa del padre è attestata fino al 1329, e forse un altro, Ponarino - a meno che non sia da identificare col predetto Giovanni - che venne inviato con altri ostaggi bolognesi a Mantova nel 1326, dove era ancora presente nel 1329, ma non più ricordato nel 1332. Dalla seconda moglie, Caterina, figlia di Napoleone Gozzadini, con la quale risulta sposato nel 1318, ebbe un figlio, Napoleone, e almeno una figlia, Vannina, entrambi nati dopo il 1322.
Il F. risiedette a lungo, con il padre e con i fratelli, in una casa nella "cappella" di S. Maria del Torleone. Dal 1323 abitò col figlio Giovanni in una casa di proprietà del fratello Dino nella "cappella" di S. Tommaso della Brayna, probabilmente più adatta alla sua attività di insegnante.
La svolta decisiva nella vita del F. avvenne agli inizi del 1326. La propiziarono le pesanti conseguenze sul piano interno della grave sconfitta subita dalle truppe bolognesi, il 25 nov. 1325, a Zappolino ad opera di Rainaldo Bonacolsi, signore di Mantova e di Modena, a capo di un esercito ghibellino. Bologna, stremata da un conflitto che si protraeva ormai da decenni, si trovò nell'impossibilità di proseguire la lotta con le sole proprie forze. La fazione guelfa intransigente che reggeva la città, costretta ad accettare una pace con il Bonacolsi, cercò di assicurarsi il sostegno del rappresentante più valido, al momento, del guelfismo in Italia, il cardinale Bertrando del Poggetto (Bertrand du Poujet), legato del papa Giovanni XXII.
Nel clima di timore e sfiducia che veniva a minare la stessa credibilità delle istituzioni comunali, incapaci di reggere a fronte dei dilaganti regimi signorili, il F. venne chiamato ad incarichi di rilievo politico. Nel gennaio del 1326 fu uno dei cinque ambasciatori bolognesi che, a Mantova, ratificarono la pace con Rainaldo Bonacolsi. Nel corso dello stesso anno venne incaricato di altre missioni. Fu a Rimini, nel luglio, quindi a Brescia, Reggio, Parma e presso il legato Bertrando del Poggetto. La missione, condotta in tutta segretezza, aveva probabilmente lo scopo di convincere il legato ad entrare in Bologna, come in seguito avvenne il 5 febbr. 1327.
Il F., che aveva fattivamente cooperato all'avvento al potere di Bertrando del Poggetto, trasse dalla nuova situazione l'occasione per una affermazione personale. A tale affermazione giovò anche una complessa e gravosa operazione finanziaria, conclusa nel settembre del 1328. Con il concorso del fratello Dino e di altri tre concittadini, il F. acquistò per la somma di 4.800 fiorini i frutti spettanti per un triennio alla mensa vescovile bolognese, consentendo così al vescovo di pagare il proprio debito di pari importo nei confronti della Camera apostolica. Il risultato fu comunque un accresciuto favore da parte di Bertrando del Poggetto, fortemente interessato alla conclusione dell'operazione: testimonianza della fiducia riscossa dal F. l'invio quale ambasciatore nel 1329 in Toscana e, soprattutto, nell'aprile dello stesso anno la nomina - accanto a un altro dottore, Pietro Cerniti, due giurisperiti e quattro notai - a componente della commissione incaricata di riscrivere gli statuti cittadini.
Il F. era pervenuto quindi a una posizione di tutto prestigio e Bertrando del Poggetto non si fece scrupolo di intervenire in suo favore il 4 ag. 1329, per liberarlo dalle fastidiose conseguenze del mancato pagamento della colletta imposta a tutti i cittadini due anni prima: non che il F. fosse privo di mezzi finanziari (il suo patrimonio fondiario, ereditato dal padre, era stato infatti incrementato come testimonia la dichiarazione d'estimo presentata nel febbraio 1329), ma le sue risorse, limitate a beni immobili, erano ormai indirizzate verso posizioni di pura rendita.
L'incarico più prestigioso giunse il 6 nov. 1331, quando il F., insieme con Rolandino Galluzzi, venne inviato ad Avignone presso il papa Giovanni XXII. La missione dei due rappresentanti bolognesi parve sul punto di ottenere risultati considerevoli. Tramite loro, nel febbraio del 1332, Bertrando del Poggetto informò il papa che Bologna aveva rinnovato e reso perpetua la propria dedizione alla Chiesa. Il papa si rallegrò di tale notizia e palesò l'intenzione di recarsi personalmente a Bologna. L'impressione provocata in città dalle notizie trasmesse in merito dai due rappresentanti fu enorme. Si era infatti diffusa la voce che il papa avesse intenzione di fissare a Bologna la propria residenza. Nei mesi successivi i rappresentanti bolognesi rinnovarono al papa l'invito ad intraprendere il viaggio, ma il 19 giugno 1332 egli rendeva noto di essere costretto a differire la sua partenza.
La missione ad Avignone si protrasse per tutta l'estate, ma le istanze, ripetutamente rinnovate, affinché il papa desse avvio al ventilato trasferimento a Bologna non ottennero miglior successo delle precedenti. Il F. e Rolandino Galluzzi si videro anzi costretti a comunicare al papa che tra gli abitanti si andava diffondendo il timore che la città non fosse adeguatamente sostenuta nella lotta contro i numerosi nemici che la attorniavano. Il papa cercò di assicurare i Bolognesi del proprio impegno a difenderli, ma fece loro intendere di non avere, al momento, intenzione alcuna di recarsi a Bologna. Il principale obiettivo della missione veniva così a cadere: il 15 sett. 1332, munito di una salvacondotto del papa, il F. iniziò il viaggio di ritorno che lo portò il 18 ottobre successivo a Bologna.
La città era ancora retta dal cardinale del Poggetto, del quale il F., come abbiamo visto, era sostenitore: la sua nomina a rettore di Forlì - di cui è memoria nel settembre del 1333, quando la città fu riconquistata da Francesco Ordelaffi - e la sua sottoscrizione nello stesso anno per un prestito richiesto dal governo cittadino rivelano l'intensità dei suoi rapporti con il legato pontificio. Le fortune di quest'ultimo volgevano, però, al termine: il 17 marzo 1334 scoppiò una rivolta e dieci giorni dopo il legato abbandonò Bologna. I suoi fautori, tra i quali anche il F., restarono in città, ma il loro ruolo politico venne fortemente ridotto.
Nello stesso anno 1334 è attestata comunque l'elevatissima posizione conseguita dal F. nell'ambito dello Studio. Il 10 novembre egli risulta infatti fare parte della commissione che conferì il dottorato a Bartolo da Sassoferrato.
Nel 1335 il F. venne nominato ufficiale ai Beni dei banditi; nel 1336 fu a Ferrara ai funerali di Rainaldo d'Este in rappresentanza del Comune di Bologna, accanto ad altri maggiorenti della città. Sembra sia stato questo l'ultimo incarico ufficiale del F., cui certo non giovarono i legami di parentela e di amicizia con la famiglia Gozzadini, intorno alla quale si raccoglieva la fazione maltraversa, sconfitta da Taddeo Pepoli diventato nell'agosto del 1337 primo signore cittadino.
Il nome del F. compare ancora in una lettera di Benedetto XII del 2 genn. 1338, con la quale il papa chiedeva ai Bolognesi di ritornare alla soggezione della Chiesa. Dopo questa data cessano le testimonianze a lui relative. È quindi del tutto verosimile che la sua morte sia avvenuta nello stesso anno 1338 o poco dopo.
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